Dispensa Metallurgia 1 - Centro Documentazione Luserna
Dispensa Metallurgia 1 - Centro Documentazione Luserna
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LA METALLURGIA<br />
Il primo metallo comune che l’uomo cominciò a lavorare è il rame nativo,<br />
cioè il rame metallico che si trova allo stato naturale sotto forma di pepite.<br />
L’uomo cominciò a lavorarlo già nel Neolitico (V - IV millennio a.C.),<br />
utilizzando in un primo momento le stesse tecniche impiegate nella<br />
lavorazione della selce: la percussione e il martellamento a freddo.<br />
In seguito (nell’età del rame – III millennio a.C.) l’uomo scoprì che il rame<br />
scaldato sul fuoco era più malleabile, e cominciò a lavorarlo tramite la<br />
ripetizione delle operazioni di riscaldamento e battitura.<br />
Solamente in un periodo successivo imparò che un altro modo per ricavare il<br />
rame era quello di estrarlo dai suoi composti minerali per fusione, tramite un<br />
procedimento molto complesso.<br />
Dopo un certo tempo scoprì che fondendo dello stagno assieme al rame si<br />
otteneva una lega, il bronzo, molto più resistente. Questa scoperta fu così<br />
importante da dare il nome ad un lungo periodo, l’età del bronzo: siamo nel<br />
II millennio a.C., dal 1800 al 1000 a.C.<br />
In Trentino si nota uno sviluppo nella lavorazione del rame a partire dal 1400<br />
- 1300 a.C. (nella media età del bronzo), probabilmente grazie all’influenza<br />
delle popolazioni abitanti l’attuale Austria, dove questo minerale era lavorato<br />
già da un paio di secoli.<br />
1
A CACCIA DI SCORIE!<br />
I processi di lavorazione del rame in tutto il territorio del Trentino sono ben testimoniati dal<br />
ritrovamento di numerosi scarti di fusione, le cosiddette scorie.<br />
“Una scoria è un oggetto di colore nerastro e rugginoso, di varie<br />
forme, e di dimensioni variabili dal centimetro ad un paio o più di<br />
decimetri”<br />
Durante una ricognizione di superficie (una “passeggiata” a caccia di<br />
tracce sul terreno lasciate da attività dell’uomo nel passato), è molto facile trovare questi<br />
scarti di fusione, grazie a due fattori: in primo luogo perchè un forno ne produceva in gran<br />
quantità (pensate che un forno<br />
dell’età del bronzo operante a<br />
buon regime ne poteva produrre<br />
quintali!); in secondo luogo in<br />
quanto, poiché la vegetazione<br />
stenta a crescere lì dove si<br />
trovano gli accumuli di scorie,<br />
esse rimangono abbastanza<br />
visibili in superficie.<br />
Durante il secolo scorso sono state rinvenute molte scorie in diverse<br />
località del Trentino: la presenza di ceramica preistorica, la cui<br />
cronologia (età!) è ben definibile, in associazione ad esse, ha suggerito<br />
una datazione all’età del bronzo recente e finale delle prime<br />
attività metallurgiche che vennero svolte in Trentino.<br />
In Trentino possiamo trovare soprattutto due tipi di scorie:<br />
A scorie grezze: hanno un aspetto grossolano, una<br />
forma bernoccoluta e la superficie irregolare (sono<br />
probabilmente il prodotto della prima fusione);<br />
A scorie piatte: hanno la forma di una lastra e la<br />
superficie si presenta liscia (sono probabilmente il<br />
prodotto delle fusioni successive);<br />
2<br />
Solo un particolare tipo di<br />
fiore cresce senza difficoltà<br />
in presenza di accumuli di scorie, la<br />
Silene Inflata: la sua presenza<br />
abbondante, nei luoghi dove invece<br />
scarseggiano le altre piante, ci può<br />
suggerire la probabile esistenza di un<br />
impianto per la prima lavorazione dei<br />
minerali metalliferi.
