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La liberazione del Mezzogiorno e l'unità nazionale - Consiglio ...

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<strong>nazionale</strong>. A Vincenzo Salvagnoli che alla fine di settembre suggeriva la via<br />

<strong>del</strong>la dittatura regia da contrapporre a quella di Garibaldi, Cavour rispondeva<br />

di ritenere titolo di gloria per l’Italia di “aver saputo costituirsi a nazione<br />

senza sacrificare la libertà all’indipendenza, senza passare per le mani dittatoriali<br />

di un Cromwell, ma svincolandosi dall’assolutismo monarchico senza<br />

cadere nel dispotismo rivoluzionario”.<br />

Evidentemente queste dichiarazioni corrispondevano all’ispirazione ideale<br />

<strong>del</strong> liberalismo cavouriano, il cui mo<strong>del</strong>lo era l’ordinamento politico ed<br />

amministrativo inglese, fondato su larghe autonomie locali. Ma, nei fatti, gli<br />

incitamenti all’uso <strong>del</strong>la forza, alla repressione, all’accentramento si fanno<br />

sempre più frequenti da parte <strong>del</strong> governo e <strong>del</strong> partito moderato; nessuna<br />

transazione, né con gli autonomisti napoletani, né con quelli siciliani, ai quali<br />

ultimi non si potevano certo rimproverare simpatie per il regime borbonico:<br />

“Si griderà molto meno contro di voi – consiglia Cavour al luogotenente di<br />

Napoli – quando vi si vedrà armato di un frustino menando botte a destra e<br />

a manca”: la maggior parte degli esuli napoletani in Piemonte insiste sulla<br />

necessità di reprimere e di accentrare. Una logica inesorabile sembra trascinare<br />

il governo sulla strada <strong>del</strong> centralismo. Il Farini tenta di avviare una politica<br />

di compromesso con forze ed aspirazioni locali, in base alla considerazione<br />

che “non si può tagliar corto e profondo nella piaga in un giorno” e mantenendo<br />

ferma, naturalmente, l’intransigenza antidemocratica; ma il tentativo<br />

viene aspramente liquidato dalla pressione dei liberali moderati di Torino e di<br />

Napoli. Un contrasto si <strong>del</strong>inea perfino tra Cavour e Vittorio Emanuele, perché<br />

questi è disposto ad accogliere alcune richieste dei democratici (come<br />

quella di lasciare Mordini al governo <strong>del</strong>la Sicilia e di concedere l’amnistia a<br />

Mazzini): Cavour lo considera vittima degli intrighi dei garibaldini e minaccia<br />

ripetutamente le dimissioni.<br />

Ai primi di gennaio <strong>del</strong> ‘61, Farini annuncia “razzie”, come egli le chiama,<br />

contro i borbonici recalcitranti e contro i democratici e chiede ripetutamente<br />

truppe per prevenire o per reprimere; ma ciò non impedisce che anche questa<br />

affermazione di severità e di intransigenza sbocchi in compromessi con gli<br />

elementi più servili <strong>del</strong> passato regime che trovano modo di inserirsi nella<br />

trama <strong>del</strong> nuovo potere.<br />

Questa contraddizione tra indirizzo programmatico e concreta costruzione<br />

politica fu anche la conseguenza <strong>del</strong>la lotta a fondo condotta contro il<br />

governo garibaldino e il partito d’azione. Una volta strappata l’iniziativa al<br />

movimento rivoluzionario, il governo non poté più contare sull’embrionale<br />

sistema di rapporti che il democratismo garibaldino aveva creato tra il movimento<br />

<strong>nazionale</strong> unitario e l’Italia meridionale. L’atteggiamento <strong>del</strong> governo<br />

verso l’esercito dei volontari – che suscitò poi uno dei più violenti e drammatici<br />

dibattiti <strong>del</strong>la nostra storia parlamentare – non fu che un aspetto di quest’opera<br />

distruttiva. “Spazzate senza pietà quelle stalle ripiene <strong>del</strong> letame ber-<br />

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