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PsG PRIMAVERA '12 via e-mail - Vito Mancuso

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intensamente di quel paesaggio tacito e misterioso nel crepuscolo, ma in modo<br />

per così dire ‘oggettivo’. Non volevo più ‘possederlo’. Sono tornata a casa rinvigorita,<br />

al mio lavoro. E quel paesaggio è rimasto presente sullo sfondo come un abito che<br />

rivesta la mia anima — tanto per dirla con paroloni —, ma non m’impacciava più,<br />

non era più ‘onanismo’.<br />

… E poi, quando mi ero seduta di nuovo di fronte a lui ed ero ammutolita, forse avevo<br />

avuto la stessa reazione di quando attraverso un paesaggio che mi tocca l’anima.<br />

Lo volevo ‘possedere’. Volevo che S. fosse anche mio, Per quanto io non lo desideri<br />

come uomo — non mi ha ancora veramente colpita, sessualmente parlando, anche se<br />

sento sempre quella tensione in sottofondo —, S. mi ha toccata nel profondo del mio<br />

essere, e questo è ancora più importante. E così lo volevo avere in un modo o nell’altro,<br />

provavo odio o gelosia per tutte le donne di cui mi aveva raccontato e forse mi chiedevo,<br />

sia pur inconsciamente, se sarebbe rimasto qualcosa per me e me lo sentivo sfuggire.<br />

Erano sentimenti piuttosto meschini, non certo elevati, ma me ne rendo conto soltanto<br />

ora. In quel momento io mi sentivo infelicissima e sola, cosa che adesso capisco<br />

benissimo, avrei voluto andar <strong>via</strong> e mettermi a scrivere. Credo di capire anche questo.<br />

È un altro modo di ‘possedere’, di attirare le cose a sé con parole e immagini. L’impulso<br />

che mi spingeva a scrivere dev’essere stato soprattutto il desiderio di nascondermi<br />

agli altri con tutti i tesori che avevo accumulato, — di annotare ogni cosa e di goderla<br />

tenendomela per me. E adesso, improvvisamente, questo atteggiamento che per ora<br />

chiamo ”possessivo” è cessato. Mille catene sono state spezzate, respiro di nuovo<br />

liberamente, mi sento in forze e mi guardo intorno con occhi raggianti.<br />

E ora che non voglio più possedere nulla e che sono libera, ora possiedo tutto e la mia<br />

ricchezza interiore è immensa.<br />

… E non chiedo più a Han cento volte al giorno: « Mi vuoi ancora bene? », « Mi vuoi<br />

ancora tanto bene? », « Sono proprio il tuo tesoro? ». Anche questo era un modo<br />

di aggrapparsi, un aggrapparsi fisico a ciò che fisico non è. Ora vivo e respiro con<br />

la mia anima, sempre che mi sia concesso usare questo termine screditato.<br />

E ora capisco anche le parole di S. dopo la mia prima visita da lui. « Quel che c’è qui »<br />

(e indicava la testa) « deve finire qui » (e indicava il cuore). Allora io non capivo bene<br />

come questo processo potesse attuarsi nel suo lavoro, ma in ogni caso è successo,<br />

anche se non saprei dire come. Ha pure assegnato il posto giusto alle cose che<br />

già facevano parte di me, come in un puzzle: tutti i pezzetti erano sparsi alla rinfusa<br />

e lui li ha ricomposti in un insieme ricco di significato … .<br />

E ora mi sento pari a lui, sento che la mia lotta bilancia la sua, che anche in me<br />

gli istinti impuri e quelli più nobili si danno battaglia.<br />

È un problema attuale: il grande odio per i tedeschi che ci avvelena l’animo.<br />

Espressioni come: « che anneghino tutti, canaglie, che muoiano col gas », fanno ormai<br />

parte della nostra conversazione quotidiana; a volte fanno sì che uno<br />

non se la senta più di vivere, di questi tempi.<br />

Ed ecco che improvvisamente, qualche settimana fa, è spuntato il pensiero liberatore,<br />

simile a un esitante e giovanissimo stelo in un deserto d’erbacce: se anche<br />

non rimanesse che un solo tedesco decente, quest’unico tedesco meriterebbe<br />

di essere difeso contro quelIa banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto<br />

di riversare il proprio odio su un popolo intero.<br />

Questo non significa che uno sia indulgente nei confronti di determinate tendenze,<br />

si deve ben prendere posizione, sdegnarsi per certe cose in certi momenti,<br />

provare a capire, ma quell’odio indifferenziato è la cosa peggiore che ci sia.<br />