GLI ALTIPIANI DI LUSERNA, VEZZENA E<br />
LAVARONE.<br />
Sugli Altipiani di <strong>Luserna</strong>, Vezzena e Lavarone si trova una delle più straordinarie<br />
concentrazioni, di tutta la tarda età del bronzo (XIII - X sec a.C.), di strutture per la<br />
lavorazione del rame.<br />
In particolare, in questa zona si effettuavano le operazioni di arrostimento primario e di<br />
prima fusione dei minerali di rame, cioè quelle operazioni che permettevano di depurare il<br />
minerale dai materiali di scarto e di giungere infine alla produzione di pani di rame (forme<br />
di rame puro al 96%).<br />
L’estrazione del minerale avveniva invece necessariamente altrove:<br />
la zona degli Altipiani è caratterizzata infatti dall’assenza di<br />
minerali cupriferi (di rame).<br />
L’ipotesi più accreditata è che i minerali venissero estratti nel distretto metallifero dell’Alta<br />
Valsugana, dove si trova una notevole quantità di giacimenti ricchi di rame (Calceranica,<br />
Vetriolo, Val di Sella, Val di Fersina, Cinque Valli).<br />
Una volta estratti, i minerali venivano trasportati nella zona degli Altipiani:<br />
qui si poteva infatti trovare una grande quantità di legname , soprattutto<br />
faggio, con il quale si produceva, attraverso la realizzazione delle carbonaie, una buona<br />
qualità di carbone, indispensabile per raggiungere le temperature necessarie ai processi<br />
di fusione;<br />
qui si potevano comodamente trovare anche i cosiddetti fondenti (materiali<br />
usati per facilitare la separazione delle scorie dal metallo), per esempio la selce o il<br />
calcare, rocce di cui è costituito il sottosuolo dell’intero Altopiano;<br />
la presenza di ampi pascoli permetteva poi lo svolgimento<br />
dell’alpeggio, di supporto all’attività metallurgica. Entrambe le attività (pastorizia e<br />
metallurgia) venivano svolte durante il periodo estivo: erano quindi occupazioni stagionali.<br />
I prodotti di malga (latte e derivati) erano molto ricchi di proteine, necessarie per<br />
l’alimentazione di tutte le persone impegnate nel ciclo metallurgico (metallurghi, boscaioli,<br />
carbonai, pastori, malghesi...). Inoltre il bestiame (costituito quasi esclusivamente da capre<br />
3
e pecore) veniva utilizzato per il trasporto dei minerali dal fondovalle verso i siti fusori degli<br />
Altipiani;<br />
infine, era di grande importanza la localizzazione del territorio al confine tra<br />
il “mondo” veneto di pianura e quello retico alpino: il territorio dell’Altopiano di <strong>Luserna</strong>,<br />
Lavarone e Vezzena era, allora come oggi, una zona “di cerniera”, di confine tra il Veneto<br />
e il Trentino, tra la popolazione proto-retica e quella proto-veneta dell’età del bronzo, che<br />
intessevano costanti rapporti commerciali per l’approvvigionamento di metallo (dal<br />
momento che il Veneto è una regione in cui scarseggiano i giacimenti metalliferi).<br />
DOVE SI TROVANO I SITI FUSORI ?<br />
I luoghi dove sono stati rinvenuti questi impianti di lavorazione, in altre parole i cosiddetti<br />
siti fusori, si trovano ad una quota di circa 1300 – 1400 metri s.l.m., l’altitudine ideale per<br />
la crescita del faggio e per l’abbondanza di pascoli.<br />
Sono localizzati in zone perlopiù pianeggianti, in prossimità di corsi d’acqua corrente o<br />
pozze d’alpeggio (quest’ultime utilizzate per l’abbeveraggio delle vacche): l’acqua era<br />
infatti indispensabile durante alcune fasi di lavorazione, soprattutto per la setacciatura dei<br />
frammenti di minerale.<br />
I siti fusori si collocano inoltre in prossimità di importanti nodi viari, al centro delle strade<br />
che dall’Alta Valsugana portavano sugli Altipiani e delle vie di collegamento con la zona<br />
pedemontana.<br />
4<br />
QUALCHE NOME...<br />
Siti fusori sono stati trovati a Platz von Motze di <strong>Luserna</strong>, a Tezze di <strong>Luserna</strong>, a<br />
