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luigi fumi. la vita e l'opera nel 150° anniversario della nascita

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IL MEDIOEVO DI LUIGI FUMI<br />

da una medesima intonazione di voce. L’oggetto delle sue ricerche<br />

può ovviamente mutare, ma il suo atteggiamento resta sempre lo stesso.<br />

Esasperando un po’ questo giudizio si può affermare che per il Fumi<br />

occuparsi degli statuti di Chianciano o di Vanna da Orvieto, del duomo<br />

e dei pa<strong>la</strong>zzi orvietani o del<strong>la</strong> peste di Napoli del 1656, delle<br />

genealogie di nobili casate o dell’opera di falsificazione del Ceccarelli,<br />

non faceva tanta differenza. A lui gli uomini, i fatti o i monumenti<br />

interessano solo come tali, non come evenienze in cui una storia rive<strong>la</strong><br />

<strong>la</strong> sua autocoscienza espressiva. La prima preoccupazione di Luigi<br />

Fumi sembra quel<strong>la</strong> di non ammettere deroghe all’impegno erudito e<br />

filologico. Ma lo studio dei testi e delle fonti archivistiche non fu da<br />

lui inteso come lo studio del contesto storico e culturale entro il<br />

quale quei testi e quelle fonti andavano inquadrati; come lo studio di<br />

una tradizione in continua evoluzione, <strong>nel</strong><strong>la</strong> sua <strong>vita</strong>lità totale e totalizzante.<br />

Egli non indagò mai i ‘suoi’ documenti come testimonianza<br />

di una molteplicità di rapporti culturali, politici, spirituali: per questo<br />

<strong>nel</strong><strong>la</strong> sua ricerca si fermò quasi sempre ad uno stadio che eludeva<br />

altre premure che non fossero quelle di raccogliere, vagliare, c<strong>la</strong>ssificare<br />

o di puntualizzare questioni cronologiche, biografiche, prosopografiche<br />

e bibliografiche. L’attenersi con scrupolo al documento, al<strong>la</strong><br />

lezione del testo è, per chi ricostruisce <strong>la</strong> storia dei fatti, un pregio<br />

evidente; non lo è più se questa prospettiva è l’unica, se finisce per<br />

appiattire, omologare i risultati dell’indagine. Il limite di tale metodo,<br />

oggi palese, rappresentava tuttavia per il Fumi – ma anche per tanti<br />

altri studiosi 24 – un punto di forza, sia perché in quel periodo storico<br />

poteva essere totalmente compreso e incondizionatamente condiviso<br />

e apprezzato, sia perché poteva dar conto non solo del valore di<br />

uno scrupoloso <strong>la</strong>voro di ricerca e di documentazione, ma anche del<br />

significato e dei vantaggi di una continuità operativa senza il sopraggiungere<br />

e l’alternarsi di altre, diverse preoccupazioni (che, magari,<br />

non sarebbero state neppure legittimate).<br />

Nell’introduzione al poderoso saggio scritto in età matura (fu pubblicato<br />

<strong>nel</strong> 1910) su L’inquisizione romana e lo stato di Mi<strong>la</strong>no, il<br />

Fumi dichiara che suo intento è quello di «raccogliere quanti più<br />

fatti è possibile e presentarli obiettivamente e onestamente intorno ad<br />

un soggetto così delicato e spinoso sul quale è tanto facile che <strong>la</strong><br />

dec<strong>la</strong>mazione prenda il luogo del<strong>la</strong> fredda indagine delle fonti e del<strong>la</strong><br />

24 È il caso dello stesso Mazzatinti: cfr. ibid., pp. 83-4.<br />

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