Fiume 1918, negata l'autodeterminazione - Edit
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Ricordando il plebiscito del 30 ottobre<br />
<strong>Fiume</strong> <strong>1918</strong>, <strong>negata</strong><br />
l’autodeterminazione<br />
di Ilaria Rocchi-Rukavina<br />
Ottobre <strong>1918</strong>. Insieme con le nubi della Grande<br />
Guerra si sta dissolvendo irreversibilmente<br />
anche l’Austria-Ungheria. Nel Vecchio<br />
Continente torna il sereno. Ma non dappertutto.<br />
Il cielo sopra al Quarnero è ancora plumbeo,<br />
minaccioso. L’esaurimento della secolare monarchia<br />
asburgica, poi austroungarica, sancisce la fi ne<br />
della posizione particolare di <strong>Fiume</strong>, che nello status<br />
“felice” di corpus separatum della Corona di<br />
Santo Stefano aveva trovato in passato un’ancora.<br />
Ora la città è in balia dei marosi di una storia che,<br />
purtroppo, nei mesi e ancor più nei decenni a venire<br />
si dimostrerà implacabile. Incombono nuove tempeste:<br />
si scatenano i fulmini dei nazionalismi croato<br />
e italiano; due parti contrapposte, antagoniste storiche,<br />
fi no a ieri divise dalle sponde dell’Eneo (a<br />
parte qualche scaramuccia e occupazioni “provvisorie”),<br />
oggi pronte – dimesso il “gendarme” austriaco-ungherese<br />
– a rispolverare l’antica e controversa<br />
questione del “possesso” della città e a dichiararne<br />
l’annessione per bocca dei rispettivi Comitati<br />
Nazionali.<br />
L’offensiva scatta a metà mese, anche se è già da<br />
un po’ di tempo (anzi, da qualche anno) che croati,<br />
serbi e sloveni sono in fermento e stanno operando<br />
al fi ne di includere <strong>Fiume</strong> nella loro futura compagine<br />
statale. E c’è chi, tra le grandi potenze, è ben<br />
disposto nei loro confronti. Passa al contrattacco<br />
l’onorevole Andrea Ossoinack, deputato unico di<br />
<strong>Fiume</strong> al Parlamento ungherese, che il 18 ottobre<br />
<strong>1918</strong> pronuncia a Budapest uno storico discorso.<br />
Il discorso di Ossoinack<br />
Ecco ciò che dice: “La guerra mondiale ha sconvolto<br />
il mondo e la pace mondiale sembra voler rendere<br />
anche più completo questo sconvolgimento, perché<br />
mentre all’interno i croati reclamano a sé la città<br />
di <strong>Fiume</strong>, anche secondo dispacci giunti dall’estero si<br />
vuole sacrifi care <strong>Fiume</strong> alla ‘Jugoslavia’. Di fronte a<br />
queste tendenze ritengo mio dovere protestare solennemente<br />
qui alla Camera in faccia al mondo intero<br />
contro chiunque volesse assegnare <strong>Fiume</strong> ai Croati,<br />
poiché <strong>Fiume</strong> non fu mai croata, ma, anzi, fu italiana<br />
nel passato e tale rimarrà anche nell’avvenire. Per<br />
questo motivo, ma anche per la posizione di diritto<br />
pubblico di <strong>Fiume</strong>, per cui anche oggi costituisce un<br />
‘Corpus separatum’, una simile arbitraria soluzione<br />
della sorte di <strong>Fiume</strong> sarebbe nel più aperto contrasto<br />
col diritto dei popoli alla autodecisione. Pertanto<br />
mi permetto di presentare la seguente dichiarazione,<br />
quale deputato di <strong>Fiume</strong> eletto all’unanimità e con<br />
richiamo alle concezioni esposte: Poiché l’Austria-<br />
Ungheria nelle sue offerte di pace ha accettato come<br />
base il diritto dei popoli alla autodecisione proclamata<br />
da Wilson, anche <strong>Fiume</strong> quale ‘corpus separatum’<br />
