Diritti senza confini - Pedagogika
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<strong>Pedagogika</strong>.it/2012/XVI_3/Cultura/Scelti_per_voi<br />
110<br />
causa la perdita di un braccio, perde,<br />
con la possibilità di ricominciare un’altra<br />
vita e lavorare, la dignità.<br />
Kiki, una ragazza senegalese di sedici<br />
anni, da poco arrivata in Italia, rimpiange<br />
la sua terra, i parenti lasciati là,<br />
e ha difficoltà di inserimento nella realtà<br />
scolastica, ma non può gridare il suo<br />
odio per l’Italia.<br />
Sono alcuni dei personaggi che popolano<br />
l’Hotel House, accomunati da<br />
identiche storie di sofferenza, di miseria,<br />
di guerra, che si sentono a proprio<br />
agio solo all’interno di questo condominio,<br />
nonostante l’evidente stato<br />
di degrado e di abbandono in cui l’edificio<br />
è lasciato dal Comune e dagli<br />
Organi competenti, in quanto solo qui<br />
si riappropriano della loro identità, di<br />
cui si sentono defraudati in una società<br />
che non li vede, non li considera come<br />
uomini, ma degli invisibili.<br />
Un elemento che li accomuna è infatti<br />
la perdita identitaria: l’identità dell’immigrato<br />
è definita in base alle apparenze<br />
e la loro immagine appare sfocata sia<br />
agli occhi degli autoctoni, che a quelli<br />
dei migranti stessi.<br />
Appaiono come alieni all’interno della<br />
società italiana, privi persino del diritto<br />
di dissentire, che è prerogativa di chi è<br />
riuscito ad ottenere il riconoscimento<br />
della propria identità, come sogna Pedrafà,<br />
un uomo colto che ha affrontato<br />
un viaggio massacrante per giungere in<br />
Italia e, di fronte al degrado dell’Hotel<br />
House, non si perde d’animo, si rimbocca<br />
le maniche per fare dell’Hotel<br />
House un luogo collegato con il centro,<br />
ben organizzato, in cui si possono ascoltare<br />
echi di Paesi lontani.<br />
Possiamo condividere questo sogno e<br />
auspicare che si creino in Italia e nel<br />
mondo realtà in cui ci si senta tutti<br />
cittadini con gli stessi diritti e doveri,<br />
indipendentemente dal Paese di<br />
provenienza, visto che la condizione<br />
umana è caratterizzata proprio dalla<br />
mobilità e la vita stessa può essere immaginata<br />
come un’esperienza migratoria<br />
continua.<br />
Nicoletta Mandaradoni<br />
Richard David Precht<br />
L’arte di non essere<br />
egoisti. Perché<br />
vorremmo tanto<br />
essere buoni e cosa ci<br />
impedisce di farlo<br />
Garzanti,<br />
Milano 2012,<br />
pp. 514, € 28,00<br />
“L’uomo è buono, è la gente che è bastarda”.<br />
È questa celebre frase del drammaturgo<br />
ottocentesco Nestroy ad aprire<br />
il libro L’arte di non essere egoisti di Richard<br />
David Precht, un giovane filosofo,<br />
scrittore e giornalista tedesco formatosi<br />
all’Università di Colonia e collaboratore<br />
di quasi tutte le più importanti testate e<br />
reti televisive tedesche.<br />
Il libro, a prima vista imponente con le<br />
sue cinquecento pagine, si pone un fine<br />
tutt’altro che semplice; rispondere a<br />
domande quali: «Che cosa sappiamo nel<br />
XXI secolo della natura morale dell’uomo?<br />
[…] Quando agiamo moralmente e<br />
quando no? Perché non siamo tutti buoni<br />
come vorremmo? Come potremmo cambiare<br />
la nostra società per renderla “migliore”<br />
a lungo termine?».<br />
La risposta di Precht si sviluppa raccogliendo<br />
nel testo materiale proveniente<br />
da discipline diverse, dalla