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N. 36 n.s. – Settembre-Dicembre 2007 <strong>IL</strong> <strong>CALITRANO</strong><br />
INCONTRO CON CARLO LEVI<br />
ad Albano di Lucania<br />
arlo Levi nasce a Torino il 29 novembre<br />
C1902. Intorno al 1922 si lega d’amicizia<br />
con Antonio Gramsci e Pietro Gobetti che lo<br />
invitano a collaborare alla rivista “Rivoluzione<br />
liberale”. Nel 1924 si laurea in medicina<br />
e vi mantiene uno studio fino al 1927,<br />
ma la professione preferita è stata, invece,<br />
la pittura con la quale ebbe un notevole successo<br />
a Genova, Milano, Londra, alla Biennale<br />
di Venezia e a Parigi; la coerenza delle<br />
sue idee lo porta a dare un peso politico alla<br />
pittura, da lui considerata come espressione<br />
di libertà. In quegli anni appare inserito nell’ambiente<br />
culturale torinese; oltre a Gramsci<br />
e Gobetti frequenta Cesare Pavese, Giacomo<br />
Noventa, Luigi Einaudi e più tardi Edoardo<br />
Persico, Lionello Venturi e Luigi Spazzapan.<br />
Nel 1931 si unisce al movimento antifascista<br />
“Giustizia e Libertà”, fondato tre anni prima<br />
da Carlo Rosselli. Nel 1934 venne arrestato<br />
per attività antifascista l’anno dopo, dimesso<br />
dal carcere Regina Coeli, fu mandato al confino<br />
di tre anni in Lucania e nel 1936, nell’euforia<br />
fascista per la conquista etiopica,<br />
veniva graziato. Ma subito riprendeva il lavoro<br />
politico ed emigrava in Francia. Rientrava<br />
in Italia nel 1943, per prendere parte alla<br />
Resistenza; qui fu arrestato per la seconda<br />
volta. Nel 1944 condirigeva “La Nazione del<br />
popolo” di Firenze e l’anno dopo a Roma<br />
era direttore del giornale del partito d’azione<br />
“Italia libera”. Nel 1963 e nel 1968 eletto al<br />
Senato come indipendente nelle liste comuniste.<br />
Muore a Roma nel gennaio 1975. Per<br />
sua volontà, viene sepolto ad Aliano (Mt),<br />
dove aveva ritrovato gli autentici valori umani<br />
che lo avevano sorretto e confortato nei<br />
momenti più drammatici della sua vita e negli<br />
anni più bui della storia italiana1. L’esperienza fatta durante il confino gli<br />
ispirerà il racconto memoriale e saggio sociologico<br />
insieme “Cristo si è fermato a<br />
Eboli”, che scrisse tra il Natale 1943 e mese<br />
di luglio 1944, il cui tema è costituito dall’affascinante<br />
scoperta dell’esistenza di una<br />
civiltà contadina essenzialmente autonoma,<br />
che vorrebbe e dovrebbe organizzarsi come<br />
tale, soffocata invece da una civiltà statolatrica<br />
e teocratica (Stato e Chiesa). Il libro<br />
pubblicato, dopo la liberazione, a cura di<br />
Giulio Einaudi editore nel 1945 e tradotto<br />
in molte lingue, riscontrava subito il favore<br />
della critica e del pubblico in Italia e all’estero,<br />
tanto da diventare un classico della letteratura<br />
italiana.<br />
Per il titolo del libro Carlo Levi si rifece<br />
alla frase proverbiale sentita tante volte ripetere<br />
nelle bocche dei contadini di Aliano:<br />
“Noi, dicevano, non siamo cristiani! Cristo<br />
si è fermato a Eboli”, che è nulla più che<br />
l’espressione di uno sconsolato complesso<br />
di inferiorità, in quanto non erano considerati<br />
come cristiani ma come bestie, che dovevano<br />
subire il mondo dei cristiani 2.<br />
Il confino di Levi ebbe inizio a Grassano<br />
e poco dopo trasferito ad Aliano (Mt), un<br />
centro dell’Appennino lucano sullo spartiacque<br />
tra il fiume Agri e il suo affluente Sauro,<br />
con la frazione Alianello sulla sponda sinistra<br />
dell’Agri 3.<br />
La prima cosa che lo colpì giungendo ad<br />
Aliano fu il paese posto su una specie di sella<br />
irregolare in mezzo a profondi burroni. Da<br />
ogni parte non c’erano che precipizi di argilla<br />
