approssimazioni mediatiche alla realtà dell'immigrazione. - Lettere e ...
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Università degli Studi di Padova<br />
Master in Studi Interculturali<br />
1<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Giornalismo e intercultura<br />
Approssimazioni <strong>mediatiche</strong> <strong>alla</strong> <strong>realtà</strong> dell’immigrazione<br />
Angela Maria Toffanin<br />
a.a. 2006/07<br />
Llistas (Inmigrantes) Ignasi Aballí<br />
Relatori: prof. Donatella Schmidt<br />
prof. Adone Brandalise
Indice<br />
Giornalismo e intercultura.<br />
Approssimazioni <strong>mediatiche</strong> <strong>alla</strong> <strong>realtà</strong> <strong>dell'immigrazione</strong><br />
2<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Introduzione pag. 1<br />
1. Media e migrazioni pag. 7<br />
I mass media: enti di socializzazione e condizione di cittadinanza pag. 11<br />
Alcune teorie sugli effetti dei mass media pag. 12<br />
Giornalismo e migrazioni: alcuni studi italiani pag. 16<br />
2. Giornalismo e intercultura pag. 31<br />
Metropoli pag. 34<br />
Dal passaporto.it a Metropoli pag. 35<br />
Analisi pag. 36<br />
Obiettivi e Target pag. 37<br />
La lingua pag. 40<br />
Pubblicità e investitori pag. 41<br />
La grafica e le foto pag. 42<br />
Struttura di Metropoli: rubriche e assenza di editoriali pag. 44<br />
Temi pag. 46<br />
Analisi del contenuto pag. 48<br />
Il primo numero pag. 50<br />
Sulla comunicazione e l’informazione pag. 51<br />
Commenti pag. 55<br />
L’approccio interculturale nel giornalismo: necessità e possibilità pag. 61<br />
Bibliografia pag. 67<br />
Sitografia indicativa pag. 70<br />
Abstract pag. 71
1<br />
stranamente@yahoo.it<br />
La società italiana non è segnata da profondi fenomeni di razzismo. Tuttavia, iniziano a<br />
diffondersi tendenze xenofobe e si registrano episodi di discriminazione nei confronti delle<br />
comunità Rom e Sinti, dei cittadini di origine straniera, degli immigrati e richiedenti asilo<br />
provenienti dall’Africa e dall’Est Europa, delle comunità musulmane. Queste tendenze<br />
sarebbero alimentate dal timore di perdere la supposta identità nazionale costruita negli<br />
ultimi due secoli e che non corrisponde più al dinamismo profondamente multiculturale<br />
della società moderna.<br />
Ne sarebbero responsabili: la propaganda condotta dai partiti di destra, le politiche adottate<br />
dai governi in materia di immigrazione e pure i mass media, che, sulla base della crescente<br />
presenza di cittadini stranieri e della cultura della paura sviluppatasi dopo l’11 settembre,<br />
“continuano a istigare l’odio razziale e religioso dietro la maschera della libertà<br />
d’espressione e della necessità di combattere il terrorismo” 1 , ad esempio, declinando<br />
quotidianamente i binomi “straniero-pericoloso” e “musulmano-terrorista”.<br />
Questo è quanto rileva Doudou Diène nel monitoraggio effettuato in Italia sulle forme di<br />
razzismo, discriminazione razziale e xenofobia: mi sembra sufficiente a spiegare per quale<br />
motivo ho deciso di occuparmi, per questo lavoro, di media e migrazioni.<br />
Anche perchè la stessa opinione viene espressa d<strong>alla</strong> Commissione Europea contro il<br />
Razzismo e l’Intolleranza 2 , l’ECRI, nel Terzo Rapporto sull’Italia, adottato il 16 dicembre<br />
2005, rilevando che<br />
“è aumentato in Italia il ricorso a discorsi razzisti e xenofobi in politica, riguardanti<br />
essenzialmente gli extracomunitari, i Rom, i Sinti e i musulmani […] Si segnala un<br />
deterioramento della situazione anche per i membri delle comunità musulmane, dovuto<br />
soprattutto <strong>alla</strong> tendenza riscontrata nei dibattiti pubblici e nei media a passare subito a<br />
generalizzazioni e ad assimilare l’appartenenza a tali comunità al terrorismo” (pag. 6).<br />
Considerato il ruolo dei mass media nella diffusione della sensazione di insicurezza e<br />
paura, poiché responsabili di una “costruzione sociale del nemico dalle conseguenze<br />
1 Dal Rapporto presentato da Diène, relatore speciale delle Nazioni Onu sulle forme contemporanee di<br />
razzismo, l’intolleranza e la xenofobia, il 15 febbraio 2007 al Consiglio dei Diritti Umani, sulla sua visita in<br />
Italia, tra il 9 e il 13 ottobre 2006. Il passo citato è reperibile a pagina 24, traduzione mia.
2<br />
stranamente@yahoo.it<br />
devastanti sia nella quotidianità dei cittadini stranieri onesti — che sono la maggioranza —,<br />
sia nella percezione collettiva che gli italiani finiscono per sedimentare degli stranieri” 3 , mi<br />
interessava capire se è possibile un altro tipo di comunicazione di massa, non solo<br />
rispettosa nei confronti di tutti i soggetti che vivono la società multiculturale, ma anche in<br />
grado di porsi come mediatrice interculturale. Una comunicazione capace di fornire, da un<br />
lato, informazioni utili all’inserimento delle persone di origine straniera nella società e<br />
dall’altro agli autoctoni gli strumenti per capire e interagire con i nuovi vicini di casa: in<br />
pratica, mi interessa sapere quali siano le possibilità per avere dei mass media che siano<br />
canali di conoscenza, connettori tra le persone, spazio per un dialogo che rappresenti<br />
“libertà di confrontarsi e contraddirsi senza sintesi ”4 .<br />
Nel suo Rapporto, Diène sottolinea come le forme di razzismo, discriminazione e xenofobia<br />
diffuse in Italia sarebbero frutto, oltre che di scelte politiche errate, anche di una profonda<br />
mancanza di conoscenza e comprensione delle culture e religioni delle minoranze nazionali<br />
e dei migranti 5 . In parallelo con la scuola, i mass media quindi potrebbero svolgere la<br />
funzione positiva di trasmissione di conoscenza, forti del fatto che sono fruiti anche da<br />
persone ormai uscite dal sistema scolastico; ormai i mezzi di comunicazione di massa<br />
possono essere affiancati agli enti tradizionali (famiglia, scuola, gruppo dei pari) nei<br />
processi di socializzazione degli individui, nella percezione della <strong>realtà</strong>, nel veicolare e<br />
diffondere modi di pensiero e concezioni del mondo, alterità compresa.<br />
Ritengo che i mass media abbiano attualmente un’importanza notevole nella costruzione<br />
della rappresentazione della <strong>realtà</strong>: contribuiscono a consolidare e diffondere immagini<br />
dell’alterità tra la gente comune, che poi userà tali immagini per confermare la propria<br />
costruzione di senso. In passato la costruzione dell’idea di oriente, di altro, ha giustificato<br />
politiche coloniali, ora sembra funzionale <strong>alla</strong> gestione della quotidianità e a calmierare<br />
l’insicurezza delle persone.<br />
Tuttavia, si deve anche considerare che i mass media possono essere una delle condizioni<br />
2 http://www.coe.int/ecri<br />
3 Jean Leonard Touad, L’integrazione frutto di legalità e solidarietà, Metropoli n 24, 8 luglio 2007<br />
4 Gayatri Chakravorty Spivak, L’imperativo di re-immaginare il pianeta, in AUT AUT n. 312, pag. 72<br />
5 Si riferisce ad esempio al fatto che i sistemi di valori derivanti dall’Islam o dalle nazioni Rom e Sinti non<br />
sono insegnate (o lo siano parzialmente) nei sistemi scolastici, nonostante la lunga compresenza sul territorio.
3<br />
stranamente@yahoo.it<br />
necessarie per lo sviluppo dell’uomo come cittadino, se forniscono le informazioni<br />
necessarie <strong>alla</strong> vita in una società: se fonte di conoscenza sui diritti di ognuno o di<br />
informazione sull’attività di governi e poteri economici e sui mutamenti della società,<br />
potrebbero fornire alle persone degli strumenti necessari a partecipare <strong>alla</strong> vita della società<br />
in cui vivono.<br />
L’oggetto della mia analisi è nello specifico la comunicazione interculturale 6 , intesa come<br />
“sistema dei mass media in grado di rispettare le diverse posizioni, di rispettare le<br />
differenti culture, di coglierne ed esprimerne le sfumature, le costanti di fondo, i<br />
cambiamenti. Un sistema dei mass media pronto a favorire il dialogo, la comprensione,<br />
il rispetto reciproco […] la conoscenza scevra da pregiudizi e stereotipi” 7 ,<br />
un sistema in cui persone provenienti da luoghi diversi riescano parlarsi, anche se non lo<br />
fanno “da dentro la medesima comunità dell’altro” 8 .<br />
Secondo la Dichiarazione pubblicata d<strong>alla</strong> Piattaforma dei Media Multiculturali in Italia 9 , i<br />
media multiculturali sarebbero tutti quei<br />
“periodici, quotidiani, siti internet, emittenti e programmi radiotelevisivi, spesso<br />
espressione di <strong>realtà</strong> associative e comunitarie, che coinvolgono, in veste di produttori o<br />
di principali fruitori, migranti e i diversi gruppi di origine immigrata. I media<br />
multiculturali sono spesso iniziative locali che utilizzano la/e lingua/e del proprio<br />
pubblico cui forniscono informazioni sull’Italia e i contesti locali, notizie sui paesi di<br />
origine dei flussi migratori che non trovano spazio nei media a larga diffusione, ed altre<br />
notizie che variano a seconda del taglio e degli obiettivi della testata. Essi offrono inoltre<br />
una piattaforma di discussione e scambio tra i migranti e gli altri gruppi di origine<br />
immigrata così come tra le comunità minoritarie e quelle maggioritarie”.<br />
Il rischio, parlando di giornalismo multiculturale, è quello di pensare una comunicazione<br />
6 Stavo quasi concludendo questo lavoro quando Sabatino Annechiarico mi fa notare che i mass media sono<br />
per loro natura interculturali. È vero: tuttavia, le manipolazioni in atto su tutto il sistema dell’informazione fa<br />
sì che i loro prodotti siano estremamente “blindati”<br />
7 “Media e comunicazione interculturale nell’era della globalizzazione”, Maurizio Corte http://www.cestim.it<br />
8 Gayatri Chakravorty SPIVAK, cit., pag.73
4<br />
stranamente@yahoo.it<br />
per l’altro e sull’altro, pensandola come un’informazione utile non per tutti gli individui<br />
della società, ma per la minoranza di stranieri presenti, una specie di comunicazione delle<br />
minoranze, di ghetto, al limite per qualche curioso col gusto dell’esotico. Per me, invece, è<br />
importante considerare l’informazione interculturale qualcosa di diverso dai canali<br />
informativi rivolti agli appassionati di sport o di automobili, in quanto ritengo ridicolo<br />
pensare una comunicazione per immigrati e appassionati di immigrati: con giornalismo<br />
interculturale intendo una comunicazione sulla società contemporanea, che in maniera più<br />
evidente rispetto al passato, è composta da persone diverse, con storie diverse e<br />
provenienze diverse: nel tentativo di fare comunicazione, occorre fare attenzione al rischio<br />
di generalizzare, accomunando e semplificando le diverse componenti delle minoranze in<br />
soggetti omogenei, uguali nelle difficoltà quotidiane, nell’assenza di diritti, nella fruizione<br />
di informazioni.<br />
Il giornalismo interculturale deve avere informazioni di servizio e, servendo a un’intera<br />
società, deve superare la dicotomia locali-immigrati: da una comunicazione a doppio<br />
binario, non è possibile arrivare ad una comunicazione in grado di superare barriere.<br />
Dovrebbe piuttosto essere in grado di svolgere tre funzioni:<br />
• dar dei vari altri una rappresentazione onesta<br />
• essere spazio in cui i vari altri parlino direttamente<br />
• fornire informazioni di servizio utili.<br />
Sergio Frigo, giornalista del Gazzettino di Padova, ex direttore del mensile Cittadini<br />
Dappertutto, autore del libro Noi e Loro, ha cercato di farmi capire le difficoltà di<br />
realizzare un prodotto editoriale che si rivolgesse a un pubblico misto, di persone italiane e<br />
immigrate provenienti da posti diversi. Per prima cosa occorre considerare se i lettori sono<br />
pronti:<br />
“Se tu cominci ad avere, io penso al nostro giornale (il Gazzettino) che ha un pubblico di<br />
centro destra, centro soprattutto, [...] se tu cominci a raccontargli tutti i giorni pagine e<br />
pagine dell’immigrazione, si stufa e cambia giornale [...] in <strong>realtà</strong>, non è che la gente<br />
9 www.mcm2000.net
normale abbia così curiosità per il mondo dell’immigrazione”.<br />
5<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Pare che il giornalismo interculturale sia ancora, quindi, un ideale, raggiungibile ad<br />
esempio cominciando a costruire, incuriosendolo, il pubblico di domani, persone che hanno<br />
cominciato ad entrare in contatto con badanti, compagni di lavoro, vicini di casa immigrati,<br />
il cui interesse potrebbe nascere ed essere stimolato.<br />
In più, il pubblico immigrato, in quanto tale, non esiste in natura, va costruito: le persone<br />
difficilmente si identificano e si sentono immigrate. Può essere facile, per esempio, pensare<br />
ad un giornale per un pubblico omogeneo per provenienza geografica o per lingua: basta<br />
osservare il successo dei giornali monoculturali, come quelli che fanno capo al sito<br />
http://www.stranieriinitalia.it, che si rivolgono ad un gruppo specifico, parlandogli nella sua<br />
lingua, della sua gente, delle sue feste. Può essere semplice per un igbo riconoscersi come<br />
igbo, un albanese come albanese, un cinese come cinese, un italiano, all’estero, come<br />
italiano. Più complicato, invece, per ognuno fare il salto e identificarsi come immigrato. A<br />
livello di pubblico di un giornale, Frigo sottolinea:<br />
“l’immigrato che sta facendo questo percorso, che si sta integrando in maniera positiva e<br />
anche veloce, ad un certo punto, anche per una questione di status, vuole far sapere, far<br />
vedere, sentirsi in qualche modo integrato, e quindi passa direttamente al giornale<br />
normale, magari si legge la Gazzetta dello sport” (note personali).<br />
Per concretizzare queste mie riflessioni, ho deciso di analizzare Metropoli, il supplemento<br />
domenicale di La Repubblica che si propone come “il giornale dell’Italia multietnica”. Ho<br />
scelto Metropoli perché è attualmente l’unico giornale del genere a tiratura nazionale e<br />
soprattutto perché lo ritenevo rivolto a un pubblico formato sia da immigrati che da italiani.<br />
Nella ricerca ho cercato di esplicitare il più possibile il mio punto di vista: nel corso di<br />
questo lavoro mi sono fatta delle idee, ho smontato alcuni stereotipi che avevo,<br />
probabilmente sostituendoli con altri. Mi sembrava onesto esplicitarli e sbilanciarmi. Ho<br />
inoltre cercato di contattare diverse persone interessate al tema, giornalisti e fruitori del<br />
giornale, immigrati e italiani: mi sembrava interessante sentire le opinioni di queste<br />
persone, in particolare degli immigrati, che questo tipo di comunicazione riguarda, ma che
spesso non hanno voce in capitolo.<br />
6<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Tuttavia, non sono riuscita a parlare con molti immigrati: quelli che conosco personalmente<br />
non leggono Metropoli e non sono molto interessati <strong>alla</strong> questione dell’informazione, altri<br />
che ho contattato, giornalisti magari, erano spesso troppo impegnati e non sono riuscita ad<br />
avere in tempo le loro osservazioni.<br />
Ho potuto, comunque, avere delle proficue chiacchierate con Daniele Barbieri, giornalista,<br />
coanimatore, tra l’altro, dell’agenzia Migranews, con il già citato Sergio Frigo, con<br />
Okechukwu Anyadiegwu, scrittore nigeriano e, in passato, professore di lingua Igbo per il<br />
master. Via mail, invece, ho avuto la possibilità di ricevere interessanti risposte dal<br />
giornalista Sabbatino Annechiarico e spunti utilissimi da Giuseppe Faso, direttore<br />
scientifico Centro Interculturale Empolese Valdelsa e autore del libro Le Parole che<br />
Escludono. Voci per un dizionario (Arci, 2005).
1. Media e migrazioni<br />
7<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Prima di arrivare all’analisi sul giornalismo e nello specifico su Metropoli, vorrei riflettere<br />
un po’ sui mass media e il loro rapporto con le migrazioni. In questo primo capitolo, mi<br />
sembra utile descrivere l’importanza che secondo me hanno i mezzi di comunicazione di<br />
massa nella società contemporanea: da un lato, come enti di socializzazione, a fianco a<br />
quelli tradizionali, nella diffusione di rappresentazioni, modelli, valori; dall’altro, come<br />
strumento di cittadinanza, potendo fornire informazioni utili per inserirsi appieno nella<br />
società. Inoltre, ho cercato di tratteggiare una panoramica sulle teorie della comunicazione,<br />
per chiarire l’effettivo potere dei mass media nella costruzione di senso del pubblico.<br />
Quindi, anche per avere un contesto di riferimento, presenterò i risultati di alcuni studi<br />
italiani sul rapporto tra giornalismo e migrazione.<br />
Nell’analisi delle migrazioni per Jordi Sanchez 10 è importante tener conto dei mass media:<br />
la loro azione informativa e comunicativa fornisce un apporto rilevante <strong>alla</strong> costruzione<br />
della <strong>realtà</strong> contemporanea, in cui non si può non considerare il fenomeno migratorio;<br />
inoltre, le rappresentazioni delle migrazioni avrebbero effetti sulla coesione sociale.<br />
Sanchez sottolinea che l’immagine sociale della migrazione dipende in grossa misura dal<br />
tratto informativo che ne danno, giorno per giorno, i mass media: questo non perché i mezzi<br />
di comunicazione sono dei potenti strumenti persuasivi, che sparano il loro messaggio su<br />
un pubblico passivo e inerte, composto da individui idioti, acritici, isolati che assimilano<br />
tutto ciò che viene detto loro 11 , ma perché i mezzi di comunicazione di massa “assumono<br />
un rilievo decisivo quando riferiscono di aspetti della <strong>realtà</strong> nuovi o poco conosciuti, di<br />
problemi e soggetti portatori di differenza e diversità” (Grossi, citato da Corte, 2006 p. 25).<br />
Ogni individuo ricava le informazioni per costruire quelle che Serge Moscovici chiama<br />
10 “Medios de comunicación e inmigración”, 24 marzo 2005, El Paìs.<br />
11 Come descriveva la bullet theory, Teoria dell’ago ipodermico, sviluppata d<strong>alla</strong> Scuola Marxista di<br />
Francoforte negli anni 30 del ‘900, quando in Europa vigevano i regimi fascista e nazista. La teoria fu affinata<br />
tra gli altri da Harold Lasswell (1948) che chiarì in seguito che il ricevente non era mai del tutto neutrale.
8<br />
stranamente@yahoo.it<br />
rappresentazioni sociali 12 sia dall’esperienza personale sia da “fonti esterne, come per<br />
esempio, e in misura molto ampia, i mass media” (Cheli, 1997, pag. 183). Il che carica di<br />
responsabilità gli operatori della comunicazione e dell’informazione, ancor più<br />
considerando quanto rileva Lippman: nella quotidianità non si agisce sempre sulla base di<br />
ciò che è realmente accaduto, ma piuttosto sulla base dell’idea che ci si è fatti di un evento,<br />
a partire d<strong>alla</strong> descrizione fornita d<strong>alla</strong> stampa; quindi, relativamente a quanto non<br />
conosciamo, pianificheremmo le nostre decisioni sulla base delle rappresentazioni forniteci<br />
dai mass media.<br />
L’azione dei media sarebbe particolarmente influente quanto più una notizia si riferisce a<br />
un evento lontano (dal punto di vista dello spazio fisico o interpretativo del pubblico), come<br />
può accadere quando riferiscono notizie relative agli immigrati, che magari convivono nella<br />
stessa città degli spettatori del telegiornale senza che gli uni e gli altri abbiano un contatto<br />
diretto. Secondo Grossi,<br />
“quando entra in gioco un elemento nuovo, diverso e quindi ‘disturbante’, l’opinione<br />
pubblica dipende maggiormente dai media nel tentativo di ancorare ciò che è<br />
sconosciuto a qualcosa di noto e ridurre la complessità che rende difficile interpretare la<br />
<strong>realtà</strong>” (Grossi, 1995, 45).<br />
Ma nel trattare temi non conosciuti per esperienza diretta, i media rischiano di riprodurre e<br />
accentuare le disuguaglianze sociali ed essere strumenti di prevaricazione sulle minoranze.<br />
Pur non essendo gli unici responsabili nella diffusione di sentimenti di discriminazione o<br />
chiusura, hanno un ruolo notevole nell’amplificare il fenomeno e rafforzare stereotipi,<br />
pregiudizi, discriminazioni, già presenti nella società.<br />
Negli ultimi anni l’immigrazione è diventata tema ricorrente nei mezzi di comunicazione:<br />
pur se non è un fenomeno nuovo, ne sono aumentate portata e dimensioni. È naturale che<br />
gran parte della popolazione si informi e cerchi elementi “per farsi un’idea” rispetto a<br />
migranti e migrazioni sui giornali, <strong>alla</strong> radio o in tv, tramite internet (anche se questo è un<br />
12 Le rappresentazioni sociali “sarebbero i sistemi cognitivi, gli insiemi di valori, nozioni e pratiche<br />
sedimentati nella società che servono a categorizzare la <strong>realtà</strong> e a rendere familiare ciò che è ignoto o
mezzo che prevede un pubblico più attivo).<br />
9<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Coloro che hanno deciso, provenendo da altri parti del mondo, di vivere in Italia 13 , sono<br />
diventati il capro espiatorio perfetto con cui spiegare le paure e le insicurezze della società<br />
contemporanea: viviamo nell’era della comunicazione, ma anche in quello che è stato<br />
definito “secolo dell’insicurezza”, visto che, come rileva Bauman (2005), il ceto medio<br />
occidentale è impaurito, si sente minacciato, teme di perdere il benessere conquistato nella<br />
seconda metà del ‘900, l’illusione di poter ottenere una completa sicurezza; “quando ci si<br />
accorge che non è stata ottenuta, si riesce a spiegare tale fallimento solo immaginando che<br />
sia dovuto ad un atto malvagio e premeditato, che implica l’esistenza di un delinquente”<br />
(p.5). Meglio fallire per colpa di qualcun altro che per incapacità propria. Inoltre, il<br />
delinquente di cui parla Bauman non viene identificato con chi è responsabile delle scelte<br />
che hanno portato allo situazione socio economica contemporanea, sommariamente<br />
identificabile nell’elite politica ed economica che ha indirizzato e orientato i cambiamenti<br />
degli ultimi decenni, ma con il povero, l’immigrato, eventualmente il terrorista, quelle che<br />
Bauman chiama “classi superflue”, in eccesso al sistema produttivo contemporaneo e non<br />
assimilabili, in quanto inutili al funzionamento della società. Anche se gli immigrati che<br />
arrivano nei paesi europei sono necessari per tutti quei lavori (badanti, operai nelle<br />
concerie, nell’edilizia o nei cantieri navali, raccoglitori di pomodori) che agli europei non<br />
piacciono più, sono persone anonime, intercambiabili nel mestiere e soprattutto numerose.<br />
Baumann sottolinea ancora che da sempre gli stranieri sono e rimangono diversi nelle città<br />
in cui vivono, anche se a stretto contatto con gli altri;<br />
“la compagnia degli stranieri è sempre “spaventosa” (anche se non sempre temuta), dato<br />
che fa parte della natura dello straniero –in quanto distinguibile sia dall’amico sia dal<br />
nemico – che le sue intenzioni, la sua mentalità, e il modo in cui reagisce alle situazioni<br />
che si trova a condividere con noi, siano ignote, o non talmente note da renderne<br />
prevedibile il comportamento” (2005, p. 55).<br />
inconsueto” (Moscovici, 2006)<br />
13 I dati, aggiornati a gennaio del 2006, della Commissione sui Diritti umani del Ministero degli Affari Esteri<br />
segnalano che il 5% della popolazione in Italia è di origine straniera.
