La liberazione del Mezzogiorno e l'unità nazionale - Consiglio ...
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a differenza che in quello di altri suoi collaboratori, fosse contenuta piuttosto<br />
questa affermazione di un ideale liberale di governo e di Stato che non la difesa<br />
di interessi grettamente regionali, che anzi Cavour aveva combattuto e vinto.<br />
II problema, dunque, è di vedere in che misura questa linea politica – che<br />
a quella concezione <strong>del</strong>lo Stato era strettamente legata – poteva, in questa<br />
fase, dopo che l’iniziativa democratica aveva riaperto la strada al moto unitario,<br />
contribuire al compimento <strong>del</strong>l’unità <strong>nazionale</strong>; e, dall’altro lato, costituire<br />
in concreto il valido fondamento per l’inserimento effettivo <strong>del</strong>le regioni<br />
liberate nella nuova compagine statale.<br />
Non c’è dubbio che, ad un certo momento, l’azione <strong>del</strong> governo piemontese<br />
rese più difficile lo svolgimento vittorioso <strong>del</strong>la guerra rivoluzionaria. <strong>La</strong><br />
violenta campagna per l’annessione immediata <strong>del</strong>la Sicilia al Piemonte, condotta<br />
quando l’esercito rivoluzionario non aveva ancora liberato tutta l’isola,<br />
aveva lo scopo preciso di limitare alla Sicilia l’impresa garibaldina e di impedire<br />
lo sviluppo <strong>del</strong>la guerra sul continente; inoltre, essa incrinava di fatto<br />
quella solidarietà che la rivoluzione aveva creato e sulla quale poggiava la dittatura<br />
di Garibaldi e la prospettiva di successo per l’ulteriore svolgimento<br />
<strong>del</strong>le operazioni.<br />
Probabilmente, Giuseppe <strong>La</strong> Farina – inviato da Cavour in Sicilia per sollecitare<br />
l’annessione – andò, nell’eseguire la missione che gli era stata affidata,<br />
oltre le intenzioni di Cavour, che non erano quelle di provocare una rottura<br />
con Garibaldi.<br />
Comunque, il fallimento <strong>del</strong> tentativo di impedire a Garibaldi di passare<br />
sul continente apparve chiaro dopo la vittoria di Milazzo, che fece ancora<br />
aumentare grandemente il prestigio di Garibaldi e <strong>del</strong> suo esercito, rafforzato<br />
per l’arrivo di nuovi volontari e di armi moderne ed efficienti dall’Italia<br />
centro-settentrionale e per l’afflusso di forze locali, la cui utilizzazione diventava<br />
ora più regolare.<br />
Cavour accolse con entusiasmo la notizia <strong>del</strong>la vittoria, che innalzava di<br />
fronte al mondo il nome degli italiani; ma il problema di togliere l’iniziativa<br />
a Garibaldi e ai democratici si poneva ora con più forza: la rivoluzione aveva<br />
creato o stava creando in Italia le condizioni in cui lo stesso indirizzo moderato<br />
<strong>del</strong> governo centro-settentrionale poteva essere messo in pericolo.<br />
Consapevole che era ormai impossibile impedire a Garibaldi di passare sul<br />
continente, il 1° agosto Cavour scrisse a Nigra esponendo il suo piano: “Benché<br />
il nostro partito sia già preso, nell’ipotesi di un successo completo <strong>del</strong>l’impresa<br />
di Garibaldi sul Regno di Napoli, credo che sia nostro dovere di fronte<br />
al Re e all’Italia fare tutto quello che dipende da noi perché essa non si realizzi.<br />
C’è un solo modo per raggiungere questo obiettivo: far cadere il governo<br />
di Napoli prima che Garibaldi passi sul continente o se ne impadronisca.<br />
Una volta partito il Re da Napoli, prendere il governo nelle nostre mani in<br />
nome <strong>del</strong>l’ordine e <strong>del</strong>l’umanità, togliendo dalle mani di Garibaldi la direzio-<br />
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