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pagine ebraiche n. 7 | luglio 2012<br />
Quello affrontato in L’antiebraismo<br />
cattolico dopo la Shoah - Tradizioni e<br />
culture del secondo dopoguerra<br />
(1945-1974) (Viella, 200 pp.),il libro<br />
di una giovane studiosa, Elena Mazzini,<br />
è come lei stessa sottolinea nella<br />
sua introduzione un tema poco frequentato<br />
dalla storiografia più specifica,<br />
quella sui rapporti tra cattolicesimo<br />
ed ebrei nel dopoguerra, e solo<br />
accennato nelle vaste opere di storia<br />
del mondo cattolico e della Chiesa: il<br />
tema del permanere, in forma non<br />
soltanto marginale, dei tradizionali<br />
stereotipi antiebraici nella Chiesa<br />
cattolica del dopo Shoah, negli anni<br />
cioè fra la fine della guerra e il Concilio<br />
Vaticano II.<br />
La Chiesa resta cioè, antiebraica? O<br />
“antisemita”, per usare l’espressione<br />
dell’autrice, poco incline ad accettare<br />
la distinzione tra le forme tradizionali<br />
di antigiudaismo e il vero e proprio<br />
antisemitismo. L’indagine condotta<br />
dall’autrice sulle fonti, e in<br />
particolare sulle pagine della Civiltà<br />
cattolica e dell’Enciclopedia cattolica,<br />
dimostra effettivamente che ben<br />
pochi cambiamenti si sono verificati<br />
nell’ideologia della Chiesa sugli ebrei<br />
negli anni successivi alla Shoah.<br />
Analisi, evidentemente, condivisa<br />
dalla storiografia che ha concordemente<br />
sottolineato come la svolta<br />
nella percezione cattolica dell’ebraismo<br />
si sia verificata non nel 1945,<br />
ma solo con il Concilio. Possiamo<br />
rimpiangerlo, ma non certo stupircene.<br />
Un quindicennio di complessa<br />
gestazione di un cambiamento determinato<br />
sì dalla Shoah ma altresì, come<br />
è stato recentemente sottolineato,<br />
dai rivolgimenti anche psicologici<br />
causati dagli anni della guerra e<br />
dell’occupazione, dal fatto che in<br />
quel momento, nei conventi e nelle<br />
case dei cattolici ove gli ebrei trovavano<br />
rifugio, essi erano diventati, da<br />
meri simboli dell’errore, persone in<br />
carne e ossa, esseri umani, che con<br />
gli altri esseri umani condividevano<br />
fame, rischi, dolore. Anche il problema<br />
della permanenza degli stereotipi<br />
richiede, però, delle specificazioni. A<br />
quale ideologia antiebraica ci rapportiamo?<br />
A quella degli anni del pontificato<br />
di Leone XIII, caratterizzati da<br />
quello che è effettivamente stato definito<br />
come “antisemitismo cattolico”,<br />
con la sua ripresa del mito dell’omicidio<br />
rituale e del complotto giudaico,<br />
a quella di Pio X, a quella di Pio<br />
XI e del suo famoso “spiritualmente<br />
siamo tutti semiti”, pronunciato nel<br />
1938? Che la Chiesa non sia mai stata<br />
monolitica, e ancor meno lo sia<br />
stata nel tempo, è un’acquisizione<br />
storiografica ben consolidata.<br />
Ciò nonostante, ne sono convinta,<br />
quelli della seconda parte del pontifi-<br />
cato di Pio XII furono effettivamente<br />
anni cruciali. Anni in cui il riconoscimento<br />
da parte ebraica del ruolo<br />
protettivo esercitato dalla Chiesa<br />
durante l’occupazione nazista del<br />
territorio italiano e in particolare di<br />
Roma fu seguito da un periodo in cui<br />
le distanze fra i due mondi si allargarono,<br />
mentre Roma manteneva il<br />
silenzio sulle responsabilità ideologiche<br />
della tradizione antigiudaica nell’antisemitismo<br />
nazista e nello sterminio.<br />
Negli stessi anni, il mondo<br />
protestante compieva il suo mea culpa,<br />
