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Testimonianza <strong>della</strong> fede e prossimità diaconale nel vissuto<br />

ecclesiale: La carità come giustizia<br />

(Aspetto patristico)<br />

Premessa<br />

Il tema proposto non ha pretese di scientificità, e tanto meno di esaustività. È una<br />

breve indagine in funzione pastorale, che individua solamente alcune direttrici presenti<br />

nella Chiesa dei primi secoli e le <strong>il</strong>lustra alla luce delle testimonianze dell’epoca<br />

patristica, liberamente e forse arbitrariamente scelte, con l’intento di favorire una<br />

riflessione in chiave pastorale all’interno <strong>della</strong> Chiesa attuale.<br />

I. La situazione ecclesiale nei secoli III e IV<br />

Nei secoli III e IV la Chiesa intensifica la sua attività e si espande sia nelle regioni<br />

orientali che in quelle occidentali: da Alessandria a Catagine, dalla Spagna alla Gallia,<br />

dall’Irlanda alla Mesopotamia. La nuova religione provoca un lento e inarrestab<strong>il</strong>e<br />

mutamento sociologico e culturale, rompendo la stratificazione consolidata <strong>della</strong> società<br />

pagana e penetrando gradualmente in tutti gli strati <strong>della</strong> cittadinanza romana. Le<br />

comunità cristiane sparse in tutto l’impero romano, accolgono ovunque uomini di<br />

diversi per età, sesso, condizione e rango sociale, lingua e razza. D’altra parte, i cristiani<br />

non introducono un differente genere di vita, ma instaurano rapporti profondamente<br />

rinnovati tra di loro e con <strong>il</strong> mondo esterno e si assumono le loro responsab<strong>il</strong>ità nel<br />

sociale e nel politico.<br />

Dopo <strong>il</strong> regno di Commodo e la dinastia Severiana (180-235), in cui i cristiani<br />

avevano potuto sperimentare una sostanziale tolleranza e alcuni laici, accogliendo<br />

l’invito di Celso nel Discorso vero (177), avevano avviato importanti esperienze di<br />

collaborazione con l’imperatore, a partire dalla metà del III secolo si assite a una<br />

recrudescenza delle persecuzioni (Decio, Valeriano, Diocleziano e Galerio), che<br />

provocano una conseguente battuta d’arresto nel dialogo avviato tra Chiesa e impero<br />

prima <strong>della</strong> pace costantiniana.<br />

In questo periodo, si radicalizza lo scontro tra i costumi cristiani e quelli pagani.<br />

Quale linea di condotta si dovrà tenere nei confronti <strong>della</strong> società pagana? La pastorale<br />

si sforzerà di rispondere a questo quesito. Tertulliano e Cipriano, Clemente<br />

d’Alessandria e Origene saranno i moralisti che metteranno a fuoco le esigenze<br />

cristiane, nella vita personale e fam<strong>il</strong>iare, sociale e politica. Dal punto di vista<br />

organizzativo la Chiesa in questo periodo si rafforza e si struttura, guidando le scelte<br />

pratiche dei credenti nella vita quotidiana, tra schiavi e padroni, tra ricchi e poveri, tra<br />

uomini e donne.<br />

Con l’ascesa di Costantino, che concede la libertà ai cristiani dopo due secoli di<br />

persecuzioni, la Chiesa, liberata dall’oppressione, impara a misurarsi con una prova<br />

ancora più insidiosa e temib<strong>il</strong>e rispetto all’aperta ost<strong>il</strong>ità di prima, e cioè con la<br />

protezione e l’ingerenza dello dello Stato nelle questioni interne. Per valutare la<br />

minaccia in tutta la sua gravità, basti ricordare che l’iniziativa di convocare <strong>il</strong> conc<strong>il</strong>io di<br />

Nicea (325) è presa dall’imperatore non ancora battezzato, e non dal papa. La<br />

commistione politica nel governo <strong>della</strong> Chiesa minaccia seriamente l’ortodossia,<br />

soprattutto in Oriente sotto <strong>il</strong> regno di Costanzo.<br />

Lungo tutto <strong>il</strong> quarto secolo i rappresentanti <strong>della</strong> Chiesa (vescovi e dottori)<br />

dovranno lottare contro l’eresia. Atanasio, Ilario e i tre Cappadoci si impegnano a<br />

1


icucire le profonde fratture causate dall’eresia ariana ed eunomiana e a ricomporre i<br />

contrapposti schieramenti all’interno <strong>della</strong> Chiesa. La seconda metà del IV secolo vede<br />

fiorire quella che gli storici chiamano l’età d’oro dei Padri <strong>della</strong> Chiesa.<br />

La Chiesa è rappresentata da celebri personaggi, pastori e teologi, sia in Oriente<br />

che in Occidente, i quali, formatisi alle scuole <strong>della</strong> cultura pagana, hanno aderito alla<br />

fede cristiana e si sono messi a servizio del Vangelo. La maggior parte di loro ha<br />

ricevuto <strong>il</strong> battesimo in età adulta. Alcuni di loro, dopo gli studi, hanno esercitato una<br />

professione profana. La maggior dei Padri Greci (Cir<strong>il</strong>lo di Alessandria, Crisostomo,<br />

Bas<strong>il</strong>io) ha addirittura seguito una sorta di noviziato presso i Padri del deserto. È l’epoca<br />

dei grandi vescovi <strong>della</strong> Chiesa. L’insegnamento cristiano si trasmette principalmente<br />

per mezzo <strong>della</strong> predicazione e <strong>della</strong> catechesi. I Padri, intellettualmente formati nelle<br />

scuole del tempo, prendono posizione nelle controversie teologiche, ma intervengono<br />

anche in ordine alla formazione morale dei cristiani richiamando i grandi temi <strong>della</strong><br />

giustizia, del rispetto dell’uomo, gettando così le basi di un nuovo ordine sociale.<br />

Alle elargizioni degli aristocratici pagani e alla liberalità dei ricchi, che<br />

concedono regali o assegnazioni per accrescere <strong>il</strong> proprio prestigio, si sostituisce la<br />

carità cristiana rivolta non più ad un ente pubblico (costruzioni pubbliche, feste) ma alla<br />

persona: l’uomo stesso, considerato come soggetto, portatore dell’immagine di Cristo;<br />

all’individualismo imperante e al cinico egoismo privato si contrappongono all’interno<br />

delle comunità cristiane iniziative di solidarietà volte a favorire coloro che si trovano<br />

nel bisogno 1 ; al posto di una religiosità formale rivolta agli dei pagani subentra una fede<br />

più convinta nel Signore Gesù Cristo, <strong>il</strong> Verbo incarnato, Salvatore e Redentore<br />

dell’uomo.<br />

Nelle mutate condizioni, conseguenti alla svolta costantiniana (313), si registrano<br />

però anche fenomeni preoccupanti all’interno <strong>della</strong> Chiesa, quali la mondanizzazione di<br />

una parte del clero, sensib<strong>il</strong>e ai richiami del potere, e le conversioni affrettate, dettate<br />

più da motivi di opportunismo che da profonda convinzione. La diminuzione del fervore<br />

religioso, dovuto all’insufficienza dei motivi di conversione e la tendenza invalsa nel IV<br />

secolo di prolungare senza limiti <strong>il</strong> catecumenato nel timore di ricadere nel peccato<br />

dopo <strong>il</strong> battesimo, spingono i vescovi a reagire all’andazzo comune, adottando iniziative<br />

pastorali più incisive ed energiche, volte a recuperare l’autenticità <strong>della</strong> fede e ad<br />

impedire che fossero disattesi gli impegni battesimali (riorganizzazione dell’istituto del<br />

catecumenato e catechesi di carattere morale).<br />

Tracciando un quadro <strong>della</strong> vita ecclesiale, Cipriano, nel De opere et eleemosynis<br />

(cc. 25ss), denuncia la sordità dei fratelli che non si rendono disponib<strong>il</strong>i a soccorrere i<br />

poveri e i bisognosi e <strong>il</strong> comportamento prevalente <strong>della</strong> comunità cristiana, che<br />

considera poco evangelico. Ciononostante, tra luci e ombre, gradualmente le comunità<br />

cristiane primitive imparano a testimoniare la carità in ambito sociale (assistenza<br />

caritativa), a promuovere la ministerialità, volta a rispondere alle diverse esigenze e ai<br />

bisogni emergenti all’interno <strong>della</strong> comunità ecclesiale e <strong>della</strong> società civ<strong>il</strong>e, e a<br />

proporre itinerari propedeutici alla fede basati sull’ascolto <strong>della</strong> parola di Dio e<br />

sull’incontro personale con Cristo.<br />

1 Tertulliano, scrittore africano <strong>della</strong> fine del II secolo, parla <strong>della</strong> costituzione di «una specie di cassa comune<br />

(quod arcae genus)», che doveva servire da «deposito <strong>della</strong> pietà (deposita pietatis)» per nutrire i poveri e<br />

aiutare i giovani o chi si trovavano in difficoltà (Apologetico 39,5-6: trad.. ripresa da Tertulliano, Apologia<br />

del cristianesimo. La carne di Cristo, a cura di C. Moreschini, Rizzoli, M<strong>il</strong>ano 1984,254-257).<br />

2


II. La fede <strong>della</strong> Chiesa<br />

1. Definizione di fede<br />

La fede ispira e motiva i comportamenti e le scelte del cristiano. La fede è intesa<br />

dai Padri come affidamento a Dio e adesione al mistero di Cristo; la fede è una sorta di<br />

«presa» amorosa che consente al credente di tenersi stretto a Colui che si nasconde nella<br />

notte.<br />

«Con la fede trovai colui che amavo; non lo abbandonerò più; con la presa <strong>della</strong> fede<br />

starò da presso a colui che ho trovato, fino a quando egli non sia dentro i miei penetrali» 2 .<br />

Infiammata dal desiderio di raggiungerelo Sposo, la stessa Chiesa lo cerca con<br />

rinnovato ardore e, mediante la fede, s’affretta ad andargli incontro.<br />

«La Chiesa chiede... che dalle figlie di Gerusalemme per quella fede, per quella<br />

devozione sia risvegliato <strong>il</strong> suo sposo, perché si affretti a raggiungere la sposa, e sia<br />

risvegliato in lei l’amore per lui o anche sia risvegliato lui stesso, perché lo sposo è amore.<br />

Dio, infatti, è amore, come ha detto Giovanni. Ma egli non sopportò di essere risvegliato<br />

dagli altri, perché si affrettava spontaneamente e "uscito dal suo talamo esultava come un<br />

gigante pronto a percorrere la sua via" (Sal 18,6) 3 . Lo vide la sposa, udì la voce di lui che<br />

veniva, e subito, rivolgendosi a lui, disse: "Ecco questi arriva saltando sui monti, balzando<br />

sui colli" (Ct 2,8)» 4 .<br />

Infine, dopo averlo trovato, cerca di trattenerlo, per non dover più separarsi da<br />

Lui.<br />

Come emerge da questi testi, nella prospettiva indicata dai Padri, la fede cristiana<br />

non è intesa come accettazione di una dottrina ma come adesione a un fatto/evento, al<br />

misero del Verbo incarnato, che cambia la nostra esistenza.<br />

«Noi – afferma Gregorio di Nissa – accettiamo <strong>il</strong> fatto» 5 .<br />

Il vescovo di Cesarea, san Bas<strong>il</strong>io Magno, sintetizza i punti fondamentali <strong>della</strong><br />

professione di fede, secondo <strong>il</strong> simbolo di Nicea, sottolineando contemporaneamente la<br />

fedeltà alla Scrittura e alla tradizione apostolica.<br />

2 Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei Cantici, Or. IV, trad. it di C. Moreschini in: Gregorio di Nissa,<br />

Omelie sul Cantico dei Cantici, Roma 1988,158<br />

3 La citazione è presente anche nell'Inno 5 di Ambrogio (Intende, qui regis Israel), str. 5 (W. Bulst [ed.],<br />

Hymni Latini Antiquissimi LXXV. Psalmi III, Heidelberg 1956, 43). Cf. A. Bonato, S. Ambrogio. Inni, M<strong>il</strong>ano<br />

1992, 153-169; Ambroise de M<strong>il</strong>an. Hymnes, texte établi, traduit et annoté sous la direction de J. Fontaine,<br />

Paris 1992, 263-301.<br />

4 Ambrogio, Rim. Giobbe 4,1,3 (SAEMO 4,224-225).<br />

5 Gregorio di Nissa, Grande Catechesi 11,2, tr. it. di C. Moreschini, Gregorio di Nissa, Opere, Torino<br />

1992,158.<br />

3


«Noi crediamo in un solo Dio, Padre Onnipotente, creatore di tutte le cose visib<strong>il</strong>i e<br />

invisib<strong>il</strong>i. E in un solo Signore Gesù Cristo, <strong>il</strong> Figlio di Dio Unigenito, che è stato generato<br />

dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre. Dio da Dio, Luce da Luce. Dio vero da Dio vero;<br />

che è stato generato, non creato; consustanziale (homooúsios) al Padre; per mezzo del quale<br />

tutto è stato fatto, sia le cose del cielo come quelle <strong>della</strong> terra; che per noi uomini e per la<br />

nostra salvezza è disceso e si è incarnato, si è fatto uomo, ha sofferto ed è risuscitato <strong>il</strong> terzo<br />

giorno, è salito al cielo; che verrà a giudicare i vivi e i morti. E allo Spirito Santo» 6 .<br />

La riflessione teologica di Bas<strong>il</strong>io e dei due Gregorii (Gregorio di Nissa e<br />

Gregorio di Nazianzo) contribuìsce notevolmente allo sv<strong>il</strong>uppo <strong>della</strong> fede nicena. È<br />

grazie al loro approfondimento <strong>della</strong> terminologia trinitaria e cristologica di Nicea che si<br />

giunge, dopo <strong>il</strong> 381, a una professione di fede comune <strong>della</strong> Chiesa d’Oriente e<br />

d’Occidente.<br />

La preoccupazione fondamentale dei Cappadoci è quella di approfondire <strong>il</strong><br />

rapporto tra le tre Persone divine e l’unità divina nell’ambito <strong>della</strong> Trinità. In questa<br />

prospettiva, la doppia formula «una sostanza-tre ipostasi» (mía ousía-treîs hypostáseis),<br />

che sintetizza e riformula la dottrina origeniana delle tre ipostasi e quella unitaria dei<br />

Padri occidentali, risulta più soddisfacente dell’homooúsion niceno 7 .<br />

Una formula di fede abbreviata, ispirata al credo battesimale, compare anche in<br />

Gregorio di Nazianzo <strong>il</strong> quale, rivolgendosi al battezzando, osserva:<br />

«Oltre a tutte quese cose, e prima di tutte, conservami <strong>il</strong> buon deposito…; esso<br />

consiste nella confessione di fede nel Padre, nel Figlio, nello Spirito Santo. Questa<br />

confessione di fede te l’affido oggi… e te la consegno come compagna di tutta la vita» 8 .<br />

Infine, lo stesso Gregorio di Nissa, nella Confutazione <strong>della</strong> professione di fede di<br />

Eunomio, pone come riferimento essenziale <strong>della</strong> professione di fede del cristiano la<br />

fede battesimale.<br />

«Noi crediamo, come abbiamo appreso dalle parole del Signore (cf. Mt 28,19), nel<br />

nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, confessando, insieme con questa fede,<br />

anche l’economia attuata per <strong>il</strong> bene degli uomini dal Signore del creato» 9 .<br />

Da questa breve rassegna di testi emerge lo stretto legame tra teologia ed<br />

economia salvifica. C’è un nesso inscindib<strong>il</strong>e tra <strong>il</strong> Dio uno e trino e la salvezza<br />

realizzata da Cristo.<br />

6 Bas<strong>il</strong>io, Lett. CXXV (ed. C. II,33s).<br />

7 La riflessione pneumatologica che porta all’affermazione <strong>della</strong> divinità <strong>della</strong> terza Persona, è più tardiva e ha<br />

come riferimento fondamentale l’esperienza battesimale. Su questo argomento e, in particolare, sul contributo<br />

di Bas<strong>il</strong>io, si veda M. Simonetti, Genesi e sv<strong>il</strong>uppo <strong>della</strong> dottrina trinitaria di Bas<strong>il</strong>io di Cesarea, in Bas<strong>il</strong>io di<br />

Cesarea, la sua età, la sua opera e <strong>il</strong> bas<strong>il</strong>ianesimo in Sic<strong>il</strong>ia, I, Messina 1993, 169-197. Per una sintesi di<br />

tutta la problematica: B. Studer, Dio salvatore nei Padri <strong>della</strong> Chiesa (Trinità-cristologia-soteriologia),<br />

Borla, Roma 1986,198ss.<br />

8 Gregorio di Nazianzo, Or. 40,41 (Moreschini, 146).<br />

9 Gregorio di Nissa, Confutazione <strong>della</strong> professione di fede di Eunomio 4,18 (Moreschini, 595.<br />

4


2. Implicanze <strong>della</strong> fede<br />

La fede è dono di Dio e risposta dell’uomo. C’è quindi una sinergia tra iniziativa<br />

divina e impegno dell’uomo.<br />

«Le azioni giuste e la grazia dello Spirito, quando si trovano insieme, riempiono di<br />

vita beata l’anima su cui convergono, purché restino unite: se si separano non sono di<br />

nessuna ut<strong>il</strong>ità all’anima» 10 .<br />

Le opere buone, che l’uomo compie, non gli assicurano la ricompensa divina,<br />

perché nessun sforzo umano può essere equiparato ai beni promessi 11 , e tuttavia la fede<br />

nel suo stesso dinamismo implica l’unità profonda tra l’azione di Dio e la risposta<br />

dell’uomo, che si traduce nella testimonianza credib<strong>il</strong>e del Vangelo.<br />