È una malattia dell’anima.<br />

È tutto un mondo che va in pezzi. Ma il mondo continuerà ad andare avanti e per ora<br />

andrò avanti anch’io. Restiamo certo un po’ impoveriti, — ma io mi sento ancora così<br />

ricca, che questo vuoto non m’è entrato veramente dentro. Però dobbiamo tenerci<br />

in contatto col mondo attuale e dobbiamo trovarci un posto in questa realtà, non si può<br />

vivere solo con le verità eterne, così rischieremmo di fare la politica degli struzzi.<br />

Vivere pienamente, verso l’esterno come verso l’interno, non sacrificare nulla della<br />

realtà esterna a beneficio di quella interna, e viceversa: considera tutto ciò come<br />

un bel compito per te stessa. E ora leggo ancora una stupida novelletta dalla rivista<br />

Libelle e poi a dormire. Domani si lavora dì nuovo, alla scienza, alla casa, e a me stessa<br />

non si può trascurare nulla e non si può neppure prendersi troppo sul serio.<br />

Forse è solo la stanchezza fisica — quella che tutti sentono in questa fredda primavera —<br />

a impedire che le cose circostanti trovino risonanza in me.<br />

Si cerca sempre una formula liberatoria, un pensiero chiarificatore. Poco fa, durante<br />

un giretto in bicicletta, nel freddo, ho pensato improvvisamente: forse rendo tutto<br />

troppo complicato e “interessante” e mi rifiuto di guardare ai fatti nudi e semplici.<br />

Ci s’interroga sul senso della vita, ci si domanda se essa abbia ancora un senso:<br />

ma per questo bisogna vedersela esclusivamente con se stessi, e con Dio.<br />

Forse ogni vita ha il proprio senso, forse ci vuole una vita intera per riuscire a trovarlo.<br />

O tutto è casuale, o niente lo è. Se io credessi nella prima affermazione non potrei vivere,<br />

ma non sono ancora convinta della seconda … .<br />

Ieri, per un momento, ho pensato che non avrei potuto continuare a vivere, che avevo<br />

bisogno d’aiuto. La vita e il dolore avevano perso il loro significato, avevo la sensazione<br />

di “sfasciarmi” sotto un peso enorme, ma anche questa volta ho combattuto<br />

una battaglia che poi all’improvviso mi ha permesso di andare avanti, con maggior forza.<br />

Ho provato a guardare in faccia il « dolore » dell’umanità, coraggiosamente e<br />

onestamente, ho affrontato questo dolore o piuttosto lo ha fatto qualcosa in me stessa,<br />

molti interrogativi disperati hanno trovato risposta, l’assurdità completa ha ceduto<br />

il posto a un po’ più d’ordine e di coerenza: ora posso andare avanti di nuovo.<br />

È stata un’altra breve ma violenta battaglia, ne sono uscita con un pezzetto<br />

di maturità in più.<br />

Ho scritto che mi sono confrontata col « dolore dell’Umanità » (questi paroloni mi fanno<br />

ancora paura), ma non è del tutto esatto. Mi sento piuttosto come un piccolo campo<br />

di battaglia su cui si combattono i problemi, o almeno alcuni problemi del nostro tempo.<br />

L’unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Quei problemi<br />

devono pur trovare ospitalità da qualche parte, trovare un luogo in cui possano<br />

combattere e placarsi, e noi, poveri piccoli uomini, noi dobbiamo aprir loro<br />

il nostro spazio interiore, senza sfuggire. Forse, su questo punto, io sono davvero<br />

molto ospitale, a volte sono come un campo di battaglia insanguinato e poi lo pago<br />

con un gran sfinimento e con un forte mal di capo. Ma ora sono semplicemente<br />

me stessa: Etty Hillesum, una laboriosa studentessa in una camera ospitale con dei libri<br />

e con un vaso di margherite. Scorro di nuovo nel mio stretto alveo e il contatto con<br />

« Umanità », « Storia Universale » e « Dolore » s’è interrotto un’altra volta. Così dev’essere,<br />

del resto, altrimenti una persona impazzirebbe. Non ci si può sempre perdere<br />

nei grandi problemi, non si può essere sempre come un campo di battaglia;<br />

dobbiamo poter ricuperare i nostri stretti confini e continuare dentro di essi — scrupolosamente<br />

e coscienziosamente — la nostra vita limitata, mentre quei momenti di contatto<br />

quasi “impersonale” con tutta l’umanità ci rendono ogni volta più maturi e profondi.<br />

Forse, in futuro, saprò esprimermi meglio …<br />

Se uno si è rovinato lo stomaco, dovrebbe cominciare una dieta ragionevole invece<br />

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