rivendica per sé questo diritto. In conformità desidera<br />
esercitare liberamente e senza limitazioni il diritto di<br />
poter decidere della propria sorte’. Ho voluto esprimere<br />
innanzi a codesta Camera questo punto di vista<br />
semplice e preciso. <strong>Fiume</strong> dunque sta sulla base del<br />
diritto di autodeterminazione dei popoli”.<br />
La situazione precipita nel giro di pochi<br />
giorni. Il 28 ottobre l’imperatore Carlo<br />
chiede all’Intesa le trattative per una<br />
pace separata. All’alba del 29 ottobre,<br />
Zoltán Jekelfalussy, ultimo governatore<br />
ungherese di <strong>Fiume</strong>, lascia la città,<br />
mentre qualche ora dopo il Sabor<br />
croato rompe i legami giuridico<br />
statali tra il regno di Croazia, Slavonia<br />
e Dalmazia, da una parte,<br />
e il regno d’Ungheria e l’impero<br />
d’Austria, dall’altra (Dalmazia,<br />
Croazia e Slavonia, con la città<br />
di <strong>Fiume</strong>, entrano a far parte di<br />
un unico Stato sovrano nazionale<br />
degli Sloveni, Croati e Serbi). Cominciano<br />
a tuonare i proclami e a<br />
tintinnare qualche arma.<br />
Segue a pagina 8<br />
IN QUESTO NUMERO<br />
Solo un accenno ai fatti che si svolsero nel capoluogo del<br />
Quarnero novant’anni fa, a quel discorso pronunciato a Budapest<br />
dal deputato fi umano Andrea Ossoinack il 18 ottobre<br />
<strong>1918</strong>, alla fi ne dei legami tra <strong>Fiume</strong> e l’Ungheria, al plebisicito<br />
con cui le genti fi umane avevano chiesto l’annessione al<br />
Regno d’Italia. Si apre così questo numero dell’Inserto Storia<br />
e Ricerca, che torna a uscire dopo la pausa estiva. E sono riprese,<br />
prima timidamente ora con un ritmo sempre più incalzante,<br />
anche le attività della Comunità Nazionale Italiana. Alla fi ne di<br />
settembre si è tenuto a Parenzo e Aquileia il seminario annuale<br />
di aggiornamento didattico culturale per i docenti di storia,<br />
geografi a, arte, storia dell’arte e natura e società che insegnano<br />
nelle scuole elementari e medie superiori italiane in Croazia e<br />
Slovenia. Ne parla Lorena Oplanić. Gianfranco Miksa illustra<br />
invece una nuova iniziativa editoriale, “Rijeka za radoznale.<br />
Fijumanologija” (<strong>Fiume</strong> per i curiosi. Fiumanologia), intesa a<br />
diffondere alcune “curiosità” e vicende meno note, emarginate<br />
o taciute, della storia fi umana. Restando in ambito editoriale,<br />
Kristjan Knez ripercorre l’ascesa e la caduta dell’Impero ottomano,<br />
riportando i risultati di una brillante sintesi di Suraiya<br />
Faroqhi. Nelle pagine centrali, l’intervista di Ardea Stanišić a<br />
Luciano Keber, un modellista navale; seguono la mostra dedicata<br />
a Cesare e un ricordo-omaggio di Mario Rigoni-Stern, il<br />
“sergente della neve” rievocato da Marco Grilli. Buona lettura.<br />
DEL POPOLO<br />
storia<br />
e ricerca<br />
www.edit.hr/lavoce Anno IV • n. 32 • Sabato, 4 ottobre 2008
2 storia e ricerca<br />
CONTRIBUTI<br />
di Kristjan Knez<br />
Si estendeva dai Balcani alla<br />
Mesopotamia, dal mar Rosso<br />
all’Algeria, dal Caucaso<br />
all’Adriatico, inglobando svariate<br />
decine di etnie, con lingue, religioni,<br />
usi e costumi diversi tra<br />
loro. Per secoli fu uno spauracchio<br />
per i potentati del vecchio<br />
continente, non pochi furono gli<br />
scontri e le “crociate” lanciate<br />
contro gli “infedeli”, ma al contempo<br />
si instaurarono ottimi rapporti<br />