Millegrobbe, a Malga Rivetta, a Malga Fratte, a Passo Vezzena, in Val Morta e in Val<br />
Scura.<br />
In questa pianta sono<br />
indicati i ritrovamenti<br />
di siti con alta<br />
concentrazione di<br />
scorie!<br />
Sebesta e<br />
Preuschen<br />
sono due<br />
ricercatori che<br />
hanno studiato<br />
le attività<br />
metallurgiche<br />
nella preistoria<br />
dell’Altopiano
QUALI ELEMENTI CI POSSONO ESSERE<br />
UTILI PER IL NOSTRO STUDIO SULLA<br />
METALLURGIA?<br />
Per la ricostruzione del processo metallurgico ci possiamo basare su tre tipi di fonti:<br />
I REPERTI ARCHEOLOGICI. Sono una fonte<br />
diretta, in quanto ogni reperto parla da sé: ci può<br />
infatti fornire numerose informazioni circa il<br />
materiale di cui è fatto, il tipo di attività umana che lo<br />
ha prodotto, ecc... ;<br />
Nel nostro caso sono importanti, oltre agli oggetti<br />
finiti, le materie prime, i forni di fusione, gli attrezzi<br />
usati, i residui della lavorazione (le scorie);<br />
LE FONTI SCRITTE. Sono fonti indirette, in quanto<br />
l’autore ha scelto che cosa comunicare; la prima<br />
trattazione sull’argomento è il Naturalis Historia di<br />
Plinio il Vecchio ( I sec a.C.), ma la fonte più antica<br />
che descrive le effettive operazioni eseguite dai<br />
fabbri è il Diversarum artium schedala, un<br />
manoscritto di un monaco del XII sec. di nome<br />
Teofilo; dobbiamo stare però attenti perchè le<br />
tecnologie si sviluppano nel tempo e subiscono<br />
delle variazioni: non possiamo pensare che nel<br />
Medioevo si usassero le stesse tecniche impiegate<br />
in epoca preistorica.<br />
STUDI ETNOARCHEOLOGICI. Osservare i<br />
metodi delle produzioni artigianali di popolazioni<br />
viventi ancora secondo modi di vita “arcaici”, può<br />
fornire numerose informazioni non solo riguardo agli<br />
aspetti tecnologici delle diverse lavorazioni, ma<br />
anche circa l’organizzazione del lavoro, il numero di<br />
persone necessarie, o indicazioni su come veniva<br />
usato un particolare oggetto, la cui forma a noi può<br />
essere ignota.<br />
5
IL RAME<br />
Simbolo chimico: Cu<br />
Punto di fusione: 1083 °C<br />
Colore: rosso<br />
LA MATERIA PRIMA<br />
È un metallo malleabile (significa che può essere facilmente ridotto in lamine) e duttile<br />
(significa che si può facilmente ridurre in fili).<br />
È un buon conduttore di calore ed elettricità.<br />
Attenzione! Se viene esposto all’umidità si ricopre di una patina verdastra.<br />
Il rame si trova in natura sotto forma di rame nativo o di minerale.<br />
Il rame nativo contiene il 99,9% di rame: si può trovare all’interno di giacimenti sotto<br />
forma di pepite;<br />
I minerali cupriferi (che contengono rame) sono numerosi: i più conosciuti sono la<br />
cuprite (che contiene l’89% di rame), l’azzurrite (55% di rame) e la malachite (58% di<br />
rame).<br />
Il minerale maggiormente usato per la produzione di metallo nel<br />
Trentino nel corso delle epoche passate è però la calcopirite:<br />
un minerale di colore giallo ottone contenente il 35% di rame,<br />
che si trovava molto facilmente nei giacimenti dell’Alta<br />
Valsugana.<br />
Simbolo chimico: Sn<br />
Punto di fusione: 231°C<br />
Colore: bianco argenteo<br />
È un metallo malleabile e duttile.<br />
È molto resistente all’ossidazione e alla corrosione.<br />
6<br />
LO STAGNO<br />
Lo stagno si ottiene soprattutto dalla cassiterite, un minerale diffuso in Inghilterra e in<br />
Germania.<br />
calcopirite<br />
Lo stagno viene miscelato spesso con altri minerali a formare leghe, come il bronzo (lega<br />
rame - stagno), l’ottone (lega rame - zinco - stagno) e il peltro (stagno al 95% - rame -<br />
argento).<br />
L’uomo scoprì la lega di bronzo intorno alla metà del terzo millennio a.C.: si accorse infatti<br />
che aggiungendo una limitata percentuale di stagno (circa il 5-10%) al rame si otteneva un<br />
metallo più resistente.
