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La liberazione del Mezzogiorno e l'unità nazionale - Consiglio ...

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suo successo avevano ridato vigore a tutta la democrazia italiana, in Lombardia,<br />

in Toscana, in Emilia; nello stesso Piemonte alla minoranza democratica<br />

in lotta contro la maggioranza cavouriana nel Parlamento di Torino si aprivano<br />

per la prima volta (come è stato notato dal Passerin d’Entrèves) possibilità<br />

di gettare forti radici nel Paese. Tutto il movimento democratico <strong>nazionale</strong>,<br />

e non soltanto quello meridionale, era evidentemente impegnato in questa<br />

lotta: ed è significativo l’accorrere a Napoli dei suoi capi e dei maggiori<br />

esponenti <strong>del</strong> pensiero radicale italiano. Tuttavia il <strong>Mezzogiorno</strong> non era soltanto<br />

il terreno di manovra sul quale il movimento democratico occasionalmente<br />

combatteva l’ultima sua grande battaglia politica <strong>nazionale</strong>. A mano a<br />

mano che la rivoluzione meridionale si sviluppava, il movimento garibaldino<br />

intrecciava legami con le forze politiche unitarie e liberali esistenti nel Paese<br />

e con le popolazioni, ed in una certa misura riusciva a farsi interprete <strong>del</strong>le esigenze<br />

che queste forze esprimevano e a rendersi conto <strong>del</strong>le condizioni di<br />

fatto <strong>del</strong> <strong>Mezzogiorno</strong> assai meglio di quanto non facessero gli ex esuli o gli<br />

emissari cavouriani che con la rivoluzione non avevano contatti se non più o<br />

meno apertamente ostili. Probabilmente il frutto più maturo di questo sforzo<br />

di avvicinamento <strong>del</strong> movimento garibaldino alle esigenze <strong>del</strong> <strong>Mezzogiorno</strong><br />

si ebbe in Sicilia con la politica di Mordini di alleanza tra democratici e autonomisti;<br />

ma in generale questo più diretto contatto con la realtà meridionale<br />

fu uno degli elementi che determinarono l’accettazione di posizioni autonomistiche<br />

da parte degli esponenti democratici che fino allora erano stati, per<br />

influenza di Mazzini, rigidamente unitari.<br />

Un rapporto nuovo si era stabilito tra governo e popolo nell’Italia meridionale:<br />

per la prima volta nella sua storia il governo aveva in Sicilia e nel <strong>Mezzogiorno</strong><br />

l’adesione <strong>del</strong>la grande maggioranza <strong>del</strong>le popolazioni. Con la sua<br />

azione personale, e con quella <strong>del</strong> suo stato maggiore politico e militare, Garibaldi<br />

aveva dato un contenuto e un indirizzo politico al loro malcontento: la<br />

bandiera <strong>del</strong>l’unità <strong>nazionale</strong> sotto Vittorio Emanuele, che egli aveva sollevata,<br />

era stata accolta dal popolo meridionale; ciò che aveva consentito di operare<br />

fin dal primo momento un taglio netto col vecchio regime. Né questo<br />

taglio netto era smentito dall’accordo con Liborio Romano al momento <strong>del</strong>l’ingresso<br />

a Napoli: l’accordo ebbe il limitato obiettivo di evitare combattimenti<br />

a Napoli, che il re aveva già abbandonato, e durò troppo poco per poter<br />

essere considerato come un vero patto politico e come l’accettazione <strong>del</strong> programma<br />

conservatore <strong>del</strong>l’ex ministro costituzionale di Francesco II.<br />

A parte l’inconciliabilità tra governo liberale e movimento democratico,<br />

altre contraddizioni <strong>del</strong> movimento garibaldino erano inevitabili e, per il<br />

momento, insuperabili. Sbarcando in Sicilia, Garibaldi aveva emanato decreti<br />

per l’abolizione <strong>del</strong> macinato, la riduzione di alcuni dazi di consumo e la<br />

divisione dei demani; in Calabria aveva preso provvedimenti analoghi per le<br />

terre silane. L’importanza di questi provvedimenti non deve essere sopravva-<br />

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