«Come la Parola vuole che siano i cristiani, quali discepoli del Cristo: mo<strong>della</strong>ti solo<br />

su ciò che vedono in lui o che da lui odono… Come tralci del Cristo che sono radicati in lui<br />

e in lui portano frutto e fanno tutto ciò che conviene a lui e di lui è degno… Come membra<br />

del Cristo, resi perfetti in ogni operazione dei comandamenti di Dio o dei carismi dello<br />

Spirito Santo, a onore del capo, che è <strong>il</strong> Cristo… Come figli di Dio, formati a immagine di<br />

Dio, secondo la grazia concessa in grazia agli uomini… Come luce del mondo, in modo da<br />

non ammettere <strong>il</strong> male e da <strong>il</strong>luminare coloro che ad essi si accostano affinché conoscano la<br />

verità, e divengano ciò che devono essere o mostrino ciò che sono… Quali la Parola vuole<br />

che siano quelli cui è affidato l’annuncio del vangelo: come apostoli e servi del Cristo ed<br />

encomi fedeli dei misteri di Dio, che adempiono incessantemente, con l’opera e la parola,<br />

soltanto ciò che <strong>il</strong> Signore ha comandato» 12 .<br />

Per la sua intrinseca natura, la fede non può essere disgiunta dalle opere13 . Su<br />

questo tema ritorna frequentemente <strong>il</strong> vescovo Ambrogio (+397), <strong>il</strong> quale, nell’opera<br />

Caino e Abele, esalta <strong>il</strong> coraggio di Zaccheo di rinunciare alla propria avidità e di<br />

destinare parte dei suoi beni ai poveri.<br />

«[… ] Zaccheo, rinunciando alla sua avidità, accolse in sé Cristo. (…) In realtà,<br />

accogliendo Cristo respinse l’avarizia, cacciò l’inganno, rinunciò alla frode. Infatti non<br />

entra altrimenti Cristo se non per allontanare i vizi: perché non coabita assieme ai peccati<br />

(…). Per cui Zaccheo, con i sentimenti di un tempo, costrinse gli antichi vizi ad uscire dalla<br />

sua dimora, perché vi entrasse Cristo. Con ragione, dunque, mentre la gente mormorava<br />

perché <strong>il</strong> Signore si era fermato per andare presso un peccatore, disse al Signore: “Ecco do’<br />

ai poveri la metà dei miei beni: e se ho portato via qualcosa a qualcuno con la frode gli<br />

10 Gregorio di Nissa, Il fine, professione e perfezione del cristiano, Roma 1979,28.<br />

11 Cf. Gregorio di Nissa, Il fine, professione e perfezione del cristiano, 45: «Si gode <strong>della</strong> promessa non in<br />

proporzione agli sforzi compiuti, ma in proporzione alla fede e all’amore per essa. Data la grandezza dei doni<br />

non si possono trovare degli sforzi proporzionati: solo una grande fede e una grande speranza sono in grado di<br />

misurare la ricompensa, prescindendo dagli sforzi; e <strong>il</strong> fondamento <strong>della</strong> fede è rappresentato dalla povertà di<br />

spirito e dall’amore smisurato per Dio».<br />

12 Bas<strong>il</strong>io, Morali, Regola LXXX,1.3-4.8-9.12 (trad. it. a cura di U. Neri, Opere acsetiche di Bas<strong>il</strong>io di Cesarea,<br />

UTET, Torino 1980,201-204).<br />

13 Cf. Giovanni Crisostomo, Omelie su Matteo 24(25),1-2 (PG 57,321-323).<br />

5


endo <strong>il</strong> quadruplo” (cf. Lc 19,7). Con queste parole rispose a coloro che dicevano che non<br />

avrebbe dovuto offrire ospitalità a Cristo, dicendo cioè: “Ormai non sono più un<br />

pubblicano, non sono più lo Zaccheo di una volta, non rubo, non frodo. Rendo quello che<br />

ho sottratto, rendo mentre ero abituato a portare via. Ora distribuisco ai poveri che prima<br />

spogliavo; ora elargisco i miei averi, io che prima dissipavo quelli altrui”. Fuggirono i<br />

peccati dopo che Cristo entrò e fu dissipata la cecità delle passioni <strong>della</strong> carne, là dove si<br />

diffuse la luce <strong>della</strong> vita eterna» 14 .<br />

Ciò che determina <strong>il</strong> radicale cambiamento di vita di Zaccheo è l’incontro con<br />

Cristo, che gli consente di riscoprire la propria dignità e di entrare in un nuovo rapporto<br />

di amore e di fiducia con Lui. Al fine di donare questa nuova libertà all’uomo, Cristo<br />

non ha esitato a farsi egli stesso servo, per amore dell’umanità.<br />

Ma, dal momento in cui l’uomo giunge alla fede, inizia un cammino di crescita<br />

nelle virtù e di impegno etico, poiché<br />

«dalla fede procede la carità, dalla carità la speranza, le quali continuamente<br />

rifluiscono l’una nell’altra come in un’orbita divina (rursus in se sancto quodam circuitu<br />

refunduntur)» 15 .<br />

Le virtù “teologali” <strong>della</strong> fede, speranza e carità s’inseriscono in un dinamismo<br />

circolare, fonte di continuo rinnovamento per <strong>il</strong> cristiano e di indomito slancio<br />

missionario. Le medesime aiutano <strong>il</strong> credente a superare gli ostacoli e le fatiche del<br />

cammino, come emerge appunto dalla presentazione proposta dal vescovo Ambrogio<br />

<strong>della</strong> figura di Levi Matteo, <strong>il</strong> pubblicano che accoglie l’invito di Gesù e lo segue con<br />

grande entusiasmo, abbandonando la vita precedente (Lc 5,33-39).<br />

«“E nessuno getta vino nuovo in otri vecchi” (Lc 5,37). Ecco palesata tutta la<br />

frag<strong>il</strong>ità <strong>della</strong> condizione umana: <strong>il</strong> nostro corpo è paragonato alla pelle essiccata di animali<br />

morti. E magari fossimo in grado di adempiere le funzioni di otri buoni, per poter<br />

conservare con cura <strong>il</strong> mistero che abbiamo ricevuto! L’industriosità attenua <strong>il</strong><br />

deterioramento, se, rinnovati gli otri, <strong>il</strong> vino nuovo viene introdotto in essi. Perciò<br />

dobbiamo conservare sempre pieni questi otri; se sono vuoti, la tignola e la ruggine fanno<br />

presto a rovinarli; la grazia li mantiene colmi. Siffatti consigli si accordano bene con<br />

quest’azione [la chiamata di Levi]; si tratta infatti <strong>della</strong> sesta opera di Gesù, nella quale è<br />

data come una nuova immagine tipologica di Levi. (...) È per prepararlo che <strong>il</strong> Signore gli<br />

dà questi consigli: infatti egli lo stava ormai seguendo tutto lieto, risoluto e con passo<br />

baldanzoso, dicendo: Ormai non faccio più <strong>il</strong> pubblicano, non porto più Levi. Mi sono<br />

svestito di Levi da quando ho rivestito Cristo... seguo soltanto te, Signore Gesù, che sani le<br />

mie ferite. (...) Sono tenuto stretto dalla fede come dai chiodi e sono avvinto come dalle<br />

belle catene dell’amore. Terrò impresso in me ogni tuo comando come un marchio<br />

rovente» 16 .<br />

14 Ambrogio, Caino e Ab. II,16 (SAEMO 2/1,275).<br />

15 Ambrogio, Esp. Luc. VIII,30 (SAEMO 12,307-309).<br />

16 Ambrogio. Esp. Luc. V,26-27 (SAEMO 11,385).<br />

6


Questo radicale cambiamento ha evidenti riflessi sul piano ecclesiale.<br />

«È la Chiesa infatti che custodisce la fede nell’intimo dello spirito, quando professa<br />

la Trinità <strong>della</strong> medesima divinità, quando adora in uguale misura e con uguale venerazione<br />

<strong>il</strong> Padre, <strong>il</strong> Figlio e lo Spirito Santo e li celebra insieme nell’unica maestà, distinguendo<br />

secondo ciò che è proprio di ciascuna persona» 17 . «E siccome “porta” è Cristo, che<br />

esclama: “Colui che passerà attraverso me, sarà salvo” (Gv 10,9), anche la Chiesa può<br />

essere chiamata “porta”, perché essa spalanca ai popoli l’accesso alla salvezza» 18 .<br />

3. La fede operante mediante la carità<br />

Aver fede significa, secondo Agostino (+430), entrare in intima <strong>relazione</strong> con<br />

Cristo e amare le membra del corpo mistico.<br />

«Dice “credere in lui” (cf. Gv 6,29), non “credere a lui”! Sì perché se credete in lui<br />

credete a lui; non però necessariamente chi crede a lui, crede anche in lui. Altrettanto si può<br />

dire riferendoci agli Apostoli: crediamo a Paolo; crediamo a Pietro, ma non crediamo in<br />

Pietro… Che significa dunque credere in lui? Credendo amarlo e diventare suoi amici,<br />

credendo entrare nella sua intimità e incorporarsi alle sue membra. Questa è la fede che Dio<br />

vuole da noi; ma che non può trovare in noi se egli stesso non ce la dà» 19 .<br />

È la fede che ci unisce a Cristo; ma la fede implica l’amore, perché senza la carità<br />

non si può aderire a Lui.<br />

«Crede infatti in Cristo colui che ripone la sua speranza in Cristo e ama Cristo.<br />

Poiché, se ha una fede senza speranza e senza amore, crede nell’esistenza di Cristo, [ma]<br />

non crede in Cristo. Perciò in chi crede in Cristo, in lui Cristo viene, proprio per la fede in<br />

Cristo; egli in certo qual modo si unisce a Cristo e risulta quale membro nel corpo di lui.<br />

Ciò non si può verificare, se non si aggiunge e la speranza e la carità» 20 .<br />

Ne consegue, secondo l’Ipponate, che «ciascuno vive secondo ciò che ama (vivit<br />

quisque quod d<strong>il</strong>igit)» 21 .<br />

«Ora <strong>il</strong> vero amore (vera d<strong>il</strong>ectio) consiste nell’aderire alla verità “per vivere nella<br />

giustizia” (ut inhaerentes veritati iuste vivamus, Tit 2,12)» 22 .<br />

Il “vero amore”, inteso come adesione alla Verità, ci impegna a vivere secondo <strong>il</strong><br />

comandamento nuovo, cioè a d<strong>il</strong>atare la nostra capacità di amare per conformarci <strong>il</strong> più<br />

possib<strong>il</strong>e alla carità di Dio.<br />

17 Ambrogio, Abramo I,38 (SAEMO 2/2,77).<br />

18 Ambrogio, Comm. Sal. 118 XXII,38 (SAEMO 10,423).<br />

19 Agostino, In Ioh. 29,6 (NBA 24/1,656s).<br />

20 Agostino, Serm. 144,2,2 (NBA 31/1,380s).<br />

21 Agostino, Trin. 13,20,26 (NBA IV,556s).<br />

22 Agostino, Trin. 8,7.10 (NBA IV,350s).<br />

7


«Benché vi siano due precetti “dai quali dipende tutta la Legge e i Profeti : l’amore<br />

di Dio e l’amore del prossimo” (Mt 22,40), non è senza motivo che la Scrittura di solito ne<br />

ricorda uno per tutti e due. Talvolta parla solo dell’amore di Dio, come in questo passo:<br />

“Sappiamo che per coloro che amano Dio, egli fa concorrere tutto al bene” (Rm 8,28); ed<br />

in quest’altro: «Chiunque ama Dio, questi è conosciuto da lui» (1Cor 8,3); ed ancora:<br />

«Perché l’amore di Dio è stato diffuso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è<br />

stato dato» (Rm 5,5), ed in molti altri passi. Poiché chi ama Dio è naturale che faccia ciò<br />

che Dio ha prescritto e lo ami, nella misura in cui lo fa. Di conseguenza amerà anche <strong>il</strong><br />

prossimo, perché Dio lo ha comandato. Talvolta la Scrittura ricorda soltanto l’amore del<br />

prossimo, come nel passo: “Sopportate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge<br />

di Cristo” (Gal 6,2); ed in questo: “Tutta la Legge infatti si compendia in questo solo<br />

comando: Ama <strong>il</strong> prossimo to come te stesso” (Gal 5,14); e nel Vangelo: “Tutto quanto<br />

desiderate gli uomini facciano a voi di bene, fatelo voi pure a loro; poiché questa è la<br />

Legge e i Profeti” (Mt 7,12). E noi incontriamo nelle sante Scritture molti altri passi, in cui<br />

solo l’amore del prossimo sembra comandato per la perfezione, mentre non si parla<br />

dell’amore di Dio. E tuttavia la Legge e i Profeti dipendono dall’uno e dall’altro precetto<br />

(cf. Mt 22,40). Ma ancora una volta la ragione di questo s<strong>il</strong>enzio è che chi ama <strong>il</strong> prossimo<br />

ama necessariamente, prima di tutto, l’amore stesso. Ora: “Dio è amore, e chi dimora<br />

nell’amore dimora in Dio” (1Gv 4,8.16). Ne consegue dunque che ama principalmente<br />

Dio» 23 .<br />

L’amore del prossimo è dunque inseparab<strong>il</strong>e dall’amore di Dio, poiché non si può<br />

amare <strong>il</strong> fratello, se non si ama Dio, che è la fonte dell’amore.<br />

«Di qui appunto (cioè da quel che avviene nel corpo umano) l’Apostolo ha tratto<br />

l’esempio che ha voluto darci <strong>della</strong> carità, esortandoci ad amarci a vicenda a quel modo che<br />

nel corpo si amano le membra: “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e<br />

se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e<br />

sue membra, ciascuno per la sua parte” (1Cor 12,26s). Se si amano in tal modo le membra<br />

che hanno un capo sulla terra, come dovranno amarsi le membra <strong>il</strong> cui capo è nel cielo?» 24 .<br />

Per la strettissima unione che c’è tra le membra e <strong>il</strong> capo, amare e aiutare <strong>il</strong><br />

prossimo è amare e aiutare Cristo, che si nasconde nel bisognoso (Mt 25,35-40).<br />

«Quando un cristiano accoglie un cristiano, le membra servono alle membra e <strong>il</strong><br />

capo ne gioisce e conta come dato a sé ciò che si dona a un membro suo. Quaggiù dunque<br />

sia nutrito Cristo affamato, assetato riceva la bevanda, nudo sia vestito, forestiero sia<br />

accolto, infermo sia visitato. Questo è necessario durante <strong>il</strong> viaggio. Così si deve vivere in<br />

23 Agostino, Trin. 8,7.10 (NBA IV,350s).<br />

24 Agostino, Serm. 162/A,1 (NBA XXXI/2,656s). Secondo <strong>il</strong> santo dottore, Serm. 359,9 (NBA XXXIV,316s), la<br />

stessa Chiesa è formata da tutti coloro che vivono la carità e si amano reciprocamente: «La Chiesa consta di<br />

tutti coloro che sono in concordia con i fratelli (ex his omnibus concordiam tenentibus cum fratribus) e che<br />

amano <strong>il</strong> prossimo (amantibus proximum)».<br />

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quest’es<strong>il</strong>io, dove Cristo è bisognoso. È bisognoso nei suoi, ricco d’ogni cosa in se<br />

stesso» 25 .<br />

L’amore del prossimo non solo non esclude nessuno, ma abbraccia ogni persona,<br />

anche quella meno meritevole di aiuto, perché «l’amore di Dio è stato riversato nei<br />

nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).<br />

A quest’amore disinteressato di Dio Agostino fa sovente appello, augurandosi che<br />

esso susciti nei cuori «una qualche scint<strong>il</strong>la di puro amore» in grado di elevare l’uomo<br />

dai desideri egoistici alla contemplazione delle realtà eterne.<br />

«Pertanto, se <strong>il</strong> mio discorso ha trovato nei vostri cuori una qualche scint<strong>il</strong>la di puro<br />

amore per Dio (aliquam scint<strong>il</strong>lam gratuiti amoris Dei), alimentatela. Per farla crescere,<br />

ricorrete alla preghiera, all’um<strong>il</strong>tà, al dolore <strong>della</strong> penitenza, all’amore <strong>della</strong> giustizia, alle<br />

opere buone, alle implorazioni sincere, ad una condotta di vita irreprensib<strong>il</strong>e, all’amicizia<br />

fedele. Sollevate in voi questa scint<strong>il</strong>la di autentico amore (hanc scint<strong>il</strong>lam boni amoris),<br />

aumentatela in voi; quando questa si sarà sv<strong>il</strong>uppata ed avrà suscitato una fiamma<br />

adeguatissima e vivacissima, consuma <strong>il</strong> fieno di tutte le passioni carnali» 26 .<br />

Agostino è convinto che l’amore di Dio, nutrito di sentimenti di pietà, di giustizia,<br />

di carità fraterna, operi una trasformazione dell’esistenza del cristiano orientandola al<br />

dono di sé e consumando in lui ogni traccia di desideri carnali. In tal modo, la carità<br />

rivela e santifica <strong>il</strong> discepolo, testimone di Cristo, poiché lo aiuta a sconfiggere ogni<br />

spinta peccaminosa e lo eleva alla contemplazione delle realtà eterne.<br />

«Perciò giustamente è stato detto: “La più grande di queste è la carità” (1Cor<br />

13,13), perché alla fede succede la visione, alla speranza la sua realizzazione, alla carità<br />

non succede un’altra cosa. È lei che cresce (ipsa crescit), che aumenta (ipsa augetur), lei<br />

stessa che si perfeziona nella contemplazione (<strong>il</strong>la contemplatione perficitur)» 27 .<br />