10<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Per lo scrittore nigeriano Okechukwu Anyadiegwu questo sentimento è funzionale anche<br />
per governi e forze di polizia, che, mediante i mass media tenderebbero ad ampliare la<br />
“pericolosità degli immigrati” per dimostrare, contenendola, di essere in grado di<br />
proteggere lo stato d<strong>alla</strong> minaccia straniera:<br />
“La situazione oggi in Italia è analoga a quella che si verificava negli Stati Uniti <strong>alla</strong> fine<br />
dell’ ‘800, quando gli italiani venivano rappresentati nei media come mendicanti,<br />
delinquenti: il New York Times in quel periodo portava avanti una campagna stampa<br />
contro gli italiani, affermando di farlo per difendere il paese dall’invasione degli<br />
immigrati [...] Ora, questo capita anche in Italia. La prima causa di questa situazione è<br />
politica: il governo, in Italia come ovunque, vuole far vedere agli elettori che protegge lo<br />
Stato ed è in grado di farlo. Se gli elettori si lamentano per l’immigrazione, tramite i<br />
giornali si crea e diffonde un’immagine più negativa degli immigrati, per far risaltare il<br />
lavoro del governo e aumentare così la fiducia allo stesso”.<br />
Come rilevano le numerose ricerche condotte in Italia dagli anni ‘90 ad oggi, e come spiega<br />
Marcello Maneri nella relazione d’apertura del seminario “Per un’informazione non<br />
razzista”, tenutosi il 21 luglio 2004 al 10° meeting anti-razzista di Cecina, “l’informazione<br />
sui migranti è <strong>alla</strong>rmistica, emergenziale, stereotipata, superficiale” 14 . Pare che<br />
l’immigrazione sia interessante solo<br />
“se riconducibile a clandestini, ordine pubblico o comunque difficoltà di convivenza: è<br />
vero che in generale le cattive notizie sono considerate dai giornalisti più interessanti<br />
delle buone ma in altri Paesi intorno al tema che c’interessa non esiste un così grande<br />
squilibrio”.<br />
Esisterebbe un intreccio perverso fra il sistema dell’informazione e una parte di quello<br />
politico che si rimp<strong>alla</strong>no stupri, sbarchi, rapine o pirati della strada per farne campagne<br />
d’opinione e per avvalorare politiche di chiusura o pro sicurezza. Infine, c’è l’abitudine di<br />
etnicizzare le notizie, quindi a scrivere il titolo sull’albanese che ruba o dare una<br />
14 Da un articolo di Daniele Barbieri, 23 luglio 2004, “Frettolosi, disinformati, talvolta razzisti: i<br />
giornalisti visti da Cecina”, pubblicato al link http://www.migranews.it/notizia.php?indice=404
11<br />
stranamente@yahoo.it<br />
caratterizzazione religiosa a qualsiasi evento o persona: non si sottolineano le responsabilità<br />
del singolo, ma si estende la colpa all’intero gruppo (i rumeni, i cinesi, gli albanesi). Se si<br />
decide di occuparsi del singolo, è per appellarsi <strong>alla</strong> “carità”, smuovere a pietà il pubblico<br />
sulle storie, raccontate con forti toni patetici, di individui la cui vita si è trasformata in<br />
tragedia.<br />
Pensando all’immigrazione come riportata d<strong>alla</strong> stampa italiana, non si trovano riferimenti<br />
ai problemi e alle risorse in una società multiculturale: si vedono le campagne di<br />
<strong>alla</strong>rmismo in occasione degli sbarchi; si associano Islam (che raggruppa e unifica tutti gli<br />
arabi) e terrorismo; si crea l’equazione “immigrazione uguale a criminalità”. Se è vero che<br />
anche i mass media contribuiscono a fornirci un quadro di riferimento attraverso cui<br />
valutare ciò che non conosciamo, è preoccupante che sia questa l’immagine che ci<br />
trasmettono.<br />
Prima di verificare quest’ipotesi riportando i risultati delle principali ricerche su<br />
immigrazione e mass media, voglio accennare a teorie sui media nella società<br />
contemporanea e presentare alcune teorie sugli effetti della comunicazione di massa.<br />
I mass media: enti di socializzazione e condizione di cittadinanza<br />
Come già accennato, ritengo importante considerare la comunicazione nell’analisi della<br />
società contemporanea per diversi motivi: i mass media sono considerati ormai ente di<br />
socializzazione, intervengono nella “costruzione della <strong>realtà</strong>” da parte degli individui,<br />
possono essere strumento di cittadinanza o di esclusione. Oltre a fornire modelli di valori,<br />
ruoli, atteggiamenti (socializzazione primaria), diffondono anche strutture interpretative da<br />
utilizzare negli scambi sociali (socializzazione secondaria).<br />
Avrebbero più presa su fasce specifiche della popolazione: quelle meno istruite o più avanti<br />
con l’età, negli individui che non abbiano strumenti concettuali e cultura per filtrare le<br />
notizie, e neppure il modo di diversificare le fonti di informazione, di cercare canali<br />
informativi diversi da confrontare. Si tratta di quei lettori, o di quegli ascoltatori, che non si<br />
possono permettere di leggere differenti giornali, di guardare Tv satellitari di<br />
approfondimento e di avere a disposizione testate giornalistiche on-line. Ho deciso di
12<br />
stranamente@yahoo.it<br />
occuparmi di Metropoli appunto perché ritenevo interessante vedere come si articolava un<br />
giornale che affronta il tema delle migrazioni e potenzialmente si rivolge anche a queste<br />
persone.<br />
Denis McQuail (1993, p.50) definisce i mass media “istituzioni” connesse <strong>alla</strong> produzione e<br />
<strong>alla</strong> distribuzione di “conoscenza” sotto forma di informazioni, idee, cultura; rileva come<br />
forniscano canali che mettono in contatto le persone tra loro e con la società in cui vivono;<br />
operano prevalentemente nella sfera pubblica e tutti possono partecipare, volontariamente,<br />
all’istituzione come riceventi, e, in determinati casi, anche come emittenti. Mi preme<br />
sottolineare che una persona sceglie volontariamente di leggere un giornale, guardare la tv:<br />
ognuno ha la possibilità di isolarsi dal medium, o di sottrarsi al messaggio.<br />
Si ritiene che la diffusione dei mass media sia condizione necessaria per la democrazia: i<br />
mezzi di comunicazione, indipendenti, dovrebbero informare i cittadini su argomenti<br />
riguardanti i governi e i poteri economici, oltre che sui mutamenti della società. I cittadini<br />
con queste informazioni potrebbero essere in grado di esercitare delle pressioni sulle èlite<br />
(tramite il voto, o, ancora più ottimisticamente, con i consumi. L’informazione potrebbe<br />
costituire una prima forma di cittadinanza: i mass media potrebbero consentire <strong>alla</strong> persona<br />
straniera di partecipare <strong>alla</strong> vita della società in cui vive, fornendo una prima conoscenza,<br />
anche se parziale e superficiale, di cosa succede nel paese in cui ha deciso di vivere, delle<br />
procedure per mettersi in regola, delle leggi vigenti.<br />
Alcune teorie sugli effetti dei mass media<br />
Nel ‘900 diversi studiosi si sono concentrati sui media e sugli effetti da loro prodotti: per<br />
riprendere una definizione usata da Umberto Eco (1964) in alcune considerazioni sulla<br />
letteratura di massa, potremmo dividere i ricercatori in “apocalittici” (secondo cui i media<br />
sono assai potenti e possono essere distruttivi rispetto <strong>alla</strong> socializzazione ordinaria) e<br />
“integrati” (che ritengono, al contrario, che gli effetti dei media sul pubblico siano positivi e<br />
controllabili, e che i mass media permettano un miglior sviluppo dell’individuo). Nello<br />
studio dei mass media, molto dipende, essenzialmente, da come è inteso il pubblico: i
13<br />
stranamente@yahoo.it<br />
teorici della già citata bullet theory intendevano il pubblico come un “grumo” passivo<br />
formato da individui isolati e acritici, e i mezzi di comunicazione come unidirezionali e con<br />
contenuti statici. Le teorie sugli effetti dei media che seguivano il filone comportamentista<br />
partivano dall’assunto che gli individui possono essere condizionati e che esiste<br />
un’influenza del vertice sulla base e che i media svolgono una funzione di controllo e di<br />
filtro. Altri, come Thompson (1998), hanno considerato il pubblico dei media formato da<br />
persone sparse in un vasto territorio, ma in grado di intrattenere relazioni: ciò ridimensiona<br />
in parte la potenza dei media, i cui stimoli si mescolano con quelli derivanti dai pari, d<strong>alla</strong><br />
famiglia, dal mondo in cui si vive. Thompson specifica che la definizione “comunicazione<br />
di massa” indica semplicemente che i prodotti della comunicazione sono accessibili,<br />
potenzialmente, a una pluralità di destinatari. Della stessa opinione Fileni (1999, p.65), che<br />
intende la comunicazione di massa come<br />
“un processo che implica la produzione, la trasmissione, e la diffusione di testi, notizie,<br />
brani musicali e sequenze di immagini, tali da poter raggiungere una quantità di persone<br />
disperse in un territorio, senza essere in relazione fra loro, in tempi molto brevi”.<br />
Senza sottovalutare la portata del messaggio trasmesso dai media, in particolare da mezzi di<br />
comunicazione come ad esempio la televisione, che può essere affabulatoria, mi sembra<br />
sensato ritenere che i membri del pubblico hanno una capacità di selezionare i messaggi cui<br />
sono sottoposti, scegliere a quali sottomettersi e quali prendere per veri, quali scartare. Gli<br />
individui che compongono il pubblico sono in relazione con altre persone, opinion leader,<br />
gruppo dei pari, con cui commentano le informazioni ricevute dai media: le reazioni di<br />
ognuno ad una notizia possono cambiare, essere rafforzate o annullate dall’interazione del<br />
singolo con la sua cerchia di conoscenze.<br />
All’Università La Sapienza di Roma è stata realizzata una ricerca per valutare come e<br />
attraverso quali mezzi il pubblico dei media si è informato di quanto accadeva l’11<br />
settembre 2001 negli USA. I risultati sono confluiti nel libro Torri crollanti.<br />
Comunicazione, media e nuovi terrorismi dopo l’11 settembre. Pur sottolineando lo<br />
strapotere della televisione per seguire i fatti in diretta, verificare i particolari, ottenere<br />
conferme,
14<br />
stranamente@yahoo.it<br />
“nel ciclo di diffusione di una hard news ad altissimo grado di imprevedibilità e<br />
rilevanza pubblica, un posto di assoluto primo piano è spettato al passaparola tra amici,<br />
colleghi, conoscenti e addirittura sconosciuti. Il passaparola – sia faccia a faccia, che<br />
attraverso la rete telefonica fissa e mobile – si è confermato un canale cruciale per<br />
l’iniziale acquisizione della notizia e ha continuato a esercitare un importante funzione<br />
di rassicurazione rispetto all’<strong>alla</strong>rme” (Morcellini, 2003 15 ).<br />
George Gerbner, al termine di studi sull’impatto della violenza televisiva sulle credenze<br />
degli individui, elaborò la Teoria della Coltivazione secondo cui i contenuti della<br />
televisione “coltivano” le credenze delle persone: in pratica, i mass media non creano la<br />
<strong>realtà</strong> né impongono modelli di pensiero, ma sarebbero “efficaci nel confermare idee,<br />
convinzioni, modelli, già patrimonio dei fruitori” (Corte, 2006, p 13): a maggior ragione, in<br />
un’ epoca come questa di sospetto nei confronti degli stranieri, trattando il tema della<br />
diversità culturale “la stampa dovrebbe tener conto della responsabilità di verificare se le<br />
notizie che propone ai propri lettori non vadano nella direzione di riaffermare i pregiudizi,<br />
stereotipi, idee discriminatorie” (Corte, 2006, p. 13). Specie se è vero quanto afferma<br />
Noelle Neumann, secondo cui “la comunicazione è costituita soprattutto di informazioni,<br />
contro le quali il pubblico non si protegge come invece fa di fronte ai tentativi di aperta<br />
persuasione” (in Corte, 2006, p. 19).<br />
Ad ogni modo, le teorie dell’influenza selettiva dei mass-media sottolineano che fra<br />
l’informazione-stimolo e la risposta del pubblico ci sono una serie di variabili che<br />
modificano la reazione del pubblico stesso, tra cui le differenze individuali, le categorie<br />
sociali e le sottoculture a cui appartengono i fruitori dei messaggi mediali, le relazioni<br />
sociali che intrattengono. Così, anche se in milioni di persone vediamo le stesse immagini e<br />
leggiamo gli stessi articoli, ognuno lo fa a modo suo e rielabora e interpreta le stesse<br />
notizie soggettivamente.<br />
Altro elemento di riflessione nello studio dei mezzi di comunicazione di massa è costituito<br />
d<strong>alla</strong> loro funzione di agenda: è un’idea elaborata nel 1944 da Paul Lazarsfeld, che<br />
15 Dal sito http://www.cestim.it/argomenti/08media/08media_corte-univr.html
sosteneva che i media avevano il potere di “strutturare i problemi”.<br />
15<br />
stranamente@yahoo.it<br />
La teoria dell’agenda setting 16 afferma che i mass media strutturano, assieme all’esperienza<br />
diretta, le conoscenze delle persone in modelli di <strong>realtà</strong> che organizzano le percezioni: i<br />
mezzi di comunicazione di massa hanno ampliato la quantità di conoscenza sulla <strong>realtà</strong>,<br />
portando all’attenzione nuovi problemi e nuovi aspetti; in più, selezionano preventivamente<br />
cosa far conoscere e cosa tacere, a seconda del contesto e del momento. Inoltre, assegnano<br />
diversa rilevanza ai contenuti che vogliono veicolare, il che comporta che il pubblico<br />
attribuisca diversa importanza ai fatti a seconda di come vengono presentati 17 .<br />
A ciò Noelle-Neumman aggiunge un ulteriore aspetto, teorizzato nella teoria della Spirale<br />
del Silenzio, secondo cui i media presenterebbero solo le correnti di opinioni dominanti in<br />
quel determinato momento, offrendo all’individuo modelli cui uniformarsi. Può verificarsi<br />
anche all’interno delle routine produttive dell’informazione, quando i giornalisti operano su<br />
se stessi una sorta di autocensura, tacendo gli argomenti o le opinioni difformi da quelle<br />
dominanti: per dirla con le parole di Draghi, giornalista autore del Manuale per difendersi<br />
dai giornalisti, i giornalisti si flagellano con l’autocensura, “per paura di beccarsi qualche<br />
querela, una smentita o una rettifica, ma soprattutto per mancanza di coraggio di fronte ai<br />
propri editori e direttori, in ogni caso per evitare grane” (Draghi, 2002, p. 5).<br />
Corte rileva che attualmente, parlando di comunicazione, la preoccupazione non è più<br />
quella relativa <strong>alla</strong> sua potenzialità “rivoluzionaria” di produrre mutamento sociale, ma<br />
quella contraria: che i mass media esercitino un controllo sociale sugli individui così da<br />
mantenere lo status quo. Parlando di migrazioni, i giornali diventano cassa di risonanza dei<br />
pregiudizi, degli stereotipi, delle posizioni discriminatorie quando non offensive nei<br />
confronti dell’altro, evitando di affrontare la complessità e le diversità della società.<br />
Riprendendo l’analisi di Grossi (1995), si può dire che nella nostra società i mezzi di<br />
comunicazione di massa rappresentano la <strong>realtà</strong> sociale svolgendo tre funzioni:<br />
16 Formulata nel 1972 da McCombs e Shaw, riferita <strong>alla</strong> comunicazione giornalistica (in Wolf, 1998)<br />
17 Gli aspetti negativi della questione potrebbero essere superati con la diffusione di internet e di<br />
strumentazioni (quali videocamere, macchine fotografiche, cellulari) a costi sostenibili anche dai singoli.
16<br />
stranamente@yahoo.it<br />
• referenziale: danno visibilità ai fatti, catturando su di essi l’attenzione delle persone<br />
• cognitiva: costruiscono e diffondono un’immagine di tali fatti, favorendo una<br />
rappresentazione della <strong>realtà</strong> sociale e pubblica ;<br />
• simbolica: offrono ai loro fruitori un modello interpretativo dotato di senso, che è<br />
razionale e emotivo insieme.<br />
Giornalismo e migrazioni: alcuni studi italiani<br />
Il CENSIS ha effettuato molti monitoraggi sui media, ponendo l’attenzione sulle modalità<br />
di rappresentazione del diverso (anziani, donne, immigrati): ne è emerso un quadro<br />
piuttosto critico degli stili e dei modi della comunicazione mass mediale, che ne evidenzia<br />
l’inadeguatezza a rappresentare la complessità della società e le sue diverse <strong>realtà</strong>. È palese<br />
che le migrazioni sono fenomeni complessi: le persone che decidono di spostarsi e fermarsi<br />
a vivere in un paese diverso da quello di origine non sono tutte uguali, mosse da uguali<br />
desideri e sogni, hanno storie, caratteri, vite distinte, reagiscono diversamente agli stessi<br />
fatti. Come le persone che nascono in un posto e là continuano a vivere, ovviamente. È<br />
talmente evidente che quasi mi sembra superfluo scriverlo. Tuttavia, senza a mia volta<br />
generalizzare, quando la stampa decide di occuparsi di un tema tanto complesso spesso<br />
finisce per omologare tutto in stereotipi e rappresentazioni sommarie e approssimative.<br />
Le trasmissioni televisive e gli articoli dei giornali disegnano socialmente i “diversi” in<br />
maniera superficiale e imprecisa. Nell’introduzione del rapporto Tuning into Diversity -<br />
Immigrati e minoranze etniche nei media 18 (2002), vengono identificate alcune dimensioni<br />
caratterizzanti del “difetto comunicativo”:<br />
• tendenza <strong>alla</strong> drammatizzazione dell’informazione e <strong>alla</strong> spettacolarizzazione del<br />
quotidiano;<br />
• tendenza all’uso di un linguaggio che preferisce la dimensione emotiva a quella<br />
razionale;<br />
18 Il progetto (2001-2002) coordinato dal CENSIS con il COSPE e sviluppato in collaborazione a ricercatori e<br />
operatori di ONG francesi, olandesi e inglesi, era finanziato d<strong>alla</strong> Commissione Europea, per monitorare le<br />
discriminazioni prodotte dai media e interne agli stessi, valutare le buone pratiche, identificare ed indirizzare<br />
linee guida e raccomandazioni. In Italia il CENSIS ha esaminato la rappresentazione delle minoranze etniche
• superficialità nella verifica delle fonti a favore di un messaggio a effetto;<br />
• carenza di funzione critica;<br />
• gioco di specchi con i supposti “umori” delle masse;<br />
• rappresentazione parziale e fuorviante dei diversi soggetti sociali.<br />
17<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Alcune di queste caratteristiche sembrano intrinseche alle esigenze delle routine<br />
giornalistiche, cioè alle dinamiche che marcano la raccolta e l’elaborazione delle notizie<br />
all’interno di una redazione. È evidente che l’attività del giornalista è influenzato anche<br />
dalle condizioni di lavoro in cui si trova, come ad esempio le limitazioni temporali e<br />
spaziali in cui il giornalista deve preparare il pezzo, gli orari di lavoro, il salario, i diritti<br />
sindacali, la precarietà.<br />
Le varie ricerche effettuate dagli anni ’90 ad oggi hanno confermato la presenza dei “difetti<br />
comunicativi” anche per quanto riguarda la rappresentazione degli immigrati, e tra gli stessi<br />
giornalisti, alcuni si sono posti il problema di non produrre una comunicazione tanto<br />
superficiale, stereotipizzata, potenzialmente discriminante: infatti, in internet sono reperibili<br />
molti articoli fortemente critici e autocritici sul giornalismo italiano.<br />
I giornalisti hanno cercato di darsi delle regole, stilando dei codici deontologici cui riferirsi:<br />
la prima Carta risale al ‘93, a cui si aggiunge la Carta di Ercolano nata da un incontro fra<br />
giornalisti e organizzazioni non governative, seguita dalle Raccomandazioni per<br />
un’informazione non razzista, elaborate da un gruppo di lavoro creato dal Ministero degli<br />
Affari Sociali.<br />
Quali sono le caratteristiche intrinseche del giornalismo che renderebbero più complicata<br />
una rappresentazione corretta delle migrazioni e che quindi non dipendono direttamente<br />
d<strong>alla</strong> volontà del giornalista? Preferisco concentrarmi su queste, prima di entrare nella<br />
discussione sulle ragioni coscienti per cui un giornalista dà una rappresentazione tanto<br />
negativa delle migrazioni.<br />
nei programmi televisivi e sulla stampa, mentre il COSPE ha mappato la produzione multiculturale su radio,<br />
tv e media.