commerciali, anche perché<br />
le terre del Vicino Oriente – attraverso<br />
le quali passavano le<br />
preziose merci delle Indie – erano<br />
cadute nella sua orbita. Stiamo<br />
parlando della realtà statuale<br />
messa in piedi dai sultani osmani,<br />
che, sulle rovine dello stato selgiuchide<br />
e grazie alla debolezza<br />
dell’impero bizantino, edifi caro-<br />
no la loro potenza, espandendosi<br />
sia in Europa sia in Asia e Africa.<br />
Su tale realtà è uscita la scorsa<br />
primavera un’agevole pubblicazione.<br />
Si tratta de “L’impero<br />
ottomano” di Suraiya Faroqhi (Il<br />
Mulino, Bologna 2008, traduzione<br />
di Lea Nocera, pp. 133), docente<br />
di ottomanistica alla Ludvig-Maximilians-Universität<br />
di<br />
Monaco di Baviera. La monografi<br />
a è una brillante sintesi, che<br />
offre una panoramica sullo sviluppo<br />
della Sublime Porta, dagli<br />
albori sino alla dissoluzione seguita<br />
alla prima guerra mondiale.<br />
I quattro capitoli – I “Ascesa<br />
ed espansione (1299-1481)”; II<br />
“Tra Oriente e Occidente (1481-<br />
1600)”; III “Faticose conquiste e<br />
primi contraccolpi (1600-1774)”;<br />
IV “Il secolo più lungo dell’impero<br />
(1774-1923)” –, tengono conto<br />
dei risultati più recenti degli studi<br />
storici, e si soffermano sulla storia<br />
politica ma anche sulle questioni<br />
di ordine culturale ed economico-sociale.<br />
L’autrice vuole<br />
evitare di presentare l’impero di<br />
Istanbul e la sua società esclusivamente<br />
come realtà belliche<br />
– come sovente vengono considerati<br />
–, perché “sappiamo che<br />
anche gli stati europei dell’età<br />
moderna vissero principalmente<br />
con e per la guerra, ed è quindi<br />
diffi cile sostenere che la strategia<br />
bellica e un’organizzazione politica<br />
orientata alla guerra siano<br />
specifi cità ottomane” (p. 10). Il<br />
testo intende esporre una narrazione<br />
a tutto tondo che abbraccia<br />
le grandi linee della storia politica<br />
di una determinata età storica<br />
nonché gli aspetti legati alla vita<br />
economica, sociale ed artistica. In<br />
un’epoca come la nostra, in cui si<br />
parla molto – e non sempre correttamente<br />
– dei rapporti con il<br />
mondo musulmano, il volumetto<br />
che andiamo recensendo rappresenta<br />
un ottimo contributo, in<br />
quanto offre una trattazione completa<br />
e ricca di contenuti concernenti<br />
la società, la vita quotidiana<br />
all’interno del serraglio ma anche<br />
di quella della gente comune, illustrandone<br />
le dinamiche interne<br />
nonché i rapporti con le province<br />
Progetto editoriale dell’associazione Stato Libero di <strong>Fiume</strong><br />
Raccontare tutta la storia grazie a «Fiumanologia»<br />
Presentato nella nuova libreria<br />
fi umana “RiBook” – che ha<br />
inaugurato il ciclo “Carne del<br />
Carnaro” (denomianzione che<br />
rievoca parte dei versi dannunziani<br />
de “La canzone del Quarnaro”)<br />
– il progetto letterario<br />
“Rijeka za radoznale. Fijumanologija”<br />
(<strong>Fiume</strong> per i curiosi. Fiumanologia),<br />
interessante iniziativa<br />
editoriale portata avanti dall’associazione<br />
Slobodna Država<br />
Rijeka/Stato Libero di <strong>Fiume</strong><br />
e dalla Società letteraria croata<br />
“Osvit”, intesa anche come occasione<br />
di dibattito oltre che di<br />
diffusione di alcune “curiosità”<br />
e vicende meno note, emarginate<br />