Infatti, solo amando <strong>il</strong> prossimo si può vedere Dio.<br />

«Sempre, in ogni istante – ammonisce – dovete ricordarvi che dovete pensare<br />

sempre, meditare sempre, ricordare sempre, praticare sempre, compiere sempre alla<br />

perfezione. L’amore di Dio è <strong>il</strong> primo che viene comandato, l’amore del prossimo è <strong>il</strong><br />

primo che si deve praticare. Enunciando i due precetti dell’amore, <strong>il</strong> Signore non ti<br />

raccomanda prima l’amore del prossimo e poi l’amore di Dio, ma mette prima Dio e poi <strong>il</strong><br />

prossimo. Amando <strong>il</strong> prossimo rende puro <strong>il</strong> tuo occhio per poter vedere Dio, come<br />

chiaramente dice Giovanni: “Se non ami <strong>il</strong> fratello che vedi, come potrai amare Dio che<br />

non vedi?” (1Gv 4,20). Ti vien detto: ama Dio. Se tu mi dici: mostrami colui che devo<br />

amare, ti risponderò con Giovanni: “Nessuno ha mai veduto Dio” (Gv 1,18). Con ciò non<br />

devi assolutamente considerarti escluso dalla visione di Dio, perché l’evangelista afferma:<br />

“Dio è carità, e chi rimane nella carità rimane in Dio” (1Gv 4,16). Ama dunque <strong>il</strong><br />

25 Agostino, Serm. 236,3 (NBA XXXII/2,596s).<br />

26 Agostino, Serm. 178,10.11 (NBA XXXI/2,910s).<br />

27 Agostino, Serm. 359/A,4 (NBA XXXIV,324s).<br />

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prossimo, e mira [sc<strong>il</strong>. contempla] dentro di te la fonte da cui scaturisce l’amore del<br />

prossimo: ci vedrai, in quanto ti è possib<strong>il</strong>e, Dio» 28 .<br />

Poiché Dio non può essere in alcun modo conosciuto dall’intelletto umano,<br />

l’uomo deve percorrere un’altra via per giungere all’incontro con Lui: quella dell’amore<br />

del prossimo, che gli consente di vedere/ riconoscere Cristo nel fratello e di dimorare in<br />

Dio, che è Amore.<br />

4. Primato di Dio, che ama in colui che ama<br />

C’è un nesso inscindib<strong>il</strong>e che congiunge i due comandamenti, poiché chi ama Dio<br />

ama necessariamente anche <strong>il</strong> prossimo e chi ama <strong>il</strong> prossimo ama in lui Dio.<br />

«Non crediate, fratelli, che <strong>il</strong> Signore dicendo: “Vi do un comandamento nuovo: Che<br />

vi amiate a vicenda” (Gv 13,34), abbia dimenticato quel comandamento più grande, che è<br />

amare <strong>il</strong> Signore Dio nostro con tutto <strong>il</strong> cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente… È<br />

infatti “su questi due comandamenti che poggiano la legge e i profeti” (Mt 22,37.40). Ma<br />

per chi li intende bene, ciascuno dei due comandamenti si ritrova nell’altro; perché chi ama<br />

Dio, non può non tener conto del suo precetto di amare <strong>il</strong> prossimo; e chi ama <strong>il</strong> prossimo di<br />

un amore sincero e santo, chi ama in lui se non Dio? Questo amore, che si distingue da ogni<br />

espressione di amore mondano, <strong>il</strong> Signore lo caratterizza aggiungendo: “Come io ho amato<br />

voi”. Che cosa, infatti, se non Dio, egli ha amato in noi? Non perché già lo possedessimo,<br />

ma perché lo potessimo possedere; per condurci, come dicevo prima, là dove Dio sarà tutto<br />

in tutti… Amiamoci dunque gli uni gli altri in maniera tale da stimolarci a vicenda,<br />

mediante le attuazioni dell’amore (cura d<strong>il</strong>ectionis), a possedere Dio in noi (invicem ad<br />

habendum in nobis Deum) per quanto ci è possib<strong>il</strong>e. Quest’amore ce lo dà colui stesso che<br />

ha detto: “Come io ho amato voi, così voi amatevi a vicenda” (Gv 13,34). Per questo<br />

dunque ci ha amati, perché anche noi ci amiamo a vicenda. Con l’amarci egli ci ha dato<br />

l’aiuto affinché col mutuo amore ci stringiamo tra noi e, legate le membra da un vincolo<br />

così soave, siamo corpo di tanto Capo» 29 .<br />

L’amore di Dio costituisce per noi non solo l’“esempio” (exemplum) su cui<br />

mo<strong>della</strong>re la nostra esistenza, ma anche la condizione imprescindib<strong>il</strong>e per poterci amarci<br />

reciprocamente e diventare membra del Corpo mistico, unite al Capo, Cristo.<br />

La carità, intesa come fondamento e radice <strong>della</strong> vita cristiana, ha dunque la sua<br />

sorgente in Dio30 , che ci ama per primo e ci dà la capacità di amare <strong>il</strong> prossimo. Inoltre,<br />

secondo <strong>il</strong> vescovo d’Ippona, l’esercizio <strong>della</strong> carità è condizione per sperimentare la<br />

presenza di Dio in noi.<br />

«Cerca come possa l’uomo amare Dio: assolutamente non lo troverai se non nel fatto<br />

che egli ci ha amati per primo. Ci ha dato se stesso come ogetto da amare (dedit se ipsum<br />

quem d<strong>il</strong>eximus), ci ha dato le risorse per amarlo (dedit unde d<strong>il</strong>igeremus). Cosa ci abbia<br />

dato al fine di poterlo amare ascoltatelo in una maniera più esplicita dall’apostolo Paolo,<br />

che dice: “La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori” (Rm 5,5). Ma come? Forse per opera<br />

28 Agostino, In Io. tr. 17,8 (NBA XXIV,400s).<br />

29 Agostino, In Io. tr. 65,2 (NBA XXIV,1142-1145).<br />

30 Cf. Agostino, In Io. tr, 87,1 (NBA XXIV,1276s).<br />

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nostra? No. Ma allora come? “Attraverso l’azione dello Spirito Santo che ci è stato dato”<br />

(ib.). Poiché dunque tanto grande è la fiducia che abbiamo, amiamo Dio attraverso Dio<br />

(amemus Deum de Deo). Senz’altro! Siccome lo Spirito Santo è Dio, noi amiamo Dio<br />

attraverso Dio… Effettivamente, se ho potuto affermare “l’amore di Dio è diffuso nei nostri<br />

cuori attraverso l’azione dello Spirito Santo che ci è stato donato” (ib.), ne segue che,<br />

essendo lo Spirito Santo Dio, noi non possiamo amare Dio se non per mezzo dello Spirito<br />

Santo, cioè non possiamo amare Dio se non attraverso Dio» 31 .<br />

La formula «amemus Deum de Deo» include una grande verità: L’amore non si<br />

vede, lo si sperimenta, ma ciò è possib<strong>il</strong>e solo solo attingendo alla fonte dell’amore, che<br />

è Dio. Dunque, se noi amiamo, è Dio che ama in noi, per cui paradossalmente si può<br />

asserire che, quando noi amiamo Dio, «amiamo Dio attraverso Dio», cioè lo possiamo<br />

manifestare solo per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (cf. Rm 5,5)<br />

La mediazione dello Spirito, d’altra parte, non pregiudica quella del Figlio.<br />

Ambrogio lo dichiara esplicitamente, quando afferma che Cristo è <strong>il</strong> buon samaritano<br />

dell’umanità, <strong>il</strong> quale, mediante l’Incarnazione, si è chinato su di noi e ci ha guariti con<br />

la grazia del perdono e con la Parola che converte e risana32 . Nella sua interpretazione<br />

allegorico-simbolica, che riprende un interessante sv<strong>il</strong>uppo origeniano33 , lo sconosciuto,<br />

caduto nelle mani dei briganti, protagonista <strong>della</strong> parabola lucana, è figura di Adamo <strong>il</strong><br />

quale, «cacciato dal paradiso, cioè dalla celeste Gerusalemme, discese in quella città<br />

(Gerico, simbolo di questo mondo) per <strong>il</strong> passo falso <strong>della</strong> sua prevaricazione» 34 . Egli<br />

diventa quindi immagine dell’uomo decaduto, «sviato dietro i peccati del secolo»,<br />

poiché non ha osservato i comandamenti35 . Il Samaritano rende, invece, visib<strong>il</strong>e <strong>il</strong><br />

comportamento di Dio, che cura le ferite, causate dal peccato, con <strong>il</strong> balsamo <strong>della</strong> sua<br />

parola e con la grazia del perdono36 .<br />

Anche per Gregorio di Nissa (+394ca), che risente parimenti dell’influsso<br />

origeniano37 , questa figura caratterizza tutta la storia <strong>della</strong> salvezza, intesa come<br />

«economia d’amore per l’umanità», culminante nel mistero dell’Incarnazione<br />

redentrice. Il vescovo cappadoce riflette infatti sulle condizioni drammatiche in cui<br />

versa <strong>il</strong> genere umano dopo la tragica caduta causata dal peccato d’origine, e spiega<br />

«[.. ] come l’uomo fosse disceso dall’alto, come fosse incappato nell’agguato dei<br />

briganti, come fosse stato spogliato <strong>della</strong> veste incorruttib<strong>il</strong>e, come avesse ricevuto le ferite<br />

del peccato, e come la morte avesse già invaso metà <strong>della</strong> sua natura, mentre la sua anima<br />

era rimasta immortale; spiega, inoltre, <strong>il</strong> passaggio <strong>della</strong> Legge, che non arreca giovamento,<br />

31 Agostino, Serm. 34,2-3 (NBA XXIX,622-625).<br />

32 Il tema è ripreso da Ambrogio in Esp. Luc. 7,73 (SAEMO 12,146s) e in altre opere, che ho esaminato in un<br />

precedente contributo: Dio nel pensiero di Ambrogio, in DSBP, vol. 14. Dio nei Padri <strong>della</strong> Chiesa, Roma,<br />

Borla, 1996, 207-256, soprattutto 242-245.<br />

33 Si veda <strong>il</strong> parallelo Gerico-mondo e l’identificazione del viandante derubato con l’uomo schiavo del peccato<br />

in Origene, Om. Luc. 34,3-4 (SCh 87,402-405); Om. Giosuè 6,4 (SCh 71,204-207).<br />

34 Ambrogio, Esp. Luc. 7,73 (SAEMO 12,146-147).<br />

35 Cf. Ib.<br />

36 Cf. Ambrogio, Com. Sal. 118 21,5 (SAEMO 10,372s); Esp. Luc. 7,75 (SAEMO 12,148s); Origene, Om. Luc.<br />

34,7 (SCh 87,406s) e, per una più esauriente analisi di questa tematica esegetica in Ambrogio, <strong>il</strong> mio: Dio nel<br />

pensiero di Ambrogio,242-245.<br />

37 Cf., al riguardo, G. Sfameni Gasparro, Variazioni esegetiche sulla parabola del Buon Samaritano, Studi in<br />

onore di Anthos Ardizzoni, Roma 1978,949-1012, soprattutto 962s.<br />

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in quanto né <strong>il</strong> levita né <strong>il</strong> sacerdote curarono le ferite di colui che era incappato nei<br />

briganti: <strong>il</strong> sangue dei capri e dei tori, in effetti, non può togliere i peccati» 38 .<br />

La benignità del Verbo si manifesta, quando appare evidente che né la Legge né i<br />

sacrifici furono in grado di procurare all’uomo la salvezza. Per risollevare l’umanità<br />

decaduta, <strong>il</strong> Buon Samaritano decide allora di prendere su di sé la miseria umana<br />

(caricando l’uomo piagato sulla sua cavalcatura) e di ospitarlo nella locanda del suo<br />

amore, per curarne le ferite causate dal peccato.<br />

«Ma colui che si era rivestito di tutta la natura umana… costui con <strong>il</strong> suo corpo (che<br />

è rappresentato dalla sua cavalcatura), fermatosi nel luogo <strong>della</strong> miseria umana, ne curò le<br />

ferite e lo adagiò sulla sua bestia, e fece in modo che divenisse locanda per l’uomo <strong>il</strong> suo<br />

amore per l’umanità, nella quale si riposano tutti coloro che sono affaticati e afflitti» 39 .<br />

Così, in virtù <strong>della</strong> condiscendenza divina, l’uomo può finalmente attuare <strong>il</strong><br />

comandamento nuovo, perché <strong>il</strong> Verbo divino, inibitando in Lui, lo rende partecipe<br />

<strong>della</strong> vita nuova, dono dello Spirito.<br />

5. Ambiti e manifestazioni <strong>della</strong> carità<br />

La carità si estende in ogni direzione, poiché non ricerca <strong>il</strong> proprio tornaconto (in<br />

privatum: interesse privato) ma <strong>il</strong> bene altrui (in comune: interesse comune).<br />

«Ecco perché la carità, avendo di mira più l’interesse comune che quello privato (in<br />

comune magis quam in privatum), si dice che non cerca <strong>il</strong> proprio tornaconto (quae sua)…<br />

La carità [… ] si esercita a volte nelle opere buone dell’amore, per cui si estende in tutte le<br />

direzioni possib<strong>il</strong>i per venire in aiuto, e questa è la sua larghezza; altra volta con la sua<br />

natura longanime sopporta le avversità e persevera nella difesa <strong>della</strong> verità, e questa è la sua<br />

lunghezza; tutto ciò essa compie per <strong>il</strong> conseguimento <strong>della</strong> vita eterna, a lei promessa<br />

nell’alto dei cieli, e questa è la sua profondità. Questa carità, nella quale in qualche modo<br />

siamo radicati e fondati (Ef 3,17), ha un’origine recondita dove non si possono scandagliare<br />

le cause <strong>della</strong> volontà di Dio per grazia del quale siamo stati salvati, non per le opere di<br />

giustizia fatte da noi, ma in virtù <strong>della</strong> sua misericordia (Tt 3,5). Egli per sua volontà ci ha<br />

generati mediante la parola di verità (Gc 1,18) e questa sua volontà è nascosta nel mistero.<br />

L’Apostolo, quasi spaventato dalla profondità di questo segreto, dice: “O profondità <strong>della</strong><br />

ricchezza, <strong>della</strong> sapienza e <strong>della</strong> conoscenza di Dio! Come sono imperscrutab<strong>il</strong>i i suoi<br />

disegni e imperscrutab<strong>il</strong>i le sue vie! Chi mai ha conosciuto <strong>il</strong> pensiero del Signore?” (Rm<br />

11,33-34). E questa è la profondità dell’amore» 40 .<br />

In questa carità, che permea l’intera esistenza del cristiano, noi siamo «radicati e<br />

fondati» (cf. Ef 3,17): siamo radicati, per costruire un progetto stab<strong>il</strong>e e duraturo; siamo<br />

fondati, perché rimaniamo nell’amore di Dio per sempre, cosicché, anche dopo questo<br />

es<strong>il</strong>io terreno, l’unica nostra occupazione sarà quella di amare <strong>il</strong> Bene supremo, e di<br />

amarlo e lodarlo senza fine e senza stancarci per tutta l’eternità.<br />

38 Gregorio di Nissa, Omelie sul Cantico dei Cantici, XIV (trad. it. A cura di C. Moreschini, Gregorio di Nissa.<br />

Omelie sul Cantico dei Cantici, Citta Nuova, Roma 1988,328).<br />

39 Gregorio di Nissa, Omelie sul Cantico dei Cantici XIV (Moreschini,328s).<br />

40 Agostino, Lett. 140,25.62 (NBA XXII,274-277).<br />

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Quindi osserva <strong>il</strong> santo dottore: «Quale sia la larghezza nelle opere buone, con cui,<br />

come ho già detto, la benevolenza si estende fino ad amare i nemici; quale sia la larghezza,<br />

per sopportare le molestie con longanimità, conforme alla larghezza <strong>della</strong> carità; quale sia<br />

l’altezza, acciocché in cambio di queste opere buone, si speri <strong>il</strong> premio eterno del cielo, non<br />

la vana ricompensa nel tempo; quale sia infine la profondità, da cui deriva la gratuita grazia<br />

di Dio, secondo l’inscrutab<strong>il</strong>e e segreto disegno <strong>della</strong> sua volontà. In questo profondo<br />

amore di Dio siamo radicati e fondati: Siamo radicati, per essere <strong>il</strong> campo da coltivare;<br />

siamo fondati, per essere l’edificio da costruire, e poiché questa non è opera dell’uomo, lo<br />

stesso Apostolo avverte in un altro passo: “Voi siete <strong>il</strong> campo di Dio, voi siete l’edificio di<br />

Dio” (1Cor 3,9). Tutto si compie quando, durante <strong>il</strong> nostro pellegrinaggio terreno, la fede<br />

agisce per mezzo <strong>della</strong> carità (fides per d<strong>il</strong>ectionem operatur). Ma nella vita futura la<br />

perfetta e completa carità, senza soffrire più alcuna pena, non cede per fede ciò che non<br />

vede, ne desidera nella speranza ciò che non possiede, ma contempla in eterno la bellezza<br />

<strong>della</strong> Verità che non muta mai, e l’unica sua eterna occupazione, priva d’inquietudini, sarà<br />

quella di lodare ciò che ama e di amare ciò che loda» 41 .<br />

Agostino sostiene in definitiva che <strong>il</strong> cristiano si realizza in pienezza, solo se si<br />

lascia guidare dalla fede che opera mediante la carità.<br />

III. Testimonianza evangelica e prossimità diaconale nel vissuto<br />

ecclesiale<br />

1. Obiezione di coscienza come risposta alla coercizione del potere<br />

politico.<br />

Nel corso del II e III secolo, i rapporti tra mondo pagano e mondo cristiano<br />

diventano sempre più diffic<strong>il</strong>i. Alla progressiva diffusione del cristianesimo in tutte le<br />

classi sociali e in tutte le regioni dell’impero corrisponde una reazione sempre più forte<br />

e determinata da parte dei rappresentanti <strong>della</strong> cultura pagana, i quali nei loro scritti<br />

cercano di destrutturare la nuova religione che si sta imponendo in tutto l’impero. Quali<br />

sono le ragioni del conflitto?<br />

P. Siniscalco ha recentemente indicato queste motivazioni:<br />

«Per la mentalità pagana [...] <strong>il</strong> cristianesimo nega un elemento centrale su cui<br />

l'impero ha fondato la sua costruzione: la identificazione tra la sfera politico-civ<strong>il</strong>e e la sfera<br />

religiosa; che è anche l’unico elemento intorno a cui l'impero pretende che vi sia <strong>il</strong><br />

consenso dei cittadini. E non senza ragione: <strong>il</strong> fattore religioso per l'uomo antico in genere e<br />

in particolare per i romani dei primi secoli <strong>della</strong> nostra éra è garante del patto sociale; ed<br />

espressione di tale vincolo diviene <strong>il</strong> culto <strong>della</strong> dea Roma e dei “divi imperatores”, che<br />

costituisce la base per la costruzione del tessuto civ<strong>il</strong>e» 42 .<br />