18<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Corte descrive alcune motivazioni dell’incapacità dei mass media a trattare l’immigrazione<br />
partendo dai risultati di studi italiani sul giornalismo. Esse dipenderebbero da<br />
“la ricerca del profitto, nelle aziende editoriali, a discapito della qualità<br />
dell’informazione; la mancanza, in molti casi, di una preparazione professionale<br />
adeguata dei giornalisti che leggono e raccontano la società; le routines redazionali dei<br />
mass media che sono fatte per un giornalismo ansioso e ansiogeno, portato più ad<br />
aggiornare le notizie che a comprenderle e ad approfondirle; lo stile gridato e<br />
drammatizzante che va solo a riempire gli spazi lasciati vuoti d<strong>alla</strong> pubblicità” 19 .<br />
Il giornalismo è, essenzialmente, selezione: ovviamente, non si racconta ogni evento che<br />
capita, i giornalisti, le redazioni, le routine produttive scelgono cosa raccontare al loro<br />
pubblico. Molte sono le logiche che portano <strong>alla</strong> selezione delle notizie: dimentichiamo,<br />
talvolta, che quello che appare sulla stampa non sempre è la <strong>realtà</strong> e soprattutto non è tutta<br />
la <strong>realtà</strong>.<br />
Come sottolinea Papuzzi, autore di uno dei più conosciuti manuali di giornalismo (1998),<br />
notizia e fatto non coincidono: la notizia è il rapporto su un evento e per quanto possa<br />
essere fedele, non è mai la riproduzione della <strong>realtà</strong>, bensì una registrazione,<br />
un’interpretazione. La notizia non è altro che la cronaca di un aspetto che si è imposto<br />
sull’attenzione, non è né la <strong>realtà</strong>, né specchio della <strong>realtà</strong>. Spesso si tende a ignorare o a<br />
sottovalutare la soggettività del giornalista e dunque del suo prodotto e si dà per scontato<br />
che ciò che appare sul giornale sia la Verità: questa è un errore, presuntuoso, anche di molti<br />
giornalisti, prima ancora che del pubblico.<br />
Se lo scopo di raccontare un evento è quello di informare, ci sono diverse caratteristiche<br />
che un fatto deve avere per essere “notiziabile” 20 : deve essere registrabile, offrire risposte<br />
alle famose cinque W del giornalismo anglosassone 21 , interessare il pubblico: di fronte ad<br />
19 “Immigrati killer, violentatori e sbarcaioli. È la stampa, bellezza”, 24 maggio 2006,<br />
http://www.cestim.org/34giornalismo-interculturale.htm<br />
20 Il concetto è ripreso da M. Wolf, 1998, p.190<br />
21 Who, What, When, Where, Why, a cui si possono aggiungere how e and so what: chi, cosa, quando, dove,<br />
perché, e quindi?
19<br />
stranamente@yahoo.it<br />
un avvenimento il giornalista si chiede a chi e quanto possa interessare. Si tratta di<br />
delimitare il campo degli interessi del pubblico e fissare una gerarchia delle funzioni del<br />
giornale.<br />
Ci sono particolari caratteristiche che permettono di selezionare gli eventi che saranno<br />
raccontati, fatti il cui news values (valore notizia) è particolarmente alto. Per citarne alcuni:<br />
un fatto nuovo verrà scelto rispetto a uno già conosciuto, un evento più vicino (sia in senso<br />
fisico che figurato) sarà preferibile a uno lontano 22 . Altre variabili, la dimensione del fatto e<br />
la sua drammaticità 23 , la conflittualità che porta, le conseguenze pratiche, il prestigio<br />
sociale, l’interesse dal punto di vista umano.<br />
Già da questo si vede come le migrazioni abbiano un alto “valore notizia”: raccontano<br />
elementi nuovi, inusuali, interessanti per la quotidianità dei lettori; i migranti, gli stranieri, i<br />
diversi, zingari, musulmani, e via dicendo, così come anche tossici, barboni, gay nostrani,<br />
sono esotici, oggetto di curiosità, fuori, loro malgrado, d<strong>alla</strong> vita comune: perfetti per essere<br />
l’oggetto di notizie di cronisti e gatekeeper (cioè le persone che selezionano quali fatti<br />
saranno effettivamente raccontati) che spesso, anche senza alcuna preparazione, danno<br />
letture del mondo senza fondamento alcuno.<br />
Corte conferma:<br />
“il lavoro quotidiano con le notizie di agenzia, e con le cronache che esse contengono,<br />
mi conferma quello che ormai è un dato di fatto: la “notiziabilità” di un evento, il suo<br />
livello di interesse che lo porta ad essere “notizia” per i mass media, viene elevata o<br />
addirittura prodotta quando in quell’evento il protagonista è una persona di origine<br />
straniera. La diversità culturale, di nazionalità, di lingua è insomma diventato un “valore<br />
notizia”, assieme ai valori-notizia tradizionali ormai propri della pratica giornalistica:<br />
prossimità geografica, vicinanza fisica o psicologica, coinvolgimento di un maggior<br />
22 Le notizie riguardanti gli immigrati nella cronaca locale sono più numerose rispetto a quella nazionale:<br />
secondo l’indagine Tuning into Diversity, coprono il 28,2% della cronaca nazionale e il 39,5% di quella<br />
locale.<br />
23 Questo spiega l’interesse emerso dalle ricerche per le storie individuali di singoli immigrati, preferibilmente<br />
con vite particolari e “drammatiche”: l’interesse non è tanto sulla persona quanto sulla possibilità di creare<br />
emotività pietistica sul pubblico. In più, anche se nelle immagini del “soggetto da compatire” (perché minore,<br />
donna in cinta, anziano) traspare una sorta di accettazione, rimane l’etichettatura di diverso ed estraneo
20<br />
stranamente@yahoo.it<br />
numero di persone, capacità di suscitare emozione o di divertire, e via dicendo” 24 .<br />
Nella selezione delle notizie occorre considerare anche gli aspetti rilevanti nelle routine<br />
giornalistiche: ad esempio, “la tirannia dell’immediato” e la pressione dei concorrenti, per<br />
cui occorre lavorare in fretta, senza avere il tempo di contestualizzare le notizie e riportare<br />
più punti di vista. Questo implica utilizzo di stereotipi ed etichette, semplificazioni,<br />
superficialità, mancanza di approfondimento e consultazione di più fonti, utilizzo di<br />
linguaggi semplicistici e approssimativi. Spesso inoltre le redazioni non dispongono di<br />
giornalisti specializzati in immigrazione, né cercano di contattare persone che potrebbero<br />
dare contributi significativi. Questo comporta di avere un’informazione che è estremamente<br />
carente quando tratta l’immigrazione, come afferma Grossi:<br />
“ci troviamo di fronte a un’informazione […] poco propensa non solo all’inchiesta e<br />
all’approfondimento del fenomeno immigratorio ma anche <strong>alla</strong> sua semplice<br />
problematizzazione secondo diversi punti di vista. L’immigrato fa notizia soprattutto se<br />
è coinvolto in episodi di cronaca nera o è oggetto dell’azione” (1995, p.11).<br />
Non credo tuttavia che un giornalista responsabile possa usare questi elementi come scusa<br />
per confezionare un’informazione tanto discriminante, irrispettosa, parziale,<br />
scandalisticamente poco professionale.<br />
Ogni notizia risponde anche ai criteri di rappresentazione o di contrapposizione: nel primo<br />
caso, un fatto è ritenuto interessante perché identifica dei modelli sociali, la notizia è<br />
utilizzata come specchio della società. Le notizie che, al contrario, rispondono al criterio di<br />
contrapposizione, sono riconosciute e organizzate in quanto contestano l’opinione corrente,<br />
contraddicono i luoghi comuni. Secondo la Ricerca sull’immagine dell’immigrazione sulla<br />
stampa italiana 25 , ad esempio, la “notiziabilità” dell’immigrato regolare, con permesso di<br />
24 “Nazionalità fa rima con ‘notiziabilità’”, 16 marzo 2006, http://www.cestim.org<br />
25 La ricerca, condotta fra il 1998 e il ‘99 (e verificata nel 2001 e nel 2002) dal Centro Studi Interculturali<br />
dell’Università di Verona, era focalizzata sull’immagine trasmessa d<strong>alla</strong> stampa degli immigrati provenienti<br />
da paesi non UE. Si concentrava sull’Ansa, che rappresenta la principale fonte di informazione per i<br />
giornalisti italiani (della carta stampata, della tv, della radio, sul web) non semplicemente perché confeziona<br />
le notizie, ma anche perché, di fatto, fissa l’agenda setting dei media italiani.
21<br />
stranamente@yahoo.it<br />
soggiorno, lavoro, casa e famiglia è considerata molto bassa; l’attenzione dell’ANSA è<br />
focalizzata quasi principalmente sui clandestini e gli irregolari. Negli anni, a partire dalle<br />
agenzie per continuare su giornali e tv, si è diffusa un’immagine di immigrato che non<br />
coincide con quella maggiormente diffusa, la persona che si ferma in una città, va a<br />
lavorare in fabbrica o nei campi, vive la propria quotidianità “normalmente”. Questo tipo di<br />
immigrato non coincide con l’immagine sociale diffusa e nel contempo non è,<br />
evidentemente, sufficientemente attraente perché qualcuno se ne interessi secondo il<br />
criterio di contrapposizione. Come rileva Dal Lago,<br />
“i fatti di cronaca nera di cui sono eventualmente responsabili gli stranieri non sono che<br />
prove empiriche di una verità data per scontata nell’informazione di massa. Se uno<br />
straniero compie una violenza su una donna, è perché tutti gli stranieri sono<br />
naturalmente stupratori potenziali (se però due stranieri salvano un cittadino italiano da<br />
un’aggressione, il fatto non potrà essere generalizzato in quanto implicitamente valutato<br />
come eccezione <strong>alla</strong> regola)” (Dal Lago, 2005, p.68).<br />
Questo implica un diverso modo di presentare le notizie, a seconda del fatto che<br />
raccontano. Anyadiegwu mi spiega:<br />
“Se un immigrato si comporta bene, può trovare spazio sul giornale, ma si tratterà di un<br />
trafiletto; se invece fa qualcosa di sbagliato, ecco allora che quest’aspetto avrà un’ampia<br />
copertura, e magari anche la prima pagina […] Però, la pratica di presentare, anche se<br />
brevemente, gli aspetti positivi, va bene per entrare nel cuore e nel cervello delle<br />
persone, così da far diminuire il pregiudizio. Ti faccio un esempio: nel 1998 o 99 Mario<br />
Sella ha pubblicato sul Mattino, forse per la prima volta a Padova, un’immagine positiva<br />
degli immigrati, raccontando proprio la mia storia e titolando ‘Angelo Nigeriano’. Si<br />
tratta però di un caso eccezionale: pochi giorni dopo, infatti, sia la redazione del Mattino<br />
che quella del Gazzettino raccontano che 40 nigeriani avrebbero attaccato dei poliziotti<br />
ferendone alcuni: in <strong>realtà</strong> i nigeriani si erano sì lasciati trasportare d<strong>alla</strong> rabbia, ma si<br />
erano sfogati contro un’auto della polizia, non contro le persone. I giornali riportavano<br />
invece la notizia di alcuni poliziotti all’ospedale. Tuttavia, quando alcuni giorni dopo<br />
una giornalista si recò all’ospedale per intervistare l’ispettore, non trovò nessuno: si
22<br />
stranamente@yahoo.it<br />
scoprì che non era stato ricoverato nessuno […] Nonostante questo, penso che dare<br />
spazio, per quanto poco, alle notizie positive sugli immigrati, sia positivo: quando è stato<br />
pubblicato il trafiletto su me e il mio libro, alcune persone mi hanno contattato e forse<br />
questo ha cambiato un po’ la loro mentalità” (nota personale).<br />
Tornando ai “difetti comunicativi” identificati dal CESTIM, sono confermati dalle<br />
numerose ricerche su comunicazione e immigrazione condotte in Italia dagli anni ’90 26 . Gli<br />
studi sulla rappresentazione mediatica della <strong>realtà</strong> sono rilevanti anche perché stanno<br />
acquisendo lo status di strumenti preziosi di consapevolezza critica collettiva: l’analisi della<br />
rappresentazione dei vari gruppi di provenienza nei mass media è utilizzata anche per<br />
valutare il processo di integrazione tra le culture nella società. I risultati che riporto sono<br />
estrapolati dal Rapporto Tuning into Diversity, condotto dal CENSIS nel 2002 e d<strong>alla</strong><br />
Ricerca Noi e gli altri. L’immagine dell’immigrazione e degli immigrati sui mass-media<br />
italiani, condotta dall’Università di Verona, oltre che dal libro di Ribka Sibhatu, Il cittadino<br />
che non c’è: l’immigrazione nei media italiani.<br />
Per essere più chiara, cerco di descriverli per punti.<br />
• L’immigrazione è un tema poco approfondito dal punto di vista giornalistico, per lo<br />
più trattato in termini di cronaca, descritto, ma non indagato a fondo: secondo il Rapporto<br />
Tuning in to diversity gli articoli che riguardano gli immigrati nella cronaca dei quotidiani<br />
arrivano al 67,7% del totale. Complessivamente, nella stampa “si parla di immigrati per il<br />
60,3% in semplici articoli, il 30,0% sono notizie in breve e solo il 2,2% e l’1,5% sono<br />
rispettivamente interviste e fondi o editoriali” 27 ; ci si limita, quindi, ad una copertura spesso<br />
di routine, senza approfondimenti e riflessioni “degne” di un editoriale. L’informazione si<br />
occupa poco della cultura, dei problemi delle persone, delle richieste, delle istanze, non li<br />
26 Vedi per esempio gli studi di Mansoubi, Noi stranieri in Italia, 1990, di Grossi, Mass-media e società<br />
multietnica, 1995, Lodigiani, La rappresentazione dei rapporti interetnici nella stampa locale, 1996.<br />
27 La ricerca effettuata dall’Università di Verona registra che su 1015 dispacci di agenzia relativi agli<br />
immigrati irregolari il 46% è di notizie brevi di cronaca e il 21% è di servizi. Circa un terzo dei dispacci<br />
pubblicati sugli immigrati irregolari è costituito da comunicati e dichiarazioni ufficiali delle autorità: vale a<br />
dire che tre “notizie” su 10 sono pareri, proposte, critiche, progetti, osservazioni di partiti, istituzioni,<br />
governanti, associazioni
informa e non informa su di loro, riduce tutto <strong>alla</strong> cronaca:<br />
23<br />
stranamente@yahoo.it<br />
“gli immigrati sono presenti soprattutto in notizie di cronaca nera e di cronaca bianca<br />
oppure in articoli focalizzati sulle polemiche politiche (tra i partiti) o sulle risposte<br />
istituzionali (in termini di accoglienza o repressione); mentre solo in pochi casi si parla<br />
direttamente della loro identità culturale, etnica o religiosa o anche delle loro semplici<br />
manifestazioni pubbliche, siano esse sociali o politiche” (Grossi, Belluati, Viglongo,<br />
1995, p.61).<br />
Secondo il Rapporto Tuning Into Diversity, solo due quotidiani escono dal ritenere<br />
l’immigrazione una questione di cronaca, si tratta de Il sole 24 ore e de il Manifesto. Il sole<br />
24 ore, che non ha la sezione Cronaca, parla di immigrazione nella sezione dedicata <strong>alla</strong><br />
politica interna (31,2%), tra le notizie di economia e di attualità (entrambe 25%), tra gli<br />
articoli di società (6,5%) e di cultura ( 12,5% ). Ogni lunedì inoltre pubblica una pagina<br />
focalizzata sui problemi del lavoro, informazioni di servizi e temi vicini agli immigrati. Ne<br />
il Manifesto, l’immigrazione è trattata principalmente nelle sezioni di Cultura e spettacolo<br />
(12,8%) e società. Il Rapporto Tuning into Diversity registra un miglioramento rispetto <strong>alla</strong><br />
ricerca di Grossi (1995): le notizie avrebbero un buon livello di contestualizzazione nel<br />
72,5% dei casi nei giornali e nel 91,1% nei periodici.<br />
• Il Rapporto registra che il canone narrativo delle notizie è prevalentemente descrittivo<br />
o informativo, ma non è rarissimo che appaia come problematico/conoscitivo (23,6% e<br />
30,4%), il che viene interpretato come un tentativo di conoscenza e acquisizione di<br />
elementi di riflessione nuovi e non solo un intento espositivo di elementi già noti.<br />
• Giornali e Tv concentrano “i riflettori soltanto su alcuni casi, magari scelti<br />
occasionalmente e non rappresentativi, mentre trascurano l’approfondimento e la<br />
tematizzazione degli aspetti strutturali del fenomeno” (Marletti in Grossi, 1995, p. 11). Gli<br />
immigrati sono rappresentati prevalentemente associati a episodi di delinquenza. nella<br />
stampa quotidiana più della metà degli articoli che vedono coinvolti immigrati parlano di<br />
criminalità e illegalità, mentre la dimensione più quotidiana dei processi di integrazione
24<br />
stranamente@yahoo.it<br />
non fa notizia: ad esempio, dei bambini figli di immigrati nelle scuole italiane (<strong>realtà</strong><br />
numericamente significativa) si parla solo in caso di problemi o drammi. Nei casi migliori,<br />
il fenomeno immigrazione è semplificato e ridotto a una duplice rappresentazione dei<br />
migranti: i buoni (per lo più da compatire) e i cattivi (pericolosi e da cacciare).<br />
D’immigrazione si parla in termini di disagio estremo, di sbarchi clandestini, di traffico ad<br />
opera della criminalità, di lavoro nero.<br />
• L’agenda dei media in tema di migrazioni è spesso occupata da casi sensazionali ed<br />
emblematici; si presta attenzione all’immigrazione se si fa emergenza, se ci si interessa al<br />
singolo, è per spettacolizzare la notizia o per smuovere nei lettori sentimenti pietistici.<br />
• La stampa rappresenta un mondo di immigrati fatto di adulti (come in <strong>realtà</strong> è) e<br />
maschi, in quanto le donne sono assolutamente sottorappresentate, com’è, tuttavia,<br />
consuetudine nella stampa in generale.<br />
• Nella stampa quotidiana (leggermente diverso nella periodica) l’immigrato è vittima<br />
di violenza (o comunque di fatti negativi o tragici) nel 27,3% dei casi, e attore nel 55,2%.<br />
Solo nel 5,9% è soggetto di azioni positive. Ad ogni modo, i giornali tendono a<br />
rappresentare in prevalenza la criminalità (49,0%). Le denunce relative a discriminazione e<br />
razzismo sono l’8,6%. Integrazione, salute, cultura sembrano interessare meno i cronisti dei<br />
quotidiani.<br />
• Nel 59,4% delle storie raccontate, si parla di rapporti di conflittualità: il che appare<br />
naturale, visto che gli stranieri sono raccontati soprattutto in relazione a contesti quali il<br />
mondo criminale (28,5%), le forze dell’ordine (25,1%) e il mondo della giustizia (13,7%).<br />
Tanto più che nel 23,3% dei casi nei quotidiani si fa ricorso a descrizioni stereotipizzate.<br />
• Quanto al sensazionalismo, secondo il Rapporto Tuning into Diversity, è riscontrabile<br />
nel 21,6% dei casi sui giornali e il 23,3% sui periodici. La percentuale, per quanto<br />
minoritaria, è significativa (un articolo su cinque nei quotidiani, uno su quattro nei
25<br />
stranamente@yahoo.it<br />
periodici), in quanto contrasta con la vocazione della stampa ad informare, più che di<br />
intrattenere.<br />
• Nella rappresentazione mediatica delle migrazioni si registra anche un’assoluta<br />
limitatezza delle fonti. Raccontando i migranti non si parla direttamente con loro e<br />
nemmeno con dei testimoni privilegiati che, per lo meno, siano in relazione personale con<br />
essi. Le uniche fonti cui si fa riferimento sono le autorità (mondo politico o forze<br />
dell’ordine). Come rileva Ribka Sibathu, nella narrazione del fenomeno migratorio,<br />
l’immigrato è il grande assente, se ne parla senza la sua voce: rimangono sempre estranei e<br />
sconosciuti, anche se abitano in Italia da 20 anni; la diffusione di scrittori migranti lascia<br />
però sperare che la situazione sia in evoluzione, come mi confermerà nella nostra<br />
chiacchierata Anyadiegwu. Per ora, occorre però registrare che se le uniche fonti riportate<br />
sono corpi di polizia, avvocati, politici, la visione non può che essere parziale: non possono<br />
non associare la migrazione con aspetti conflittuali con la società ed episodi devianti. Ne<br />
consegue l’etnificazione di determinate pratiche delinquenti: abbiamo quindi gli albanesi<br />
violenti sfruttatori della prostituzione, i marocchini spacciatori, i rumeni esperti clonatori di<br />
bancomat e così via. L’assenza della voce immigrata nei mass media è rilevata anche in<br />
Spagna, come ricorda Sanchez nell’articolo già citato: per renderci conto di cosa significa,<br />
proviamo a immaginare una cronaca di una partita di calcio in cui i giocatori, gli allenatori,<br />
i dirigenti dei club non possono riportare la loro opinione, il loro punto di vista, la loro<br />
percezione. Quando chiedo ad Okechukwu Anyadiegwu se gli è mai capitato di essere<br />
contattato da giornalisti per commentare dei fatti avvenuti in città, sorride, prende tempo,<br />
poi risponde:<br />
“A volte vengo contattato come testimone privilegiato, quando succede qualcosa che<br />
riguardi i nigeriani a Padova. Alcuni giornalisti, però, spingono e indirizzano le<br />
interviste per far emergere quello che vogliono loro. Non lo fanno tutti, non è giusto<br />
generalizzare, ma alcuni lo fanno: alcuni, quindi cercano di dimostrare con le tue parole<br />
quello che vogliono dire, e se non ci riescono, non sono contenti, e può accadere che non<br />
scrivano nulla. Ma non sono tutti così, sarebbe disonesto estendere questo<br />
comportamento a tutti” (nota personale).