1) ESTRAZIONE<br />
IL CICLO METALLURGICO<br />
I minerali di rame venivano estratti utilizzando un metodo chiamato arroventamento, che<br />
consisteva nel surriscaldare con grandi fuochi la roccia contenente i minerali,<br />
provocandone così la spaccatura.<br />
Questo procedimento si basa sul fatto che il quarzo, al quale è<br />
spesso associata la calcopirite (il minerale di rame maggiormente<br />
utilizzato in Trentino), se sottoposto ad elevate temperature si dilata,<br />
causando così la rottura della roccia che lo contiene.<br />
Si procedeva in questo modo:<br />
A) si accatastava la legna dove la vena metallifera affiorava in<br />
superficie e poi si appiccava il fuoco;<br />
B) si surriscaldava la roccia, poi si raffreddava con violenti getti<br />
d’acqua fredda, in modo che si formassero più crepe, oppure si<br />
aspettava che si raffreddasse lentamente;<br />
C) la roccia crepata veniva poi percossa con attrezzi simili a<br />
mazze e picconi. A volte si usavano dei cunei o delle zeppe di<br />
legno: una volta bagnato infatti il legno si dilata e allarga le<br />
fessure provocando la spaccatura della roccia;<br />
D) i minerali frantumati venivano trasportati su slitte di legno o<br />
all’interno di gerle di pelle e cuoio, oppure sul dorso di animali<br />
(muli, cavalli, pecore);<br />
E) si procedeva nuovamente con il surriscaldamento della<br />
roccia, seguendo la vena metallifera e creando così delle gallerie,<br />
che venivano sostenute da solide impalcature di legno (si creavano<br />
così delle vere e proprie miniere estrattive).<br />
2) FRANTUMAZIONE<br />
Il materiale così estratto veniva frantumato, per separare il minerale dalla ganga (materiale<br />
sterile di scarto), tramite l’utilizzo di un’incudine e uno strumento percussore (un<br />
semplice ciottolo di pietra dura levigato dall’acqua era un buon percussore).<br />
Vi erano due tipi di incudini: una, chiamata “incudinella ad<br />
percussore<br />
ombelico”, era una lastra di pietra dura di forma più o meno<br />
ovale che veniva utilizzata appoggiandola sulle ginocchia.<br />
Per il continuo martellamento si consumava soprattutto<br />
nella parte centrale, fino a quando non era più utilizzabile;<br />
7<br />
La roccia crepata veniva<br />
percossa con attrezzi simili<br />
a mazze e picconi.<br />
incudine
a quel punto si girava e si lavorava sull’altra faccia, fino a quando anche questa si<br />
deformava: la lastra assumeva così una forma con due conche al centro (due “ombelichi”),<br />
una su ogni faccia.<br />
Il secondo tipo di incudine era di dimensioni maggiori e pesava anche molto di più! Veniva<br />
appoggiata su un piano e si lavorava stando in piedi. Anche queste incudini si<br />
deformavano e venivano rigirate per sfruttare tutte le facce.<br />
macinello<br />
macina a sella<br />
Se il macinello era piccolo si prendeva<br />
con una mano: sulla macina si<br />
disegnavano dei cerchi.<br />
3) ARRICCHIMENTO<br />
A questo punto i granelli di minerale, separati dalla pietra di<br />
scarto, dovevano essere ridotti in farina finissima tramite l’utilizzo<br />
di macine e macinelli, uguali a quelli che si utilizzavano per<br />
frantumare i cereali, ma realizzati con una pietra più robusta.<br />
Dalla forma concava che la macina assumeva a causa dell’usura<br />
deriva il nome di “macina a sella”.<br />
Se il macinello era di piccole dimensioni si prendeva con una<br />
mano e si sfregava sulla macina disegnando dei cerchi. Se era<br />
più grande si teneva con due mani e si faceva scorrere avanti e<br />
indietro sulla macina: così, per azione di sfregamento, i granelli si<br />
riducevano in farina.<br />
La farina di minerale conteneva ancora della ganga, che<br />
doveva essere scartata. Per separarla dai granelli di<br />
