APPUNTI SPECIALE OTTO NOVE DIECI GIUGNO 2012 48 CARLO VIGANÒ
APPUNTI SPECIALE OTTO NOVE DIECI GIUGNO 2012 49 CARLO Paola Francesconi Nel decennale della SLP ricor<strong>di</strong>amo Carlo non solo per la tragica evenienza della sua scomparsa, ma anche perché Carlo è stato un uomo dell’Istituzione, fin da quando ancora la <strong>Scuola</strong> non esisteva, fin dai suoi antecedenti. E’ stato il primo Presidente del Gruppo Italiano della <strong>Scuola</strong> Europea <strong>di</strong> Psicoanalisi, fondata da Jacques-Alain Miller nel 1990. Ho ritrovato un numero <strong>di</strong> Appunti, il 77 del giugno 2000, dei cinque che furono de<strong>di</strong>cati alla storia del movimento psicoanalitico lacaniano in Italia, in cui è contenuto un suo intervento dal titolo, “Una scuola in Italia”, appunto. Ha lavorato all’esistenza dell’Istituzione quando ancora non c’era, è stato fine critico della logica dei gruppi quando occorreva prelevare da essa quanto potesse favorire, come egli <strong>di</strong>ce, la conoscenza reciproca. Sempre in tensione <strong>di</strong>alettica a rappresentare il <strong>di</strong>venire, il voler essere, il voler <strong>di</strong>re, il velleitarismo nel suo versante più creatore e, se si può <strong>di</strong>re così, pragmatico. Il bisticcio non è peregrino, è Carlo stesso, costantemente attraversato da un’inquietu<strong>di</strong>ne generosa, proiettata a far raccogliere alla comunità i frutti del suo operato. Sotto la sua guida cominciammo a nominarci come comunità e iniziammo il cammino che portò poi, non senza momenti <strong>di</strong>fficili, alla costituzione della <strong>Scuola</strong> prima a Milano, presso la Casa della Cultura, nel maggio 2002, dove intervenne Ju<strong>di</strong>th Miller, e poi, 6 mesi dopo, al deposito dello Statuto, a Bologna, il 3 <strong>di</strong>cembre 2002. E’ <strong>di</strong>fficile riassumere questi <strong>di</strong>eci anni e altrettanto <strong>di</strong>fficile fissare in poche parole sintetiche il contributo <strong>di</strong> Carlo, analista fino al punto <strong>di</strong> incarnare un’avversione profonda per ogni forma <strong>di</strong> sintesi, e, piuttosto, profondamente intuitivo nelle osservazioni cliniche e nella finezza nel captare dettagli che potevano sfuggire ai più. Una cosa si può <strong>di</strong>re <strong>di</strong> lui, che <strong>di</strong>ce anche una profonda verità sulla situazione del lacanismo in Italia e della sua storia: la considerazione dell’imprescin<strong>di</strong>bilità dei fenomeni <strong>di</strong> gruppo, l’importanza delle piccole <strong>di</strong>fferenze, che Freud, austriaco, vedeva come una forma <strong>di</strong> narcisismo, ma che, in Italia, Guicciar<strong>di</strong>ni ha nominato e colto come un modo <strong>di</strong> essere, uno stile <strong>di</strong> vita tipicamente, storicamente italiano, ben altro da un solo effetto narcisistico. E seppure ora incoraggiatore, ora critico dei gruppi, a seconda del periodo storico, pre o post istituzionale, egli si è sempre rifiutato <strong>di</strong> essere il sintomo <strong>di</strong> un gruppo. Le due anime profonde della realtà italiana, l’amore per l’istituzione, ma anche per ciò che può metterla in crisi, pur umanizzandola, erano presenti in lui. Fine politico, ma anche trasversale, attento ai giovani, <strong>di</strong>sposto all’ascolto verso tutti i “nuovi venuti”, che si chiamavano in un altro modo allora, “nuovi venuti..a rompere le scatole..” non intrusi, ma quasi. Dico questo perché io stessa, alla fine degli anni settanta, mentre stava per iniziare l’avventura della rivista Freu<strong>di</strong>ana, trovai in lui la prima persona che ascoltò, facendomi grazia dei miei enunciati, le mie ingenue e velleitarie osservazioni, per ascoltarne invece l’enunciazione, <strong>di</strong> un netto entusiasmo anche se un po’ cieco e frettoloso. Si è trattato in quegli anni <strong>di</strong> una “rettificazione” <strong>di</strong> un modo <strong>di</strong> praticare il collettivo. Tale costante rettifica, scelta <strong>di</strong> cosa valorizzare e cosa abbandonare nel corso del <strong>di</strong>venire del nostro legame alla causa analitica in Italia, è quello che ci ha portato, oggi, a considerare l’SLP finalmente al <strong>di</strong> là della logica dei gruppi. Questo è il prezioso risultato: si tratta <strong>di</strong> una sublimazione? Di avere saputo elevare gli oggetti investiti degli interessi particolari alla <strong>di</strong>gnità della Cosa istituzionale, inventando un modo meno chiassoso e più incisivo <strong>di</strong> popolarne il vuoto? Oppure si tratta <strong>di</strong> avere fatto il giro del molteplice delle identificazioni alla causa per estrarne un modo, singolare a ciascuno, <strong>di</strong> un go<strong>di</strong>mento del collettivo? Diamoci appuntamento tra <strong>di</strong>eci anni per vedere se allora avremo la risposta. Forse Carlo, con lo sguardo sicuro e già appuntato a un orizzonte lontano che gli ho visto nei suoi ultimi giorni, lo sa già.