o taciute, della storia cittadina.<br />
E difatti, il progetto che ha come<br />
titolo “Fiumanologia”, un neologismo<br />
coniato dai rappresentanti<br />
dell’associazione Stato Libero di<br />
<strong>Fiume</strong>, mira a riscoprire in particolare<br />
quei segmenti del passato<br />
fi umano che sono rimasti fuori<br />
dai libri di storia non solo croati,<br />
ma anche italiani e ungheresi,<br />
nonostante questi Stati abbiano<br />
preponderantemente infl uito sulle<br />
sorti della città e dunque determinato<br />
il suo percorso storico.<br />
L’evento ha richiamato un pubblico<br />
numeroso e lo stesso sindaco<br />
Vojko Obersnel. Ospiti della<br />
serata, condotta dallo scrittore<br />
e saggista croato Boris Perić, in<br />
veste di moderatori, Theodor de<br />
Canziani Jakšić (storico, curatore<br />
della collezione Mažuranić-<br />
Brlić-Ružić), Nenad Labus (Ente<br />
per la tutela del patrimonio storico-culturale),<br />
Danko Švorinić<br />
(redattore responsabile della<br />
pubblicazione) ed Ernie Gigante<br />
Dešković (culturologo e scrittore,<br />
nonché uno dei principali fautori<br />
del volume).<br />
Diverse iniziative<br />
in cantiere<br />
Quest’iniziativa editoriale ha già<br />
dato alla luce il primo volume, dei<br />
tre pianifi cati, uscito la scorsa primavera.<br />
Ora, oltre alle opere scritte,<br />
è in cantiere anche la realizzazione<br />
di un documentario. “Un’idea per<br />
la quale siamo in cerca di fi nanziamenti<br />
– come ha spiegato Ernie<br />
Gigante Dešković –. Al momento<br />
siamo in fase di produzione, l’équipe<br />
tecnica e artistica è già decisa. Il<br />
concetto della scelta del cortometraggio<br />
è molto semplice: trasmettere<br />
sugli schermi televisivi (si spera<br />
del circuito nazionale) quello che<br />
è esposto nei libri da noi pubblicati<br />
o in fase di pubblicazione”. Inoltre,<br />
Gigante Dešković ha rivelato il suo<br />
desiderio di allestire un centro studi<br />
fi umano, volto alla ricerca e all’archiviazione<br />
degli aspetti storici e<br />
culturali della città. Intanto, nel corso<br />
di quest’autunno uscirà la secon-<br />
da parte di “<strong>Fiume</strong> per i curiosi. Fiumanologia<br />
II”.<br />
Carnaro, Carne e Carni<br />
A De Canziani Jakšić il compito<br />
di spiegare invece il concetto di<br />
“Carne del Carnaro”, scelto per indicare<br />
il progetto della “RiBook”.<br />
“Un termine usato soprattutto nel<br />
periodo fascista, ma anche dal<br />
padre della lingua italiana, Dante<br />
Alighieri”, ha puntualizzato il<br />
professore citando i versi del Sommo<br />
Poeta (“La Divina Commedia.<br />
Inferno”, Canto IX): “... sì com’a<br />
Pola, presso del Carnaro, ch’Italia<br />
chiude e i suoi terreni bagna”. Secondo<br />
Canziani l’espressione racchiude<br />
“tutti noi, e la nostra identità.<br />
La miscela degli abitanti di questa<br />
regione. Un amalgama, Carnaro,<br />
Carne e Carni”. Il curatore della<br />
collezione Mažuranić-Brlić-Ružić<br />
spiega inoltre che “è necessario<br />
raccontare tutto, senza pregiudizi.<br />
Tacere su questioni scottanti non<br />
porta a niente. La storia va presentata<br />
nel suo insieme, senza togliere<br />
né tanto meno aggiungere.<br />
Bisogna essere obiettivi”. Canziani<br />
durante la serata si è soffermato<br />
pure su alcune specifi cità e attrazioni<br />
fi umane che potrebbero offrire<br />
alla città svariate possibilità.<br />
In particolare i tre terrazzi da dove<br />