Il cristianesimo è avvertito come una minaccia, poiché nega <strong>il</strong> connettivo su cui si<br />

fonda <strong>il</strong> tessuto sociale: l’identificazione tra sfera politico-civ<strong>il</strong>e e sfera religiosa. Per<br />

41 Agostino, Lett. 140,26.63 (NBA XXII,278s).<br />

42 P. Siniscalco, Il cammino di Cristo nell'impero romano, ed. Laterza, Roma 1983,66.<br />

13


questo motivo i cristiani sono accusati di superstizione e di ateismo, e sono considerati<br />

pericolosi per lo stato in quanto minano l’edificio <strong>della</strong> romanitas. Quest’accusa sarà<br />

loro rinnovata nel V secolo, in occasione del sacco di Roma ad opera dei barbari guidati<br />

da Alarico (410); lo testimonia lo stesso S. Agostino nella Città di Dio. Alla domanda<br />

sul perché Roma crolli sotto l’impeto dei barbari, i pagani rispondono: perché i cristiani<br />

sono i destab<strong>il</strong>izzatori dello Stato.<br />

Data l’inconc<strong>il</strong>iab<strong>il</strong>ità dei due mondi, quello pagano e quello cristiano, <strong>il</strong> conflitto<br />

diventa inevitab<strong>il</strong>e. Per i cristiani, infatti, le due sfere, quella politico-civ<strong>il</strong>e e quella<br />

religiosa, appaiono distinte ma non separate; invece, per i romani esse sono strettamente<br />

congiunte da formare un’unica realtà, asservita allo Stato. Perciò, la presa di posizione<br />

degli Apologisti cristiani fa emergere <strong>il</strong> principio <strong>della</strong> libertà di coscienza.<br />

«Con <strong>il</strong> loro agire i cristiani vogliono mostrare <strong>il</strong> loro rifiuto di prestar culto a dèi<br />

che considerano falsi e identificano con i demoni, mentre i pagani colgono nella loro<br />

condotta un’ost<strong>il</strong>ità dichiarata verso la res publica. A questi ultimi, poi, uno degli atti di<br />

culto più significativi, l’offerta di incenso all'immagine dell'imperatore, appare come una<br />

semplice formalità; ciò che importa è <strong>il</strong> compiere le cerimonie secondo le norme imposte<br />

dall’uso, seguendo dunque formule e riti minuziosamente indicati. Al cittadino non è<br />

richiesta un’adesione interiore e proprio per tale motivo non si pretende che rinunci alle<br />

convinzioni religiose personali e neppure si impedisce che le manifesti mediante atti<br />

esterni, purché non neghi l’omaggio richiesto alle divinità romane e non respinga le<br />

formalità ufficiali» 43 .<br />

Atteggiamenti puramente formali, quali l’offerta dell’incenso all’immagine<br />

dell'imperatore, sono considerati inamissib<strong>il</strong>i per i cristiani. A questi atti esteriori,<br />

svuotati di ogni interiorità, essi opponono <strong>il</strong> principio <strong>della</strong> libertà di coscienza e <strong>della</strong><br />

coerenza. Si fa strada gradualmente <strong>il</strong> convincimento di un legame imprescindib<strong>il</strong>e tra<br />

fede e vita e tra agire morale e giudizio <strong>della</strong> coscienza, che vieta loro tutto ciò che è<br />

contrario alla legge di Dio.<br />

Anche nei confronti del servizio m<strong>il</strong>itare alcuni cristiani obiettano, opponendosi<br />

all’assolutismo dello Stato, che annulla la coscienza dell’individuo, e rifiutando <strong>il</strong><br />

servizio delle armi e ogni forma di idolatria.<br />

Marino, ufficiale dell’esercito, processato e condannato a Cesarea di Palestina nel<br />

262, può essere considerato rappresentante dei soldati martiri, cioè dei cristiani che<br />

accettano <strong>il</strong> servizio m<strong>il</strong>itare ma non gli atti di culto ufficiale e i sacrifici pagani.<br />

Candidato al grado di centurione, egli viene invitato a rinnegare la fede per poter<br />

rivestire questa carica m<strong>il</strong>itare. Gli viene dato <strong>il</strong> tempo di riflettere. Ma egli,<br />

incoraggiato dalle parole del suo vescovo, risponde professando la sua radicale fedeltà a<br />

Cristo: alla m<strong>il</strong>itia saeculi preferisce la m<strong>il</strong>itia Dei. E quando <strong>il</strong> vescovo di Cesarea gli<br />

chiede di scegliere tra la spada, simbolo del potere temporale e strumento di violenza, e<br />

la sacra Scrittura, segno di appartenenza a Cristo, Marino prende una decisione radicale<br />

e confessa coraggiosamente la sua fede schierandosi contro <strong>il</strong> potere idolatrino e<br />

oppressivo.<br />

Un altro esempio di obiezione di coscienza è costituito da Massim<strong>il</strong>iano, che<br />

condannato a morte perché rifiuta di arruolarsi. La vicenda si svolge a Tebessa, in<br />

Numidia (Africa), <strong>il</strong> 12 marzo del 295 dopo Cristo. Protagonista è un giovane di 21<br />

anni, <strong>il</strong> quale, sul punto di essere arruolato, si rifiuta di fare <strong>il</strong> servizio m<strong>il</strong>itare, per non<br />

43 P. Siniscalco, Il cammino di Cristo, p. 70.<br />

14


andare contro la propria coscienza. Massim<strong>il</strong>iano è un continuatore <strong>della</strong> tradizione dei<br />

martiri e può essere considerato rappresentante di coloro che rifiutano nettamente <strong>il</strong><br />

servizio m<strong>il</strong>itare in nome <strong>della</strong> loro fedeltà a Cristo. La sua presa di posizione nasce<br />

dalla convinzione <strong>della</strong> incompatib<strong>il</strong>ità tra fede e servizio m<strong>il</strong>itare.<br />

«Tu puoi tagliarmi la testa, ma io non servirò negli eserciti di questo mondo. Io sono<br />

un soldato del mio Dio… ; <strong>il</strong> mio servizio è presso <strong>il</strong> mio Dio, non posso servire <strong>il</strong> mondo,<br />

te l’ho già detto: sono cristiano…; io sono cristiano e non posso fare <strong>il</strong> male».<br />

E anche quando <strong>il</strong> proconsole Dione gli fa osservare che ci sono anche altri<br />

cristiani che prestano servizio nell’esercito e cerca di convincerlo a prendere <strong>il</strong> distintivo<br />

e ad arruolarsi, egli rimane fermo nella sua posizione, pur manifestando rispetto per chi<br />

la pensa diversamente.<br />

Tutto <strong>il</strong> comportamento di Massim<strong>il</strong>iano è improntato alla radicalità evangelica,<br />

sostenendo la sostanziale incompatib<strong>il</strong>ità tra servizio m<strong>il</strong>itare ed etica cristiana, sempre<br />

latente nella coscienza dei cristiani dei primi secoli, e rifiutando la coercizione dello<br />

Stato, quando questa pretende di erigersi a arbitro delle coscienze. Ciò spiega la netta<br />

opposizione che egli stab<strong>il</strong>isce tra m<strong>il</strong>izia imperiale (m<strong>il</strong>itia Caesaris) e sequela di<br />

Cristo (m<strong>il</strong>itia Christi).<br />

La presa di posizione di Massim<strong>il</strong>iano assume significato profetico: <strong>il</strong> cristiano<br />

rifiuta di servire lo Stato non solo quando esso oltrepassa i propri limiti, imponendo<br />

pratiche religiose contrarie alle convinzioni dei cittadini, ma anche quando i doveri che<br />

esso esige sono in contrasto con la coscienza individuale.<br />

Massim<strong>il</strong>iano rappresenta in definitiva <strong>il</strong> cristiano maturo, pronto a contestare e ad<br />

opporsi ad ogni forma di violenza e di oppressione, disposto a battersi e a pagare di<br />

persona per difendere la dignità dell’uomo e la libertà di coscienza. Possiamo dire<br />

quindi che l’obiezione di coscienza assume, fin dagli inizi dell’era cristiana, significato<br />

di testimonianza evangelica e di critica coraggiosa a un ordinamento statale ingiusto,<br />

che soffoca le profonde aspirazioni dell’uomo e ostacola <strong>il</strong> bene sociale.<br />

2. Carità e pratica <strong>della</strong> giustizia in ambito ecclesiale<br />

Nelle sue omelie e nei commentari biblici, Origene affronta ripetutamente <strong>il</strong> tema<br />

dei ministeri in rapporto alla vita delle comunità cristiane. Da queste pagine trapela qua<br />

e là una certa amarezza e delusione nei confronti di noti esponenti dell’episcopato (tra<br />

cui Demetrio, che lo bandì dal sacerdozio e lo costrinse a lasciare Alessandria, e <strong>il</strong> suo<br />

successore Eracla), ma generalmente <strong>il</strong> tono è misurato e improntato a saggezza<br />

evangelica. L’immagine di Chiesa che si ricava da questi scritti è quella del popolo di<br />

Dio radunato sotto la guida del vescovo, coadiuvato dai presbiteri e dai diaconi. Questa<br />

struttura gerarchica, ormai consolidata nella prima metà III secolo, si arricchisce di altre<br />

componenti del popolo di Dio, tra cui le vedove e le vergini, che svolgono nella Chiesa<br />

un ruolo di assistenza e di educazione cristiana e <strong>il</strong> cui stato Origene non esita a<br />

chiamare «ministero» 44 .<br />

Interpretando <strong>il</strong> monito di Gesù: «Tra voi non sia così» (Mt 20,26), Origene<br />

denuncia <strong>il</strong> pericolo che i ministri <strong>della</strong> Chiesa assumano gli stessi comportamenti di<br />

coloro che detengono <strong>il</strong> potere, anziché atteggiamenti ispirati al Vangelo.<br />

«Se uno vuole essere giudicato grande presso <strong>il</strong> Padre mio e superiore ai propri<br />

fratelli, costui si faccia servo di tutti coloro dei quali vuole essere più grande. Se poi uno<br />

44 Cf. I ministeri nella Chiesa antica. Testi patristici dei primi tre secoli, a cura di E. Cattaneo, ed. Paoline,<br />

M<strong>il</strong>ano 1997,362s; d’ora in poi: I ministeri, pag.<br />

15


ama avere i primi posti anche presso di me, sappia che non sarà primo di nessuno a cui,<br />

potendolo, non avrà prestato un servizio fatto nel modo giusto e con la dovuta um<strong>il</strong>tà, un<br />

servizio capace di giovare a chi lo fa e portare aiuto e conforto a chi lo riceve… Eppure<br />

l’Apostolo prescrive ai signori come comportarsi con i loro domestici: “Voi, signori,<br />

trattate i vostri servi con giustizia ed equità, sapendo che anche voi avete un Signore nel<br />

cielo” (Col 4,1). Insegna poi ai padroni anche a mettere da parte le minacce con i loro<br />

domestici (cf. Ef 6,9). E tuttavia è possib<strong>il</strong>e vedere alcuni vescovi usare duramente delle<br />

minacce, a volte in occasione di un peccato, a volte invece per disprezzo dei poveri,<br />

andando contro la parola dell’Apostolo che dice: “Diedero a me e a Barnaba la loro destra<br />

in [segno] comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi,<br />

purché soltanto ci ricordassimo dei poveri” (Gal 2,9-10). E ancora, essi non si preoccupano<br />

dell’equità verso i sudditi, e non immaginano che si addice sommamente ai cristiani<br />

praticare la modestia e l’equità, specialmente in coloro che portano la dignità di un titolo<br />

ecclesiastico» 45 .<br />

Amministare i beni <strong>della</strong> Chiesa è un compito delicato, che compete ai presbiteri e<br />

ai diaconi sotto la supervisione del vescovo, e che esige prudenza, discernimento e<br />

grande equità. Non si possono, infatti, scialacquare le risorse comunitarie, frutto di tanti<br />

sacrifici e <strong>della</strong> generosità <strong>della</strong> gente, e neppure si può intervenire indiscriminatamente,<br />

senza aver prima valutato la gravità di ogni singola situazione di povertà. Occorre,<br />

invece, vagliare attentamente le cause e i motivi che hanno determinato lo stato di<br />

bisogno di una persona o di una famiglia, e stab<strong>il</strong>ire l’entità dell’intervento caso per<br />

caso, dopo aver sentito <strong>il</strong> parere dei presbiteri, come appare dal «noi» usato da Origene.<br />

«È cosa assai rara trovare [un servo] che sia insieme “fidato e prudente, perché dia”<br />

ai suoi compagni “<strong>il</strong> cibo al tempo dovuto” (cf. Mt 24,25), secondo entrambe le qualità.<br />

Infatti, per “ dare <strong>il</strong> cibo al tempo dovuto”, è necessario che uno abbia la “prudenza”;<br />

perché poi non sottragga <strong>il</strong> cibo dei bisognosi “al tempo dovuto”, è necessaria<br />

l’“affidab<strong>il</strong>ità”. Non è fuori posto questo ammonimento [del Signore] a motivo dei peccati<br />

che spesso sogliono compiere coloro che fanno professione di fede in Cristo e che sono<br />

amministratori delle Chiese. Infatti, secondo <strong>il</strong> senso più semplice [del detto evangelico],<br />

noi – e siamo molti – che abbiamo l’incombenza di distribuire le entrate <strong>della</strong> Chiesa,<br />

dobbiamo essere “fidati e prudenti”. “Fidati” anzitutto, per non “divorare” i beni “delle<br />

vedove” (cf. Mc 15,40; Lc 20,47) e per “ricordarci dei poveri” (cf. Gal 2,10); e perché non<br />

prendiamo <strong>il</strong> detto <strong>della</strong> Scrittura: “Il Signore ha disposto che coloro che predicano <strong>il</strong><br />

Vangelo vivano del Vangelo” (1Cor 9,14), come un pre<strong>testo</strong> per chiedere di più del<br />

nutrimento comune e del vestito necessario, così che non teniamo per noi più di quanto<br />

diamo ai fratelli affamati, assetati e senza vestito, e a coloro che, stando in mezzo alle<br />

preoccupazioni <strong>della</strong> vita, si trovano nel bisogno. Poi “prudenti”, per dare a ciascuno<br />

secondo la sua condizione, ricordandoci del detto: “Beato chi sa capire <strong>il</strong> bisognoso e <strong>il</strong><br />

povero” (Sal 40,3). Infatti, i beni ecclesiastici non devono essere distribuiti senza<br />

discernimento, badando solo a non divorare i beni dei poveri e a non farne oggetto di furto.<br />

45 Origene, Commento a Matteo, 16,8 (Klostermann 491-498; trad. it. ripresa da: I ministeri,423s).<br />

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Invece, dobbiamo vagliare con prudenza le cause per cui uno si trova nell’indigenza e la<br />

condizione di ciascuno: come è stato allevato, quanto ha di bisogno e per quale causa è nel<br />

bisogno. Di conseguenza non vanno trattati allo stesso modo coloro che fin dall’infanzia<br />

sono cresciuti nelle strettezze e senza comodità e quelli che sono stati allevati<br />

nell’abbondanza e negli agi, ma poi sono decaduti. Né vanno amministrate le stesse cose<br />

agli uomini e alle donne, ai molto anziani e ai molto giovani, oppure ai giovani deb<strong>il</strong>itati,<br />

che non possono procurarsi <strong>il</strong> nutrimento, e a quelli invece che possono almeno in parte<br />

provvedere a se stessi. Bisogna poi accertarsi se hanno molti figli, se non sono negligenti,<br />

ma fanno tutto [quanto è in loro], senza essere in grado di provvedere a se stessi. Per non<br />

d<strong>il</strong>ungarmi oltre, diciamo che è necessaria la sapienza a chi vuole amministrare bene le<br />

entrate <strong>della</strong> Chiesa; e se anche in ciò sarà trovato “fidato e prudente amministratore”,<br />

allora sarà reso “beato”» 46 .<br />

Consapevole degli abusi che non di rado avvenivano nelle comunità cristiane e<br />

che, in taluni casi, potevano offuscare <strong>il</strong> volto <strong>della</strong> Chiesa (veri e propri soprusi e furti<br />

ai danni delle vedove e degli orfani), lo scrittore alessandrino sottolinea la necessità<br />

dell’integrità morale dei diaconi o dei chierici, preposti alla distribuzione delle entrate<br />

<strong>della</strong> Chiesa. Richiamando alcuni celebri passi scritturistici in cui si raccomanda<br />

l’amore preferenziale dei poveri (Sal 40,3; Mt 24,25; Mc 15,40 e Lc 20,47; Gal 2,10;<br />

1Cor 9,14), egli sottolinea la necessità che l’apostolo e/o annunciatore del Vangelo sia<br />

‘prudente’ e ‘affidab<strong>il</strong>e’, ossia svolga <strong>il</strong> suo ministero con fedeltà e gratuità,<br />

accontentandosi dell’indispensab<strong>il</strong>e per <strong>il</strong> proprio mantenimento, senza lasciarsi vincere<br />

dall’avidità. Esorta, quindi, i responsab<strong>il</strong>i <strong>della</strong> distribuzione dei beni di prima necessità<br />

ai poveri a «vagliare con prudenza le cause per cui uno si trova nell’indigenza e la<br />

condizione di ciascuno», per provvedere proporzionatamente al bisogno delle singole<br />

persone, e a farlo senza trarne profitto, per non scandalizzare coloro che si trovano in<br />

grave necessità.<br />

2.1. Giustizia come attuazione del comandamento nuovo<br />

La giustizia, secondo <strong>il</strong> vescovo Ambrogio, s’identifica con i comandamenti, che<br />

interpretano le esigenze <strong>della</strong> parola di Dio e sono finalizzati all’amore del prossimo.<br />