26<br />
stranamente@yahoo.it<br />
• Altro punto dolente parlando di mass media e immigrazione è costituito dal<br />
linguaggio. Le parole etichettano e classificano ogni aspetto della <strong>realtà</strong>, e “noi reagiamo a<br />
queste caratteristiche, organizzando le nostre <strong>realtà</strong> attorno all’etichetta dell’oggetto”<br />
(Pratkanis, Aronson, 1996, p. 60). La scelta di usare un termine rispetto a un altro non è<br />
innocente: “una parola, e la sua definizione nel vocabolario, permette metodi di<br />
classificazione degli individui e contiene teorie implicite circa la loro costituzione, o le<br />
ragioni per il fatto che si comportino in un modo piuttosto che in un altro” (Moscovici,<br />
2005, p. 18). Per questo andrebbe pretesa dai giornalisti una maggior precisione dell’uso<br />
delle parole. Parlando di linguaggio, non si può non ricordare l’iniziativa della FNSI, Le<br />
parole lasciano impronte, una campagna di sensibilizzazione “al giusto uso delle parole<br />
nell’informazione”, contro l’uso scorretto del linguaggio e le scelte lessicali tendenziose nei<br />
testi giornalistici. L’iniziativa prevedeva, tra l’altro, un percorso di formazione,<br />
informazione e denuncia che entrasse nei circuiti dell’informazione per problematizzare<br />
<strong>realtà</strong> troppo spesso semplificate, in cui scelte lessicali sciatte si fanno portatrici di<br />
razzismo e discriminazione; stilava un vocabolario di parole da evitare, incrementabile da<br />
chiunque.<br />
Il problema è che i mass media considerano gli immigrati come un tutto unico, le persone<br />
sono trattate come un blocco di individui indistinguibili che premono alle frontiere,<br />
indipendentemente dalle loro diverse storie personali, provenienze, progetti. Secondo la<br />
ricerca Tuning in to Diversity, gli immigrati sono chiamati extracomunitari nel 28,3% dei<br />
casi, immigrati (29,4%), stranieri (15,8%), clandestini (32,2%). Spesso convergono nello<br />
stesso termine condizioni che sono invece assai diverse tra loro. La Sibathu chiede come si<br />
possa pensare che sia corretto definire “immigrato extracomunitario” un ragazzo nato,<br />
cresciuto, vissuto nella periferia di Roma, certo, con genitori che provengono da un altro<br />
Paese, ma che magari lui, peraltro, ha visitato solo in vacanza, o nemmeno. Evidente anche<br />
il ricorso al termine “emergenza” per qualsiasi questione inerente alle migrazioni, e<br />
l’utilizzo di un vocabolario “da guerra”. Se negli ultimi anni si è affievolita, in certi<br />
giornali, l’equazione immigrato=clandestino=delinquente, si sta diffondendo, invece<br />
l’equivalenza arabo=musulmano=integralista=terrorista. Per riprendere Portera:<br />
“l’uso sui giornali di un lessico militaresco e violento nella presentazione
27<br />
stranamente@yahoo.it<br />
dell’immigrazione in Italia, dello sbarco dei cosiddetti “clandestini”, dei quartieri e delle<br />
problematiche legate <strong>alla</strong> presenza di cittadini immigrati (‘invasione’, ‘<strong>alla</strong>rme’,<br />
‘emergenza’) è un esempio di educazione al rifiuto, allo scontro con il ‘diverso’. La<br />
stessa stampa può invece svolgere un ruolo contrario, positivo: può dare una lettura e<br />
un’interpretazione della <strong>realtà</strong> della cronaca non per colorarla di rosa, negando le<br />
tensioni e i problemi che i movimenti migratori comportano, ma spiegando quali sono le<br />
risorse, le opportunità, i vantaggi, gli arricchimenti che una situazione multiculturale<br />
porta con sé e favorisce” (citato in Corte, 2006, pag 192).<br />
• Tra gli aspetti peculiari della stampa italiana c’è quello che Corte chiama “induzione<br />
semantica”: si tratta dell’accostamento, all’interno di un notiziario o sulle pagine di un<br />
quotidiano, di notizie, per esempio, riguardanti gli sbarchi, le regolarizzazioni, fatti di<br />
violenza esercitati da persone di origine straniera. L’accostamento di due notizie può<br />
produrre un “significato terzo”, un’aggiunta di senso (Wolf, 1998). Nei giornali italiani,<br />
sotto l’etichetta “immigrazione” convergono moltissimi fatti, tutti impastati in un blocco<br />
unico, dalle Seconde Generazioni e i loro gusti musicali, agli sbarchi, <strong>alla</strong> cronaca; si<br />
mescola tutto insieme qualsiasi cosa, rendendo più complicato, per il pubblico, distinguere<br />
tra quotidianità e devianza, fino ad indurre l’idea che l’immigrazione crea problemi <strong>alla</strong><br />
società civile, visto che vengono accomunati ai delitti un sacco di altri eventi. Questa<br />
pratica è palese in un servizio trasmesso dal TG 1 il 3 novembre 2007, edizione delle 20:<br />
alcuni ragazzi rumeni sono stati pestati in un parcheggio, da italiani. Nella cronaca, viene<br />
per due volte inquadrato un muretto del parcheggio dove ci sono una lattina e una bottiglia<br />
di birra. La voce fuori campo spiega che i rumeni sono soliti incontrarsi nel parcheggio a<br />
bere. Il massimo si raggiunge quando la giornalista chiede ad una parente di una delle<br />
vittime del pestaggio (tra l’altro ricoverata in gravi condizioni): “Suo zio era ubriaco?”.<br />
• Le notizie vengono “pesate” in maniera diversa: se ad esempio succede un incidente<br />
stradale, in cui concorra <strong>alla</strong> colpa un immigrato, subito diventa un caso e occasione per<br />
“criminalizzare” tutta la categoria, accusandola di poca cura nella guida, abuso di alcol,<br />
ignoranza del codice della strada. Ad agosto 2007 per una mancata precedenza un bosniaco
28<br />
stranamente@yahoo.it<br />
investì un ragazzo nel veneziano: per una settimana i tg regionali riportano la notizia o altre<br />
informazioni ad essa collegabili, anche ignorando o lasciando in secondo piano pari (o più<br />
gravi) incidenti commessi da italiani. Ribka Sibhatu (2004, p. 51) rileva che nel 2000 si<br />
sono verificati 7835 incidenti stradali provocati da pirati successivamente fuggiti senza<br />
soccorrere le vittime, ma solo un caso, riferito ad un uomo albanese, ha riempito le prime<br />
pagine dei giornali e i primi piani dei telegiornali, ha coperto alcune serate di Porta a Porta,<br />
mobilitato discussioni parlamentari e ha fatto infuriare l’intera città.<br />
• E il pubblico? Come reagisce alle notizie pubblicate dai media? Secondo il Rapporto<br />
del CENSIS, prevale il tono “medio”: per quanto riguarda la reazione emotiva suscitata da<br />
una determinata notizia il 41,5% delle notizie dei quotidiani non preoccupa né rassicura, il<br />
53,5% non suscita rifiuto né compassione, il 43,8% non interessa né annoia. Tuttavia, le<br />
notizie che riguardano gli immigrati o l’immigrazione tendenzialmente preoccupano<br />
(7,3%), suscitano compassione (9,5%) e raccolgono l’interesse del lettore (5,5%). Per i<br />
periodici i risultati sono molto simili, ma le notizie o i servizi interessano maggiormente<br />
(8,5%) e preoccupano un po’ meno (6,7%).<br />
Dalle ricerche emerge quindi che i mass media fomentano la paura dello sconosciuto<br />
principalmente con il linguaggio che usano e il metodo con cui selezionano e presentano le<br />
notizie. Dell’immigrazione vengono mostrati essenzialmente gli aspetti problematici, offerti<br />
dai comportamenti di qualcuno. Le persone immigrate non costituiscono quasi mai fonti per<br />
gi articoli; dei problemi dei migranti ci si occupa in maniera limitata e non interessano le<br />
loro culture, le loro richieste, le loro vite. Non ci si preoccupa di inserimento e accoglienza.<br />
La situazione è in lento cambiamento, anche se ancora troppo poco è quello che viene fatto:<br />
Frigo dichiara che l’approccio dei giornali rispetto all’immigrazione è molto cambiato negli<br />
ultimi anni.<br />
“Fino a qualche anno fa c’erano due criteri fondamentali che venivano usati dai giornali<br />
normali per raccontare questo mondo, uno era il criterio dell’emergenza e dell’<strong>alla</strong>rme<br />
sociale, l’altro era il criterio del pittoresco e del folcloristico. È andato avanti a lungo<br />
così, poi i giornali e i gruppi economici che stanno dietro ai giornali si sono resi conto
29<br />
stranamente@yahoo.it<br />
che l’immigrazione era anche una risorsa, un bisogno, un investimento economico, e si<br />
son resi conto che poteva essere anche un potenziale pubblico... Allora i vari giornali,<br />
parlo del Corriere, di La Repubblica pre-Metropoli, dei nostri giornali locali anche,<br />
hanno cominciato a raccontare l’immigrazione […] anche come un fenomeno<br />
economico e culturale, hanno cominciato a raccontare i matrimoni misti piuttosto che le<br />
feste etniche, hanno cominciato a rendersi conto che ci sono i filippini che fanno la loro<br />
festa, i rumeni che si incontrano... poi le rimesse, e poi immigrati imprenditori, […]<br />
hanno cominciato a raccontare ad un pubblico generalista delle cose specifiche del<br />
mondo dell’immigrazione, cominciando a trattarlo effettivamente come […] un<br />
fenomeno sociale che diventa un racconto giornalistico. […] Nei femminili, anche gli<br />
allegati, hai cominciato a vedere il racconto delle donne immigrate, le donne e i figli, le<br />
donne immigrate e il lavoro, i rapporti coi mariti, la violenza all’interno delle coppie e<br />
delle famiglie, come si struttura a seconda che siano famiglie italiane e nelle famiglie<br />
straniere, cosa c’è di uguale e cosa c’è di diverso, le figlie che si emancipano, […] ha<br />
cominciato a prendere corpo un racconto più complesso del mondo <strong>dell'immigrazione</strong><br />
fatto per le persone che non se ne intendono, non se ne occupano […] Però, si possono<br />
fare tante cose migliori, adesso per esempio è tornata l’enfasi sulla sicurezza, la<br />
criminalità, l’emergenza […] sarebbe meglio che i giornali generalisti si occupassero<br />
meglio e con più continuità di questi temi. La mia impressione netta è che gli editori non<br />
lo facciano, perchè sono convinti e credo anche giustamente che il pubblico non li<br />
seguirebbe” (nota personale).<br />
Barbieri non è d’accordo nell’affermare che la tendenza <strong>alla</strong> spettacolarizzazione e al gusto<br />
dell’esotico sia superata:<br />
“Il problema di Metropoli è che presenta gli stessi difetti tipici del giornalismo<br />
contemporaneo: quindi, una spiccata tendenza <strong>alla</strong> spettacolarizzazione, la<br />
personalizzazione delle notizie, che raccontano specialmente le vite dei migrati che ‘ce<br />
l’hanno fatta’, perché hanno avuto successo e fama, sono ricchi, cantanti, attori o<br />
calciatori, o in qualche modo ‘diversi e speciali’ rispetto <strong>alla</strong> media […] l’idea di<br />
integrazione della redazione è legata al successo e <strong>alla</strong> fama, attraverso cui è possibile
30<br />
stranamente@yahoo.it<br />
venire riconosciuti e quindi accettati. A questo, si aggiunge il solito gusto per l’esotico:<br />
c’è più gusto a raccontare una storia se evoca un mondo lontano, diverso, speciale” (nota<br />
personale).
2. Giornalismo e intercultura<br />
31<br />
stranamente@yahoo.it<br />
In questo secondo capitolo voglio approfondire il rapporto tra giornalismo e intercultura.<br />
Per farlo, ho deciso di analizzare Metropoli, cercando di chiarirne obiettivi e destinatari,<br />
mercato, struttura e temi: voglio capire se può essere un ponte tra le persone che convivono<br />
lo stesso territorio, migranti e italiani, e uno strumento valido per le rispettive esigenze<br />
quotidiane. Questo mi ha permesso di riflettere con alcuni giornalisti sul ruolo del<br />
giornalismo nella rappresentazione delle migrazioni, dei suoi punti deboli, di come<br />
potrebbe migliorare.<br />
Secondo i dati della Commissione sui Diritti Umani del Ministero degli Esteri il 5% della<br />
popolazione italiana è costituita da immigrati. Già da qualche anno sono sorti giornali,<br />
radio e programmi televisivi specifici, con lo scopo di rappresentare una <strong>realtà</strong> spesso<br />
trascurata dai media italiani generalisti.<br />
Se, come dicevamo prima, l’informazione è strumento di partecipazione e cittadinanza, di<br />
inclusione sociale, è naturale che si sia manifestata non solo la necessità di garantire una<br />
rappresentazione degli immigrati nei mezzi di comunicazione che eviti ogni forma di<br />
discriminazione, ma anche quella di promuovere l’accesso delle minoranze all’industria dei<br />
media.<br />
I mass media “etnici” sono piuttosto diffusi in Paesi con una lunga storia di immigrazione,<br />
come la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti. In Italia il fenomeno migratorio è più<br />
recente e ancora mancano prodotti diffusi su tutto il territorio italiano. Tuttavia, i media<br />
“multiculturali” si stanno diffondendo, e 16 emittenti televisive (il 17,6% delle totali) e 44<br />
stazioni radio (48,4%) hanno o hanno avuto esperienze multilinguistiche nel loro<br />
palinsesto; sono 31 (34%) le testate editoriali dedicate agli immigrati 28 .<br />
Secondo Corte il giornalismo interculturale è un tipo di giornalismo che “punta a<br />
rappresentare l’immigrazione e la società multiculturale e pluralistica evitando il ricorso a<br />
28 L’immigrazione nei media italiani?Presentata con un occhio solo (e miope), M. Corte,15 giugno 2006,<br />
http://www.cestim.org/34giornalismo-interculturale.htm
32<br />
stranamente@yahoo.it<br />
stereotipi e pregiudizi” 29 ; quindi, un giornalismo che usa un linguaggio rispettoso, che<br />
rivede le routines redazionali e i tradizionali concetti di notiziabilità applicati ai diversi, e<br />
che cerca di costruire un’agenda dei fatti che consideri la complessità e la multiformità<br />
della situazione sociale in cui viviamo.<br />
Irene Romano, laureata all’Università di Bologna con una tesi intitolata Immigrazione e<br />
media. Dall’esclusione <strong>alla</strong> partecipazione 30 , definisce “giornali multiculturali” le testate<br />
che si occupano di tematiche legate all’immigrazione dal punto di vista informativo e<br />
pedagogico: quindi, quelle che informano sull’immigrazione e promuovono l’integrazione<br />
dei migranti e il dialogo all’interno di una società in cui convivono molteplici esperienze<br />
diverse che interagiscono e sono fonti di cambiamento. Si tratta di giornali che si rivolgono<br />
a un pubblico misto, fatto da italiani e stranieri, con l’obiettivo di “fornire informazioni di<br />
servizio, raccontare storie di vita, segnalare eventi culturali, sensibilizzare gli autoctoni <strong>alla</strong><br />
storia e <strong>alla</strong> cultura dei migranti”.<br />
Per me una rivista che voglia essere multiculturale deve essere essenzialmente uno spazio<br />
in cui soggetti diversi possono raccontarsi, riflettere e confrontarsi per quanto riguarda i<br />
problemi quotidiani, ma anche far nascere la riflessione sulla sfida della convivenza nello<br />
stesso territorio, raccontando le ragioni politiche, economiche e sociali che portano a una<br />
determinata scelta. In un mondo sempre più privatizzato, dove sembra necessario delegare<br />
la soluzione dei problemi, sempre trattati come emergenza, ai privati, ai singoli, <strong>alla</strong><br />
responsabilità personale quando non al buon cuore degli individui, occorre spostare<br />
l’obiettivo della riflessione sulle cause e le conseguenze di determinati mutamenti che<br />
hanno portato una globalizzazione tanto rapida e impattante, sulla disparità d’accesso ai<br />
beni e ai servizi, sulle diversità. Le pubblicazioni “multiculturali” dovrebbero inoltre<br />
cercare di evitare il rischio di “cadere nel folkloristico, o di raccontare le storie dei singoli<br />
ridefinendoli” 31 , assegnando loro un’identità culturale, religiosa o etnica, indipendente dalle<br />