minerale si sfruttava la setacciatura naturale dell’acqua<br />
dei torrenti: la farina veniva versata in un ruscello; i granelli<br />
di minerale si depositavano sul fondo, da dove venivano poi<br />
raccolti, mentre la ganga, più leggera, veniva trascinata via<br />
dalla corrente. In alcuni casi si usavano delle vasche di<br />
legno e dei setacci.<br />
8<br />
Se il macinello era grande si teneva<br />
con due mani e si macinava<br />
spostandolo avanti e indietro.<br />
granelli di<br />
minerale<br />
ganga
Possiamo dunque riassumere queste prime fasi di lavorazione nel seguente schema:<br />
4) ARROSTIMENTO<br />
Questa ulteriore fase di lavorazione, chiamata arrostimento, serviva per eliminare lo zolfo<br />
presente nel minerale: la calcopirite è infatti un solfuro doppio di rame e ferro, che doveva<br />
essere trasformato, prima del processo di fusione, eliminando lo zolfo sotto forma di un<br />
gas che si disperdeva facilmente nell’aria.<br />
La farina di minerale veniva posta sopra uno strato di legna; si accendeva il fuoco e lo si<br />
alimentava fino a che il processo non si concludeva, cioè quando finiva la fuoriuscita di<br />
fumo nero con un forte odore di zolfo. Per questa operazione non erano necessarie alte<br />
temperature: bastavano circa 400°C.<br />
9<br />
Lo zolfo veniva eliminato sotto forma<br />
di un fumo nero, molto irritante per gli<br />
occhi e i bronchi.
5) PRIMA FUSIONE<br />
I minerali arrostiti erano pronti per la prima<br />
fusione: venivano collocati in un forno assieme a<br />
del combustibile (carbone di legna, ottenuto nelle<br />
apposite carbonaie) e a dei fondenti (per<br />
esempio la selce o il calcare): l’uso del carbone<br />
consentiva di raggiungere la temperatura<br />
necessaria (900 - 1100°C), mentre l’aggiunta di<br />
fondenti facilitava la separazione delle scorie.<br />
forno<br />
mantice<br />
In questa fase, per alimentare il fuoco, si<br />
immetteva aria nel forno utilizzando i soffioni<br />
(tubi in terracotta a tronco di cono o a forma di L)<br />
e i mantici, costituiti da ugelli (tubicini di<br />
terracotta) collegati ad un sacco di pelle. Per<br />
avere un flusso d’aria maggiore e continuo si<br />
usavano due mantici.<br />
Durante la fusione il rame si concentrava in una miscela chiamata metallina (dopo la<br />
prima fusione la metallina conteneva dal 20% al 40% di rame) separandosi dalle scorie<br />
(formate da materiale sterile e dai minerali inutili). Le scorie, più leggere, galleggiavano<br />
sopra la metallina e al termine del processo, quando la temperatura si abbassava,<br />
venivano eliminate.<br />
10<br />
arrostimento del minerale per<br />
rimuovere la massa dello zolfo<br />
prima fusione del minerale<br />
arrostito (tramite l’uso di carbone<br />
come combustibile)<br />
metallina<br />
(30% di rame)<br />
scorie<br />
arrostimento della metallina<br />
fusione della metallina con<br />
carbone e silice<br />
metallina<br />
(56% di rame)<br />
scorie<br />
arrostimento della metallina<br />
fusione della metallina con<br />
carbone<br />
rame grezzo<br />
(al 90%)<br />
I mantici vengono compressi e sollevati in<br />
modo alternato, in modo da garantire un<br />
flusso continuo d’aria<br />
scorie
I processi di arrostimento e fusione<br />
venivano ripetuti più volte, per espellere<br />
più zolfo possibile ed eliminare le<br />
scorie, fino a che si otteneva una<br />
metallina contenente il 90% di rame.<br />
Il procedimento era lungo e complesso<br />
proprio perchè si cercava di avere<br />
meno scarto possibile!<br />
Per vedere lo schema cha rappresenta i processi di fusione e arrostimento vai alla<br />
pagina successiva!<br />
6) RAFFINAMENTO<br />
Il raffinamento serviva per eliminare le impurità che ancora erano contenute nel rame (in<br />