bianca, su cui le case stavano come librate<br />
nell’aria; e d’ognintorno altra argilla, senza<br />
alberi e senza erba, scavata dalle acque in<br />
buche, coni, piagge di aspetto maligno, come<br />
un paesaggio lunare. Le case tutte uguali fatte<br />
di una sola stanza che serviva da cucina,<br />
camera da letto e anche da stalla per le piccole<br />
bestie. Prendeva luce dalla porta, i muri<br />
ed il soffitto erano affumicati dal camino su<br />
cui si faceva da mangiare con pochi stecchi.<br />
Il letto era enorme su cui dormiva tutta la famiglia,<br />
i bambini piccoli lattanti erano tenuti<br />
in piccole ceste appese al soffitto con delle<br />
corde penzolanti, poco più in alto del letto 4.<br />
Ben presto fu chiamato per un moribondo<br />
ed ebbe così modo di apprendere che la<br />
malaria perniciosa era di casa. La malaria<br />
era un flagello peggiore di quello che si potesse<br />
pensare: colpiva tutti e mai curata du-<br />
21<br />
rante la vita. Pertanto il lavoro ne era impedito,<br />
la razza indebolita e fiaccata, i poveri risparmi<br />
andavano in fumo, ne derivavano la<br />
miseria più nera, la schiavitù senza speranza.<br />
La malaria nasceva dalle argille disboscate,<br />
dai fiumi abbandonati, da un’agricoltura senza<br />
risorse, che generava a sua volta la miseria<br />
in un circolo mortale 5.<br />
Col passare dei giorni si rese conto che<br />
un altro male era costituito dalla classe dirigente<br />
locale che teneva in mano tutti, con la<br />
minaccia o la speranza, imponendo gravose<br />
tasse ai contadini. Più grave era quella sulle<br />
capre, del valore all’incirca della bestia, per<br />
cui erano costretti ad ucciderle e restare senza<br />
latte per i bambini e senza formaggio. Per<br />
riscuotere le tasse arrivava puntualmente<br />
l’ufficiale esattoriale, il quale diceva che ad<br />
Aliano il suo lavoro andava male. Aggiungeva<br />
che i contadini non pagavano le tasse, si<br />
veniva per pignorare e non si trovava nulla,<br />
mobili non ne avevano. A volte si doveva<br />
accontentare di una capra, qualche piccione,<br />
una bottiglia d’olio oppure un po’ di farina.<br />
I contadini erano pieni di debiti, avevano<br />
la malaria e non avevano da mangiare 6.<br />
I signori erano tutti iscritti al Partito, anche<br />
quei pochi che la pensavano diversamente,<br />
soltanto perché il Partito era il Governo,<br />
era lo Stato, era il Potere, ed essi si<br />
sentivano naturalmente partecipi di questo<br />
potere. I contadini, per la ragione opposta,<br />
non erano iscritti. Lo Stato per essi erano<br />
quelli di Roma che non volevano farli vivere<br />
da cristiani, perciò erano soliti dire: C’è la<br />
grandine, le frane, la siccità, la malaria, e<br />
c’è lo Stato. Sono dei mali inevitabili, ci sono<br />
sempre stati e ci saranno sempre. Ci fanno<br />
ammazzare le capre, ci portano via i mobili<br />
di casa e ci mandano a fare la guerra. Per<br />
essi lo Stato era più lontano del cielo e più<br />
maligno, perché stava sempre dall’altra parte.<br />
La sola possibile difesa era la rassegnazione<br />
senza speranza di paradiso, che curvava<br />
le loro schiene sotto i mali della natura 7.<br />
Queste terre, dopo il brigantaggio, avevano<br />
ritrovato una loro funebre pace. In qualche<br />
paese, i contadini che non potevano trovare<br />
nessuna espressione nello Stato, e nessuna<br />
difesa nelle leggi, si levavano per la<br />
morte, bruciavano il municipio o la caserma<br />
dei carabinieri, uccidevano i signori e poi<br />
partivano rassegnati per le prigioni 8.<br />
Per quello stato di cose per i contadini<br />
tutto aveva un doppio senso. La donna-vacca,<br />
l’uomo-lupo, la capra-diavolo non erano<br />
che immagini particolarmente fissate e rilevanti,<br />
ogni persona, animale, albero, oggetto,