mentre cominciavano a nascere i<br />
primi movimenti di dialogo ebraicocristiano,<br />
ancora incompresi e marginali<br />
nella Chiesa.<br />
L’immagine più significativa di questa<br />
incomprensione è l’incontro tra<br />
Jules Isaac e Pio XII , nel 1949,<br />
quando questi consegnò al Papa il<br />
documento uscito dalla conferenza<br />
di Seelisberg, senza esito alcuno. Solo<br />
con Giovanni XXIII e con la convocazione<br />
del Concilio, solo con l’in-<br />
OPINIONI A CONFRONTO / P27<br />
Noi e il mondo cattolico. Tra voglia di dialogo e resistenze<br />
ú–– Anna Foa<br />
storica<br />
Bello e stimolante il libro di Elena<br />
Mazzini. Un testo che, oltre ad indagare<br />
un luogo scomodo, induce riflessioni<br />
di carattere più generale riguardo<br />
le relazioni ebraico-cattoliche,<br />
per non dire, astraendo ulteriormente,<br />
ebraico-cristiane.<br />
Attraverso precisi riferimenti documentari,<br />
l’autrice mostra come i pregiudizi<br />
antiebraici siano rimasti<br />
inalterati nell’ambito della cattolicità<br />
anche dopo la Shoah. Si scopre così<br />
che nell’Enciclopedia Cattolica, “uno<br />
degli strumenti normativi di maggior<br />
rilievo promossi dalla Chiesa in<br />
Italia nel corso degli anni<br />
Cinquanta”, permangono<br />
difficoltà a riconoscere la<br />
specificità dello sterminio<br />
nazista, a fianco a resistenze<br />
relative allo Stato di Israele e<br />
alla riedizione in chiave moderna<br />
dell’accusa di deicidio.<br />
In un articolo comparso recentemente<br />
su questo stesso<br />
giornale, Elena Mazzini si dice<br />
stupita del permanere delle<br />
convinzioni antiebraiche successivamente<br />
agli anni del nazifascismo,<br />
certamente un segnale di quanto esse<br />
siano radicate nella coscienza cattolica.<br />
Se, per un attimo, astraiamo dal metodo<br />
storiografico per volgere lo<br />
sguardo all’analisi dei testi del commento,<br />
credo si possano trovare risposte<br />
riguardo stupori e perplessità<br />
dell’autrice. Un esempio dell’opera-<br />
contro voluto dal nuovo Papa fra il<br />
cardinal Bea e lo stesso Jules Isaac, si<br />
avvierà quel processo che metterà<br />
nell’agenda conciliare i rapporti con<br />
l’ebraismo e che sfocerà nella dichiarazione<br />
Nostra Aetate.<br />
Questo il terreno storico naturale di<br />
ogni considerazione sull’antiebraismo<br />
cattolico dopo la Shoah,<br />
questa, sottolineo, la periodizzazione<br />
principe di ogni<br />
studio dedicato a questi temi:<br />
gli anni fra la Liberazione<br />
e il Concilio, gli anni<br />
della permanenza del vecchio<br />
e l’inizio contrastato<br />
del nuovo. Questa periodizzazione,<br />
con l’immagine<br />
che trasmette, deve essere<br />
sembrata troppo tradizionale e<br />
forse troppo incline a sottolineare il<br />
cambiamento avvenuto nella Chiesa<br />
alla giovane autrice, in uno studio<br />
mosso come il suo da una forte carica<br />
ideologica e dalla volontà di dimostrare<br />
che il cattolicesimo non è cam-<br />
zione culturale a fondamento della<br />
cristianità possiamo scorgerla nell’interpretazione<br />
della relazione Yaakov-Esav,<br />
momento cruciale nello<br />
sviluppo identitario ebraico, ma anche<br />
luogo in cui in un sol colpo si<br />
traccia un nuovo orizzonte etico e si<br />
definisce il ruolo che avrà l’ebreo al<br />
suo interno. Se, per la tradizione<br />
ebraica, Esav rappresenta le pulsioni<br />
sacrificate agli ideali universalistici a<br />
proprio fondamento, dando vita a<br />
quel filone antagonista che giungerà<br />