29 D<strong>alla</strong> scheda del libro Comunicazione e giornalismo interculturale, pubblicata al link<br />
http://www.cestim.it/sezioni/biblioteca/schede_libri/corte-libro.htm<br />
30 La tesi, del 2006, è pubblicata al sito http://www.mmc2000.net/documentiarch.php?dir=1&chiave=41<br />
31 Davide Zoletto, Aut Aut n. 312, Gli Equivoci del Multiculturalismo.
loro specifiche relazioni con il patrimonio culturale.<br />
33<br />
stranamente@yahoo.it<br />
I giornali dedicati agli stranieri residenti in Italia sono numerosi. La maggior parte è scritta<br />
in più lingue o nella lingua del paese di origine dei lettori. Le testate in italiano hanno<br />
diffusione locale o regionale, tiratura limitata e sono curate per lo più da volontari. A parte<br />
Metropoli di La Repubblica, non ci sono molti altri casi di editori che pubblichino su tutto<br />
il territorio nazionale. Non esiste un elenco completo e dettagliato delle redazioni.<br />
Un caso particolare di stampa multiculturale è rappresentato dai supplementi di alcuni<br />
quotidiani italiani: sono pagine di informazione pensate per i lettori migranti da redazioni<br />
miste e distribuite abbinate a quotidiani locali. Non si tratta di ghettizzare l’informazione<br />
migrante proponendola in supplementi aggiuntivi, ma di riservale lo spazio che<br />
abitualmente non le viene dato; inoltre, essendo pagine interne ai quotidiani (di solito,<br />
appunto, locali), sono destinate anche a lettori italiani, che potrebbero trovare interessante<br />
un’informazione sui migranti che parli anche di cose diverse rispetto a sbarchi e criminalità.<br />
Uno dei primi giornali a provare un’esperienza del genere è, a quanto riporta Irene<br />
Romano, Il Giornale di Vicenza che dal 2003 pubblica una pagina (prima settimanalmente,<br />
ora mensilmente) dedicata agli immigrati, Incroci. La pagina è realizzata da collaboratori<br />
esterni con l’aiuto di immigrati che traducono testi in italiano. È a colori e ha una grafica<br />
distinta dal resto del Giornale, coloratissima: tuttavia, il legame rimane saldissimo, visto<br />
che non si tratta di un allegato, ma proprio di una pagina del quotidiano. Notevole l’uso di<br />
parole straniere, anche in posizioni molto evidenti, nei titoli, ad esempio. Vi si trovano le<br />
storie delle comunità presenti in regione e provincia, si rispondono alle domande degli<br />
immigrati nella loro lingua, si pubblicano informazioni di servizio e di attualità, di cultura,<br />
le feste delle diverse religioni e tradizioni. Due sarebbero gli obbiettivi del supplemento,<br />
secondo il direttore, Giulio Antonacci: far conoscere ai lettori del quotidiano l’esistenza di<br />
<strong>realtà</strong> ormai radicate nel territorio e costruire un dialogo fertile e positivo con queste <strong>realtà</strong>.<br />
A Barbieri l’esperienza del Giornale di Vicenza sembra assai interessante: il concetto di<br />
fondo è lo stesso che verrà riproposto anche da Metropoli, cioè la volontà di riservare<br />
alcune pagine all’interno del quotidiano per l’informazione agli immigrati e sugli<br />
immigrati, uscendo però d<strong>alla</strong> cronaca nera e dalle beghe politiche. Ma l’impostazione è
34<br />
stranamente@yahoo.it<br />
tutt’altra: e per la maggior evidenza e il maggior legame con il quotidiano, e per la grafica,<br />
e per il diverso taglio dato alle notizie, anche in netto contrasto (sia per lessico che per<br />
contenuti) con quanto riportato nelle pagine del Giornale di Vicenza.<br />
Altra esperienza, già citata, quella de Il Sole 24 Ore: per dare un’idea concreta,<br />
nell’edizione di lunedì 10 settembre 2007 si parlava di sanità, accesso ai pronto soccorso,<br />
malattie dei bimbi e reazioni dei genitori, gravidanze e aumento delle nascite grazie ai parti<br />
di donne di origine straniera, senza buonismi né discriminazioni, presentando gli eventuali<br />
problemi e alcune soluzioni possibili.<br />
Metropoli<br />
Metropoli è un progetto del gruppo editoriale La Repubblica/Kataweb, nato il 15 gennaio<br />
2006. Si tratta di un allegato domenicale de La Repubblica, distribuito in edicola su<br />
richiesta con un supplemento di 10 centesimi sul prezzo del quotidiano o gratuitamente in<br />
centri di aggregazione di immigrati. Ha tiratura nazionale e attualmente, viene stampato in<br />
340mila copie, di cui 140mila vendute in edicola, le altre 200mila distribuito gratis.<br />
È a colori. Inizialmente, aveva 24 pagine compresa la pubblicità; dopo qualche mese, nel<br />
marzo 2006, le pagine sono ridotte a 16. Oggi, il numero di pagine oscilla da 16 a 24, in<br />
relazione a lanci pubblicitari, dossier, allegati. Si definisce “l’unico settimanale a diffusione<br />
nazionale dell’Italia multietnica […]. Leader del mercato, è un giornale di servizio e di<br />
informazione” 32 .<br />
Metropoli è curato da Gennaro Schettino, il caporedattore è Salvatore Mannironi, la<br />
redazione è composta da cinque o sei persone e si avvale di collaboratori, preferibilmente<br />
stranieri, tra cui molte donne, sparsi in alcune delle più importanti città d’Italia, che si<br />
appoggiano alle redazioni locali di La Repubblica. Non sono coinvolti, neanche<br />
occasionalmente, i “grandi nomi” né i redattori di La Repubblica o del gruppo Espresso, il<br />
che fa, in qualche modo, ritenere il giornale come un’esperienza isolata che non contagerà<br />
l’intero sistema.<br />
In un’intervista riportata da un articolo di Matteo Marini del marzo 2007 33 , Gennaro<br />
32 Metropoli n 4 2007, 4 febbraio 2007, pagina 8<br />
33 Settimanali, mensili, trimestrali per tre milioni di persone, http://www.unirub.it/giornalismo/duc_articoli
35<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Schettino dichiara: “Il nostro intento è quello di guardare ai giovani, agli immigrati di<br />
seconda generazione affinché non abbiano le stesse difficoltà dei loro padri ad integrarsi”.<br />
Il supplemento, contrariamente agli altri allegati de La Repubblica, non si trova in nessuna<br />
biblioteca di Padova, né in quelle universitarie, né in quelle comunali, né all’emeroteca.<br />
Nel corso della mia ricerca ho analizzato i 65 numeri usciti da gennaio 2006 a luglio 2007.<br />
Mi interessava capirne l’organizzazione, l’obiettivo, il target ideale. Capire quali<br />
motivazioni muovessero la redazione, che paradigmi la guidassero nella preparazione dei<br />
singoli numeri. Volevo anche capire se costituisse strumento valido per i migranti, e se<br />
riuscisse ad essere un medium interculturale, o per lo meno, multiculturale.<br />
Dal Passaporto.it a Metropoli<br />
Metropoli nasce dall’esperienza de Il Passaporto.it, “il giornale dell’Italia Multietnica”,<br />
una testata del Gruppo Espresso-Kataweb “rivolta al mondo dell’immigrazione”; il portale,<br />
come recitava sulla sua pagina Web,<br />
“totalmente in lingua italiana, si presenta come uno strumento di servizio e di<br />
approfondimento sull’Italia multietnica ed è di fatto la prima iniziativa in Italia con<br />
queste caratteristiche. Ospita articoli di cronaca, di attualità, storie e racconti sull’Italia<br />
che cambia e in cui è sempre più forte la presenza di cittadini provenienti da tutto il<br />
mondo”.<br />
All’interno del portale era presente un servizio interattivo per imparare la lingua italiana,<br />
collaborazione con l’Ateneo di Siena. C’era inoltre un filo diretto con esperti su diritti,<br />
leggi, casa, salute, scuola e lavoro, cui i lettori potevano rivolgere le loro domande. Oltre ai<br />
servizi, trovavano spazio storie di integrazione, raccolte e curate dalle redazioni locali del<br />
gruppo Espresso. Il Passaporto si affiancava, nell’informazione via web, agli altri due siti<br />
di riferimento per i migranti, www.stranieriinitalia.it e www.migranews.it .<br />
Con l’uscita di Metropoli, Il Passaporto si è trasformato in www.metropoli.repubblica.it e<br />
già dal primo numero (pubblicato anche su web e consultabile gratuitamente), gli<br />
aggiornamenti del sito diminuiscono.
36<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Secondo Frigo “sono arrivati a questo tipo di prodotto con una serie di operazioni di scelta<br />
e di sottrazione” a partire dal pubblico cui volevano rivolgersi. Hanno scelto di essere<br />
principalmente giornale di servizio, che fornisce informazioni sulle questioni pratiche: “In<br />
questo modo hai costruito in un certo modo un giornale di ghetto, […] una cosa che rimane<br />
fuori sono i grandi temi, politici e culturali […] Hanno fatto una scelta probabilmente<br />
testando il mercato”.<br />
La già citata tesi di Irene Romano offre diversi spunti interessanti, tra cui il testo di alcune<br />
mail 34 scambiate con la redazione che possono chiarire gli obiettivi che hanno spinto i<br />
curatori del portale Il Passaporto a passare <strong>alla</strong> carta stampata: ad esempio il giornalista<br />
Sandro Acciari, uno dei curatori del sito, ha scritto:<br />
“l’obiettivo editoriale è di contribuire a creare, in Italia, un dibattito serio sulla politica<br />
relativa all’immigrazione. L’esigenza non solo di una corretta rappresentazione e auto-<br />
rappresentazione, ma anche di un mezzo che contribuisca a un dibattito pubblico<br />
costruttivo è il punto di partenza del progetto […]. Il giornale racconterà l’Italia del<br />
presente, con uno sguardo rivolto a quanto accade nel mondo; dovrà costituire non solo un<br />
servizio per gli immigrati, ma anche il primo tentativo serio di una ‘politica italiana<br />
sull’immigrazione’ (…) Il giornale dovrà essere ‘utile e puntuale’, ‘aperto e disponibile’,<br />
‘una voce amica’, ‘popolare’ e ‘avere un grande editore’” (pag. 156 e seg.).<br />
Analisi<br />
Per vedere se la redazione è ha mantenuto e realizzato gli obiettivi espressi da Acciari, ho<br />
deciso di analizzare le categorie, il linguaggio e le rubriche di Metropoli anche prestando<br />
attenzione alle lettere dei lettori, la sezione in cui possono confrontarsi con la redazione ed<br />
esprimere apprezzamenti, critiche, consigli 35 . Nella mia analisi mi sono fatta aiutare da due<br />
giornalisti, Daniele Barbieri e Sergio Frigo e da Okechukwu Anyadiegwu, scrittore.<br />
Inizialmente, ho cercato di capire le caratteristiche generali del prodotto e in particolare:<br />
• obiettivi e target<br />
34 Ho provato anch’io a contattare la redazione, ma senza successo.
• lingua<br />
• pubblicità ed investitori<br />
• grafica e foto<br />
• struttura del giornale<br />
• temi<br />
37<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Ho cercato di costruire una griglia di lettura che mi permettesse di valutare il prodotto,<br />
usando come modello quella utilizzata da Corte nella sua analisi di prodotti multiculturali<br />
pubblicata nel libro Comunicazione e Giornalismo Interculturale:<br />
• tipologia di articoli presentati (servizi, dossier, cronaca, inchiesta, notizie brevi,<br />
interviste)<br />
• canone narrativo (descrittivo-informativo, problematico-conoscitivo)<br />
• ricorso al sensazionalismo<br />
• livello di approfondimento<br />
• persone raccontate: condizione ( regolari, irregolari, clandestini)<br />
classe d’età<br />
sesso<br />
come singoli o come modello<br />
fonti delle notizie<br />
Ho quindi analizzato il primo numero a titolo di esempio, e alcuni articoli relativi<br />
all’informazione e <strong>alla</strong> comunicazione.<br />
Obiettivi e target<br />
Nell’editoriale pubblicato sul primo numero e redatto da Ezio Mauro vengono esplicitati gli<br />
obiettivi del settimanale, che sarebbe “prima di tutto la prova del cambiamento intervenuto<br />
nel nostro Paese negli ultimi dieci anni […]. Un atto di fiducia nel dialogo, nella<br />
convivenza civile e nell’arricchimento delle reciproche esperienze, nella possibilità di una<br />
35 Tenendo conto che le lettere pubblicate sono selezionate e filtrate d<strong>alla</strong> redazione
38<br />
stranamente@yahoo.it<br />
crescita comune”: si tratta di un giornale “pensato e dedicato agli stranieri che vivono in<br />
Italia”, che vuole essere uno “strumento di servizio” per gli immigrati fornendo loro tutte le<br />
informazioni utili “a usare al meglio il nostro Paese”. Il pubblico specifico cui si rivolge è<br />
costituito dal “mondo dell’immigrazione”, che non è soltanto<br />
“un nuovo mercato di lettori, ma un deposito — in gran parte sconosciuto <strong>alla</strong> stampa<br />
italiana — di esperienze, culture, tradizioni, interessi, valori ed esigenze che meritano di<br />
essere scoperti giornalisticamente e valorizzati, portandoli dentro la discussione<br />
quotidiana della nostra società”.<br />
Metropoli vuole anche essere uno strumento per “aiutare gli immigrati a contare e a pesare<br />
di più nella nostra società, coniugando i loro diritti e le leggi italiane, <strong>alla</strong>rgando e<br />
arricchendo così il concetto di cittadinanza”.<br />
Il progetto, quindi, unirebbe tre esigenze: offrire un possibile percorso di integrazione,<br />
fornire informazioni utili agli immigrati per risolvere le molteplici formalità quotidiane,<br />
necessarie ma complesse specie se non si conoscono bene le leggi e le procedure in vigore,<br />
ma anche aprire un nuovo mercato per gli investitori pubblicitari, visto che dal punto di<br />
vista dei consumi gli immigrati non sono considerati diversamente dagli acquirenti<br />
autoctoni: comprano, quindi vanno sedotti con la pubblicità.<br />
C’è un aspetto che spesso sfugge ai lettori dei giornali e che costituisce una condizione<br />
necessaria all’uscita di qualsiasi giornale, incluso Metropoli: valore economico del<br />
pubblico agli occhi degli investitori pubblicitari.<br />
Un articolo pubblicato sul sito www.etnica.biz e ripreso dal Marketing Journal 36 racconta<br />
che da qualche anno anche in Italia “mass media, imprese e banche hanno iniziato a<br />
prestare una maggiore attenzione alle comunità migranti e alle loro potenzialità di<br />
marketing”. Diverse ricerche 37 rilevano che i cittadini immigrati leggono i quotidiani, sia la<br />
free press che quelli a pagamento. Questo da un lato segnala un’attenzione costante dei<br />
36 Enzo Mario Napolitano, “Un’occasione di riflessione sul Welcome Marketing”. L’articolo parte dall’analisi<br />
di un anno di Metropoli per riflettere sui prodotti culturali che hanno spazi pubblicitari per rivolgersi ai<br />
consumatori di origine straniera. http://www.marketingjournal.it/archivio/welcome_marketing.htm<br />
37 Come Assirm, 2003, Immigrati e Mercato, oltre il cono d’ombra, o Etnica2, Il risparmio invisibile, 2005
39<br />
stranamente@yahoo.it<br />
migranti verso la società in cui vivono, che, stando alle parole di Toni Muzi Falconi, ex<br />
presidente di Ferpi, li rende cittadini “ideali, maturi e consapevoli”, dall’altro identifica nei<br />
migranti un nuovo target cui la pubblicità può rivolgersi. Metropoli sarebbe quindi anche<br />
un medium privilegiato per tutte le aziende intenzionate a proporre prodotti e servizi agli<br />
immigrati.<br />
Sembra che Metropoli abbia identificato il suo target in particolare nelle seconde<br />
generazioni e nelle persone residenti in Italia da molti anni, dunque agli immigrati integrati<br />
e agli operatori dell’immigrazione.<br />
Frigo mi spiega l’importanza di identificare il target di pubblico cui ci si rivolge:<br />
“un giornale può essere varie cose, ma in primis è un prodotto che deve essere costruito,<br />
proposto, promosso e venduto, cioè, il fine ultimo di chi fa un giornale è la massima<br />
diffusione o comunque nel caso dell’editoria commerciale è la resa: una cosa del genere<br />
in qualche modo deve rendere e la resa può essere le vendite, la pubblicità, oppure anche<br />
un ritorno d’immagine, magari un investimento per prepararsi un pubblico di domani”.<br />
Secondo Frigo, Metropoli è un giornale quasi generalista, che vuole rivolgersi a un<br />
pubblico vasto di immigrati e di persone che gravitano attorno al mondo dell’immigrazione;<br />
ma un pubblico così va costruito, visto che tendenzialmente<br />
“l’immigrato come pubblico preferisce il giornale monoetnico […] per cui chi fa un<br />
prodotto che sia un giornale “multietnico” deve porsi il problema di costruirsi il<br />
pubblico, perchè non gli è dato come nel caso di chi fa un giornale monoetnico e il suo<br />
pubblico ce l’ha: saranno 500, ma 500 sono tutti quelli che si riconoscono in una stessa<br />
lingua, nelle stesse abitudini, se gli parli del loro presidente in Nigeria per dire sanno<br />
tutti chi è di chi si parla […] Un pubblico più generale, dove ci metti dentro albanesi,<br />
cinesi, brasiliani nigeriani, si riconosce soprattutto nella questione delle esigenze<br />
concrete, terra terra, che sono le regolarizzazioni, sapere dove trovare casa, sapere se<br />
avrà diritto o meno all’assistenza sanitaria, sono queste cose qui. Per cui è in qualche<br />
modo inevitabile che un giornale così, che ha cadenza settimanale e si rivolge a<br />
tutt’Italia, vada a finire a chiudersi nel ghetto di giornale di servizio”.
40<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Produrre un giornale di servizio può essere un modo per costruirsi un pubblico per il futuro,<br />
e anche un modo per dare informazioni che interessano tutti: “una notizia che riguarda i<br />
ricongiungimenti, ad esempio, riguarda tutti quanti, tutte quante le etnie. In questo modo si<br />
costruisce un giornale di ghetto, in qualche modo, […] rimangono fuori un po’ i grandi<br />
temi, politici e culturali” (note personali).<br />
La lingua<br />
Il giornale è pubblicato in lingua italiana, scelta che la Redazione motivata con quattro<br />
ragioni 38 : in Italia convivono persone provenienti da paesi diversi, senza che ci sia una<br />
comunità straniera dominante e l’italiano potrebbe essere la lingua che unifica le varie<br />
minoranze, funzionando come collante fra le diverse comunità. Inoltre, è la lingua da<br />
imparare per vivere in Italia, lo strumento da usare “per non chiudere le varie comunità nel<br />
proprio ghetto”. Tra i lettori del giornale ci sono anche le seconde generazioni e persone<br />
che vivono in Italia da lungo tempo, con cui non si pone il problema della lingua e che anzi<br />
possono avere più dimestichezza con l’italiano che con la lingua madre. Infine, il giornale<br />
si rivolge pure agli italiani, lettori di La Repubblica, dando loro la possibilità di avere<br />
un’altra informazione sull’immigrazione, non focalizzata sulla cronaca nera e non<br />
stereotipata sui fenomeni di devianza, ma che presenta la vita “normale” della maggior<br />
parte degli immigrati.<br />
Alcuni osservatori si sono stupiti della scelta di usare l’italiano: l’International Herald<br />
Tribune del 29 gennaio 2006 ha pubblicato un articolo che racconta la nascita del nuovo<br />
giornale, firmato da Elisabetta Povoledo. Il pezzo è intitolato “Message to immigrants has a<br />
language gap”. L’articolo presentava il giornale, riprendeva l’editoriale del direttore di La<br />
Repubblica Ezio Mauro e i commenti di Schettino, oltre alle dichiarazioni di Gianluca<br />
Luciano, amministratore delegato del concorrente Stranieri in Italia che affermava di non<br />
essere preoccupato d<strong>alla</strong> concorrenza del nuovo prodotto, ritenendolo pensato più per<br />
italiani sensibili <strong>alla</strong> questione che non per i migranti che costituiscono il suo pubblico, e lo<br />
vedeva come un “qualcosa” di folkoristico.<br />
38 Le seguenti osservazioni sono estrapolate dall’intervista a Schettino di Francesco Bernabini, CittàMeticcia-<br />
Il giornale delle immigrazioni a Ravenna, 24 maggio 2006.
41<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Nel terzo numero (29 gennaio 2006) la redazione di Metropoli spiega la scelta 39 di usare<br />
l’italiano:<br />
“Abbiamo deciso di usare solo la lingua italiana per 4 motivi:<br />
1) le etnie alle quali ci rivolgiamo sono (in questo momento) ottantadue. Impossibile<br />
contentarle tutte, dato che non vogliamo discriminarne alcuna, soprattutto se minoritaria.<br />
2) Non ci rivolgiamo solo agli immigrati, ma anche ai lettori di “Repubblica”.<br />
3)La lingua italiana è l’unica (non dimentichi che siamo un giornale italiano) che possa<br />
unificare le varie etnie.<br />
4) Usarla è un modo utile di comunicare perché gli immigrati devono parlare italiano<br />
nella vita quotidiana. Noi non vogliamo che gli stranieri dimentichino le loro radici, anzi<br />
riteniamo sia di grande vantaggio, per loro e per noi, mantenerle.<br />
Non esportiamo l’italiano come colonizzatori, anzi in una certa misura sarà l’italiano ad<br />
essere colonizzato. E’ avvenuto in passato, quando gli invasori celti, goti, vandali, unni,<br />
longobardi, normanni, fenici, greci, bizantini,turchi, arabi, africani, spagnoli, francesi,<br />
austriaci, inglesi, americani ci hanno lasciato, non solo molti figli — gli italiani di oggi<br />
— ma anche molte parole. E avviene adesso, con l’invasione da tutto il mondo. Forse un<br />
titolo in più per tentare l’esperimento di fare un inserto in lingua italiana ci viene proprio<br />
dal fatto che negli ultimi tremila anni nessun paese come il nostro è stato invaso tante<br />
volte, da tanti popoli diversi e da tutti i continenti” 40<br />
Colpisce l’uso di diverse parole, magari fatto qui con uno spirito diverso da come usato<br />
abitualmente dagli altri giornali, e tuttavia poco funzionale al cambiamento di prospettiva<br />
tanto auspicato dalle riflessioni degli stessi giornalisti sulla stampa multiculturale: da<br />
“invasione” a “etnia” solo per citarne alcune.<br />
Pubblicità e investitori<br />
Nei numeri da me analizzati trovano spazio fisso nelle pagine dedicate alle pubblicità i<br />
39 Peccato lo faccia rispondendo ad una lettera - che proponeva, oltre alle pagine in italiano, sezioni in alcune<br />
delle lingue più parlate dagli immigrati- e non in un editoriale<br />
40 Metropoli n 3, 29 gennaio 2006, p. 10
42<br />
stranamente@yahoo.it<br />
grandi operatori del cosiddetto migrant business, gli operatori della telefonia (Telecom,<br />
Vodafone e Wind) e del trasferimento fondi (MoneyGram e Western Union). Costanti<br />
anche le inserzioni a tutta pagina del Ministero per le Pari Opportunità – Ufficio Nazionale<br />
Antidiscriminazioni Razziali a cui si aggiungono, talvolta, quelle della Presidenza del<br />
Consiglio dei Ministri, del Ministero della Salute e della Regione Emilia Romagna.<br />
Numerosi gli spazi pubblicitari acquistate da banche (UniCredit Banca, Bpu 41 , Banca<br />
Popolare di Milano, Banca Popolare di Romagna e Banca Sella, le uniche a proporre una<br />
pubblicità multilingue, e Banca Intesa, Banca Popolare di Vicenza, Monte dei Paschi di<br />
Siena e Poste Italiane) che propongono sia prodotti tradizionali che prodotti specifici per<br />
immigrati e per il trasferimento di denaro all’estero. Inoltre, compaiono pubblicità di<br />
assicurazioni (EuropAssistance 42 ) e enti che erogano prestiti (Elastyl 43 , Cofidis, Vostok).<br />
Tra le pubblicità neutre, cioè non focalizzate sul cliente di origine straniera, sono presenti la<br />
COOP e alcune case automobilistiche (FIAT, Peugeut, Tata, Citroen, Aprilia, Chevrolet), la<br />
Sony coi computer portatili, il Riso Scotti, l’Enciclopedia Biografica Universale abbinata ai<br />
giornali del gruppo Espresso e alcuni dizionari. Nei primi numeri trovava spazio anche<br />
un’inserzione dell’IKEA basata sullo slogan “diritto <strong>alla</strong> casa, diritto all’IKEA”.<br />
Alcune volte (9 nella mia analisi) Metropoli ha pubblicato sottoforma di dossier di<br />
approfondimento informazioni pubblicitarie (non sempre specificando che lo sono) poi<br />
riprese nei numeri successivi come pubblicità tradizionale, ovvero, uno spazio o una pagina<br />
chiaramente identificabile come reclame. Si tratta di dossier di due o quattro pagine<br />
dedicate, ad esempio, all’Università di Siena e a quella di Perugia, <strong>alla</strong> rivista Polizia<br />
Moderna, <strong>alla</strong> promozione di conferenze, convegni, festival di cinema.<br />
La grafica e le foto<br />
La grafica, a colori, richiama quella di La Repubblica, così come il formato. È molto curata,<br />
si nota che nella redazione lavorano dei professionisti.<br />
La prima pagina è caratterizzata da una grande foto a colori, in posizione centrale, spesso<br />
41 BPU lanciava il nuovo conto Initaly, “nessuno è straniero”, ma dedicato “ai cittadini stranieri”<br />
42 Europ Assistance propone la polizza “per tutti gli stranieri che richiedono il visto”<br />
43 Con lo slogan “facciamo prestiti, non domande”
43<br />
stranamente@yahoo.it<br />
accompagnata da foto più piccole. Quanto ai testi, costituiscono un sommario di quanto<br />
viene approfondito all’interno del giornale: sono ripresi i titoli degli articoli e dei dossier,<br />
talvolta vengono ripresi gli incipit di alcuni degli articoli.<br />
Le foto pubblicate si allontano dallo standard pubblicato dai giornali quando si occupano<br />
della rappresentazione degli immigrati: ritraggono persone in fila agli sportelli delle poste o<br />
di altri uffici (praticamente una foto di code, grande o piccola, è pubblicata in tutti i<br />
numeri), nei call centre, famiglie o singoli che fanno la spesa, coi figli, persone al lavoro,<br />
bambini a scuola, coppie a passeggio, momenti di festa. Viene insomma ritratta la normalità<br />
e la quotidianità, senza calcare la mano in aspetti patetici o drammatici.<br />
Solo in sei casi, nell’anno e mezzo di pubblicazione da me esaminato, la foto della prima<br />
pagina punta sull’emotività: due volte occupandosi di morti sul lavoro (n.26 del 2006 e 22<br />
del 2007), due volte sollevando il problema della casa (n 8 del 2007 e n 31 del 2006), una<br />
volta occupandosi del lavoro “nero” dei minori non accompagnati (n. 37 del 2006). Quella<br />
che fa leva maggiormente sulla commozione del lettore è la foto pubblicata sul numero 6<br />
del 2007: ritrae una bimba con la faccia molto triste, a letto in una baracca, una coperta sul<br />
muro a ridurre gli spifferi, una vecchia bambola in un angolo con la testa girata; il titolo e<br />
l’occhiello recitano “Una speranza per Costina, malata in una baracca. La bambina venuta<br />
d<strong>alla</strong> Romania ha 7 anni e urgente bisogno di una terapia costosa”. La sua storia è<br />
raccontata a pagina 3, nel servizio dedicato <strong>alla</strong> possibilità per i rumeni, entrati da poco più<br />
di un mese nell’Unione Europea, di continuare ad usufruire del tesserino sanitario STP con<br />
cui potevano beneficiare di cure gratuite quando erano irregolari. L’articolo sull’assistenza<br />
sanitaria è molto minuzioso e è accompagnato da una colonna che sintetizza le diverse<br />
modalità burocratiche per accedere alle cure mediche delle diverse categorie: regolari,<br />
categorie protette, chi ancora non è in Italia, irregolari (sia con lavoro ma senza permesso di<br />
soggiorno che viceversa). Nel taglio basso della seconda pagina sull’argomento, si trova<br />
l’articolo sulla bimba malata, che ha toni fortemente pietistici e sensazionalistici: la storia è<br />
certamente drammatica e le foto utilizzate caricano i toni, ritraendo la miseria della baracca<br />
in cui vive la famiglia e lei facce dei genitori commossi. L’obbiettivo del servizio è trovare<br />
una maniera per curare la piccola.