altrettanti dittatori mondiali hanno<br />
tenuto i propri discorsi. E ancora la<br />
Sabato, 4 ottobre 2008<br />
Il volume di Suraiya Faroqhi, massima specialista a livello internazi<br />
Sette secoli di storia dell’Imper<br />
Per secoli il vicino temuto dell’Europa, esteso dall’Asia all’Africa e ai Balcani<br />
dell’esteso impero e gli altri regni<br />
e/o stati.<br />
La marcia<br />
verso l’Occidente<br />
Le informazioni più antiche relative<br />
a un principato ottomano risalgono<br />
al primo quarto del XIV<br />
secolo. All’inizio era uno dei tanti<br />
staterelli che riempirono il vuoto lasciato<br />
dalla dissoluzione dello stato<br />
selgiuchide in Asia Minore e dalla<br />
ritirata in Iran dei capi mongoli. Sin<br />
dagli albori gli Ottomani si diressero<br />
verso occidente: in breve tempo<br />
caddero Bursa, Nicea e Adrianopoli<br />
(1361) ossia Edirne. Nella seconda<br />
metà dello stesso secolo le armate<br />
turche conquistarono la Bulgaria<br />
ed iniziarono le spedizioni contro il<br />
principato serbo. L’impero bizantino,<br />
ridottosi ormai alla sola città di<br />
Costantinopoli, cadde alla fi ne di<br />
maggio del 1453, dopodiché Maometto<br />
II, detto il Conquistatore, dette<br />
inizio ad una serie di offensive<br />
che portarono alla conquista delle<br />
terre affacciate sul mar Nero, della<br />
Crimea, dell’impero di Trebisonda,<br />
mentre in Anatolia cadde il principato<br />
dei Karamanogullari. Successi<br />
di rilievo vennero registrati nel<br />
Peloponneso, e al contempo iniziarono<br />
le campagne militari contro<br />
l’Albania – che trovarono l’eroica<br />
resistenza di Giorgio Castriota<br />
Skanderbeg –, vennero travolte la<br />
Serbia, l’Erzegovina e la Bosnia ed<br />
iniziarono le scorrerie in direzione<br />
del regno d’Ungheria, dei territori<br />
ereditari della Casa d’Austria e della<br />
Repubblica di Venezia. Nel 1480,<br />
inoltre, la mezzaluna sventolava anche<br />
sulle rive del mezzogiorno italiano,<br />
infatti i Turchi sbarcarono ad<br />
Otranto, e, seppure per un breve pe-<br />
cucina autoctona fi umana e l’eredità<br />
dannunziana sparsa nei musei<br />
fi umani. Nel suo intervento Nenad<br />
Labus si è soffermato sulle origini<br />
della città di <strong>Fiume</strong>, molto più antica<br />
di Spalato. Un fatto, ha precisato,<br />
per niente conosciuto dai nostri<br />
cittadini e completamente ignorato<br />
dalla storiografi a croata. Obersnel<br />
nella discussione generale della serata<br />
ha sottolineato che ogni sforzo<br />
da cui poi nasce una riga di storia<br />
è importante per la nostra città. Tra<br />
le domande poste alla serata, il primo<br />
cittadino è stato invitato a spiegare<br />
perché, nel palazzo municipale,<br />
siano presenti solamente i ritratti<br />
dei sindaci venuti dopo il 1945.<br />
Obersnel ha risposto che quest’anno<br />
è stato scelto perché ha segnato<br />
la defi nitiva marcatura dei confi ni<br />
nazionali.<br />
Gianfranco Miksa
Sabato, 4 ottobre 2008<br />
nale, offre un’ottima sintesi<br />
o dei sultani<br />
giunse fi no alle mura di Vienna<br />
riodo, minacciavano l’intera regione<br />
nonché lo Stato pontifi cio.<br />
Travasi<br />
di popolazioni<br />
Tra il XV e il XVI secolo nuove<br />
e importanti conquiste vennero registrate<br />
negli annali: l’area dell’odierno<br />
Iraq, la Siria, l’Arabia, l’Egitto, l’Ungheria,<br />
ecc., e le armate turche arrivarono<br />