fino ad Amalèk, il mondo cristiano<br />
ribalta la relazione, individuando<br />
una via cristica che da Itzhàk, figura<br />
del capro espiatorio, giunge a Yaakov,<br />
in cui Esav rappresenta i sentimenti<br />
ebraici che si oppongono all’ideale<br />
cristiano di una fratellanza<br />
universale. Una lettura simile la troviamo<br />
già nell’Omelia XII alla Genesi<br />
di Origene, che interpreta la profezia<br />
per cui “il maggiore servirà il<br />
minore” come supremazia<br />
della Chiesa sulla Sinagoga:<br />
“Anche i giudei,<br />
che pure non credono,<br />
sanno in che modo un<br />
popolo abbia vinto l’altro,<br />
cioè la Chiesa ha<br />
vinto la Sinagoga e in<br />
qual modo il maggiore<br />
sia servo del minore”.<br />
Un’impostazione che<br />
trova la sua origine nella Lettera ai<br />
romani di Paolo e che non smetterà<br />
di nutrire la cristianità. Poco più di<br />
un secolo dopo, la troviamo inalterata<br />
nel De Iacob et vita beata di Ambrogio<br />
e, attraverso Agostino, giungerà<br />
in Lutero e Calvino, fino a ritrovarla<br />
immutata nel contesto culturale<br />
esaminato da Elena Mazzini,<br />
la quale ci ricorda come la cattolicità<br />
successiva alla seconda guerra mondiale<br />
recepisse l’ebraismo “in funzio-<br />
www.moked.it<br />
biato che assai marginalmente con il<br />
Concilio. Ed ecco quindi l’autrice introdurre<br />
una diversa periodizzazione,<br />
centrata non più sui rapporti tra<br />
Roma e gli ebrei ma su quelli fra Roma<br />
e il nuovo Stato di Israele, il<br />
1967. Un termine ad quem, mi si<br />
consenta, che poco ha a che fare con i<br />
rapporti tra ebrei e cristiani,<br />
dal punto di vista<br />
teologico, e molto con<br />
quelli politici tra Roma e<br />
il nuovo Stato degli ebrei.<br />
L’introduzione senza spiegazioni<br />
e senza contestualizzazioni<br />
della questione<br />
di Israele, dandone semplicemente<br />
per scontata la<br />
centralità, non mi sembra<br />
giovi a rendere più chiari i<br />
passaggi del rapporto tra ebraismo e<br />
Chiesa. Credo invero che il taglio<br />
ideologico, la volontà di sfatare la<br />
precedente immagine considerata<br />
troppo favorevole alla Chiesa, non<br />
abbia giovato a una ricerca pur ricca<br />
ne pre-cristiana, origine imperfetta<br />
condotta a compimento dalla venuta<br />
del Messia”. Un approccio che non è<br />
stato ripensato nella sua interezza<br />
neanche con la Nostra Aetate, essendosi<br />
trasferito dal piano di un più<br />
generico antigiudaismo a quello più<br />
ristretto di non accettazione dell’ebraicità<br />
dello Stato di Israele, come<br />
il viaggio di Paolo VI in Terra Santa<br />
ha ulteriormente dimostrato. La tesi<br />
è sempre quella: l’ebraismo ha sacrificato<br />
la propria visione universalista<br />
a una visione legalitaria. Proprio<br />
Ambrogio, noto antisemita, in un<br />
passo che mina alle fondamenta<br />
l’idea stessa della kasherut, ma<br />
estendibile all’intero piano normativo<br />
ebraico, pare particolarmente<br />
chiaro: “Ma Giacobbe zoppicò a causa<br />
della sua coscia. Per questo ancor<br />
oggi i figli di Israele non mangiano il<br />
nervo. Lo avessero mangiato e avessero<br />
creduto!”. L’ebreo, dunque, preferisce<br />
la Legge all’uomo.<br />
Credo si comprenda, ora, il perché di<br />
un simile radicamento dei pregiudizi<br />
antigiudaici nella coscienza cattolica:<br />
per rimuoverli, la cristianità tutta<br />
dovrebbe rinunciare a un intero<br />
orizzonte etico che considera gli individui<br />
tutti uguali, a prescindere da<br />
specificità etniche e culturali. In sintesi,<br />