Struttura di Metropoli: rubriche e assenza di editoriali<br />
44<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Metropoli presenta tre sezioni fisse: attualità, società, vivere in Italia (diviso a sua volta in<br />
casa, lavoro, leggi, scuola, salute, soldi), a cui si aggiunge talvolta la pagina dedicata allo<br />
sport. Ci sono poi altre tre pagine stabili: quella delle “lettere” (cui vengono dedicate 1 o 2<br />
pagine in ogni numero), il “trovalavoro” e la rubrica denominata “matrimoni”, in cui sono<br />
raccontate, volta per volta, le storie di una o due coppie miste.<br />
Già dall’identificazione delle rubriche emerge la volontà sia di fornire un’informazione<br />
utile e di servizio rivolta principalmente ai lettori di origine straniera, sia di raccontare<br />
storie di vita ed esperienze che costituiscano una fonte di confronto e conoscenza reciproca,<br />
aprendo, potenzialmente, uno spazio per il dialogo.<br />
La sezione “attualità” presenta spesso dei dossier: si tratta di una o due pagine in cui<br />
vengono approfonditi i temi e è pubblicata una sorta di “istruzioni per l’uso”, informazioni<br />
sintetiche e pratiche che i lettori possono utilizzare per muoversi tra burocrazia, sistema<br />
sanitario nazionale, scuola, regolarizzazioni, permessi di soggiorno, ricongiungimenti,<br />
contributi, pensioni, contratti di lavoro e affitto: si tratta di spiegazioni, fornite spesso<br />
secondo la formula “domanda e risposta” da esperti dei vari temi.<br />
Inoltre, spesso ci sono, a margini degli articoli proposti, box in cui persone di diversa<br />
provenienza, per lo più giovani, raccontano la loro esperienza relativamente all’argomento<br />
del servizio o spiegano alcune curiosità del Paese d’origine (giochi, feste, cibi). I racconti e<br />
le esperienze sono correlati spesso d<strong>alla</strong> foto della persona che parla, che così è<br />
identificabile e traspare l’idea che parla “per sé” e non per tutti quelli, ad esempio, di<br />
uguale nazionalità.<br />
Gli articoli sono lunghi, solo in alcuni numeri, nella sezione “attualità”, trovano spazio<br />
notizie brevi. Specie nei primi numeri, compaiono le “lezioni di italiano”, che spiegano<br />
modi di dire, proverbi, curiosità sulla lingua italiana e anche su alcune variazioni dialettali,<br />
e una pagina di annunci economici, per lo più di lavoro. Questa pagina di annunci<br />
economici dopo un po’ sparisce: Frigo se ne rammarica, anche se è abbastanza semplice<br />
capire perché sia sparita: sarebbe poco utile, “su un prodotto del genere che va su scala<br />
nazionale. È inutile che io legga che a Napoli cercano uno che raccolga della frutta, se vivo<br />
a Padova”.
45<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Quello che mi colpisce finora è la quasi totale assenza di editoriali, strumento importante<br />
per definire la linea del giornale e la posizione del direttore e della redazione, che permette<br />
di approfondire e commentare alcune tematiche, stimolare la riflessione e attivare il<br />
confronto con i lettori e gli altri giornalisti.<br />
Dal numero 23 del 2007 si registra una novità che fa ben sperare in un cambio di rotta:<br />
nella prima pagina troviamo un pezzo che illustra l’opinione di Filippo Penati, Presidente<br />
della Provincia di Milano, su rom e principio di legalità 44 . Tuttavia qui non interessa il<br />
contenuto del pezzo, ciò che importa è il fatto che ci sia un desiderio di approfondire una<br />
questione manifestando un’opinione, in reazione <strong>alla</strong> quale i lettori possono ribattere,<br />
riflettere, confrontarsi, rendendo cioè il giornale vivo. La volontà a ospitare il confronto è<br />
presente nella redazione, visto che, delle 11-12 pagine effettive del giornale (non occupate,<br />
quindi, d<strong>alla</strong> pubblicità) una o due sono dedicate alle lettere dei lettori. Nel numero<br />
successivo, troviamo l’intervento di Jean Leonard Touadi, Assessore <strong>alla</strong> sicurezza e alle<br />
politiche giovanili del Comune di Roma, che riflette sull’integrazione 45 . I numeri 25 e 26<br />
ospitano le riflessioni di due ambasciatori, rispettivamente di Ronald P. Spogli 46 ,<br />
ambasciatore degli Stati Uniti, e di Tajeddine Baddou 47 , ambasciatore del Marocco. I<br />
pensieri di Spogli sono raccolti in un pezzo scritto da lui, mentre quelli di Baddou<br />
emergono dall’intervista realizzata da Valeria Pini. I due pezzi riportano anche una breve<br />
biografia degli ambasciatori, e la sorpresa è che sono tradotti in arabo (quello di Spogli pure<br />
in inglese). Si tratta di una novità secondo me rilevante, che potrebbe contribuire a far fare<br />
a Metropoli il salto da bollettino informativo sulle migrazioni a giornale in grado di<br />
stimolare la riflessione e il dialogo. Tuttavia, nei numeri da me sfogliati nel mese di<br />
settembre (2007) la nuova pratica non è trasformata in abitudine e si torna <strong>alla</strong> forma<br />
tradizionale del giornale.<br />
44 “La legalità deve valere per tutti”, 1 luglio 2007. Lo scritto critica le condotte dei rom, auspicando una<br />
maggiore integrazione tra i milanesi e gli stranieri regolari<br />
45 “L’integrazione frutto di legalità e solidarietà”, Metropoli, 8 luglio 2007<br />
46 “Integrazione una sfida difficile”, Metropoli, 15 luglio 2007<br />
47 “Il nuovo Marocco nasce anche qui”, Metropoli, 22 luglio 2007
Temi<br />
46<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Metropoli è essenzialmente un giornale di servizio: come ho più volte ricordato, la<br />
redazione cerca di fornire informazioni utili per la vita quotidiana, d<strong>alla</strong> burocrazia legata<br />
alle pratiche per i permessi di soggiorno a quella per i ricongiungimenti, da spiegazioni sui<br />
contratti di lavoro a quelle sui contratti d’affitto, dalle formalità per aprire un’attività a<br />
quelle per usufruire del sistema sanitario nazionale, alle tasse, ai contributi.<br />
Ci sono poi testimonianze di persone diventate famose che ce l’hanno fatta, imprenditori<br />
immigrati, attrici, ballerini, articoli sulle coppie miste e i loro matrimoni, sulle feste, le gare<br />
sportive, il mondo della scuola.<br />
Mancano i “grandi temi”, gli approfondimenti legati <strong>alla</strong> politica internazionale e nazionale,<br />
all’economia, alle cause non personali che spingono alcune persone a lasciare la loro terra:<br />
magari, compaiono in qualche vignetta, come ad esempio quella pubblicata nel numero 22<br />
del 2006 (ripresa da un giornale di Bruxelles, ironizza sul prezzo della benzina).<br />
Questo, nonostante la Redazione venga sollecitata anche dai lettori in questo senso, ad<br />
esempio con una lettera pubblicata nel numero 5 del 2007:<br />
“Anche la politica estera è importante per noi. Avete scritto su “Metropoli” che preferite<br />
pubblicare quelle lettere che possono interessare gli immigrati per le situazioni che<br />
rendono note o quelle che denunciano il cattivo funzionamento di qualche servizio<br />
pubblico. Le lettere su temi generali o di politica estera non vi sono gradite. Però vorrei<br />
farvi presente che se noi siamo qui in Italia lontani dal nostro paese non lo si deve al<br />
destino, ma <strong>alla</strong> politica delle potenze coloniali, prima, e ora delle grandi multinazionali,<br />
che preferiscono sfruttare le nostre risorse, invece che aiutarci per essere autonomi.<br />
Questi sono temi di natura generale e non mi sembrano meno importanti, anzi. Se gli<br />
immigrati fossero più informati sulla politica mondiale, forse anche la loro vita sarebbe<br />
più consapevole. Jagan Nathan, Caserta” 48<br />
La risposta della Redazione è abbastanza secca:<br />
“Abbiamo scritto che, dato il carattere di questo supplemento, sono preferibili le<br />
lettere del tipo da lei indicato. Questo non vuol dire che non pubblichiamo tutte<br />
48 Metropoli n 5 del 2007, 11 febbraio 2007, pag 15
47<br />
stranamente@yahoo.it<br />
quelle che interessano. Per quanto riguarda i problemi di natura generale e di politica<br />
estera, li troverà sempre, puntuali e dettagliati, nelle pagine di Repubblica”.<br />
Si tratta, dopo un anno di pubblicazione del giornale, di un passo indietro rispetto a quanto<br />
affermato in fase di progettazione:<br />
“l’obiettivo editoriale è di contribuire a creare, in Italia, un dibattito serio sulla politica<br />
relativa all’immigrazione […] Il giornale racconterà l’Italia del presente, con uno<br />
sguardo rivolto a quanto accade nel mondo; dovrà costituire non solo un servizio per gli<br />
immigrati, ma anche il primo tentativo serio di una politica italiana sull’immigrazione<br />
[…] Le ‘pagine dal mondo’ non possono essere pagine di politica estera come quelle che<br />
troviamo normalmente nei quotidiani e nemmeno esaurirsi in ‘notizie da casa’. […]<br />
Dovrebbero essere impostata su un testo che, partendo da un fatto, dia il senso preciso di<br />
quanto di importante, in quella settimana, è avvenuto nel mondo” (Romano, pag. 156).<br />
Rileviamo che tale posizione, aperta a ciò che succede fuori dall’Italia, è cambiata nel corso<br />
della pubblicazione.<br />
Questo richiamo ad <strong>alla</strong>rgare lo sguardo è ricorrente tra le lettere, tra le quali ce ne sono<br />
molte anche di apprezzamento.<br />
Anche i miei tre interlocutori hanno rilevato che manca una riflessione più ampia nel<br />
giornale, e lo esprimono più o meno criticamente.<br />
“In un giornale ‘interculturale’ vorrei più politica estera, fatti dal mondo. Parlo per me,<br />
ovviamente: c’è chi vuole avere notizie di sport, gli interessano, usa le informazioni per<br />
scomettere, gli sono utili. A me interessa la politica estera, per capire ciò che succede, i<br />
fatti, le cause, le conseguenze: anche un fatto lontano può avere effetti qui, da noi,<br />
spesso sono implicati motivi economici”. (Anyadiegwu, note personali).<br />
Anche Barbieri ritiene necessario presentare i fatti successi nel resto del mondo:<br />
“Metropoli non differisce molto dalle pagine dei quotidiani locali, in cui viene data<br />
attenzione alle storie dei singoli, alle specificità della città, al particolare, come in un<br />
certo senso è anche giusto che sia. Solo che non ci si può accontentare di questo, né in
48<br />
stranamente@yahoo.it<br />
un giornale cittadino, né tanto meno in un giornale che ha la pretesa di raccontare, con<br />
diffusione nazionale, le migrazioni, flussi di persone che si spostano nel mondo e<br />
scelgono un altro posto in cui vivere: nel mondo contemporaneo, ‘globalizzato’, è<br />
evidente che un qualsiasi fatto, successo in un angolo di mondo lontano, può avere<br />
ricadute rilevanti su tutto il pianeta. Uno sguardo specificatamente locale, sul singolo,<br />
sull’eccezione, non permette di cogliere la complessità dei cambiamenti del mondo<br />
contemporaneo, non permette di capire cosa succede” (note personali).<br />
Frigo mi spiega le cause di tali mancanze:<br />
“i grandi temi, politici e culturali, rimangono un po’ fuori. Da una parte credo che loro<br />
abbiano fatto una scelta probabilmente testando il mercato […] e abbiano deciso di<br />
fornire indicazioni precise e puntuali di servizio […]. Lo strumento probabilmente non è<br />
abbastanza forte, abbastanza robusto, […] forse anche richiederebbe un investimento<br />
troppo consistente per la resa che hanno, tutto questo probabilmente gli impedisce di<br />
fare il salto di qualità, di aggiungerci 8 pagine in cui interveniee sul dibatitto in corso nel<br />
governo sulla sicurezza ad esempio, forse per non cannibalizzare il giornale principale<br />
che è La Repubblica. […] Per cui il dibattito tra Amato e Ferrero, ad esempio, o fra i<br />
sindaci e il governo sulla sicurezza, qui dentro non c’è, come non c’è il discorso sulla<br />
carta blu europea. Queste cose non vanno a finire qui dentro per due motivi: uno che non<br />
hanno le risorse, lo spazio, gli investimenti sufficienti per fare un discorso del genere<br />
[…] e poi che hanno fatto una scelta precisa di scegliere un target ed andare a raccontare<br />
e interloquire con questo target sulle informazioni di ‘servizio’[…]. Sono arrivati a<br />
questo tipo di prodotto con una serie di operazioni di scelta e di sottrazione”.<br />
Analisi del contenuto<br />
Passo ora all’analisi dei contenuti, applicando la griglia già presentata a pagina 35-36:<br />
• tipologia degli articoli presentati<br />
Gli articoli presentati sono principalmente servizi monotematici di approfondimento (ad<br />
esempio, informazioni su ricongiungimenti, rinnovi dei permessi, affitti; oppure di<br />
argomenti generali come: le mamme che vivono in Italia lontano dai loro figli, i bambini
49<br />
stranamente@yahoo.it<br />
che non conoscono i nonni, le feste dei vari paesi). Sono abbastanza lunghi. Poi, notizie<br />
brevi che presentano informazioni sportive o la vita di qualche immigrato famoso, racconti<br />
di matrimoni misti, informazioni di servizio sintetiche sugli aspetti burocratici da<br />
affrontare.<br />
• canone narrativo: il canone narrativo è principalmente descrittivo-informativo, gli<br />
articoli sono piuttosto chiari e lineari.<br />
• ricorso al sensazionalismo: come ho già rilevato, la redazione cerca di evitare il<br />
sensazionalismo. In un caso, tuttavia, palesemente non rispetta quest’impegno, nel racconto<br />
della storia della bambina rumena malata che vive in una baracca nella periferia di Roma di<br />
cui a pagina 42. Il giornale, tuttavia, rileva una tendenza <strong>alla</strong> spettacolarizzazione e <strong>alla</strong><br />
personalizzazione delle notizie, che raccontano specialmente le vite dei migrati che “ce<br />
l’hanno fatta”, perché hanno avuto successo o denaro, cantanti, attori o calciatori, o in<br />
qualche modo “diversi e speciali” rispetto <strong>alla</strong> media. Barbieri afferma: “a Metropoli<br />
amano raccontare la storia della principessa cameriera, e viceversa. La loro idea di<br />
integrazione è legata al successo e <strong>alla</strong> fama, attraverso cui è possibile venire riconosciuti e<br />
quindi accettati”. Secondo Frigo, però, queste narrazioni sono positive e su Metropoli<br />
dovrebbero esserne pubblicate di più:<br />
“mancano i racconti che possono fare da connettori tra lettore impegnato e lettore<br />
normale […] il protagonista immigrato che viene fuori […] dovrebbero esserci più<br />
racconti di persone che ce l’hanno fatta […] forse potrebbero puntare un po’ più su<br />
questo, sulle persone note che possono essere testimoni di qualcosa di positivo”<br />
• livello di approfondimento: c’è il tentativo di approfondire i vari temi che sono<br />
trattati nei dossier; a questi si aggiungono le testimonianze, i racconti sulle feste o sullo<br />
sport, che sono narrazioni più abbozzate.<br />
• persone raccontate: raccontano principalmente i cittadini regolari, di lunga<br />
immigrazione o di seconda generazione; si tratta di giovani o adulti, sia uomini che donne,<br />
spesso sono preferiti cittadini affermati in campo lavorativo, sociale, artistico o culturale;<br />
• fonti delle notizie: vengono contattate sia fonti istituzionali che testimoni privilegiati<br />
(ad esempio, in un approfondimento sulle seconde generazioni vengono intervistati dei
agazzi di diverse città italiane, oltre che psicologi, politici, insegnanti).<br />
Il primo numero<br />
50<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Sulla prima pagina del primo numero, oltre all’editoriale di Ezio Mauro, campeggiano<br />
notizie negative: le difficoltà per ottenere la cittadinanza e i problemi per le coppie miste;<br />
tra i dossier i problemi legati agli affitti e alle gravidanze; sono in evidenza sia per la<br />
posizione nella pagina, che per la struttura dei titoli o l’accompagnamento con foto. Ai lati,<br />
notizie in breve, positive o neutre (stranieri che si autotassano a Milano per restaurare una<br />
chiesa, preferenze lavorative degli albanesi, riti antisuperstizione, calcio e pugilato).<br />
All’interno, precedenza alle questioni problematiche: le pagine 2 e 3 trattano, nella sezione<br />
“attualità-dossier”, la difficoltà per ottenere la cittadinanza, pagina 5 (la 4 è pubblicità)<br />
racconta l’inchiesta sui problemi delle coppie miste, poi, tra pubblicità e notizie più o meno<br />
brevi, si arriva a pagina 15 dove troviamo le discriminazioni e le difficoltà che uno<br />
straniero può incontrare volendo affittare una casa e dopo qualche pagina, le informazioni<br />
relative alle difficoltà legate alle gravidanze.<br />
Nelle altre pagine informazioni più o meno lunghe di attualità (l’apertura di corsi di italiano<br />
con asili inclusi per mamme straniere, notizie in breve, informazioni su un torneo di calcio<br />
a Roma, una panoramica sulle superstizioni in diversi paesi - senza citare quelle italiane -),<br />
due pagine di lettere, la pagina che ospita i racconti delle storie d’amore coronate nel<br />
matrimonio da alcune coppie miste.<br />
Il taglio degli articoli è di tipo informativo, gli articoli sono curati e precisi, con un<br />
linguaggio chiaro e che non ricorre al sensazionalismo.<br />
I temi quotidiani (penso a quello sulle difficoltà che possono esserci all’interno di una<br />
coppia) sono trattati sottolineandone gli aspetti normali. Affrontando il tema degli aborti di<br />
donne immigrate, sono riportati dati statistici, si cerca di approfondire le cause della scelta<br />
di interrompere la gravidanza, e si riflette con un medico e una sociologa sulle possibilità<br />
per diminuire il ricorso a questa pratica.<br />
I cittadini raccontati sono per lo più giovani o adulti, regolari, con un lavoro, che può essere<br />
o meno regolare. Si parla sia di uomini che di donne, che di famiglie.<br />
Nell’approfondimento sugli albanesi e dove preferiscono lavorare, sono riportate le storie
51<br />
stranamente@yahoo.it<br />
particolari di alcune persone, e gli interventi di due albanesi famosi: un ballerino della tv e<br />
un regista; è inoltre pubblicato un box dal titolo “Le cifre non confermano la cattiva<br />
reputazione” che riporta dati statistici relativi ai detenuti e alle denunce riguardanti persone<br />
albanesi, confrontandoli con dati relativi ad italiani e persone provenienti da altri Paesi.<br />
Si ha, in questo caso, un racconto a più voci, con il ricorso a fonti diverse, più o meno<br />
istituzionali: statistiche, persone con le loro storie di vita<br />
Le pagine dedicate alle superstizioni nel mondo dimostrano, anche se con il rischio di<br />
cadere nel folklore, un certo interesse per alcuni aspetti della vita dei cittadini immigrati,<br />
raccontandone fiabe dei paesi di provenienza, costumi, cibi.<br />
Sulla comunicazione e l’informazione<br />
Metropoli non si occupa molto, nell’anno e mezzo da me esaminato, della questione “mass<br />
media e immigrazione”.<br />
Dedica due pagine nella sezione “Società” numero 4 del 2007 <strong>alla</strong> “Stampa Etnica” 49<br />
presentando una panoramica dei “giornali per migranti”. Il titolone è “Stampa etnica in<br />
crescita: la nostalgia fa vendere”, puntando l’attenzione principalmente sugli aspetti<br />
commerciali del fenomeno. In box laterali, vengono presentati in poche righe i principali<br />
giornali diffusi in Italia, mentre due articoli cercano di approfondire la questione: Alen<br />
Custovic rileva come gli immigrati, sempre più protagonisti delle notizie che appaiono sui<br />
giornali stanno anche diventando operatori dell’informazione, “creando giornali nella<br />
lingua del proprio paese di origine”. Cerca quindi di indagare le motivazioni che hanno<br />
spinto <strong>alla</strong> creazione di questi prodotti, oltre a quelle squisitamente commerciali: si va d<strong>alla</strong><br />
rabbia che ha spinto Roland Sejko a fondare il quindicinale Bota Shqiptare, per far parlare<br />
gli albanesi nel clima discriminatorio del 1999, <strong>alla</strong> volontà di Hu Lambo, direttrice del<br />
mensile Cina in Italia, di fornire al lettore un aiuto nelle difficoltà di ogni giorno: “La<br />
nostra rivista nasce da un grande bisogno della comunità cinese, quello di orientarsi nel<br />
nuovo Paese che la ospita. Il nostro lettore-tipo vuole sapere come regolarizzarsi, come<br />
trovare casa, come imparare l’italiano, come cercare lavoro, come inserire i propri figli a<br />
scuola”. A ciò si aggiunge l’esperienza della rivista italo-romena Noua Comunitate, che
52<br />
stranamente@yahoo.it<br />
cerca, come dichiara la direttrice Aurelia Mirita, di porsi da un lato di porsi come<br />
“strumento di informazione e di conoscenza. Dall’altro come mezzo che possa favorire<br />
l’integrazione. Sono laboratori per creare un’informazione davvero multiculturale”.<br />
L’altro articolo invece racconta della diffusione dei giornali in Pechinese.<br />
Si tratta, ad ogni modo, di una riflessione sulla stampa “monoetnica”, come la definisce<br />
Frigo, che non approfondisce molti punti di forza e di debolezza di un’informazione che<br />
dovrebbe tener conto delle varie componenti che vivono nello stesso territorio.<br />
Il che viene invece fatto in alcune lettere e negli approfondimenti di Giovanni Maria Bellu,<br />
“Gli altri noi”, che ospita talvolta aneddoti su fatti di cronaca stravolti o ignorati<br />
ingiustamente d<strong>alla</strong> stampa 50 .<br />
Nel numero 3 del 2007, tra le lettere troviamo quella di Ibrahem Amir Younes, responsabile<br />
del Centro Mecca Interculturale di Torino, che scrive per<br />
“intervenire circa le parole spese da giornalisti e non solo, in questi ultimi giorni, sulla<br />
vicenda dell’imam Khounaty della moschea della Pace di corso Giulio Cesare a Torino.<br />
[…] Il mio appello è volto a non diffondere dubbi infondati sulla sicurezza e sulla<br />
situazione delle moschee a Torino, senza che ce ne sia un reale e confermato motivo,<br />
onde evitare scenari di incomprensioni reciproche ed accuse immotivate a tutte le<br />
moschee. Affidiamo quindi <strong>alla</strong> Giustizia il compito di valutare il caso”.<br />
Nella stessa pagina trova spazio anche l’intervento “Immigrati, serve un codice per i<br />
media” 51 , inviato da Laura Boldrini, portavoce dell’UNHCR, che si rivolge ai lettori di<br />
Metropoli per riflettere con loro sui sentimenti di xenofobia amplificati dal sistema<br />
mediatico, emersi dopo i fatti successi ad Erba, in cui inizialmente si era accusato di un<br />
delitto abbastanza feroce la comunità tunisina. Scrive la Boldrini:<br />
“l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha molto riflettuto su<br />
ciò che è seguito <strong>alla</strong> strage di Erba: la caccia al tunisino, l’ostilità contro l’arabo, la<br />
pretesa che il male fosse estraneo <strong>alla</strong> comunità e quindi dovesse provenire dal di fuori.<br />
49 Metropoli del 4 febbraio 2007, pagine 8 e 9<br />
50 Ad esempio, le battute relative all’ignorare un fatto piuttosto singolare successo ad una ragazza moldava a<br />
Roma, che scippata, è andata a denunciare il furto ed è stata espulsa per non avere con se i documenti. “Storia<br />
di Maria, derubata e subito arrestata”, sul numero 29 del 2006.
