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Giornale Italiano<br />
di Medicina Interna<br />
per lo più in ambito accademico, da parte di ricercatori<br />
di differenti università nel mondo (in tal<br />
senso, un rilevante contributo è stato apportato<br />
dal nostro e da altri gruppi operanti presso l’Università<br />
di Chieti). Degno di nota è il fatto che<br />
la maggior parte di queste osservazioni accademiche<br />
si è rivelata perfettamente predittiva di<br />
quanto i trial clinici hanno dimostrato in questi<br />
ultimi anni:<br />
1) la sicurezza gastrointestinale dei Coxib si è<br />
dimostrata nettamente superiore a quella dei<br />
FANS;<br />
2) il naprossene può agire come un antiaggregante<br />
piastrinico e può perciò prevenire alcuni<br />
eventi cardiovascolari;<br />
3) la sicurezza cardiovascolare degli FANS “nonnaprossene”<br />
non è risultata diversa da quella<br />
dei Coxib.<br />
Dalla pubblicazione dello studio VIGOR (rofecoxib<br />
verso naprossene) nel 2000, un alone di<br />
sospetto ha gravato sul rofecoxib e sull’intera<br />
classe dei Coxib, relativamente agli effetti cardiovascolari<br />
di questi farmaci. La scoperta che la COX-<br />
2 espressa nelle cellule endoteliali possa svolgere<br />
un ruolo protettivo contro lo sviluppo di aterosclerosi<br />
perché in grado di generare prostaciclina<br />
(una prostaglandina dotata di proprietà vasodilatanti<br />
ed inibenti l’aggregazione piastrinica) ha<br />
fornito una base molecolare a questi sospetti.<br />
Nel valutare in maniera corretta i dati sul<br />
rischio cardiovascolare dei Coxib, bisogna tenere<br />
a mente due concetti. Il primo è che numerosi<br />
trial negli anni scorsi hanno uniformemente dimostrato<br />
che l’effetto cardioprotettivo di molti farmaci<br />
importanti (beta bloccanti, aspirina, statine,<br />
ACE-inibitori, n-3 PUFA) nel ridurre il rischio cardiovascolare<br />
è relativamente limitato quando<br />
considerato individualmente (riduzioni relative del<br />
rischio intorno al 30%). Il fatto che il contributo<br />
di ciascun mediatore (catecolamine, Angiotensina<br />
II, piastrine ecc.) alle complicanze dell’aterosclerosi<br />
sia relativamente modesto non deve sorprendere,<br />
data la natura multifattoriale dell’aterotrombosi.<br />
Il secondo concetto è che per leggere<br />
in maniera inconfutabile questo effetto dei<br />
farmaci sull’aterosclerosi è necessario osservare<br />
centinaia o migliaia (come nell’Heart Protection<br />
Study [HPS]) eventi cardiovascolari maggiori. Purtroppo<br />
(o per fortuna?), visto l’elevato numero<br />
di farmaci ateroprotettivi normalmente assunti<br />
dai pazienti arruolati in questo tipo di trial, per<br />
avere tutti questi eventi sono necessari studi di<br />
enormi dimensioni (decine di migliaia di pazienti)<br />
e di lunga durata (almeno 3-4 anni). Ora, se<br />
72<br />
2005;4:71-73<br />
guardiamo a cosa si sa relativamente ai Coxib,<br />
vediamo che lo sforzo (ovviamente interessato)<br />
dell’industria (inizialmente MSD e Pfizer, più<br />
recentemente anche Novartis) ha tuttavia avuto<br />
il grande merito di generare circa 70 studi clinici<br />
randomizzati (su 5 diverse molecole). Se invece<br />
volgiamo lo sguardo ai FANS cosa vediamo? Essenzialmente<br />
una grande mancanza di informazioni.<br />
A tal riguardo, basti pensare che nei dossier di<br />
registrazione di alcuni dei FANS più utilizzati (es.<br />
nimesulide e diclofenac), i trial clinici randomizzati<br />
più ampi sono riferiti all’irrisorio numero di<br />
circa 400 pazienti trattati per un breve periodo<br />
(circa un mese). Pertanto, sulla base dei dati oggi<br />
disponibili, non possiamo affermare che i FANS<br />
siano sicuri dal punto di vista cardiovascolare, ma<br />
solo (mestamente) che a oggi non siamo in grado<br />
di rilevare la presenza di un eventuale “segnale”<br />
cardiotossico anche per questi farmaci.<br />
Differente il discorso relativo al confronto tra<br />
Coxib e placebo, dettato dalla volontà di testare<br />
il ruolo di questi farmaci nella prevenzione del<br />
cancro del colon dopo che studi su modelli animali<br />
e studi osservazionali sull’uomo sembravano<br />
suggerire un ruolo di COX-2 nella patogenesi di<br />
tale neoplasia. In tale ambito, come un fulmine<br />
a ciel sereno è arrivato lo studio APPROVe (rofecoxib<br />
vs. placebo per tre anni nella chemioprevenzione<br />
dell’adenoma colon-rettale), i risultati<br />
del quale (6300 anni-paziente, 33 eventi cardiovascolari<br />
maggiori nel gruppo rofecoxib verso 16<br />
nel gruppo placebo) hanno portato la Merck alla<br />
decisione di ritirare “spontaneamente” il rofecoxib<br />
dal mercato. Circa un mese dopo questo studio,<br />
al meeting annuale dell’American Heart Association<br />
(la principale rassegna mondiale di cardiologia)<br />
è stata presentata una meta-analisi<br />
degli studi controllati con valdecoxib (verso placebo)<br />
che evidenziava la presenza di un “segnale”<br />
cardiotossico simile a quello dello studio APPROVe.<br />
A metà dicembre, il National Cancer Institute ha<br />
interrotto prematuramente uno studio con celecoxib<br />
verso placebo (lo studio Adenoma Prevention<br />
with Celecoxib o APC) perché i pazienti trattati<br />
(doppia somministrazione giornaliera) con 400<br />
o 800 mg di celecoxib mostravano un rischio di<br />
eventi cardiovascolari aumentato. Al contrario,<br />
uno studio sponsorizzato dalla Pfizer (il Prevention<br />
of Spontaneous Adenomatous Polyps o Pre-<br />
SAP) e con disegno identico (la sola sostanziale<br />
differenza era la somministrazione una sola volta<br />
al giorno del farmaco), non ha mostrato alcun<br />
incremento del rischio nei pazienti trattati con<br />
400 mg di celecoxib rispetto al placebo. Nel complesso,<br />
i due studi avevano randomizzato circa