dovrebbe rinunciare a quell’orizzonte<br />
etico tracciato nel “Discorso<br />
della montagna”.<br />
Un problema che non credo debba essere<br />
ridotto a questioni di appartenenza<br />
religiosa o identitaria, ma che<br />
dovrebbe coinvolgere tutti noi: siamo<br />
disposti a rinunciare all’idea di<br />
un’uguaglianza universale fra tutti<br />
gli esseri umani? Siamo disposti a<br />
rinunciare all’ideale di diritti universali<br />
dell’uomo, riconoscendo, invece,<br />
che l’uguaglianza è un valore<br />
che necessita di reciprocità e che,<br />
di materiale e di spunti, ma propensa<br />
a far di tutt’erba un fascio e a lasciare<br />
molti temi scoperti. L’autrice evita<br />
di privilegiare l’analisi del percorso<br />
del dialogo ebraico-cristiano e della<br />
recezione della Nostra Aetate, preferendo<br />
l’analisi delle resistenze interne<br />
al cambiamento e quella dell’opposizione<br />
da parte araba alla stesura<br />
della stessa.<br />
Una scelta metodologica per lo meno<br />
curiosa. La critica principale che in<br />
queste pagine viene mossa alla trasformazione<br />
avvenuta con il Concilio<br />
nella visione cattolica degli ebrei è<br />
quella di essersi arrestata sul piano<br />
ideologico-religioso, e di non essersi<br />
estesa a quello politico, con il riconoscimento<br />
di Israele. Una critica<br />
espressa dai commentatori ebrei italiani<br />
del tempo, quali Dante Lattes e<br />
Carlo Alberto Viterbo, in un’ottica<br />
profondamente sionista, che l’autrice<br />
analizza accuratamente, decontestualizzandola<br />
dal momento storico<br />
in cui nasce, però, e / segue a P28<br />
L’orizzonte religioso che nutre il pregiudizio<br />
ú–– Davide Assael<br />
ricercatore<br />
semmai, è da costruire attraverso<br />
strategie politiche, esattamente come<br />
il lebbroso può certo essere curato e<br />
reintrodotto in società, ma passando<br />
per l’allontanamento e la quarantena?<br />
Non è questione da poco perché<br />
quando cominciano ad ammettersi<br />
chiusure e steccati si aprono le porte<br />
a nazionalismi e a settarismi di ogni<br />
sorta, da cui il mondo ebraico non è<br />
stato e non è esente neanche oggi.<br />
Quelli cristiano ed ebraico sono, tuttavia,<br />
orizzonti etici solo apparentemente<br />
incompatibili perché possono<br />
emergere, partendo dalle rispettive<br />
specificità, intersezioni su cui riflettere:<br />
per una prospettiva radicalmente<br />
universalista l’accettazione dell’Altro<br />
in quanto “uomo” passa per<br />
il mantenimento della sua specificità;<br />
in caso contrario, più che di accettazione<br />
dell’Alterità si tratterebbe della<br />
sua riduzione a se stessi.<br />
Per il mondo ebraico, che fonda la<br />
propria etica anche a partire da esperienze<br />
di esclusione e schiavitù, fissare<br />
quel limite (che a volte è un muro)<br />
che separa sé dagli altri deve essere<br />
un tormento, fino a pensare, come<br />
alcune correnti kabaliste, che<br />
l’obiettivo del limite è la sua sparizione.<br />
È da qui, forse, che il dialogo ebraicocristiano<br />
partirà nel prossimo futuro.<br />
In caso contrario, il circolo vizioso,<br />
che qualunque ebreo conosce benissimo<br />
a partire dalla propria esperienza<br />
familiare, che vede il mondo<br />
esterno premere perché l’ebreo si assimili<br />
e l’ebreo chiudersi man mano<br />
che sente aumentare la minaccia,<br />
non potrà essere spezzato e le pulsioni<br />
antisemite che animano l’immaginario<br />
occidentale riemergeranno appena<br />
le circostanze storiche ne favoriranno<br />
lo sviluppo.