Agisce secondo giustizia chi si pone alla scuola <strong>della</strong> parola di Dio e osserva i<br />

comandamenti che contegono le esigenze <strong>della</strong> giustizia; così facendo, egli non solo non<br />

commette azioni contrarie alla Legge, ma diventa testimone di carità e partecipe <strong>della</strong><br />

comunione che si crea tramite <strong>il</strong> vincolo dell’amore fraterno.<br />

«“Giustizia — si dice — è ogni comandamento di Dio” (Sal 118,172), perché questi<br />

sono i comandamenti <strong>della</strong> giustizia (mandata iustitiae) e perciò non possono essere<br />

sprovvisti di giustizia. Comandamento di Dio è amare <strong>il</strong> tuo Dio. Perciò Paolo esclama:<br />

“Chi ama <strong>il</strong> prossimo suo, ha adempiuto la legge. Sta scritto infatti: Non fornicare, non<br />

ammazzare, non rubare, non desiderare, e qualsiasi altro comandamento è ricapitolato in<br />

questa parola” (Rm 13,8-9). Se nella Parola stessa si ricapitola ogni comandamento, perché<br />

la Parola è giustizia (uerbum iustitia) (che cos'è altrettanto giusto dell'amare <strong>il</strong> tuo Dio e<br />

dell'amare <strong>il</strong> tuo fratello?) ne consegue che ogni comandamento di Dio è giustizia (omnia<br />

dei mandata iustitia). Infatti chi può ammazzare <strong>il</strong> fratello, non ama di certo; chi commette<br />

46 Origene, Com. Matteo, ser. 61 (Klostermann 141-142; trad. it. ripresa da: I ministeri, 423s).<br />

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adulterio con la moglie del fratello, non ama certo <strong>il</strong> proprio fratello; chi ruba, chi desidera<br />

la roba d'altri, non ama certo colui che desidera derubare. Allo stesso modo, chi, dall'alto<br />

<strong>della</strong> sua superbia, disprezza <strong>il</strong> fratello; chi cerca in ogni maniera di denigrarlo; chi si<br />

diverte ad offenderlo, non partecipa alla comunità dell'amore (a consortio caritatis<br />

alienus)» 47 .<br />

Assume particolare r<strong>il</strong>ievo in tale con<strong>testo</strong> la formula: consortium caritatis, che<br />

evidenzia l’inscindib<strong>il</strong>e binomio: giustizia-carità in senso cristiano, come sottolinea<br />

l’apostolo Paolo: «pieno compimento <strong>della</strong> Legge (=giustizia) è l’amore» (cf. Rm<br />

13,10).<br />

Superando la concezione f<strong>il</strong>osofica dell’epoca, emerge qui una definizione di<br />

giustizia altamente evangelica: virtù <strong>della</strong> gratuità che ricerca l’ut<strong>il</strong>e altrui, non quello<br />

proprio. Secondo Ambrogio, colui che la pratica si apre generosamente agli altri e si<br />

adopera per promuovere <strong>il</strong> bene comune, anche a scapito del proprio interesse.<br />

«Solo la giustizia è quella virtù che in ogni circostanza, proprio perché la sua natura<br />

è di aprirsi agli altri più che di rinchiudersi in sé (aliis potius… quam sibi), ha ut<strong>il</strong>ità<br />

quotidiana e vantaggio comune (fructu publico); salvaguarda l’ut<strong>il</strong>ità degli altri anche a<br />

costo di un personale svantaggio (suo damno alienas custodit ut<strong>il</strong>itates). È la sola che non<br />

ricavi <strong>il</strong> minimo vantaggio (nih<strong>il</strong>… ut<strong>il</strong>itatis) e che abbia invece <strong>il</strong> massimo merito<br />

(plurimum laudis)» 48 .<br />

Confrontando <strong>il</strong> <strong>testo</strong> delle beatitudini di Matteo (cap. 5,6: «Beati quelli che<br />

hanno fame e sete <strong>della</strong> giustizia») con quello parallelo di Luca (cap. 6,21: «Beati voi<br />

che ora avete fame»), <strong>il</strong> vescovo m<strong>il</strong>anese si convince che i termini «fame» e «sete» nel<br />

primo evangelista vanno intesi in senso spirituale, come partecipazione alla condizione<br />

di chi soffre. Il ricco «solo elargendo diventa giusto (largiendo… iustus)». Sotto questo<br />

prof<strong>il</strong>o, la virtù <strong>della</strong> giustizia diventa «fondamento delle altre virtù (materia quaedam<br />

uirtutum), facendo sì che <strong>il</strong> giusto si renda uguale a chi gli è inferiore<br />

(aequalem…inferioribus praestet), non ricorra all’inganno e vada in cerca <strong>della</strong><br />

verità» 49 .<br />

La giustizia, secondo <strong>il</strong> vescovo pastore, si traduce in atti di misericordia. Essa<br />

infatti presta aiuto all’indifeso, soccorso al bisognoso e manifesta compassione nei<br />

confronti del miserab<strong>il</strong>e. L’occhio dell’uomo misericordioso è per tutti fonte di giustizia<br />

(fons… iustitiae), fonte di bene.<br />

«[… ] Ecco che l’occhio è diventato per te una fonte di bene (fons bonorum). Hai<br />

gettato sulle proprietà di orfani minorenni uno sguardo non di avidità, ma di tutela, e hai<br />

levato un profondo e sentito grido di sdegno, quando hai visto calpestato qualche interesse<br />

di minorenni; ti sei opposto alla persona che voleva occupare i loro terreni (cf. Sal 9,39);<br />

hai reso giustizia all’orfano minorenne (cf. Is 1,17): ecco che l’occhio per te è stato fonte e<br />

scaturigine di giustizia (fons… et origo iustitiae). Hai reso giustizia alla vedova: come una<br />

moneta falsa non è una moneta, così un cattivo giudizio non è un giudizio. L’hai giudicata<br />

47 Ambrogio, Com. Sal. 118 22,21 (SAEMO 10,408-411).<br />

48 Ambrogio, Com. Sal. 118 16,14 (SAEMO 10,182s).<br />

49 Ambrogio, Esp. Luc. 5,65 (SAEMO 11,410s).<br />

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dunque da giudice giusto e buono. Hai visto un disonesto profittatore che pensava di fare<br />

bottino d’una donna priva del sostegno d’un marito (cf. Is 10,2), non hai tollerato l’abuso,<br />

hai portato soccorso all’indifesa, ed ella — con l’aiuto <strong>della</strong> tua protezione — ha potuto<br />

continuare senza danno la sua casta vedovanza, senza vedersi costretta a ricercare sostegno<br />

in un nuovo marito. Il Signore dice per te: “Venite e discutiamo” (Is 1,18), perché tu hai<br />

trattato con giustizia la vedova (cf. Is 1,17). Ecco che <strong>il</strong> tuo occhio è diventato per te fonte<br />

di grazia (fons gratiae)! Hai visto nudo per terra <strong>il</strong> corpo morto di un miserab<strong>il</strong>e; non sei<br />

passato oltre, come quel sacerdote e quel levita di cui si narra nel Vangelo (cf. Lc 10,31-<br />

32), ma subito ne hai avuto compassione e l’hai affidato al conforto <strong>della</strong> sepoltura: ecco<br />

che l’occhio ti ha generato un motivo di redenzione (materiam redemptionis)» 50 .<br />

Fons iustitiae et gratiae, <strong>il</strong> giusto lotta per difendere i diritti dell’orfano e <strong>della</strong><br />

vedova, non s’arrende all’abuso dell’ingiusto profittatore che sfrutta l’indifeso, protegge<br />

i deboli, soccorre i miserab<strong>il</strong>i e i senza tetto. In ogni necessità e situazione di bisogno<br />

interviene come buon samaritano (cf. Lc 10,30-34), che si china a curare le ferite del<br />

prossimo alleviandone la condizione di um<strong>il</strong>iazione con la sua misericordia. Così la sua<br />

presenza diventa motivo di consolazione e di riscatto per quanti sono oppressi da<br />

miserie e disgrazie, e, per ciò stesso, «rallegra <strong>il</strong> cuore degli onesti», ed è motivo di<br />

rimprovero nei confronti dei disonesti 51 .<br />

3. Povertà evangelica e servizio dei poveri<br />

Bas<strong>il</strong>io di Cesarea qualifica la povertà evangelica come la rinuncia al possesso dei<br />

beni in vista <strong>della</strong> sequela del Signore e del soccorso dei fratelli. Si tratta, secondo <strong>il</strong><br />

vescovo cappadoce, di una scelta libera e consapevole, che libera l’uomo<br />

dall’attaccamento alle ricchezze e dall’ass<strong>il</strong>lo dell’accumulo egoistico, e che si colloca<br />

nell’ambito di un cammino ascetico. Commentando <strong>il</strong> versetto di Sal 33,7: «Questo<br />

povero () grida e <strong>il</strong> Signore lo ascolta» alla luce di Mt 5,3 («Beati i<br />

poveri in spirito, perché di essi è <strong>il</strong> regno dei cieli»), l’autore commenta:<br />

«Non sempre la povertà () è lodevole, ma solo quando è scelta<br />

volontariamente in funzione del Vangelo. Molti sono poveri di sostanze, ma predisposti<br />

all’avarizia più gretta: costoro non sono salvati dall’indigenza (☯), bensì<br />

condannati dall’indole. Non qualsiasi indigente è degno di<br />

lode (), ma solo chi pone <strong>il</strong> precetto di Cristo al di sopra dei tesori<br />

del mondo. Costoro <strong>il</strong> Signore proclama beati dicendo: “Beati i poveri in spirito, perché di<br />

essi è <strong>il</strong> regno dei cieli” (Mt 5,3); non i miseri () nelle sostanze, ma<br />

coloro che hanno scelto la povertà dello spirito<br />

( Nulla di ciò che è involontario è<br />

50 Ambrogio, Com. Sal. 118 16,6 (SAEMO 10,174s).<br />

51 Ambrogio, Com. Sal. 118 10,24 (SAEMO 9,424s): «[…] Per i disonesti diventa un tormento conoscere<br />

uomini giusti, perché <strong>il</strong> comportamento dei santi suona per loro come un sia pur tacito rimprovero. La castità<br />

è un tormento per la licenziosità, la generosità è un tormento per l’avarizia, la fede è un tormento per<br />

l’incredulità». Cf. Ilario, Tract. Ps. CXVIII 10,10 (CSEL 22,444).<br />

19


degno di beatitudine : ogni virtù, e soprattutto questa, si<br />

caratterizza per la volontarietà <strong>della</strong> scelta» 52 .<br />

Ciò che qualifica la “povertà evangelica” è l’atteggiamento interiore, ossia la<br />

scelta libera e volontaria di colui che rinuncia alle ricchezze e al benessere materiale per<br />

raggiungere i beni eterni.<br />

«Colui che spartisce i suoi beni con <strong>il</strong> povero si stab<strong>il</strong>irà dalla parte di colui che si<br />

fece povero per noi. Si fece povero <strong>il</strong> Signore: non aver paura neanche tu <strong>della</strong> povertà!» 53 .<br />

La perfezione consiste in ultima analisi nella scelta <strong>della</strong> povertà, intesa come<br />

volontaria rinuncia ai beni e a se stessi per vivere la vita «secondo Dio» e praticare <strong>il</strong><br />

comandamento dell’amore imitando Cristo nella via del servizio e <strong>della</strong> cura amorosa<br />

dei fratelli bisognosi.<br />

3.1. L’elemosina come condivisione<br />

Il soccorso all’indigente mostra, secondo Ambrogio, che <strong>il</strong> diritto di proprietà, pur<br />

legittimo, non va assolutizzato, perché Dio ha voluto che <strong>il</strong> possesso dei beni creaturali<br />

fosse comune a tutti gli uomini (possessionem omnium hominum… communem), in<br />

modo che tutti potessero fruirne in ugual misura.<br />

«Ma [poiché] l’avidità ha ripartito i diritti di proprietà (auaritia possessionum iura<br />

distribuit), è giusto [… ] che, se rivendichi per te qualche possesso privato, che in realtà è<br />

stato attribuito in comune al genere umano, anzi a tutti gli esseri animati, e giusto che<br />

almeno ne distribuisca una piccola parte ai poveri (aliquid… pauperibus aspergas), per non<br />

rifiutare i mezzi di sussistenza (alimenta) ad esseri con i quali hai una comunanza di diritto<br />

(iuris… consortium)» 54 .<br />

Per combattere l’avidità <strong>il</strong> vescovo raccomanda la pratica dell’elemosina, intesa<br />

come testimonianza di carità e di condivisione verso i poveri e come salutare rimedio<br />

che libera dalla morte (cf. Lc 11,41; Tb 12,9; Sir 29,15).<br />

«“Date in elemosina, ed ecco, tutto sarà puro per voi” (Lc 11,41). Vedi quanto sono<br />

grandi i rimedi (quanta remedia)? La misericordia ci purifica (mundat), la parola di Dio ci<br />

purifica, secondo quanto sta scritto: “Voi siete già mondi per la parola che vi ho<br />

annunziato” (Gv 15,3). E non soltanto in questo passo, ma anche in altri comprendi con<br />

quale delicatezza si esprima questa realtà: effettivamente, “l’elemosina libera dalla morte”<br />

(Tb 12,9); e ancora: “Rinserra l’elemosina nel cuore del povero, ed essa implorerà per te<br />

nella disgrazia” (Sir 29,15)» 55 .<br />

Rifacendosi al precetto evangelico: «date in elemosina» (Lc 11,41) e ad altri<br />

celebri passi <strong>della</strong> Scrittura, Ambrogio condanna l’atteggiamento legalistico dei Giudei,<br />

52 Bas<strong>il</strong>io, In ps. 35,5 (PG 29,361A-B). Sull’argomento, si veda M. Girardi, Bas<strong>il</strong>io e Gregorio Nisseno sulle<br />

beatitudini, in Vetera Christianorum 32 (1995) 91-129, soprattutto 94-96.<br />

53 Bas<strong>il</strong>io, Le beatitudini (GNO 7/2,88-89).<br />

54 Ambrogio, Com. Sal. 118 8,22 (SAEMO 9,332s).<br />

55 Ambrogio, Esp. Luc. 7,101 (SAEMO 12,168s).<br />

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i quali, a suo giudizio, non nutrono «alcun timore del giudizio futuro» e, per la loro<br />

mancanza di fede, compiono opere vane 56 .<br />

La parabola dell’amministratore fedele (Lc 16,1-13), corredata da altri passi<br />

neotestamentari relativi all’uso delle ricchezze (Mt 10,42; 25,40; Rm 12,20), offre<br />

nondimeno al vescovo d’Ippona lo spunto per raccomandare la pratica dell’elemosina e<br />

suggerire di farla «senza stare lì molto a scegliere a chi farla, perché – osserva - non si<br />

può arrivare a un giudizio delle coscienze», di modo che, solo se la si fa «a tutti», si<br />

giungerà con tutta probab<strong>il</strong>ità «anche a quei pochi che la meritano» 57 . La condivisione<br />

verso i poveri si giustifica, secondo l’autore, considerando <strong>il</strong> fatto che noi siamo solo<br />

“fattori/amministratori (v<strong>il</strong>lici)” dei beni <strong>della</strong> creazione, del cui uso/amministrazione<br />

dovremo un giorno rendere conto al “gran padre di famiglia (magno patrifam<strong>il</strong>ias) e<br />

giudice universale (cf. Lc 16,1-13 e 19,11-19; Gc 2,13). Si tratta ovviamente di una<br />

responsab<strong>il</strong>ità, che compete in varia misura a tutti (amministratori pubblici, vescovi,<br />

educatori) e a ciascuno, a seconda degli incarichi ricevuti. Nello svolgimento <strong>della</strong><br />

propria missione, si può tuttavia contare sulla consolante certezza che Cristo s’identifica<br />

con i poveri e i miseri (cf. Mt 10,42) 58 e sulla beatitudine, riservata a chi generosamente<br />

presta soccorso ai poveri e ai miseri (Mt 5,7).<br />

«Che cosa ha comandato <strong>il</strong> Signore? “Procuratevi amici con l’iniqua mammona,<br />

perché, quando verrete a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9). È fac<strong>il</strong>e<br />

dedurne che bisogna fare elemosine (eleemosynas… faciendas), elargire ai bisognosi<br />

(tribuendum… egentibus) , perché in essi è Cristo che riceve. L’ha detto lui: “Ogni volta<br />

che avete fatto [queste cose] a uno solo dei miei fratelli più piccoli, le avete fatte a me” (Mt<br />

25,40). E dice anche, altrove: “Chiunque avrà dato anche un solo bicchiere d’acqua fresca<br />

a uno dei miei discepoli in quanto mio discepolo, in verità vi dico, non perderà la sua<br />

ricompensa” (Mt 10,42). Abbiamo capito che bisogna fare elemosina senza stare lì molto a<br />

scegliere a chi farla, perché non si può arrivare a un giudizio delle coscienze. Se la fai a<br />

tutti giungerai anche a quei pochi che la meritano. Tu, pensiamo, vuoi praticare l’ospitalità<br />

e prepari la casa per i forestieri. Ebbene, sia ammesso anche chi non ne è degno perché non<br />

sia escluso chi ne è degno. Tu non puoi essere giudice ed esaminatore delle coscienze.<br />