particolare le tracce di minerali estranei, come ferro, nichel, arsenico, antimonio).<br />
Il metallo veniva perciò fatto fondere lentamente, mescolandolo, e le scorie galleggianti<br />
che si formavano venivano eliminate.<br />
In questo modo si otteneva il rame raffinato, contenente più del 96% di rame<br />
Il rame così ottenuto da questi numerosi e complessi processi veniva<br />
commerciato in pani o lingotti, di peso variabile tra i 100 g e i 7 kg.<br />
Questi pani erano pronti per essere fusi e colati in stampi per la<br />
realizzazione di oggetti di rame o, tramite la miscelatura con lo stagno, di<br />
bronzo.<br />
I pani di rame potevano avere una forma piano- convessa, dovuta al<br />
raffreddamento del metallo all’interno del catino della fornace, ma si<br />
conoscono anche pani o lingotti “a piccone” e “a costola”.<br />
Non ci sono per il momento attestazioni che l’ultimo processo, di colatura,<br />
avvenisse sugli Altipiani di <strong>Luserna</strong>, Vezzena Lavarone; pare infatti che<br />
qui venissero svolti principalmente tutti quei processi che servivano alla<br />
produzione dei pani e dei lingotti di rame, cioè l’arrostimento e la fusione<br />
primaria di cui abbiamo parlato.<br />
11<br />
Ricorda:<br />
dopo ogni fusione la percentuale<br />
di rame nella metallina aumenta;<br />
ad ogni fusione vengono eliminati<br />
composti inutili sottoforma di<br />
scorie;<br />
le scorie venivano recuperate e<br />
sottoposte ad altri processi di<br />
arrostimento e fusione.<br />
lingotto “a<br />
piccone” lingotti “a<br />
costola”<br />
pane di rame a<br />
forma piano -<br />
convessa
I FORNI<br />
I primi forni per l’attività metallurgica erano rudimentali,<br />
costituiti da una semplice fossa scavata nel terreno, nella<br />
quale venivano collocati assieme i minerali e il carbone<br />
(forni a pozzetto).<br />
I forni che si utilizzavano in Trentino per estrarre il rame<br />
dalla calcopirite erano più complessi, a causa della<br />
maggiore laboriosità richiesta da questo minerale.<br />
Si costruivano i forni in zone leggermente sopraelevate rispetto al terreno circostante, e in<br />
prossimità di corsi d’acqua.<br />
Una volta scelto il luogo per la costruzione del forno, si cominciava a predisporre il<br />
crogiolo, una conca più o meno profonda che aveva la funzione di raccogliere e<br />
contenere il metallo fuso.<br />
I crogioli si creavano sistemando, all’interno di una buca scavata nel terreno, uno strato di<br />
sassi e scorie, e ricoprendo il tutto con una superficie di argilla battuta. Tutt’intorno veniva<br />
sistemata una cintura di sassi, sui quali poi si potevano edificare le pareti del forno.<br />
I crogioli avevano una struttura a conca per<br />
raccogliere il minerale fuso; potevano avere una<br />
forma di catino o una forma quadrangolare.<br />
A volte si costruivano dei forni con il piano inclinato,<br />
in modo da permettere la fuoriuscita ininterrotta del<br />
minerale fuso. Innalzando poi la base del forno<br />
sopra il livello del terreno, si facilitava la raccolta del<br />
minerale fuso in conche esterne.<br />
I forni erano dotati di strutture murarie fuori terra, a camino o a cupola, per migliorare il<br />
processo di fusione.<br />
In questo modo era possibile, infatti, ammassare più carbone e minerale, evitare la<br />
dispersione del calore e raggiungere così più alte temperature.<br />
ugello del<br />
mantice<br />
forno a camino<br />
parete di<br />
sassi<br />
crogiolo<br />
13<br />
ugello del<br />
mantice<br />
ugello del<br />
mantice<br />
forno con piano inclinato e<br />
crogiolo di raccolta esterno<br />
forno a cupola<br />
forno a pozzetto<br />
minerale e<br />
carbone<br />
cupola<br />
crogiolo<br />