53<br />
stranamente@yahoo.it<br />
[…] Tanti italiani successivamente si sono scusati con Azouz Marzouk. Lo stesso atto di<br />
umiltà non è stato però compiuto dai mezzi di informazione. Riteniamo che la stampa<br />
dovrebbe invece trarre un insegnamento d<strong>alla</strong> vicenda e “capitalizzare” su quanto<br />
avvenuto, per avviare un nuovo corso per l’informazione italiana. Abbiamo così deciso<br />
di aprire un confronto con i media”<br />
In questo confronto, invita i lettori ad attivarsi, visto che spesso sono in prima persona<br />
vittime delle “deformazioni della stampa”. Punta l’attenzione sulle distorsioni derivanti dal<br />
linguaggio, che porta a criminalizzare l’immigrazione, specie quando ci si rivolge ad<br />
“immigrati arabi”, e a mescolare tutti insieme “rifugiati, richiedenti asilo, immigrati,<br />
extracomunitari, beneficiari di protezione umanitaria, clandestini e profughi, senza alcuna<br />
attenzione <strong>alla</strong> connotazione giuridica di ciascuna parola”.<br />
La Boldrini spiega quindi la decisione di elaborare, in collaborazione con docenti<br />
universitari, esperti dell’informazione e associazioni professionali e sindacali dei<br />
giornalisti, un documento “che possa diventare un codice di autoregolamentazione, sul<br />
modello della Carta di Treviso per i minori”.<br />
Né l’argomento dell’intervento, né i riferimenti <strong>alla</strong> cattiva informazione saranno ripresi<br />
d<strong>alla</strong> Redazione, nei numeri da me esaminati; troviamo nel numero successivo, il quarto del<br />
2007, la riflessione di Bellu nella rubrica “Gli Altri Noi”, con un intervento dal titolo<br />
“Immigrazioni, le colpe dei mass media”. Bellu sottolinea subito la complessità<br />
dell’impresa, ad esempio, nel “distinguere le manifestazioni di xenofobia a mezzo stampa<br />
dagli ordinari e consueti cliché giornalistici”. Tale problema, secondo Bellu, è una costante<br />
del giornalismo italiano, che, prima che l’Italia diventasse paese d’immigrazione, tendeva a<br />
discriminare gli italiani provenienti da alcune regioni. Non troppo fiducioso nella riuscita<br />
della Carta in preparazione, Bellu ironicamente propone un giochetto per capire<br />
“quando la specificazione dello status (immigrato, clandestino, etc.) o della nazionalità,<br />
sono parti costitutive della notizia e quando, invece, contengono i germi del pregiudizio.<br />
È semplice. Immaginiamo che un qualunque cittadino italiano, per esempio il senatore<br />
Roberto Calderoli, voglia adottare questo metodo. Non dovrà fare altro che aprire la<br />
51 In appendice l’intero testo dell’intervento, assieme a quello di Bellu del numero 4 del 2007.
54<br />
stranamente@yahoo.it<br />
carta d’identità e controllare il proprio luogo di nascita. “Ecco: sono nato a Bergamo”.<br />
Conclusa questa verifica,dovrà raccogliere un po’ di titoli che contengono specificazioni<br />
di nazionalità e di status e sostituire a esse l’aggettivo “bergamasco” per vedere cosa<br />
succede. Per facilitargli il compito, abbiamo provveduto a effettuare l’operazione su un<br />
campione di notizie tratte dalle agenzie del mese di gennaio. Ecco alcuni dei<br />
risultati:“Capodanno: bergamasca partorisce e getta il neonato d<strong>alla</strong> finestra”. “Minaccia<br />
connazionale e suo marito: arrestato bergamasco”. “Bergamasco arrestato per<br />
contrabbando di sigarette”. “Bergamasco provoca incidente poi dà fuoco a due auto”.<br />
“Carceri: bergamasco si cuce la bocca e si conficca ferri in testa”. […] Sicuramente<br />
avremmo riso di meno se, concluso il gioco delle sostituzioni, avessimo sperimentato<br />
nella vita sociale che un po’ di persone ci guardavano con diffidenza. Attribuendo a noi<br />
— per il semplice fatto di essere bergamaschi o cagliaritanio aostani o viterbesi — una<br />
certa indole violenta, una certa capacità a delinquere. Perché è questo quanto è accaduto<br />
in Italia negli ultimi quindici anni, come risulta puntualmente da tutte le inchieste e da<br />
tutti i sondaggi. L’immagine dell’immigrato è lontanissima dall’immigrato reale. […]<br />
Risultati che, a essere franchi, suscitano interrogativi imbarazzanti non solo sulla<br />
deontologia professionale ma sul giornalismo italiano tout court”.<br />
Qualche mese dopo, un fatto di cronaca fa applicare il giochetto nella <strong>realtà</strong>: questo fa<br />
indignare per qualche ora tutta l’Italia, senza che, tuttavia, serva a stimolare la riflessione<br />
specialmente nell’ondata informativa xenofoba contro i Rom e i Sinti di queste settimane.<br />
Un giudice tedesco concede delle “attenuanti etniche e culturali” ad un italiano colpevole di<br />
stupro. Nella sentenza si legge: “Si deve tenere conto delle particolari impronte culturali ed<br />
etniche dell’imputato. È un sardo. Il quadro del ruolo dell’uomo e della donna, esistente<br />
nella sua patria, non può certo valere come scusante ma deve essere tenuto in<br />
considerazione come attenuante” 52 .<br />
52 http://www.corriere.it/cronache/07_ottobre_11/violenza_sardo_fidanzata.shtml , 11 ottobre 2007
Commenti<br />
55<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Ho già inserito nelle pagine precedenti alcuni commenti e riflessioni raccolti dai giornalisti<br />
che sono riuscita a contattare. Vorrei riportarne qui altri stralci perché ho ritenuto<br />
importante confrontare le mie impressioni con quelle di persone più esperte, che magari<br />
abbiano lavorato nel settore. Mi sarebbe piaciuto riportare molte impressioni di immigrati,<br />
ma come ho già accennato, in questi mesi non sono riuscita a raccogliere testimonianze<br />
significative: per ora quindi, considero questo lavoro come un inizio, e mi riservo di<br />
integrare i commenti in seguito.<br />
Okechukwu Anyadiegwu afferma di non conoscere bene Metropoli, tuttavia ritiene positivo<br />
che pubblichino informazioni utili ai bisogni quotidiani, sui flussi, sui permessi di<br />
soggiorno, gli affitti, i contratti di lavoro: è un modo per essere equilibrati e mostrare di<br />
lavorare bene. Le scelte della redazione si spiegano indagando chi finanzia il giornale,<br />
quindi gli investitori e la politica, che indirizzano i temi da affrontare e quelli da tacere: “i<br />
giornali offrono modelli di pensiero, e sono l’unico mezzo per conoscere una <strong>realtà</strong><br />
distante”.<br />
Anche Daniele Barbieri tira in ballo la politica: ci arriviamo un po’ <strong>alla</strong> volta, durante la<br />
nostra chiacchierata.<br />
A Barbieri Metropoli non piace: la considera “un’occasione persa, un’ottima idea sprecata”.<br />
Ne rileva degli aspetti postivi, certo: è facilmente reperibile ed economico; riporta rubriche<br />
di servizio chiare e sintetiche; presenta pagine in cui sono spiegati i significati di modi di<br />
dire o e proverbi e, soprattutto, pubblica i pezzi di Giovanni Maria Bellu, “Gli altri noi”.<br />
Ma gli aspetti negativi sono troppi, secondo Barbieri: ho già accennato <strong>alla</strong> repulsione per<br />
la spettacolarizzazione e la rappresentazione di immigrati eccezionali, che hanno successo e<br />
fama: per Barbieri quest’atteggiamento sottintende, da parte della Redazione, un’idea<br />
d’integrazione legata al successo e <strong>alla</strong> fama attraverso cui è possibile venire riconosciuti e<br />
quindi accettati. A ciò si aggiunge il solito gusto per l’esotico.<br />
Trova clamoroso che, trattando di migrazioni, ci si limiti ad avere “uno sguardo<br />
specificatamente locale, sul singolo, sull’eccezione”: ciò non permette di cogliere la
56<br />
stranamente@yahoo.it<br />
complessità dei cambiamenti del mondo contemporaneo, di capire cosa succede fuori<br />
dall’Italia, in un’epoca in cui un qualsiasi fatto, successo in un angolo di mondo lontano,<br />
può avere ricadute rilevanti su tutto il pianeta. Per Barbieri,<br />
“non è possibile comprendere il globale cercando soluzioni in piccolo, particolari,<br />
circoscritte, o raccontando storie singolari, e proprio per questo, difficilmente rivivibili<br />
da altri soggetti. Un giornale, per quanto si limiti a informare e non a formare, dovrebbe<br />
cercare di fornire gli elementi necessari ai lettori per capire ciò che succede, per farsi<br />
un’idea sul mondo che cambia. Un giornale che abbia come oggetto ‘l’Italia multietnica’<br />
non può non avere uno sguardo più ampio sul mondo, che tenga conto di quanto succede<br />
anche fuori dalle ‘nostre città’”.<br />
Inoltre, Metropoli non riuscirebbe a rivolgere un occhio al futuro, a portare avanti una<br />
riflessione per il periodo di tempo necessario a svilupparla e comprenderla: c’è una specie<br />
di “schizofrenia della memoria”, che rimuove qualsiasi fatto sia successo una settimana fa,<br />
per poi magari riprenderlo, montandolo in una serie di notizie a fianco ad altri fatti che ne<br />
stravolgono il significato.<br />
A Barbieri non piace affatto, poi, l’atteggiamento della redazione che risulta manifesto<br />
nella rubrica delle “<strong>Lettere</strong>”: secondo il giornalista, nella rubrica, sono pubblicati<br />
“commenti anche offensivi, poco rilevanti, insulsi, a volte deliranti come nel caso di un<br />
lettore che attribuiva agli immigrati la responsabilità per la diffusione della zanzara tigre!”.<br />
Le risposte della Redazione sono buoniste, non prendono posizione. Da parte mia, penso<br />
che pubblicare anche le lettere “insulse” potrebbe avere il pregio di stimolare la<br />
discussione, di far riflettere, come avviene con certi botta e risposta tra lettori, che si<br />
rispondono di settimana in settimana. Concordo con Barbieri sul fatto che risposte date<br />
d<strong>alla</strong> Redazione (che, per me, dovrebbe essere in grado di esprimere la sua linea in altre<br />
sezioni del giornale, lasciando almeno la pagina delle lettere ai lettori) sono spesso<br />
superficiali e poco incisive, e finiscono per avere l’effetto di semplificare e appiattire ogni<br />
questione.<br />
E arriviamo <strong>alla</strong> politica. Barbieri mi spiega:<br />
“il problema di fondo del giornalismo contemporaneo, e Metropoli non fa eccezione, è
57<br />
stranamente@yahoo.it<br />
che ricalca acriticamente le scelte politiche: mondo politico e mass media non<br />
dimostrano la volontà di discutere gli eventuali problemi e ricercare soluzioni che<br />
aprano la società <strong>alla</strong> convivenza positiva e fruttuosa. Ma il giornalismo non è chiamato<br />
ad essere lo specchio della società, il suo compito è informare, fornire ai lettori gli<br />
elementi per conoscere una questione e farsene un’idea. Nel suo statuto, La Repubblica<br />
dichiara di voler informare, comunicare e fornire gli strumenti ai lettori per essere<br />
appieno cittadini, formarli in qualche modo, ma nella pratica sembra aver rinunciato a<br />
questa tendenza: e così, dilaga senza motivo la psicosi dell’insicurezza, leggendo i<br />
giornali o guardando la tv sembra di vivere costantemente in pericolo, dietro ogni angolo<br />
un immigrato pronto a far del male, poi si esce di casa e... toh, nessun problema! O<br />
meglio, i problemi ci sono, ma l’insicurezza non nasce dalle persone, ci sono altre cause<br />
che hanno reso la vita contemporanea incerta. È come se si fosse scelto di diffondere<br />
l’idea di insicurezza a opera del diverso, piuttosto che aprire una riflessione sulle reali<br />
cause che hanno costruito la <strong>realtà</strong> contemporanea, le sue ingiustizie, la sua precarietà, la<br />
sua paurosa incertezza. Così, l’immigrazione viene descritta come ‘emergenza’, non<br />
considerando che è un fenomeno di livello planetario non troppo recente, in cui chi<br />
migra spesso lo fa per per risolvere i problemi, non per crearli. E i continui accenni<br />
all’insicurezza che richiamano paure e fattori emotivi irrazionali, sembrano non tener<br />
conto che tutti quanti vogliono vivere sicuri, compresi gli immigrati, che ci tengono<br />
come tutti gli altri a vivere quanto più possibile sicuri e protetti”.<br />
Torniamo quindi a quanto rilevato dall’ osservatore speciale dell’ONU a ottobre 2006,<br />
secondo cui l’Italia, paese non razzista, lo sta diventando a causa delle scellerate scelte<br />
politiche della classe dirigente, delle campagne dei partiti di destra e dei mass media: pare<br />
sempre più credibile attribuire a giornalisti e politici la responsabilità dell’innescare una<br />
serie di micce in una società come quella italiana, in cui finora non si erano registrati troppi<br />
fenomeni di intolleranza e discriminazione. Nei giornalisti e nei politici sarebbero<br />
identificabili gli “imprenditori politici del razzismo”, come li chiama Barbieri.<br />
Barbieri aggiunge che non tutti i giornali sono pubblicati per essere formativi per i lettori;<br />
“Metropoli è un giornale pensato per vendere: la redazione s’è resa conto che esistono
58<br />
stranamente@yahoo.it<br />
immigrati imprenditori, e pare pensare a loro nella confezione del prodotto. A loro, e ai<br />
possibili acquirenti degli spazi pubblicitari. Tuttavia, Metropoli dovrebbe cercare di<br />
aprire spazio per il dialogo: la non comunicazione tra conviventi infatti genera,<br />
normalmente, dei problemi, che vanno d<strong>alla</strong> ghettizzazione dei diversi all’odio tra vicini.<br />
[…] Dovrebbe, come i giornali locali, per lo meno cercare di mettere in comunicazione<br />
tra loro le persone, straniere e italiane, che convivono lo stesso territorio e affrontano la<br />
quotidianità nelle stesse strade, uffici, servizi pubblici: questo anche per evitare che gli<br />
immigrati diventino la valvola di sfogo per gli italiani che vivono nella trab<strong>alla</strong>nte<br />
società contemporanea”.<br />
Anche il giudizio di Giuseppe Faso non è troppo positivo: tra settembre e ottobre 2007 ci<br />
scriviamo alcune mail, e concorda con me nel ritenere che il giornale, per quanto utile per<br />
diversi aspetti, non convinca del tutto: si limita a essere “un bollettino per l’uso”, senza le<br />
riflessioni, gli stimoli, gli approfondimenti che ci si aspetta da un giornale. Corre quasi il<br />
rischio di diventare un insieme di contenuti da pubblicare tra una pubblicità e l’altra, come<br />
è successo per altri supplementi di La Repubblica.<br />
Sergio Frigo è meno critico di Barbieri nel valutare Metropoli: gli piacciono i racconti<br />
relativi agli immigrati famosi, che potrebbero servire ad aprire un canale nell’interesse dei<br />
lettori che di solito non sono particolarmente disponibili ad informarsi sulle questioni che<br />
hanno per protagonisti persone provenienti da altre parti del mondo. Trova che ce ne siano<br />
pochi tuttavia, e che sarebbe auspicabile vederne pubblicati di più.<br />
Ritiene che Metropoli svolga bene la funzione di giornale di servizio: fornisce in tempi<br />
brevi notizie precise e attuali su varie questioni che interessano tutti gli immigrati, non solo<br />
quelli di una determinata provenienza. Non affronta in maniera adeguata, invece, i grandi<br />
temi, politici e culturali, probabilmente per una mancanza di risorse economiche e umane,<br />
che impedisce di aggiungere alcune pagine per riflettere sul dibattito sulla sicurezza, ad<br />
esempio, o sulle questioni internazionali.