D’altra parte, anche se tu potessi discriminare: “Costui è cattivo, costui non è buono”, io<br />

aggiungerei: “Potrebbe perfino essere un tuo nemico”. “Se <strong>il</strong> tuo nemico ha fame dagli da<br />

mangiare” (Rm 12,20). Se bisogna fare del bene anche al nemico, quanto più a uno<br />

sconosciuto che, anche se cattivo, non arriva tuttavia ad essere nemico. Noi comprendiamo<br />

queste cose, cioè sappiamo che chi agisce così si procura gli amici che accoglieranno nelle<br />

dimore eterne, quando si sarà esonerati da questa “amministrazione” (ab isto actu). Siamo<br />

tutti come dei fattori (v<strong>il</strong>lici) infatti e ci è stato affidato qualcosa da fare in questa vita: di<br />

questo dobbiamo rendere conto al grande padre di famiglia. E colui a cui è stato affidato di<br />

56 Ambrogio, Esp. Luc. 7,103 (SAEMO 12,170s): «Mettono da parte <strong>il</strong> giudizio e l’amore di Dio: <strong>il</strong> giudizio<br />

(iudicium), per <strong>il</strong> fatto che non tutto quello che compiono lo riferiscono al giudizio (in iudicium referunt); la<br />

carità (caritatem), per <strong>il</strong> fatto che non amano Dio con tutto <strong>il</strong> cuore (quia non ex adfectu deum d<strong>il</strong>igunt)».<br />

57 Agostino, Serm. 359/A,11 (NBA XXXIV,334s).<br />

58 Cf. H. Derycke, Le Christ universel selon saint Augustin, in «Bulletin de Lettérature Ecclésiastique» 91<br />

(1990) 163-174; O. Gonzáles de Cardenal, Cristo en el itinerario espiritual de San Augustín, in<br />

«Salmaticensis» 40 (1993) 21-56. .<br />

21


più dovrà rendere un conto maggiore… Ciascuno renderà conto <strong>della</strong> sua amministrazione<br />

(de actu suo) al Padre di famiglia. L’amministrazione che si compie qui è temporanea, la<br />

ricompensa che ti dà l’economo è eterna... Ma poiché è diffic<strong>il</strong>e, in una vasta<br />

amministrazione, essere esenti da svariate mancanze, così non bisogna cessare di fare<br />

elemosine (eleemosyna cessari), in modo che al momento del rendiconto, non ci troviamo<br />

davanti a un giudice severo ma a un padre misericordioso. Se infatti comincerà ad<br />

esaminare una per una le cose, molte ne troverebbe da condannare. Bisogna su questa terra<br />

essere di aiuto ai miseri (miseris subvenire), perché avvenga in noi quello che è stato<br />

scritto: “Beati i misericordiosi, perché di essi Dio avrà misericordia” (Mt 5,7). E in un altro<br />

luogo: “Ci sarà un giudizio senza misericordia per chi non ha avuto misericordia” (Gc<br />

2,13)» 59 .<br />

«Fate elemosina (eleemosynam facis), e riceverete elemosina (eleemosynam<br />

accipis). Perdonate, e sarete perdonati. Donate, e vi sarà donato. Ascoltate Dio che dice:<br />

“Perdonate e vi sarà perdonato, date e vi sarà dato” (Lc 6,37-38). Dovete avere ben<br />

presenti nella vostra mente i poveri (in mente habete pauperes). Lo dico a tutti: Fate<br />

elemosina (facite eleemosynas), fratelli, fatela e non andrà perduta. Fidatevi di Dio. Non<br />

dico solo che non andrà perduto quello che fate per i poveri, ma vi dico addirittura che solo<br />

questo non va perduto, mentre va perduto tutto <strong>il</strong> resto. Vediamo se oggi sapete rallegrare i<br />

poveri. Voi siete per loro come granai (horrea ipsorum vos estis): possa Dio darvi di che<br />

dare (det vobis Deus ut detis). E vi perdoni se mai pecchiate. Riponete elemosine nel cuore<br />

dei poveri (includite eleemosynam in corde pauperum), e diventeranno preghiere per voi al<br />

Signore (cf. Eccli 29,15)» 60 .<br />

Riprendendo al monito di Gesù: «Procuratevi amici con l’iniqua ricchezza,<br />

perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne» (Lc 16,9),<br />

Agostino sostiene che occorre usare bene le ricchezze facendo elemosine e soccorrendo<br />

i bisognosi, perché in essi è presente Cristo. Fedele al comando evangelico, <strong>il</strong> cristiano<br />

pratica la carità e la condivisione verso i poveri come fedele amministratore dei beni<br />

<strong>della</strong> creazione, cercando di far del bene a tutti, senza discriminazione, per non venir<br />

meno al suo compito davanti al giudice celeste e assicurarsi la ricompensa eterna nel<br />

Regno di Dio. Il santo dottore assicura che ciò che è dato in elemosina si tramuta per noi<br />

in preghiera e in rendita eterna presso <strong>il</strong> Signore.<br />

Sul tema <strong>della</strong> povertà e ricchezza interviene anche Bas<strong>il</strong>io, vescovo di Cesarea in<br />

Cappadocia nella seconda metà del IV secolo, <strong>il</strong> quale considera le disuguaglianze<br />

sociali (la condizione sociale del povero e del ricco, di chi non ha e di chi ha anche <strong>il</strong><br />

superfluo) come frutto del peccato dell’uomo e, in tale con<strong>testo</strong>, denuncia <strong>il</strong><br />

comportamento dell’avaro, che muta in possesso ciò di cui ha soltanto<br />

l’amministrazione, incurante dei poveri e dei senza tetto costretti a mendicare e, perfino,<br />

a morire di stenti, perché non hanno <strong>il</strong> necessario per vivere. Con toni duri, nell’Omelia<br />

sul ricco insensato (cf. Lc 12,16-21), egli accusa i ricchi di trasformare la loro ricchezza<br />

in strumento di tirannia e li invita a conquistarsi la vita eterna condividendo i loro beni<br />

in questa vita con i più poveri.<br />

59 Agostino, Serm. 359A,11 (NBA XXXIV,334-337).<br />

60 Agostino, Serm. 376/A,3 (NBA XXXIV,548s).<br />

22


«“Demolirò i miei granai e ne costruirò di più grandi” (Lc 12,18). Ma sì, vorrei<br />

dirgli, tu fai bene, perché meritano d’essere demoliti i depositi dell’ingiustizia. Abbatt<strong>il</strong>i<br />

con le tue mani, tu che malamente li hai costruiti; distruggi quei granai, da cui mai nessuno<br />

partì con qualche sollievo; radi al suolo la casa guardiana dell’avarizia, rovescia i tetti,<br />

demolisci i muri, esponi al sole <strong>il</strong> frumento ammuffito; conduci fuori dal loro carcere le<br />

ricchezze che vi stavano prigioniere; spalanca al pubblico i tenebrosi recessi di Mammona.<br />

“Demolirò i miei granai e ne costruirò di più grandi”… Ecco, se vuoi, i granai:<br />

sono le case dei poveri. Mettiti in serbo un tesoro nel cielo; i beni riposti lassù non li rodono<br />

i tarli, non marciscono, non li rubano i ladri. […] Non sei ladro tu, che converti in una<br />

proprietà ciò che hai ricevuto in amministrazione?… Il pane che tu tieni per te è<br />

dell’affamato: <strong>il</strong> mantello che tu custodisci nel guardaroba è dell’ignudo; le scarpe che<br />

marciscono in casa tua sono dello scalzo; l’argento che conservi sotterra è del bisognoso.<br />

Sicché tanti sono quelli a cui fai ingiustizia, quanti quelli che potresti soccorrere» 61 .<br />

Infine, nella stessa Hom<strong>il</strong>ia VI, De avaritia, Bas<strong>il</strong>io ammonisce:<br />

«Non sfruttare chi è melle ristrettezze vendendo a prezzo maggiorato; non aspettare<br />

la carestia per aprire i granai. Infatti, “chi accaparra <strong>il</strong> grano è maledetto dal popolo” (Pr<br />

11,26). Non augurarti la fame <strong>della</strong> gente per poterti arricchire, né la miseria pubblica per i<br />

tuoi interessi personali. Non trafficare guadagnando sulle catastrofi umane; non approfittare<br />

dell’ira di Dio per aumentare le tue ricchezze; non inasprire le ferite aperte dalla sferza<br />

delle avversità. Tu contempli <strong>il</strong> tuo oro e non volgi lo sguardo al tuo fratello; tu conosci<br />

ogni specie di moneta e sai riconoscere quella falsa da quella vera, ma ignori<br />

completamente <strong>il</strong> compagno che si trova nel bisogno» (c. 3).<br />

Con grande concretezza e incisività anche Gregorio di Nazianzo invita i cristiani a<br />

prendersi cura dei poveri e ad aiutare i bisognosi.<br />

«Tu che sei in salute e ricco soccorri chi è ammalato e povero; tu che non hai urtato<br />

[contro nessun ostacolo], soccorri colui che è caduto ed è stato calpestato; tu che sei allegro<br />

soccorri l’afflitto; tu che sei prospero grazie a favorevoli condizioni soccorri chi è<br />

angustiato da quelle avverse. Da’ qualcosa a Dio in segno di gratitudine, poiché appartieni a<br />

coloro che sono in grado di far del bene agli altri, non a coloro che hanno bisogno<br />

dell’altrui beneficenza; poiché non sei tu a guardare nelle mani degli altri, ma sono gli altri<br />

a guardare nelle tue. Non ti arricchire solo di beni, ma anche di pietà [cristiana]<br />

(); non solo d’oro, ma anche di virtù, anzi, piuttosto, di questa<br />

soltanto. Diventa più meritevole del tuo vicino col mostrarti più buono: diventa dio<br />

() per lo sventurato, avendo imitato la misericordia di Dio» 62 .<br />

Analogo insegnamento è contenuto nel Sermone 14, in cui Agostino esorta i ricchi<br />

a non attaccare <strong>il</strong> cuore alle ricchezze, ma a servirsene come <strong>il</strong> vindante che entra in una<br />

61 Bas<strong>il</strong>io, Omelia sul ricco insensato, 5-8, cit. da M. Simonetti, con la collaborazione di E. Prinzivalli,<br />

Letteratura cristiana antica. 2. Dall’epoca costantiniana alla crisi del mondo antico (quarto secolo),<br />

Piemme, Casale Monf. 1996, 236-247.<br />

62 Gregorio di Nazianzo, Or. 14,26 (Moreschini, 358s).<br />

23


locanda per ristorarsi e, quando riprende <strong>il</strong> cammino, non porta via nulla di ciò che ha<br />

trovato, ma lo lascia al suo posto per altri viandanti che giungeranno dopo di lui.<br />

«Quelle ricchezze che ci paiono piene di piaceri sono in realtà cariche di pericoli.<br />

Chi è povero dorme più sicuro. Il sonno si avvicina più fac<strong>il</strong>mente alla dura terra che non<br />

ad un letto d’argento. Osservate le preoccupazioni dei ricchi e confrontateli con la serenità<br />

dei poveri. Il ricco impari a non essere superbo e a non confidare nelle ricchezze instab<strong>il</strong>i.<br />

Usi del mondo come colui che se ne serve (cf.1Cor 7,31); si convinca di essere un<br />

viandante in cammino (se viam ambulare) e che è entrato in queste ricchezze come [si<br />

entra] in una locanda (in stabulo). Si ristori, perché deve proseguire; si ristori e prosegua la<br />

sua strada, senza portare con sé quanto trovato nella locanda. Verrà un altro viandante<br />

(viator), se ne servirà anche lui, ma non prenderà via nulla. Tutti lasceranno qui ciò che<br />

hanno acquistato. Dice la Scrittura: “Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo ritornerò<br />

alla terra. Il Signore ha dato, <strong>il</strong> Signore ha tolto” … (Gb 1,21)» 63 .<br />

4. I ministeri nella vita <strong>della</strong> Chiesa: diaconi, diaconesse, vedove,<br />

vergini consacrate e lettori.<br />

Come ho già accennato in un precedente intervento in questa sede, in tutta la<br />

tradizione dei primi tre secoli i diaconi svolgono <strong>il</strong> loro ministero in stretta dipendenza<br />

dal vescovo, col quale collaborano e di cui seguono le direttive, soprattutto in campo<br />

amministrativo, caritativo e liturgico. E, anche se compaiono sempre al terzo posto nella<br />

tr<strong>il</strong>ogia vescovo-presbiteri-diaconi, ciò non significa che essi siano considerati inferiori<br />

ai presbiteri. Al contrario, sono collocati a fianco del vescovo come segretari ed<br />

esecutori dei suoi ordini, non però in un freddo rapporto burocratico, ma in uno spirito<br />

di fiducia, di stretta collaborazione e di affetto.<br />

Fin dal tempo di Ignazio di Antiochia (secondo secolo), e poi soprattutto nel III<br />

secolo, i diaconi sono incaricati di gestire la cassa comune a favore dei poveri e dei<br />

bisognosi. Svolgono <strong>il</strong> compito di amministratori dei beni <strong>della</strong> Chiesa e di ministri<br />

<strong>della</strong> carità, come si evince dalla testimonianza del diacono e martire Lorenzo. Diacono<br />

<strong>della</strong> Chiesa di Roma, Lorenzo viene condannato, secondo la tradizione, al supplizio<br />

<strong>della</strong> graticola, la cui esecuzione ebbe luogo tre giorni dopo quella di papa Sisto II,<br />

vittima <strong>della</strong> sanguinosa persecuzione di Valeriano nel 258. I poeta Prudenzio lo<br />

definisce mysteriarches, “colui che presiede ai misteri” dell’eucaristia 64 .<br />

Conosciamo i diffic<strong>il</strong>i rapporti tra cristianesimo e paganesimo e tra Chiesa e<br />

impero nel periodo <strong>della</strong> crisi del III secolo da Commodiano, poeta latino-cristiano di<br />

origine siriana, vissuto verosim<strong>il</strong>mente prima ad Arles e a Roma, poi a Cartagine,<br />

nell’Africa romana, nel decennio che separa le due grandi persecuzioni di Decio e di<br />

Valeriano (250-260 ca). Autore di poemi didascalici: un Carme apologetico o Carme<br />

dei due popoli, che, partendo da una rielaborazione in esametri dell’Apocalisse, presenta<br />

<strong>il</strong> cristianesimo con forti tratti apocalittico-m<strong>il</strong>lenaristi, e due libri di Istruzioni<br />

(Insegnamenti), contenenti 80 brani poetici composti col metodo dell’acrostico (le<br />

lettere iniziali di ogni versetto corrispondono al titolo del poemetto), nei suoi epigrammi<br />

Commodiano da un lato mette in guardia i cristiani dal pericolo del paganesimo<br />

condannando <strong>il</strong> culto politeistico e la mitologia pagana; dall’altro, con accenti accorati<br />

di carattere moralistico cerca di risvegliare nell’uomo <strong>il</strong> desiderio dei beni eterni. Oltre a<br />

63 Agostino, Serm. 14,6 (NBA XXIX,248s).<br />

64 Prudenzio, Peristephanon 2,350 (CSEL 61,308).<br />

24


mantenere un atteggiamento critico nei confronti del potere costituito, questo poeta,<br />

franco e intransigente, denuncia l’incoerenza e la mondanità dei membri del clero ed<br />

esorta la comunità cristiana a rimanere fedele all’insegnamento del Vangelo anche di<br />

fronte al pericolo <strong>della</strong> persecuzione.<br />

Parlando dei diaconi, egli accenna al loro duplice ufficio: quello relativo<br />

all’amministrazione dei beni <strong>della</strong> Chiesa e quello liturgico. L’invito ai diaconi di stare<br />

sottomessi ai pastori, cioè ai vescovi, conferma ancora una volta lo stretto legame tra i<br />

due ministeri.<br />

«Esercitate castamente, voi diaconi, <strong>il</strong> ministero di Cristo; perciò, ministri quali<br />

siete, mettete in pratica i precetti del Maestro. Non vogliate discostarvi dalla figura del<br />

giudice imparziale; conservate integro <strong>il</strong> vostro ufficio, prudenti in tutto. Guardando in alto,<br />

interiormente dediti al sommo Dio, svolgete <strong>il</strong> sacro servizio dell’altare, a onore di Dio,<br />

senza nessuna negligenza. Siate pronti a dare l’esempio nelle diverse circostanze. Inclinate<br />

di buon grado <strong>il</strong> vostro capo ai pastori; così avverrà che possiate essere graditi a Cristo» 65 .<br />

La spiritualità del diacono è <strong>il</strong>lustrata soprattutto nel documento Didascalia degli<br />

Apostoli, un importante documento <strong>della</strong> comunità siriana orientale del III secolo, che<br />

presenta la triplice gerarchia ministeriale del suo tempo: vescovo-presbiteri-diaconi, ma<br />

polarizza l’attenzione soprattutto sul binomio vescovo-diaconi. Il medesimo testimonia,<br />

inoltre, la presenza di donne-diacono e di un gruppo di vedove istituite.<br />

I diaconi sono gli stretti collaboratori del vescovo, a suo diretto servizio, come<br />

informatori ed esecutori delle sue direttive soprattutto in campo liturgico-assistenziale.<br />

Il loro ufficio consiste essenzialmente nel visitare coloro che sono nel bisogno e nel<br />

tenerne informato <strong>il</strong> vescovo. Per la delicatezza del compito loro affidato, essi sono<br />

tenuti a svolgere <strong>il</strong> loro ufficio con d<strong>il</strong>igenza, obbedendo al vescovo in tutto, perché solo<br />

così sono in grado di rendere onore al “ministero <strong>della</strong> diaconia”.<br />

«I diaconi imitino i vescovi nelle loro azioni: ma siano ancora più espliciti nella<br />

pratica, e “non bramino un guadagno disonesto” (1Tm 3,8), per svolgere bene <strong>il</strong> loro<br />

ministero. Saranno in numero sufficiente, secondo la moltitudine [di cui è composta] la<br />