esterno<br />
crogiolo<br />
crogiolo
forno quadrangolare<br />
ATTREZZI USATI PER L’ESTRAZIONE:<br />
Un importante sito fusorio si trova al passo del Redebus, in<br />
località Acquafredda, dove è stata trovata una piazzola<br />
fusoria con 9 forni di forma quadrangolare, ricavati in batteria<br />
all’interno di un muro di recinzione.<br />
Il recupero, durante lo scavo archeologico, di una quantità di<br />
scorie pari a 1000 tonnellate (pensate un po’... il peso di un<br />
migliaio di automobili dei nostri giorni!) ha fatto capire quanto<br />
intensamente questo sito fusorio fosse stato utilizzato<br />
nell’antichità e ha sottolineato la sua notevole importanza<br />
nell’ambito delle attività metallurgiche che si svolgevano su<br />
questi territori durante l’età del bronzo.<br />
GLI ATTREZZI<br />
strumenti percotenti: mazze di pietra, picconi di legno, corno di cervo e selce; cunei e<br />
zeppe di legno (di quercia, larice o faggio), rastrelli, pale ricavate da scapole bovine e<br />
secchi di legno per la raccolta del materiale;<br />
cunei di<br />
legno<br />
mazze di<br />
pietra<br />
14<br />
pala di<br />
legno<br />
rastrello
slitte di legno, gerle di pelle e di cuoio;<br />
ATTREZZI USATI PER IL TRASPORTO DEL MINERALE:<br />
slitta<br />
di legno<br />
ATTREZZI USATI PER LA LAVORAZIONE DEL MINERALE:<br />
incudini e strumenti percussori di pietra per la frantumazione, macine e macinelli di pietra<br />
per la macinazione, setacci di vimini o pelle di montone per l’arricchimento;<br />
incudine e<br />
strumento<br />
percussore<br />
15<br />
setaccio<br />
gerla di<br />
pelle<br />
macina e<br />
macinello<br />
ATTREZZI USATI PER LA FUSIONE:<br />
soffioni e ugelli in terracotta, mantici composti di sacche di pelle animale, crogioli per<br />
colare il metallo, pinze di legno;<br />
crogioli<br />
pinze di<br />
legno<br />
Soffione di<br />
terracotta mantice
LA REALIZZAZIONE DEL PRODOTTO FINITO<br />
FUSIONE DELLE LEGHE DI BRONZO<br />
mantice<br />
PRODUZIONE DI OGGETTI FINITI<br />
Il metallo fuso (rame o bronzo) veniva<br />
colato dal crogiolo in stampi già predisposti,<br />
che venivano creati in terracotta o in pietra<br />
resistente al calore.<br />
Lo stampo, chiamato matrice, poteva<br />
essere costituito da un solo elemento<br />
(stampo monovalve), sul quale era ricavata<br />
in negativo la forma da riprodurre, oppure<br />
da due elementi speculari che venivano<br />
accostati (stampo bivalve).<br />
Questa tecnica è detta “fusione con<br />
matrice”.<br />
Una volta raffreddato, l’oggetto in metallo<br />
veniva levigato e rifinito con lime e<br />
seghette, e a volte decorato con incisioni<br />
tramite l’uso di alcuni strumenti, come bulini<br />
e ceselli.<br />
Il rame veniva posto in un crogiolo (un recipiente a forma<br />
di ciotola, realizzato in terracotta o in pietra resistente al<br />
calore) assieme ad una piccola quantità di stagno (circa il<br />
5-10%): i due metalli, fusi dal calore del fuoco alimentato<br />
dall’immissione d’aria tramite ugelli e mantici,<br />
mescolandosi, formavano una lega, il bronzo, molto più<br />
resistente del rame puro.<br />
ugello<br />
16<br />
crogiolo<br />
forno<br />
fusione con crogiolo<br />
crogiolo<br />
stampo<br />
bivalve
FUSIONE CON MATRICE MONOVALVE<br />
(forma di fusione costituita da un solo elemento)<br />
FUSIONE CON MATRICE BIVALVE<br />
(utilizzando una forma costituita da due elementi simmetrici accostati)<br />
Un’altra tecnica usata era quella della cera perduta: l’oggetto da produrre veniva<br />
modellato in cera (1) e avvolto da un impasto di argilla (2); una volta che la terracotta si<br />
era consolidata, si sottoponeva il contenitore a calore, in modo che la cera si sciogliesse e<br />