59<br />
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Quanto a me, parlando con Frigo, sono riuscita a capire che creare un medium generalista<br />
che si occupi d’immigrazione è una faccenda alquanto complicata. Questo tuttavia non è<br />
sufficiente per superare la delusione nel vedere i risultati di un tentativo coraggioso, che<br />
<strong>alla</strong> prova della <strong>realtà</strong> non è riuscito a veicolare contenuti forti che gli permettessero di<br />
arrivare agli obiettivi fissati nell’ideazione.<br />
Probabilmente, avevo anche sbagliato io nel valutare il target di riferimento, che tra l’altro è<br />
cambiato nel corso della pubblicazione: non si rivolge a tutti gli immigrati che vogliano<br />
informarsi, ma principalmente alle seconde generazioni e a quelli che risiedono,<br />
prevalentemente in maniera regolare, da molto tempo in Italia.<br />
Ad ogni modo, per me inizialmente il progetto di Metropoli era assai interessante: c’erano<br />
spazi per le problematiche quotidiane dei migranti, una sezione “legale”, articoli che<br />
potevano incuriosire anche persone non vicine al mondo dell’immigrazione, come le pagine<br />
degli avvenimenti sportivi o dei matrimoni misti. C’erano pagine in cui i ragazzi delle<br />
scuole venivano intervistati, si confrontavano le feste di vari Paesi, le credenze magiche e i<br />
fenomeni considerati porta sfortuna. Poi però non è stato in grado di fare il salto di qualità,<br />
di passare dal glamour su cucina e musica ad una riflessioni di più ampio respiro.<br />
Come altri giornali, per resistere <strong>alla</strong> concorrenza della tv, forse anche la redazione di<br />
Metropoli ha deciso di arricchire le proprie pagine con argomenti e articoli da rotocalco:<br />
storie personali, emozionanti, che si fanno leggere, come la rubrica dedicata alle coppe<br />
miste. Se mostrare la quotidianità può essere importante per far conoscere la vita delle<br />
persone e avvicinare le vite di persone che magari convivono nello stesso condominio<br />
senza parlarsi, ciò diventa negativo se assorbe troppe energie e spazi, così da lasciar fuori<br />
l’inchiesta e l’approfondimento anche su altri temi, come ad esempio economia, politica,<br />
cronaca giudiziaria, sociale o di costume.<br />
Ho l’impressione che anche se è un prodotto per molti versi utili, non si spinga molto in là,<br />
si limiti a essere un bollettino per l’uso, mentre da un giornale mi aspetterei di più,<br />
riflessioni, approfondimenti, stimoli: interessandomi di immigrazione, non mi basta sapere<br />
come fare, come muovermi tra burocrazia, regole, norme, anche se so che è indispensabile<br />
saperlo. Forse, nemmeno agli immigrati, non a tutti, basta questo. A volte, temo che
60<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Metropoli, come è successo ad altri supplementi di La Repubblica, finisca per ridursi ad un<br />
insieme di contenuti da pubblicare tra una pubblicità e l’altra.<br />
Come ho già scritto, Frigo ha ipotizzato le cause che potrebbero spiegare il cambiamento di<br />
rotta di Metropoli, che in parte avevo letto come fallimento del progetto stesso. È facile<br />
ipotizzare che nel Gruppo Espresso, di cui Metropoli fa parte, sia mancata la convinzione<br />
necessaria per impostare un progetto più ambizioso che coinvolgesse tutto il sistema<br />
mediatico di appartenenza: ad esempio, nonostante Metropoli sia strettamente legato a La<br />
Repubblica, la ricerca di Corte (2006) rileva che il quotidiano La Repubblica ricade ancora<br />
in una visione<br />
“stereotipata, falsa ed escludente dell’immigrazione quando ne parla sulle pagine delle<br />
edizioni di tutti i giorni […]. È ancora una volta la prova di una certa ‘schizofrenia<br />
mediale’ nell’affrontare il tema dei migranti. La redazione di Metropoli non è ancora<br />
riuscita a sensibilizzare i giornalisti di La Repubblica a un linguaggio, a una scelta dei<br />
temi, a un approccio all’immigrazione più dialoganti e attenti”.<br />
Forse, causa di quest’incapacità di Metropoli a andare oltre, e a fare quello che Frigo<br />
chiama “salto di qualità”, deriva d<strong>alla</strong> mancanza di stimoli e concorrenti: nel già citato<br />
articolo pubblicato dal Marketing Journal 53 , si sottolinea come sia mancata la concorrenza,<br />
sempre stimolante, degli altri grandi quotidiani che non hanno seguito La Repubblica in un<br />
settore giudicato dal mondo economico italiano troppo poco profittevole e al contempo<br />
troppo impegnativo.<br />
A queste, si possono aggiungere le volontà delle elite politiche ed economiche evidenziate<br />
da Barbieri e Anyadiegwu, che sembrano deliberatamente non voler costruire un ambiente<br />
di apertura e dialogo tra le diverse culture.<br />
53 E. M. Napolitano, Un’occasione di riflessione sul Welcome Marketing, http://www.marketingjournal.it
L’approccio interculturale nel giornalismo: necessità e possibilità<br />
61<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Dopo questa riflessione su Metropoli e il giornalismo in Italia, è ora di fare il punto e capire<br />
quali siano le reali possibilità di giornalismo in grado di dare rappresentazione onesta di<br />
una società in cui convivono persone provenienti da paesi diversi. Faso, in una mail, mi<br />
mette in guardia, perché il terreno è oltremodo scivoloso:<br />
“il problema nasce quando si voglia indicare in positivo cosa e come si può fare per una<br />
comunicazione ‘interculturale’. Qui sorgono come macigni due ostacoli, uno<br />
epistemologico, uno politico o comunque riguardante il potere. […] la cosa migliore è<br />
lavorare sul punto 2, la differenza di potere […] il problema mi pare quello: come si<br />
parla di una parte del ‘prossimo’ facilmente identificabile come ‘altra’ in una situazione<br />
di forte differenza di potere”.<br />
Necessario quindi, per pensare un giornalismo “interculturale”, aprire un dialogo con tutti i<br />
soggetti interessati, che non dev’essere né un concedere la parola né un farsi da parte, ma<br />
permettersi di tuffarsi, insieme, nella discussione e nel confronto.<br />
Al termine della mia analisi, mi pare che attualmente i mass media italiani non sono pronti<br />
a fare informazione nella società multiculturale. Le cause sono molte e possono essere<br />
ricercate nelle scelte politiche ed economiche delle elitè, nella sensibilità del pubblico e dei<br />
giornalisti, nell’impreparazione culturale e professionale di questi ultimi, nelle logiche del<br />
mercato. Questi elementi concorrono a rendere i giornali superficiali, incapaci di esercitare<br />
un’informazione rispettosa delle varie culture che sappia conoscere, spiegare, interpretare;<br />
sembrano inoltre impreparati a favorire il dialogo, la crescita e l’interscambio. I mezzi di<br />
comunicazione sono responsabili di questa situazione per il ritardo nell’aggiornarsi nel<br />
linguaggio e nello stile narrativo, ma anche nell’incapacità di approfondire i possibili punti<br />
di vista con cui guardare ad una stessa situazione.<br />
Su consiglio di Daniele Barbieri, ho contattato Sabatino Annecchiarico, un giornalista che<br />
aveva collaborato, tra l’altro, all’esperienza di Migranews, e gli ho inviato una mail piena<br />
di domande. Ecco di seguito alcune delle sue risposte:
• Come può un mass media essere “interculturale”?<br />
62<br />
stranamente@yahoo.it<br />
“Un mass media, in quanto soggetto comunicante è di per sé interculturale. Lo è nella<br />
natura stessa di essere fonte comunicatrice; altrimenti che qualcuno spieghi come può non<br />
essere interculturale un mezzo d’informazione pubblica. Lo è anche nella misura<br />
professionale della formazione del comunicatore. Comunque, quando i mass media<br />
appaiono con l’aspetto di non essere interculturali, al di là di snaturare la stessa radice come<br />
prima sottolineato, è da tener conto che purtroppo questi media sono governati nella<br />
maggior parte da interessi politici che regolano l’economia di mercato capitalista. Così di<br />
semplice. Basta osservare le firme pubblicitarie che finanziano le testate dei mass media a<br />
livello locale (e anche a livello internazionale) e si può capire i meccanismi che impongono<br />
le editoriali all’informazione pilotata e a quali interessi rispondono. Quest’informazione, in<br />
parte pilotata e in parte trascinata da correnti culturali (e di mercato giornalistico), risponde<br />
in primis alle legislazioni in materia di politiche migratorie in Italia. Sia la precedente legge<br />
conosciuta come la legge Turco-Napolitano e la successiva Bossi-Fini, che non fanno in<br />
questo senso differenza (rispondono ai programmi di Maastrict), collocano al immigrante<br />
come forza (oggetto) di lavoro e non soggetto in quanto essere umano. Quindi, produrre un<br />
mezzo informativo interculturale, plurale, libero e aperto, va contro questi interessi<br />
neoliberisti di mercato. Partendo da questa constatazione diventa semplice dedurre come<br />
l’informazione pubblica subisce questa pressione dai “forti interessi politici” che considera<br />
l’immigrante un oggetto generatore di plus valore all’economia sopra citata e quindi:<br />
diventano certi mezzi di comunicazione e d’informazione protagonisti della<br />
disinformazione per indurre la popolazione già non ad accettare senza opporsi alle falsa<br />
notizia ricevute, bensì ad essere sottomessa <strong>alla</strong> manipolazione culturale, all’ignoranza e<br />
all’oscurantismo, semi della xenofobia e del razzismo. Nei paesi (o popolazioni) dove<br />
regnano questi principi di manipolazione dei mass madia, l’interculturalità<br />
nell’informazione, così come posta la domanda, non avrà spazi possibili per emergere senza<br />
difficoltà”.<br />
• É possibile pensare a degli strumenti che riescano ad aprire un dialogo anche con<br />
italiani che hanno una sensibilità diversa (per non dire nulla) rispetto alle migrazioni?
63<br />
stranamente@yahoo.it<br />
“Certamente che è possibile, anzi. Viste le condizioni in cui si lavora dovrebbe essere una<br />
sfida per tutti coloro che desiderano aprire un dialogo tra le parti. Addirittura che si possa<br />
arrivare a un dialogo trasversale che metta al centro le culture (e pensieri delle diverse<br />
persone) anche per un mutuo arricchimento a trecento sessanta gradi”.<br />
• Come evitare che la comunicazione interculturale diventi un ghetto dove persone<br />
diverse che la pensano , per certi argomenti, in maniera simile, si diano ragione?<br />
“Per evitare che la comunicazione (che è sempre interculturale per i principi sopra citati)<br />
diventi di nicchia, di ghetto, non basta che sia solo quella prodotta dal volontariato, da<br />
gruppi coraggiosi che s’impegnano fortemente per far si che questa ghettizzazione non<br />
avvenga. Servono essenzialmente piani istituzionali ad alto livello di Stato coinvolgendo<br />
ogni area socio-politico e culturale. Un programma di sviluppo cittadino che metta al centro<br />
le persone e non le merci. Quanto meno il profitto economico. Basta pensare che Europa si<br />
fonda come comunità economica e non sociale, possiamo capire quanto difficile diventa per<br />
la comunicazione interculturale non appartenere a un ghetto. E si capisce anche, quanto<br />
lavoro ancora c’è da fare”.<br />
Le brevi risposte di Annechiarico vanno direttamente al centro della questione, chiarendo<br />
quali siano le forze e gli interessi in campo: molti sono gli ostacoli ad un’informazione<br />
plurale, aperta, libera, tanto che è diventato necessario aggiungerle l’aggettivo<br />
interculturale, visto che, per diversi motivi, spesso l’informazione tende a manipolare, a<br />
diffondere ignoranza, xenofobia, razzismo Credo invece che i mass media dovrebbero<br />
essere una specie di ponte tra i soggetti che convivono il territorio, trasmettendo<br />
informazioni, contenuti e relazioni rispettosi delle differenti sensibilità.<br />
Barbieri nella nostra chiacchierata mi aveva raccontato della sorta di “muro di gomma”<br />
dell’ottusità dei colleghi giornalisti nel discorso sull’immigrazione, per cui non si stupiva<br />
ad osservare un giornalismo che rinuncia a essere informativo e obiettivo e si piega ad altri<br />
interessi. Quest’atteggiamento non è privo di responsabilità visto che sul terreno<br />
dell’immigrazione si aggirano fantasmi di un razzismo che sembra essere più vivo ed
esteso, e che quindi può prendere infiammarsi più facilmente.<br />
64<br />
stranamente@yahoo.it<br />
E però responsabilità hanno anche i soggetti politici ed economici, che avrebbero più o<br />
meno direttamente stravolto il ruolo dei mass media: con tali forze in gioco, risulta evidente<br />
che in una “riforma” del sistema giornalistico non è sufficiente l’impegno di singoli<br />
giornalisti, anche organizzati, o quello dei vari gruppi di volontariato: per avere un altro<br />
tipo di informazione, dovrebbero mutare le scelte politiche degli Stati, impegnandosi in<br />
piani che coinvolgano le diverse aree socio politiche e culturali, puntando sullo sviluppo<br />
delle persone, viste come cittadini prima che come produttori di merci.<br />
I giornali dovrebbero essere parte di questa nuova logica, aprendo uno spazio per il dialogo:<br />
ragionando secondo le regole del mercato, ho visto con Frigo che questo non è attualmente<br />
possibile. Anche se in certi giornali generalisti cominciano a comparire anche i racconti<br />
della quotidianità degli immigrati, questo non è sufficiente, il dibattito di questi giorni sulla<br />
sicurezza ne è conferma. Forse il pubblico non è pronto a un’informazione che consideri<br />
allo stesso modo italiani e migrati. Occorre lavorarci e secondo Frigo il cambio di registro<br />
potrebbe avere risvolti positivi, <strong>alla</strong> lunga, anche dal punto di vista economico.<br />
Sono d’accordo con Barbieri quando afferma che i giornali, almeno quelli locali,<br />
dovrebbero per lo meno cercare di mettere in comunicazione tra loro le persone, straniere e<br />
italiane, che convivono lo stesso territorio e affrontano la quotidianità nelle stesse strade,<br />
uffici, servizi pubblici: occorre cominciare a pensare anche al futuro, tenendo conto che<br />
viviamo in mondo globalizzato, che diventa sempre più piccolo: occorre trovare una<br />
maniera per raccontare ciò che succede, di bello e di brutto, nel mondo. Frigo mi ha<br />
raccontato Cittadini Dappertutto. Barbieri mi ha parlato dell’esperienza di Migranews, che<br />
univa competenze di giornalisti e comunicatori italiani e immigrati. Entrambe le esperienze<br />
sono finite, pur facendo un buon lavoro. E però entrambe sono state, per alcuni anni, <strong>realtà</strong>.<br />
Nel giornalismo italiano,<br />
“l’Altro immigrato, persona di differente etnia e cultura […] non ha niente di buono, di<br />
positivo da portare con sé; è spesso rappresentato come una minaccia <strong>alla</strong> nostra<br />
sicurezza; ha caratteristiche che possono portarci a compiangerlo; ha spesso i connotati
65<br />
stranamente@yahoo.it<br />
della delinquenza; […] la cultura dell’Altro straniero, immigrato, di differente religione<br />
o condizione sociale non è ancora meritevole di approfondimento; così come non si dà<br />
adeguata evidenza all’opera di dialogo interculturale svolto d<strong>alla</strong> scuola, ai fondamenti<br />
teoretici e ai valori della Pedagogia interculturali”. (Corte, 2002,<br />
http://www.cestim.it/argomenti/08media/08media_corte-univr.html )<br />
I mass media da un lato probabilmente sottorappresentano i crimini subiti dagli immigrati, e<br />
dall’altro soffiano sul fuoco del malumore dei cittadini, spettacolarizzando le questioni<br />
legate all’immigrazione e utilizzando gli immigrati come capro espiatorio.<br />
Questa situazione può essere in parte imputabile a caratteristiche strutturali e diffuse del<br />
giornalismo italiano, tuttavia parlando con i miei interlocutori emerge anche una<br />
responsabilità da parte dei giornalisti, che non possono essere incoscienti dei rischi che<br />
derivano da una rappresentazione delle migrazioni come quella attuale, piena di rischi,<br />
minacce, pericoli, insicurezze, crimini e paure: compatibilmente a certe decisioni politiche,<br />
le redazioni hanno dato questo taglio al fenomeno e sono responsabili per il quadro che<br />
hanno tracciato e le rappresentazioni che hanno diffuso relativamente agli immigrati 54 .<br />
Gianluca Luciano, amministratore di Stranieri in Italia, rileva come la stampa “etnica” sia<br />
un settore in forte sviluppo, che conoscerà un’ulteriore crescita nei prossimi anni 55 . In<br />
attesa che le scelte politiche cambino, considerando anche gli immigrati persone, e quindi<br />
che pure l’atteggiamento delle redazioni cambi, occorre identificare lo straniero come<br />
cliente e consumatore perché venga considerato al pari degli altri?<br />
E sarà possibile ragionando in termini economici e considerando uomini e donne come<br />
consumatori, avere un giornalismo interculturale che sia luogo del rispetto dei sentimenti,<br />
della comprensione, dell’ascolto di quanto la cronaca ci racconta, del dialogo con differenti<br />
culture? Un luogo anche di educazione al pluralismo e <strong>alla</strong> pace, come auspica Portera 56 ?<br />
54 Mi ha stupito, parlando con Barbieri di Migranews, scoprire che i lavori che preparavano, ben fatti e<br />
disponibili gratuitamente, non venivano ripresi dai quotidiani (a parte i soliti Manifesto, Carta, Avvenimenti):<br />
i dossier riportavano fatti precisi, con indicazioni dettagliate e verificabili, ma i colleghi, quand’anche<br />
riconoscevano la verità e la qualità dei servizi, preferivano non pubblicarli.<br />
55 In Metropoli n 4 del 2007. Stranieri in Italia è il principale editore di giornali etnici in Italia.<br />
56 Corte, 2006, pag 192
66<br />
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UN MANIFESTO EUROPEO per sostenere e sottolineare l’importanza dei media<br />
multiculturali: http://www.multicultural.net/manifesto/index.htm
Sitografia indicativa<br />
Aula Intercultural - El portal de la Educación Intercultural<br />
http://www.aulaintercultural.org/<br />
CESTIM- Sito di documentazione sui fenomeni migratori<br />
http://www.cestim.org/<br />
Manuale di Giornalismo Interculturale<br />
http://www.cestim.org/34giornalismo-interculturale.htm<br />
COSPE- Cooperazione per lo sviluppo dei Paesi Emergenti<br />
http://www.cospe.org<br />
Progetto Mediam’rad:<br />
http://www.mediamrad.it<br />
Media e multiculturalità<br />
http://www.mmc2000.net<br />
Federazione Europea dei Giornalisti:<br />
http://www.ifj-europe.org<br />
Online/ More Colour in the Media<br />
http://www.olmcm.org<br />
Il sito degli immigrati extracomunitari ospiti o rifugiati in Italia<br />
http://www.stranieriinitalia.it<br />
70<br />
stranamente@yahoo.it
Abstract<br />
71<br />
stranamente@yahoo.it<br />
Questo lavoro parte dall’idea di analizzare Metropoli, supplemento domenicale del<br />
quotidiano La Repubblica, per riflettere sul rapporto, in Italia, tra giornalismo e migrazioni.<br />
L’obiettivo era analizzare un prodotto che si rivolgesse ad un pubblico presente su tutto il<br />
territorio nazionale e che comprendesse sia italiani che immigrati.<br />
Evidenziare punti di forza e di debolezza di Metropoli può essere utile per esemplificare<br />
quelli degli altri prodotti giornalistici italiani: tra gli aspetti positivi, possiamo citare la<br />
capacità di fornire in tempi brevi informazioni utili ai bisogni quotidiani, ad esempio le<br />
norme che regolano flussi, permessi di soggiorno, affitti, contratti di lavoro, o i modi di dire<br />
e i proverbi. Di negativo, invece, il fatto che non affronta i grandi temi politici e culturali,<br />
probabilmente per una mancanza di risorse economiche e umane: ciò impedisce di<br />
stimolare la riflessione e il confronto su temi più generali che pure interessano la vita del<br />
singolo, ad esempio il dibattito sulla sicurezza o le questioni internazionali. Ha uno sguardo<br />
troppo incentrato sul singolo, sull’eccezione, sul locale, che non permette di cogliere la<br />
complessità dei cambiamenti del mondo contemporaneo, come sembra necessario in<br />
un’epoca globalizzata. Molte ragioni spiegano questa carenza, non ultima la necessità di<br />
pubblicare un prodotto commercialmente interessante: per essere prodotto, Metropoli deve<br />
avere anche un ritorno economico, o dalle vendite, o d<strong>alla</strong> pubblicità, o d’immagine. Oltre a<br />
ciò, diversi ostacoli, politici e culturali, rendono difficile la pratica di un giornalismo<br />
rispettoso e attento alle diverse componenti della società. Occorre però cambiare registro e<br />
questo potrebbe, <strong>alla</strong> lunga, anche avere risvolti positivi dal punto di vista economico.<br />
In generale, il giornalismo italiano non sembra pronto ad affrontare adeguatamente la<br />
rappresentazione di una società interculturale: servirebbe maggiore impegno nel cercare di<br />
fornire ai lettori gli elementi per conoscere una questione, evitando di alimentare tendenze<br />
razziste e di rendere gli immigrati valvola di sfogo nella trab<strong>alla</strong>nte società contemporanea.<br />
I mass media dovrebbero farsi ponte tra i diversi soggetti conviventi sullo stesso territorio,<br />
aprendo spazio per il dialogo e mettendo in comunicazione tra loro le persone che,<br />
indipendentemente dalle loro origini, convivono le proprie quotidianità nelle stesse strade,<br />
uffici, servizi pubblici.