Chiesa, così che possano soddisfare [le esigenze] delle donne più anziane, ormai deb<strong>il</strong>itate,<br />

e di quei fratelli e sorelle che sono nella malattia, adempiendo con prontezza <strong>il</strong> loro<br />

ministero. La donna [diacono] sia sollecita verso le donne, mentre <strong>il</strong> diacono che è uomo,<br />

verso gli uomini; e sia prontissimo a recarsi dove <strong>il</strong> vescovo comanda per <strong>il</strong> ministero e <strong>il</strong><br />

servizio. Ciascuno pertanto conosca <strong>il</strong> proprio ufficio e lo adempia con d<strong>il</strong>igenza. Abbiate<br />

un solo sentimento, una sola mente, una sola anima in due corpi, così da conoscere quanto<br />

sia grande <strong>il</strong> ministero <strong>della</strong> diaconia. Come dice <strong>il</strong> Signore nel Vangelo: “Chi tra voi vuole<br />

essere <strong>il</strong> più grande, sia <strong>il</strong> vostro servo; e chi tra voi vuole essere <strong>il</strong> primo, sia <strong>il</strong> vostro<br />

schiavo, come <strong>il</strong> Figlio dell’uomo, <strong>il</strong> quale non è venuto per essere servito, ma per servire e<br />

dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20,26-28). Così dunque dovete fare anche voi<br />

diaconi, cioè dare la vita per <strong>il</strong> fratello, se lo esige la necessità del vostro ministero. Non<br />

siate esitanti: infatti neppure <strong>il</strong> Signore e Salvatore nostro ha esitato a servirci, come sta<br />

scritto in Isaia: “Il giusto che serve bene giustificherà molti” (Is 53,11). Se dunque <strong>il</strong><br />

65 Commodiano, Istruzioni 2,23: Ministris (Martin 61; Salvatore 78; trad. it. ripresa da: I ministeri,571s).<br />

25


Signore del cielo e <strong>della</strong> terra si è fatto nostro servo e ha sofferto e sopportato per noi ogni<br />

cosa, quanto più non dobbiamo farlo noi per i fratelli, dal momento che siamo suoi imitatori<br />

e siamo stati messi al posto di Cristo. Infatti nel Vangelo troverete scritto come <strong>il</strong> Signore<br />

nostro si cinse con un panno, e prendendo l’acqua in una brocca venne da noi che eravamo<br />

sdraiati [per la cena] e lavò i nostri piedi, asciugandoli con <strong>il</strong> panno (cf. Gv 13,4-5).<br />

Facendo ciò, indicava la carità fraterna, perché facessimo così anche noi gli uni con gli<br />

altri. Se dunque <strong>il</strong> Signore ha fatto questo, voi diaconi non esitate a fare ciò con gli invalidi<br />

e i malati, poiché siete operai <strong>della</strong> verità, rivestiti a immagine di Cristo. Servite dunque<br />

con amore, senza mormorare o esitare, perché se fate così agite secondo l’uomo, non<br />

secondo Dio, e riceverete la vostra ricompensa secondo <strong>il</strong> vostro servizio nel giorno <strong>della</strong><br />

visita. Bisogna dunque che voi diaconi visitiate tutti coloro che sono nel bisogno; e quanti<br />

sono tribolati, informatene <strong>il</strong> vescovo: voi dovete essere la sua anima e i suoi sensi, pronti a<br />

eseguire ogni cosa e a obbedirgli» 66 .<br />

La “diaconia”, intesa come testimonianza di amore fraterno, si fonda in ultima<br />

analisi sull’imitazione di Cristo. È guardando a Cristo, che ha dato la sua vita in riscatto<br />

per noi (cf. Mt 20,26-28) e durante l’Ultima Cena ha lavato i piedi ai suoi discepoli (cf.<br />

Gv 13,4-5), che <strong>il</strong> diacono impara a servire i bisognosi, gli invalidi, i malati, i tribolati,<br />

gli anziani, gli orfani e le vedove, pronto, se <strong>il</strong> suo ministero lo richiede, a dare la vita<br />

per i fratelli. E poiché la carità presuppone l’unità, l’esercizio del ministero <strong>della</strong><br />

diaconia dev’essere svolto in perfetto accordo con <strong>il</strong> vescovo, di cui <strong>il</strong> diacono<br />

rappresenta l’orecchio e la bocca, <strong>il</strong> cuore, l’anima e i sensi. Poiché, se <strong>il</strong> vescovo<br />

rappresenta Dio Padre nella comunità, <strong>il</strong> diacono è figura di Cristo-servo.<br />

Sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o liturgico, compito del diacono è quello di assistere <strong>il</strong> vescovo<br />

durante l’offerta eucaristica e l’amministrazione del battesimo, e di mantenere l’ordine e<br />

la disciplina nell’assemblea.<br />

A partire dal terzo secolo, si va però delineando nella Chiesa anche un vero e<br />

proprio ministero delle donne, che consiste essenzialmente nel servizio ecclesiale<br />

concernente sia la preghiera sia le opere di carità e di assistenza alle donne anziane o<br />

malate. Importanti testimonianze sul ministero aus<strong>il</strong>iario femmin<strong>il</strong>e si trovano in<br />

Clemente Alessandrino, in Origene. Ma nella Didascalia degli Apostoli si parla<br />

esplicitamente anche delle donne-diacono, cui spetta <strong>il</strong> compito di occuparsi del rito<br />

dell’unzione prebattesimale delle donne, <strong>della</strong> catechesi delle neo-battezzate e <strong>della</strong><br />

visita alle ammalate67 .<br />

«[…] Quando delle donne scendono nell’acqua [battesimale], siano unte con l’olio<br />

dell’unzione <strong>della</strong> [donna] diacono.. Se poi non si trova presente una donna, e specialmente<br />

una che sia diacono, bisogna che sia <strong>il</strong> battezzante a ungere la battezzata. Ma se c’è una<br />

donna, e specialmente una che sia diacono, non è conveniente che le donne siano viste dagli<br />

uomini, ma [<strong>il</strong> battezzante] imponga le mani e unga solo <strong>il</strong> capo [<strong>della</strong> donna], così come<br />

anticamente erano unti i sacerdoti e i re in Israele. Allo stesso modo, anche tu [vescovo],<br />

imponendo le mani, ungi <strong>il</strong> capo di coloro che devono essere battezzati, uomini o donne.<br />

Quindi, tanto se battezzi tu stesso, quanto se ordini ai diaconi o ai presbiteri di battezzare,<br />

66 Didascalia 3,13 (Funk 212-216) = 16 (Vööbus 174-176; Tidner 59-62; trad. it. ripresa da: I ministeri,633s).<br />

67 Tuttavia, è loro vietato amministrare <strong>il</strong> battesimo e insegnare. Si tratta evidentemente di un ministero<br />

importante e ut<strong>il</strong>e, ma limitato solo ad alcune precise funzioni all’interno <strong>della</strong> comunità.<br />

26


sarà la [donna] diacono, come abbiamo detto prima, a fare l’unzione sulle donne. Sia però<br />

l’uomo a pronunciare su di esse l’invocazione dei Nomi divini nell’acqua. Quando colei<br />

che è battezzata esce dall’acqua, sia accolta dalla [donna] diacono, la quale la istruirà e la<br />

educherà [a custodire] l’infrangib<strong>il</strong>e sig<strong>il</strong>lo battesimale nella castità e nella santità. Per<br />

questo diciamo che è sommamente richiesto e necessario <strong>il</strong> ministero di una donna<br />

diacono… Anche per te, [o vescovo] è necessario <strong>il</strong> ministero delle donne diacono in molte<br />

cose. Infatti, nelle case dei pagani dove ci sono donne credenti, è necessario che una donna<br />

diacono entri e visiti quelle che sono malate, perché servi loro ciò che occorre e lavi quelle<br />

che hanno iniziato a riprendersi dalla malattia» 68 .<br />

È questo <strong>il</strong> <strong>testo</strong> più esplicito dei primi tre secoli sul ministero delle donne<br />

diacono. Oltre all’incarico di assitenti liturgiche, esse svolgono anche un compito<br />

missionario, che consiste nel visitare le donne (pagane) inferme, bisognose di assitenza.<br />

Per lo sfolgimento di tale opera si raccomanda prudenza e generososità, trattandosi<br />

comunque di una forma di evangelizzazione ai lontani.<br />

Questo ministero femmin<strong>il</strong>e è inserito in un ordine gerarchico: <strong>il</strong> vescovo raffigura<br />

Dio Padre, i diaconi Cristo e le donne-diacono lo Spirito Santo.<br />

«Egli [sc<strong>il</strong>., <strong>il</strong> vescovo] è <strong>il</strong> servitore <strong>della</strong> parola e <strong>il</strong> vostro mediatore; egli è <strong>il</strong><br />

maestro e <strong>il</strong> padre vostro dopo Dio, che vi ha rigenerato attraverso l’acqua. Egli è <strong>il</strong> vostro<br />

capo e la vostra guida, <strong>il</strong> vostro re potente. Egli regna al posto di Dio; sia dunque onorato<br />

da voi come Dio, poiché <strong>il</strong> vescovo che presiede tra voi raffigura Dio. Il diacono, che [lo]<br />

assiste, raffigura Cristo: sia dunque amato da voi. La donna diacono poi sia onorata da voi,<br />

perché raffigura lo Spirito Santo. I presbiteri siano visti da voi come raffiguranti gli<br />

apostoli. Le vedove e gli orfani siano considerati da voi come raffiguranti l’altare» 69 .<br />

Più frequentemente tuttavia, nei documenti coevi, si fa menzione delle donneministre,<br />

che si dedicano alle opere caritative e all’educazione cristiana.<br />

« “Vi racconando la nostra sorella Febe, che svolge <strong>il</strong> ministero nella Chiesa che è<br />

in Cencre: accoglietela nel Signore in modo degno, e assistetela in tutto ciò di cui avrà<br />

bisogno. Anch’ella ha assistito molti, e anche me” (Rm 16,1-2). Questo passo insegna con<br />

autorità apostolica che anche le donne nella Chiesa sono costituite nel ministero. Febe, che<br />

era posta in quest’ufficio presso la Chiesa che è in Cencre, viene presentata da Paolo con<br />

grande lode e raccomandazione. Egli enumera le sue azioni gloriose, e dice: “Talmente ella<br />

ha assistito tutti, cioè li ha aiutati nelle necessità, che ha assistito pure me con totale<br />

dedizione nelle mie proprie necessità e fatiche apostoliche”.<br />

Direi che la sua opera è paragonab<strong>il</strong>e a quella di Lot, che accoglieva sempre gli<br />

ospiti, così che una volta meritò di ospitare degli angeli (cf. Gn 19,1). Sim<strong>il</strong>mente anche<br />

Abramo, che sempre veniva incontro agli ospiti, meritò che <strong>il</strong> Signore passasse dove era la<br />

68 Didascalia 3,12 (Funk 208.210).<br />

69 Didascalia degli Apostoli 2,26.4-8 (Funk 102.104) = 9 (Vööbus 103-104; Tidner 40-42; trad. it. ripresa da: I<br />

ministeri,616). In questo quadro sintetico vengono indicati in ordine di importanza i principali ministeri <strong>della</strong><br />

Chiesa, secondo una comparazione assai significativa: i presbiteri sono equiparati agli Apostoli, i diaconi a<br />

Cristo, le donne diacono allo Spirito Santo; infine, le vedove all’altare.<br />

27


sua tenda (cf. Gn 18,1-5). Così questa religiosa Febe, assistendo e servendo tutti, meritò di<br />

assistere e servire anche l’Apostolo.<br />

Pertanto questo passo insegna due cose: la prima, come abbiamo detto, è che nella<br />

Chiesa si hanno delle donne ministre (gynaîkes diákonoi); la seconda, che devono essere<br />

assunte al ministero quelle che hanno prestato assistenza a molti e per i loro buoni servigi<br />

hanno meritato di giungere alla lode apostolica. Esorta anche a questo: che coloro che nelle<br />

Chiese si dedicano alle opere buone siano ricambiati dai fratelli con onore, di modo che in<br />

qualsiasi cosa necessaria o nei compiti materiali siano trattati amorevolmente. […]<br />

“Salutate Maria, che ha faticato molto per voi” (Rm 16,6). Anche in questo [passo<br />

l’Apostolo] insegna che pure le donne devono faticare per le Chiese di Dio. Esse faticano<br />

infatti quando “insegnano alle giovani ad essere sobrie, ad amare i loro mariti, a educare i<br />

figli, ad essere pudiche, caste, a governare bene la loro casa, a essere buone, sottomesse ai<br />

loro mariti” (Tt 2,4); ad essere ospitali, a lavare i piedi dei santi (1Tm 5,10), insomma, tutte<br />

quelle cose che la Scrittura riporta sugli uffici delle donne, “con tutta castità” (cf. 1Tm<br />

5,2)» 70 .<br />

Origene giustifica su base scritturistica (cf. Gn 19,1; 18,1-5; Rm 16,1-2.6; Tt 2,4;<br />

1Tm 5,10) l’esistenza del ministero femmin<strong>il</strong>e nella Chiesa e considera prezioso e<br />

irrinunciab<strong>il</strong>e <strong>il</strong> servizio che la donna presta all’interno <strong>della</strong> Chiesa, sia in campo<br />

educativo sia in quello assistenziale e fam<strong>il</strong>iare. Per la sua attitudine ad amare e la sua<br />

capacità di dedizione infatti, la presenza femmin<strong>il</strong>e si rivela particolarmente efficace ai<br />

fini dell’evangelizzazione e <strong>della</strong> testimonianza <strong>della</strong> carità, arricchendo così tutta la<br />

comunità ecclesiale.<br />

Nella Chiesa alessandrina all’epoca di Origene (III secolo), le “donne ministre”, di<br />

età avanzata, seguono l’educazione delle giovani e svolgono mansioni di assistenza.<br />

Distinto da questo ministero, è <strong>il</strong> servizio delle vedove istituite, che rappresentano<br />

l’altare di Dio e devono avere un’età non inferiore ai cinquant’anni. Il loro compito,<br />

secondo Clemente Alessandrino, consiste nel pregare per i malati, per i benefattori e per<br />

tutta la Chiesa. Le donne anziane svolgono inoltre un compito di istruzione verso quelle<br />

più giovani.<br />

«Pietro e F<strong>il</strong>ippo ebbero figli; F<strong>il</strong>ippo inoltre diede a marito le figlie. Paolo poi non<br />

si vergogna di nominare in una lettera la propria compagna, che [però] non portava con sé,<br />

per essere [più] libero nel ministero. Dice dunque [Paolo] in una lettera: “Non abbiamo<br />

anche noi diritto di condurre con noi una donna sorella come gli altri apostoli?” (1Cor<br />

9,5). Ma questi, come si conveniva al loro ministero, attendendo alla predicazione “senza<br />

distrazioni”, portavano con sé le donne non come spose, ma come sorelle, perché fossero di<br />

aiuto nel ministero presso le donne che stavano in casa: attraverso di esse la dottrina del<br />

Signore poteva penetrare anche nell’abitazione delle donne, senza dar luogo a calunnie.<br />

Infatti noi sappiamo che cosa <strong>il</strong> grande Paolo dispone, nella seconda lettera a Timoteo, circa<br />

le donne diacono» 71 .<br />

70 Origene, Comm. Lett. Rom. 10,17.20 (PG 14,1278.1279-1280; trad. it. ripresa da: I ministeri,433-435).<br />

71 Clemente Alessandrino, Strom. 3,6,53,1-4 (Stählin 2,220; trad. it. ripresa da: I ministeri,351s).<br />

28


In polemica contro una corrente rigorista (entratiti), che condannava <strong>il</strong> matrimonio<br />

come qualcosa di peccaminoso, Clemente Alessandrino adduce l’esempio degli<br />

Apostoli, alcuni dei quali erano sposati e avevano avuto figli 72 , anche se poi avevano<br />

abbracciato lo stato di continenza: le mogli, che li accompagnavano nei loro<br />

spostamenti, erano per loro come delle sorelle e collaboratrici nel ministero 73 .<br />

Illustrando i diversi ministeri all’interno <strong>della</strong> Chiesa, lo stesso Origene include,<br />

oltre al ministero dei diaconi, dei presbiteri e dei vescovi, anche quello delle vedove e<br />

delle vergini consacrate. Il compito delle vedove consiste nella preghiera incessante;<br />

quello delle vergini invece nel conservare integra la verginità e nel dedicarsi totalmente<br />

al Signore. Nonostante la loro specifica funzione, ognuno di questi ministeri richiede,<br />

secondo lo scrittore alessandrino, coerenza e impegno, in modo da edificare la comunità<br />

ecclesiale e da glorificare <strong>il</strong> Padre celeste.<br />

«Paolo dice che “fin tanto che è apostolo delle genti farà onore al suo ministero”<br />

(cf. Rm 11,13) e che cosa c’è di più degno che l’onorare <strong>il</strong> ministero che ciascuno ha<br />

ricevuto dalla provvidenza di Dio? Rende merito e “fa onore” al proprio ministero colui<br />

che lo esercita bene, come al contrario colui che lo svolge in modo negligente e indegno<br />

disonora <strong>il</strong> proprio ministero e lo fa additare da tutti. Ad esempio, nel ministero <strong>della</strong><br />

Chiesa, “<strong>il</strong> diacono che avrà ben servito”, dice [Paolo], “si acquista un grado onorifico e<br />

molta franchezza nella fede in Gesù Cristo” (1Tm 3,13). Se invece non avrà svolto bene <strong>il</strong><br />

suo ministero - e quindi se non sarà come lo descrive l’Apostolo, cioè “serio, non doppio<br />

nel parlare, non dedito al molto vino né avido di guadagno disonesto, ma avendo <strong>il</strong><br />

mistero <strong>della</strong> fede in una coscienza pura” (1Tm 3,8-9) - acquista non già un grado<br />

onorifico, ma una pena severa, in quanto ha oltraggiato <strong>il</strong> ministero divino.<br />

Sim<strong>il</strong>mente, anche chi riceve nella Chiesa <strong>il</strong> grado del presbiterato cerchi in tutto di<br />