colasse da un apposito foro (3). Lo spazio vuoto veniva poi riempito dal metallo fuso (4),<br />
che prendeva così la forma dell’oggetto da produrre; quando il metallo si era raffreddato,<br />
la forma veniva rotta (5) e l’oggetto veniva rifinito (6).<br />
17
LA VIA DEL RAME<br />
I minerali di rame venivano estratti nel distretto metallifero dell’Alta Valsugana, dove, in<br />
un primo momento (durante l’Eneolitico e l’antica età del bronzo) si praticava anche la<br />
fusione dei minerali.<br />
A partire dal bronzo recente e agli inizi del bronzo finale (XIII - XI sec a.C.) l’attività fusoria<br />
si concentra in aree montane, al di sopra di 1000 metri di quota s.l.m. (Val dei Mocheni,<br />
Tesino e Altipiani di <strong>Luserna</strong>, Vezzena e Lavarone). Questo spostamento sembra mirato,<br />
oltre che all’approvvigionamento di legname, anche al controllo di importanti nodi viari.<br />
Sugli Altipiani di Vezzena, <strong>Luserna</strong> e Lavarone i minerali subivano una prima fase di<br />
lavorazione, volta alla produzione di pani di rame, che venivano commerciati con gli<br />
abitanti delle regioni transalpine e con gli abitanti della pianura padano-veneta, in cambio<br />
di prodotti alimentari e oggetti di artigianato specializzato (in metallo, ambra, osso e pasta<br />
vitrea).<br />
All’interno del flusso di scambi riguardante la pianura, un ruolo importante di intermediario<br />
era svolto da alcuni siti, sull’Altopiano dei Sette Comuni Vicentini, ubicati in posizioni<br />
strategiche sul ciglio delle scarpate di raccordo con la pianura (il villaggio del Bostel a<br />
Rotzo, quello del Monte Corgnon a Lusiana).<br />
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I pani di rame venivano commerciati con la pianura grazie al ruolo di tramite economico<br />
svolto da villaggi situati sulle testate collinari agli sbocchi vallivi, cioè in posizione<br />
strategica a controllo delle principali vie di transito sia di uomini sia di merce e bestiame<br />
(Angarano - presso Bassano -, S.Lucia di Breganze, Caltrano).<br />
Infine, il metallo perveniva in importanti centri produttivi e mercantili situati nella pianura<br />
veronese e rodigina, dove veniva commerciato e scambiato con beni di prestigio (come<br />
ambra e pasta vitrea).<br />
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UN ESPERIMENTO DI ARCHEOMETALLURGIA!<br />
2) IL FUOCO:<br />
si accende il fuoco usando il carbone di legna,<br />
immettendo aria attraverso l’ugello in<br />
terracotta con l’aiuto di due mantici in pelle<br />
azionati in modo alternato<br />
4) LE FORME DI FUSIONE:<br />
si preriscaldano vicino al fuoco le forme di<br />
fusione (in pietra o argilla refrattaria), che<br />
possono essere composte da un solo elemento,<br />
oppure da due elementi accostati<br />
20<br />
1) IL FORNO: si costruisce il forno,<br />
scavando una buca nel terreno e<br />
ricoprendola di argilla refrattaria, cioè<br />
resistente ad alte temperature<br />
3) LA FUSIONE: si pone sui carboni ardenti<br />
un crogiolo, in terracotta o in pietra,<br />
contenente rame e stagno in quantità ben<br />
calcolate
6) GLI OGGETTI:<br />
una volta che il metallo si è<br />
raffreddato, si aprono le forme e si<br />
estraggono gli oggetti. Si notano le<br />
forme grezze, piene di sbaffi di<br />
colature del bronzo<br />
E FINALMENTE...<br />
L’OGGETTO FINITO!!!<br />
21<br />
5) LA COLATURA: con l’aiuto di una<br />
pinza di ferro o un bastone di legno, si<br />
versa il metallo fuso dal crogiolo nelle<br />
forme di fusione già preparate, unendo<br />
i due elementi con lacci di cuoio<br />
7) LA RIFINITURA: infine si<br />
rifiniscono gli oggetti levigandoli su una<br />
superficie dura (ottima è la pietra<br />
arenaria), oppure tramite l’utilizzo di<br />
lime e seghe