approssimazioni mediatiche alla realtà dell'immigrazione. - Lettere e ...
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stranamente@yahoo.it<br />
• Altro punto dolente parlando di mass media e immigrazione è costituito dal<br />
linguaggio. Le parole etichettano e classificano ogni aspetto della <strong>realtà</strong>, e “noi reagiamo a<br />
queste caratteristiche, organizzando le nostre <strong>realtà</strong> attorno all’etichetta dell’oggetto”<br />
(Pratkanis, Aronson, 1996, p. 60). La scelta di usare un termine rispetto a un altro non è<br />
innocente: “una parola, e la sua definizione nel vocabolario, permette metodi di<br />
classificazione degli individui e contiene teorie implicite circa la loro costituzione, o le<br />
ragioni per il fatto che si comportino in un modo piuttosto che in un altro” (Moscovici,<br />
2005, p. 18). Per questo andrebbe pretesa dai giornalisti una maggior precisione dell’uso<br />
delle parole. Parlando di linguaggio, non si può non ricordare l’iniziativa della FNSI, Le<br />
parole lasciano impronte, una campagna di sensibilizzazione “al giusto uso delle parole<br />
nell’informazione”, contro l’uso scorretto del linguaggio e le scelte lessicali tendenziose nei<br />
testi giornalistici. L’iniziativa prevedeva, tra l’altro, un percorso di formazione,<br />
informazione e denuncia che entrasse nei circuiti dell’informazione per problematizzare<br />
<strong>realtà</strong> troppo spesso semplificate, in cui scelte lessicali sciatte si fanno portatrici di<br />
razzismo e discriminazione; stilava un vocabolario di parole da evitare, incrementabile da<br />
chiunque.<br />
Il problema è che i mass media considerano gli immigrati come un tutto unico, le persone<br />
sono trattate come un blocco di individui indistinguibili che premono alle frontiere,<br />
indipendentemente dalle loro diverse storie personali, provenienze, progetti. Secondo la<br />
ricerca Tuning in to Diversity, gli immigrati sono chiamati extracomunitari nel 28,3% dei<br />
casi, immigrati (29,4%), stranieri (15,8%), clandestini (32,2%). Spesso convergono nello<br />
stesso termine condizioni che sono invece assai diverse tra loro. La Sibathu chiede come si<br />
possa pensare che sia corretto definire “immigrato extracomunitario” un ragazzo nato,<br />
cresciuto, vissuto nella periferia di Roma, certo, con genitori che provengono da un altro<br />
Paese, ma che magari lui, peraltro, ha visitato solo in vacanza, o nemmeno. Evidente anche<br />
il ricorso al termine “emergenza” per qualsiasi questione inerente alle migrazioni, e<br />
l’utilizzo di un vocabolario “da guerra”. Se negli ultimi anni si è affievolita, in certi<br />
giornali, l’equazione immigrato=clandestino=delinquente, si sta diffondendo, invece<br />
l’equivalenza arabo=musulmano=integralista=terrorista. Per riprendere Portera:<br />
“l’uso sui giornali di un lessico militaresco e violento nella presentazione