“fare onore” a questo ministero. Ad esso va riferito ciò che l’Apostolo scrive a Tito<br />

riguardo ai presbiteri (cf. Tt 1,5-6), come pure ciò che scrive Isaia, quando dice: “Il Signore<br />

stesso verrà in giudizio con i presbiteri del popolo, e con i suoi capi sarà giudicato”. E<br />

aggiunge: “Ma voi, perché date fuoco alla mia vigna, e le cose tolte ai poveri sono nelle<br />

vostre case? Perché fate ingiustizia al mio popolo e coprite di vergogna <strong>il</strong> volto dei<br />

poveri?” (Is 3,14-15). Allo stesso modo, anche <strong>il</strong> vescovo fa onore al suo ministero<br />

nell’episcopato, se è come lo descrive l’Apostolo: “irreprensib<strong>il</strong>e, instancab<strong>il</strong>e, prudente,<br />

dignitoso, ospitale, capace d’insegnare, non dedito al vino, non violento ma moderato,<br />

non litigioso, non attaccato al denaro, capace di governare bene la sua casa, avendo figli<br />

sottomessi con pieno rispetto; non montato in superbia, perché non cada nella con danna<br />

del diavolo” (cf. 1Tm 3,2-4.6). Chi si comporta così “fa onore” al su ministero episcopale,<br />

e così anch’egli si sentirà dire: “Bravo, servo buono e fedele: sei stato fedele nel poco, ti<br />

darò autorità su molto” (Mt 25,33).<br />

72 Si sa con certezza che Pietro era sposato (cf. Mt 8,14). Quanto all’apostolo F<strong>il</strong>ippo, di cui non sappiamo<br />

nulla, lo scrittore alessandrino lo confonde probab<strong>il</strong>mente col diacono F<strong>il</strong>ippo di At 6,5, che era sposato e<br />

aveva quattro figlie vergini e profetesse (cf. At 21,8-8). Sull’argomento, si veda: I ministeri,351s, con relative<br />

note a margine del <strong>testo</strong>.<br />

73 Cf. I ministeri,139.<br />

29


Sim<strong>il</strong>mente, anche la vedova, se persevera “nelle preghiere, nelle suppliche notte e<br />

giorno” (1Tm 5,5), rende onore al suo ministero. Se invece si comporta come nota<br />

l’Apostolo, cioè “oziosa e pettegola”, e non solo pettegola ma anche “curiosa, parlando di<br />

ciò che non conviene” (1Tm 6,13); oppure se “è dedita ai piaceri e pur vivendo è già<br />

morta” (1Tm 5,6), allora costei disonora e non fa onore al suo ministero di vedova.<br />

Allo stesso modo, anche la vergine consacrata a Dio “fa onore” al ministero <strong>della</strong><br />

sua verginità se è “santa nel corpo nello spirito” (cf. 1Cor 7,34), e non pensa alle cose degli<br />

uomini ma a quelle di Dio, “come possa piacere a Dio” (cf. 1Cor 7,32). Se invece si<br />

comporta diversamente, non solo non fa onore al ministero <strong>della</strong> sua verginità e non<br />

alimenta la sua lampada, ma al contrario la sua luce si spegne e diventa una delle “vergini<br />

stolte” (cf. Mt 25,1-13).<br />

Questi sono i pensieri che deve avere in se stesso chiunque si trova nella Chiesa,<br />

così che in qualunque posto sia tra <strong>il</strong> clero o tra <strong>il</strong> popolo, faccia onore al ministero <strong>della</strong><br />

sua fede e compia atti tali che gli uomini, “vedendo le sue opere buone, glorifichino <strong>il</strong><br />

Padre che è nei cieli” (cf. Mt 5,15)» 74 .<br />

Commodiano, poeta cristiano vissuto intorno alla metà del III secolo in Africa,<br />

attesta infine l’esistenza, nella Chiesa del III secolo, del ministero dei lettori, che<br />

richiede d<strong>il</strong>igenza nella proclamazione <strong>della</strong> Parola di Dio e uno st<strong>il</strong>e di vita conforme al<br />

Vangelo.<br />

«Ammonisco alcuni lettori a dedicarsi soltanto al loro ufficio, e a essere di sprone<br />

agli altri con l’esempio <strong>della</strong> vita, a fuggire le contese, come pure a evitare le liti, a scolpirsi<br />

[nel cuore] <strong>il</strong> timore [di Dio] e a non essere mai superbi.<br />

Portate <strong>il</strong> giusto rispetto ai vostri superiori; rendetevi sim<strong>il</strong>i, o figli, a Cristo maestro.<br />

Siate come i gigli del campo, facendo <strong>il</strong> bene. Sarete beati, se metterete in pratica ciò che<br />

avete proclamato.<br />

Voi siete i fiori del popolo, voi siete le lampade di Cristo; custodite ciò che siete e<br />

potete ricordare» 75 .<br />

Il lettore deve dunque specchiarsi nella Parola che proclama ed essere di sprone e<br />

di esempio a tutti coloro che partecipano all’assemblea liturgica.<br />

Conclusione<br />

Dopo una breve presentazione <strong>della</strong> situazione ecclesiale nei secoli III e IV, sono<br />

state indicate le linee essenziali la fede <strong>della</strong> Chiesa. Dall’esame dei testi emerge la<br />

preoccupazione fondamentale dei Padri non solo di approfondire la conoscenza del<br />

mistero trinitario e di definire i punti fondamentali <strong>della</strong> fede battesimale, così come<br />

sono stati recepiti nel Credo niceno-costantinopolitano, ma anche di chiarire le<br />

implicanze antropologico-morali <strong>della</strong> fede, intesa come risposta dell’uomo<br />

all’iniziativa di Dio.<br />

Si sono potuti così individuare i riflessi <strong>della</strong> fede sul piano individuale ed<br />

ecclesiale e si è evidenziata l’intima <strong>relazione</strong> che sussiste tra fede e vita, fede e carità,<br />

dal momento che senza l’amore non si può aderire a Cristo, né si può amare Dio, se non<br />

si amano i fratelli. Infatti, solo amando <strong>il</strong> prossimo, si può vedere Dio.<br />

74 Origene, Comm.Lett. Rom. 8,10 (PG 14,1188-1189; trad. it. ripresa da: I ministeri,431s).<br />

75 Commodiano, Istruzioni 2,22: Lectoribus (Martin 60-61; Salvatore 76).<br />

30


È stato quindi ribadito <strong>il</strong> primato dell’amore di Dio, inteso, secondo la concezione<br />

agostiniana, come condizione perché noi possiamo amarci reciprocamente. La carità ha<br />

infatti la sua sorgente in Dio, <strong>il</strong> quale non solo ci trasforma e ci rende capaci di amare,<br />

ma opera anche per mezzo nostro, cosicché, quando amiamo, amiamo Dio per mezzo di<br />

Dio. Ciò risulta tanto più vero alla luce del mistero dell’Incarnazione, mediante <strong>il</strong> quale<br />

<strong>il</strong> Figlio di Dio manifesta l’«economia d’amore per l’umanità»: si china sull’uomo<br />

caduto nelle mani dei briganti, per curarne le ferite causate dal peccato con <strong>il</strong> balsamo<br />

<strong>della</strong> sua misericordia senza limiti; quindi, lo ospita nella locanda del suo amore,<br />

affinché l’uomo si ristori e trovi in Lui e mediante Lui la forza di vivere <strong>il</strong><br />

comandamento nuovo.<br />

In virtù <strong>della</strong> Redenzione operata da Cristo, noi siamo quindi effettivamente<br />

«radicati e fondati» nella carità (cf. Ef 3,17), e possiamo realizzarci secondo <strong>il</strong> progetto<br />

di Dio, ricercando non <strong>il</strong> bene egoistico ma l’amore gratuito e disinteressato.<br />

In tale prospettiva, sono state individuate le quattro direttrici principali <strong>della</strong><br />

diaconia e/o testimonianza evangelica in ambito ecclesiale.<br />

Il primo aspetto riguarda l’obiezione di coscienza, intesa come coraggiosa presa di<br />

posizione di fronte al potere oppressivo e coercitivo, come rivendicazione del diritto di<br />

manifestare le proprie convinzioni morali e religiose, come difesa <strong>della</strong> libertà di<br />

coscienza e, perciò stesso, come istanza profetica a servizio <strong>della</strong> verità.<br />

La seconda pista d’indagine concerne <strong>il</strong> significato <strong>della</strong> carità e <strong>della</strong> pratica<br />

<strong>della</strong> giustizia sia nei rapporti interpersonali sia nell’amministrazione dei beni <strong>della</strong><br />

Chiesa. I ripetuti richiami di Origene testimoniano come abusi e tentazioni di<br />

autoritarismo e di ingiusta discriminazione serpeggiassero nel popolo di Dio, soprattutto<br />

a causa del riprovevole comportamento di presbiteri e diaconi. Di qui <strong>il</strong> pressante invito,<br />

rivolto a coloro che nella Chiesa rivestono ruoli di autorità e di responsab<strong>il</strong>ità, a<br />

conformarsi all’insegnamento del Vangelo, mantenendo un atteggiamento sobrio e<br />

distaccato e usando discernimento, prudenza ed equità sia verso i fedeli sia, soprattutto,<br />

verso i poveri. Infine, nella distribuzione dei ben di prima necessità agli indigenti lo<br />

stesso scrittore alessandrino suggerisce di seguire <strong>il</strong> criterio <strong>della</strong> carità proporzionata al<br />

bisogno di ciascuno, per non creare ingiustizie scandalizzando così i bisognosi e<br />

offuscando <strong>il</strong> volto <strong>della</strong> Chiesa.<br />

Su questa linea evangelica si muove anche <strong>il</strong> vescovo Ambrogio, che invita<br />

l’ascoltatore a porsi alla scuola <strong>della</strong> parola di Dio e a osservare i comandamenti, per<br />

soddisfare le esigenze <strong>della</strong> giustizia. Consapevole dell’inscindib<strong>il</strong>e binomio: giustiziacarità<br />

(cf. Rm 13,10), <strong>il</strong> vescovo-pastore definisce la giustizia come la virtù che ricerca<br />

l’ut<strong>il</strong>e altrui, non quello proprio, e consiglia al ricco di destinare i propri beni ai poveri,<br />

per ristab<strong>il</strong>ire l’equità e la giustizia. A tal fine, egli invoca un cambiamento del cuore,<br />

possib<strong>il</strong>e solo se ci si cala nelle situazioni di precarietà e di miseria presenti nella<br />

società, poiché non potrà certo essere soccorritore del povero e del bisognoso chi non<br />

soffre con chi soffre e non prova compassione <strong>della</strong> miseria altrui. Solo <strong>il</strong> giusto infatti è<br />

fonte di grazia per tutti, perché come buon samaritano soccorre i deboli e gli indifesi.<br />

Continuando a esplorare questo argomento sotto altra angolatura, si è poi<br />

esaminato <strong>il</strong> terzo aspetto, ossia <strong>il</strong> tema <strong>della</strong> rinuncia al possesso dei beni per<br />

testimoniare la povertà evangelica e <strong>il</strong> servizio dei poveri. Sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o spirituale,<br />

Bas<strong>il</strong>io di Cesarea considera la “povertà evangelica” una scelta volontaria, motivata non<br />

dall’attaccamento alle ricchezze materiali ma dal desidero dei beni eterni. Sul piano<br />

pratico, invece, egli è convinto che solo la rinuncia al possesso egoistico delle ricchezze<br />

consenta al discepolo di vivere la vita nuova praticando l’elemosina come condivisione<br />

e testimoniando la cura amorosa verso i poveri e i bisognosi. Agostino suggerisce, in<br />

proposito, di estenderla a tutti indistintamente, senza preoccuparsi se colui che riceve <strong>il</strong><br />

segno <strong>della</strong> carità altrui è degno o meno, perché è <strong>il</strong> Signore che ce l’ha comandato (Mt<br />

31


25,40) e un giorno ci chiederà conto del nostro operato quali fattori/amministratori dei<br />

beni <strong>della</strong> creazione. Memore del monito di Gesù: «Procuratevi amici con l’iniqua<br />

ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accoglieranno nelle dimore eterne»<br />

(Lc 16,9), <strong>il</strong> laico cristiano o l’operatore Caritas dev’essere mosso unicamente dalla<br />

certezza che <strong>il</strong> soccorso prestato ai bisognosi è un prestito fatto a Dio, che s’identifica<br />

con i poveri. Egli dovrà dunque imparare a fare buon uso delle ricchezze e a praticare la<br />

carità come condivisione (elemosina), sapendo che quanto dona ai diseredati e agli<br />

indigenti fruttifica nei granai del cielo. Il suo comportamento dovrà essere opposto a<br />

quello del ricco insensato <strong>della</strong> parabola evangelica (Lc 12,16-21), che, incurante dei<br />

poveri, pensa unicamente di demolire i suoi depositi per farne di più grandi. Il racconto<br />

avverte, in proposito, <strong>il</strong> lettore che questi, a causa <strong>della</strong> sua insaziab<strong>il</strong>e avarizia e <strong>della</strong><br />

sua insensib<strong>il</strong>ità verso <strong>il</strong> prossimo, non solo sbaglia i suoi calcoli per <strong>il</strong> futuro, ma viene<br />

addirittura colto da morte improvvisa, andando così incontro al giudizio di Dio e alla<br />

rovina eterna. Commentando la paraboba, Bas<strong>il</strong>io invita i suoi interlocutori a servirsi<br />

delle ricchezze in primo luogo per soccorrere i poveri; quindi, per ridurre le ingiustizie<br />

sociali; infine, per assicurarsi un tesoro in cielo.<br />

Con altrettanta forza ed determinazione <strong>il</strong> vescovo d’Ippona esorta i ricchi a usare<br />

le ricchezze con prudenza, senza attaccare ad esse <strong>il</strong> cuore, e a comportarsi come <strong>il</strong><br />

viandante che entra nella locanda per ristorarsi e poi riprende <strong>il</strong> cammino lasciando ogni<br />

cosa al suo posto per i prossimi visitatori e pellegrini.<br />

Il quarto aspetto, sul quale si è voluto indagare, riguarda i ministeri nella Chiesa.<br />

Per la sua vastità e complessità, <strong>il</strong> tema richiederebbe una trattazione ben più esaustiva.<br />

In questa sede, ci si è limitati all’aspetto strettamente pastorale, esaminando l’incidenza<br />

che i differenti ministeri (diaconi, diaconesse, vedove, vergini consacrate e lettori)<br />

potevano avere ai fini <strong>della</strong> crescita comunitaria. Ci si è soffermati anzitutto sula figura<br />

dei diaconi, collocati a fianco del vescovo come suoi diretti collaboratori ed esecutori<br />

dei suoi ordini. Il loro compito consiste principalmente nel visitare gli infermi e<br />

nell’assitere <strong>il</strong> vescovo durante le celebrazioni eucaristiche. In qualità di segretari<br />

personali del vescovo, di cui rappresentano l’orecchio e la bocca, l’anima e i sensi, essi<br />

informano l’aus<strong>il</strong>iario dei bisogni <strong>della</strong> comunità e si dedicano totalmente al servizio i<br />

fratelli, testimoniando così l’autentica diaconia evangelica. Rispetto al vescovo che è<br />

immagine di Dio Padre, essi sono figura di Cristo servo.<br />

Ma a partire dal III secolo si va sv<strong>il</strong>uppando nella Chiesa anche un ministero<br />

aus<strong>il</strong>iario femmin<strong>il</strong>e e si configura <strong>il</strong> ruolo delle donne-diacono, che rappresentano lo<br />

Spirito Santo. Il confine fra le diaconesse e le donne-ministre è comunque molto<br />

sfumato. I documenti del III secolo testimoniano <strong>il</strong> ruolo liturgico-assitenziale svolto da<br />

queste ultime: assistevano le donne durante <strong>il</strong> cammino formativo in preparazione del<br />

battesimo, praticavano l’unzione pre-battesimale e visitavano le donne inferme, ma non<br />

erano deputate all’amministrazione del primo sacramento e all’insegnamento,<br />

evidentemente perché <strong>il</strong> loro compito nella Chiesa era considerato subalterno a quello<br />

dei chierici. Conformemente al modello apostolico, testimoniato dalle epistole paoline<br />

(Rm 16,1-2.6; Tt 2,4; 1Tm 5,10), c’erano nella Chiesa primitiva anche le donneministre,<br />

di età avanzata, che svolgevano un servizio più generico, ma non meno<br />

prezioso all’interno delle comunità cristiane, dedicandosi a compiti educativi,<br />

assistenziali e fam<strong>il</strong>iari di vario genere.<br />

La tradizione cristiana dei primi secoli registra, inoltre, la presenza di vedove<br />

istituite, dedite al ministero <strong>della</strong> preghiera e all’insegnamento delle più giovan, e delle<br />

vergini consacrate, impegnate a vivere profeticamente <strong>il</strong> loro carisma verginale e<br />

totalmente dedite al servizio di Dio. Infine, non mancano attestazioni antiche sul<br />

ministero dei lettori, incaricati <strong>della</strong> proclamazione <strong>della</strong> parola di Dio e testimoni in<br />

prima persona <strong>della</strong> vita nuova, conforme al Vangelo.<br />

32


Per l’esercizio di questi ministeri si richiedeva evidentemente, secondo Origene,<br />

autenticità di vita, coerenza e impegno generoso, in modo da contribuire efficacemente<br />

all’edificazione di tutta la comunità cristiana.<br />

Concludendo, si può dire che la presenza di differenti ministeri nella Chiesa antica<br />

testimonia la vitalità delle comunità cristiane, che attingendo al Vangelo <strong>della</strong> carità lo<br />

traducono in varie forme di servizio, corrispondenti ai bisogni <strong>della</strong> comunità stessa.<br />

D’altra parte, l’esercizio di tali munera non si limita alla loro funzione in ambito<br />

assistenziale e/o liturgico, ma funge da efficace strumento pastorale di evangelizzazione<br />

e di crescita nella fede di tutta la comunità ecclesiale.<br />

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