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Erbe e Ricette del Castello Rosa

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indubbio che nel nostro processo di identificazione siamo consapevoli che in<br />

tutti e due i casi si tratta <strong>del</strong>lo stesso frutto.<br />

Quindi anche l’intervento <strong>del</strong>l’artista in qualche modo dà un senso a questo lavoro<br />

e trovo che tutto ciò sia molto bello. Mi hanno colpito in particolare la volontà<br />

e lo sforzo di recuperare quello che fa parte <strong>del</strong>le nostre tradizioni e <strong>del</strong>la<br />

nostra storia e il desiderio di condividerlo con altri.<br />

Vorrei chiudere con un ricordo personale: tra le ricette ne ho individuata una<br />

che faceva parte <strong>del</strong>la mia educazione gastronomica di quando bambino ero<br />

sfollato, a causa <strong>del</strong>la guerra, sui monti dietro Genova e il cibo scarseggiava.<br />

Ricordo il tarassaco bollito condito con l’aceto e un po’ d’olio, era squisito, lo<br />

mangiavo anche crudo tagliato fine come il radicchio.<br />

Per tutte queste ragioni non posso che plaudire a tutti coloro che, in diversi<br />

modi, hanno reso possibile questo riaggancio con l’antica tradizione.<br />

Bene, chiudo questo mio divagare che si è fatto irretire nella inevitabile rete dei<br />

ricordi personali, nella consapevolezza che quando si parla di cucina non si può<br />

che parlare, necessariamente, degli ingredienti e dei dosaggi che consentono di<br />

trasformare una buona ricetta in un concreto piatto da gustare. Io ho buttato qua<br />

e là tanti ingredienti e spero che non ne sia uscita una cucina troppo pesante.<br />

Fiducioso che ciò non sia avvenuto auguro a tutti voi buon lavoro e lascio la parola<br />

all’esperto <strong>del</strong> mestiere che ci illustrerà scopi e finalità meglio di quanto<br />

finora abbia potuto fare io.<br />

ILARIO GNECCO<br />

Il nostro percorso inizia da una stampa <strong>del</strong> ‘600, <strong>del</strong>la quale devo ringraziare il<br />

qui presente signor Chiasserini che si è gentilmente offerto nel reperirla, che<br />

rappresenta la zona di Nervi pedemontana e la parte alta, S. Rocco e S. Ilario.<br />

Vediamo una zona fortemente antropizzata, nonostante un insieme di leggi, che<br />

fanno capo anche al diritto romano che tendeva a qualificare la zona in una<br />

certa maniera, ma soprattutto una legge <strong>del</strong> 39 sulla tutela dei beni ambientali e<br />

culturali.<br />

Nel secondo dopoguerra si è costruito e si è costruito fortemente.<br />

Il nostro percorso inizia da qui ma torniamo indietro di fatto di quasi quattro<br />

secoli, perché in effetti per un percorso storico ambientale dobbiamo partire da<br />

questa rappresentazione.<br />

Cosa ci dice questa rappresentazione? E’ opera <strong>del</strong> pittore fiammingo Cornelio<br />

de Wael e si presume sia la veduta più antica di Nervi, non descrittiva, perché<br />

ce ne sono antecedenti descrittive.<br />

Fermiamoci da un punto di vista sociale ed agricolo. Ci dice che la maggior<br />

parte degli abitanti viveva in questo agglomerato e non viveva di agricoltura,<br />

vediamo infatti casolari abbastanza sparsi nel territorio e quindi la popolazione<br />

era contenuta, ovviamente. Se passiamo a qualcosa di più tecnico vediamo che<br />

non ci sono ancora i terrazzamenti nella fascia pedemontana e più alta, la<br />

sistemazione classica era quella <strong>del</strong> ritocchino.<br />

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