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Scarica pdf - Scuola Lacaniana di psicoanalisi

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APPUNTI SPECIALE OTTO NOVE DIECI GIUGNO 2012 18<br />

UNA QUESTIONE DI VITA E DI MORTE<br />

Giuseppe Salzillo<br />

In quell'elemento residuale, atomo essenziale che cade come resto sintomatico <strong>di</strong> un percorso<br />

analitico, vita e morte si intrecciano, si "impastano", per usare un termine freu<strong>di</strong>ano. Si vive la morte.<br />

Si muore la vita.<br />

La parola greca "bios" può essere letta "biòs" e in questo caso significa "arco", scritta "bìos" invece<br />

significa "vita". È la <strong>di</strong>alettica del tiro con l’arco. È la logica della pulsione. "All'arco è dato il nome della<br />

vita, e la sua opera è la morte" <strong>di</strong>ce meravigliosamente Lacan nel Seminario XI.<br />

Cicli <strong>di</strong> identificazioni, il passaggio da una all’altra, oscillamenti tra la vita e la morte, tra una fine e una<br />

rinascita. Le identificazioni <strong>di</strong>vengono cadaveri viventi in uniforme, colonnelli zombie nel deserto dei<br />

para<strong>di</strong>gmi: "Così devi essere, così non devi essere". Se da un lato le molteplici identificazioni leniscono<br />

temporaneamente quell'angoscia, effetto <strong>di</strong> quel reale che non trova pace nel simbolico, l'analisi, dal<br />

canto suo è impietosa, non fa sconti a nessuno.<br />

Quel nocciolo non analizzabile si porta dentro un segreto. È qualcosa del go<strong>di</strong>mento, del go<strong>di</strong>mento<br />

che trova il suo abitus nel sintomo. Il go<strong>di</strong>mento è né questo né quello, è né così né in altro modo. La<br />

significazione salta ed emerge la <strong>di</strong>fferenza assoluta tra ciò che può essere detto, il <strong>di</strong>re e ciò che si<br />

mostra. Il "conosci te stesso" <strong>di</strong>venta un vuoto ritornello che si affievolisce nel silenzio del proprio<br />

corpo, il non-luogo senza domanda, senza risposta. La verità, <strong>di</strong>ce Lacan, "<strong>di</strong>venta l'affettuosa sorellina<br />

dell'impotenza", l'impossibilità <strong>di</strong> significare il proprio go<strong>di</strong>mento.<br />

È questo un luogo "finale", <strong>di</strong> fine analisi, ma allo stesso modo richiama quel tempo "iniziale" in cui la<br />

Cosa fa parola, fait mot, in quanto in<strong>di</strong>cibile con<strong>di</strong>zione prima, origine <strong>di</strong> tutta la catena significante.<br />

L’Altro non esiste. Esiste l’uno da solo. È questa la particolarità della posizione analitica. È l’uno da<br />

solo, chiarito <strong>di</strong> ciò che fa star male, chiarito sul senso del proprio sintomo. È l’uno che non si lascia più<br />

ingannare dagli artifici dell’inconscio. Inconscio che continua ad esserci ma senza più quel senso che fa<br />

star male.<br />

Il re è nudo. Il bambino che urla “non ha niente addosso!” è il processo analitico. Ciò che resta è il reale<br />

nudo.<br />

L’analisi ti accompagna attraverso l’insistenza assillante dei pensieri che vanno e vengono, dei pensieri<br />

che scacciamo via e <strong>di</strong> quelli che ritornano per schiacciarci nuovamente. Infondo l'operazione <strong>di</strong><br />

decifrazione dell'inconscio è sempre un operazione “mentale” e per questo menzognera. Pensieri che<br />

pensano altri pensieri. Verità e menzogna si profondono.<br />

Ad un certo punto però, nell'analisi, il desiderio si sgonfia e con lui anche quel significante che<br />

chiamiamo "fallo". Se il desiderio è un sembiante della libido, al<strong>di</strong>là dello schermo fantasmatico della<br />

mente si intravede ciò che non mente: il go<strong>di</strong>mento, ciò che della libido è reale, il corpo che palpita<br />

sotto le maschere identitarie.<br />

Seppur l’analisi finisce, in qualche modo, per l’analisi non ci sarà mai una fine assoluta. Il corpo gode in<br />

silenzio. È con questo corpo che noi ci ritroviamo a parlare.

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