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Commento del Seminario I di Jacques Lacan 2

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nel mondo simbolico, nel mondo <strong>del</strong>la parola: questo posto è ciò da cui <strong>di</strong>pende che<br />

egli abbia o meno il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> chiamarsi in un certo modo.<br />

Ciò che <strong>Lacan</strong> cerca <strong>di</strong> simbolizzare nel suo schema, attraverso le inclusioni<br />

immaginarie <strong>di</strong> oggetti reali, e inversamente attraverso la presa <strong>di</strong> oggetti immaginari<br />

all’interno <strong>del</strong> recinto reale, è che il simbolico si genera sull’immaginario. Sono<br />

evidenti in Dick le immaginificazioni <strong>del</strong> mondo interno, pronto ad affiorare sotto i<br />

nostri occhi. Dick gioca al contenente e al contenuto. Si vede che ha entificato in certi<br />

oggetti (ad esempio nel trenino) un certo numero <strong>di</strong> tendenze e <strong>di</strong> persone (se stesso<br />

ad esempio, che in quanto trenino è in rapporto al padre, il grande treno). Insomma, si<br />

vede che c’è un certo numero <strong>di</strong> oggetti significativi, anche se in numero<br />

estremamente ridotto. Lo spazio nero è assimilato all’interno <strong>del</strong> corpo <strong>del</strong>la madre in<br />

cui si rifugia. Ma quello che non si produce è il gioco libero, la congiunzione tra le<br />

<strong>di</strong>verse forme immaginarie e reali degli oggetti: così quando va a rifugiarsi<br />

nell’interno vuoto e nero <strong>del</strong> corpo materno, gli oggetti non ci sono perché nel suo<br />

caso il mazzo <strong>di</strong> fiori ed il vaso non possono essere presenti contemporaneamente.<br />

Nella concezione <strong>di</strong> Melanie Klein tutto è su un piano <strong>di</strong> uguale realtà, e questo le<br />

impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> concepire i <strong>di</strong>fferenti settings <strong>di</strong> oggetti primitivi. Non esiste in lei né<br />

una teoria <strong>del</strong>l’immaginario né una teoria <strong>del</strong>l’io. Non può capire che nella misura in<br />

cui una parte <strong>del</strong>la realtà è immaginata, l’altra è reale, e inversamente nella misura in<br />

cui l’una è reale, l’altra <strong>di</strong>viene immaginaria.<br />

Siamo sul piano speculare, sul piano <strong>del</strong>la proiezione. Come chiamare il correlato<br />

<strong>del</strong>la proiezione? Siamo autorizzati a chiamarlo introiezione?<br />

<strong>Lacan</strong> ricorda che in analisi la parola introiezione non è esattamente il contrario <strong>di</strong><br />

proiezione, che si usa soltanto quando si tratta <strong>di</strong> introiezione simbolica.<br />

L’introiezione è sempre introiezione <strong>del</strong>la parola <strong>del</strong>l’Altro: ci troviamo dunque in<br />

una <strong>di</strong>mensione completamente <strong>di</strong>fferente dalla proiezione. Intorno a questa

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