sin sotto le mura di Vienna<br />
(1529), il cui assedio fallì, non tanto<br />
per merito della resistenza degli<br />
Asburgo ma piuttosto per le rigide<br />
condizioni climatiche. Poiché gli accadimenti<br />
militari e la titubanza provocata<br />
dagli eserciti del sultano sono<br />
noti ai più, desideriamo presentare il<br />
lato meno conosciuto al pubblico, per<br />
certi aspetti addirittura “inedito”, ovvero<br />
le condizioni sociali, o meglio<br />
alcuni segmenti della società ottomana,<br />
che, date le notevoli dimensioni<br />
di quell’impero, per forza di cose si<br />
differenziava da una regione all’altra.<br />
Particolarmente interessante è la parte<br />
in cui l’autrice parla della trasformazione<br />
della città di Costantinopoli,<br />
che non solo venne ribattezzata in<br />
Istanbul – mentre la basilica di Santa<br />
Sofi a fu convertita in moschea –, ma<br />
conobbe pure un considerevole ripopolamento.<br />
Poiché una consistente<br />
fetta della popolazione era fuggita<br />
prima dell’assedio nonché successivamente,<br />
cioè nei tre giorni di saccheggi<br />
che seguirono alla conquista<br />
della città, le autorità ottomane promossero<br />
l’immigrazione dalle vecchie<br />
province, ma al contempo venne<br />
imposto alle medesime di inviare<br />
una quota di immigrati, i quali però<br />
non avrebbero potuto abbandonare<br />
la metropoli dopo il loro trasferimento.<br />
Questi travasi avevano portato un<br />
considerevole numero di persone di<br />
fede islamica, suffi ciente ad attribuire<br />
un carattere musulmano alla città.<br />
La diplomazia,<br />
i commerci<br />
Sul versante dei rapporti diplomatici<br />
rammentiamo che Solimano<br />
il Magnifi co strinse un’alleanza con<br />
Francesco I di Francia, il quale, dopo<br />
la sconfi tta subita a Pavia nel 1525 e<br />
la sua cattura, poté ritornare al trono<br />
solo dopo aver versato un lauto riscatto,<br />
e ciò aveva fatto solo che aumentare<br />
l’ostilità e la poca simpatia già<br />
presente per gli Asburgo. Sul fi nire<br />
del XVI secolo le terre ottomane iniziarono<br />
ad essere vieppiù frequentate<br />
dai commercianti inglesi, che penetrarono<br />
nelle acque del Mediterraneo<br />
orientale cozzando contro gli interessi<br />
economici dei Veneziani. A partire<br />
dal 1580, inoltre, lstanbul e Londra<br />
strinsero delle relazioni, che furono<br />
determinate dall’interesse turco per<br />
lo stagno inglese, utile per gli armamenti.<br />
La conquista del regno mamelucco<br />
(1516-17), invece, aveva portato<br />
i Turchi anche sulle rive del mar<br />
Rosso. Si trattava di una regione strategicamente<br />
importante, attraverso la<br />
quale passavano le merci provenienti<br />
dall’India e dall’Oriente. La circumnavigazione<br />
del Capo di Buona Speranza<br />
(1488) e il successivo approdo<br />
dei Portoghesi sulle coste occidentali<br />
dell’India (1498) avevano aperto<br />
la via delle spezie anche ai commercianti<br />
lusitani i quali si spinsero<br />
anche nel Golfo Persico, occupando<br />
l’isola di Hormuz. I sultani tentarono<br />
di estendere la loro infl uenza anche<br />
sulle coste del subcontinente indiano,<br />
e la loro fl otta da guerra venne impegnata<br />
nell’Oceano Indiano, subendo<br />
però alcune ripetute sconfi tte per opera<br />
dei Portoghesi.<br />
Le «minoranze<br />
non musulmane»<br />
L’Impero ottomano era un crogiolo<br />
di popoli, che si distinguevano per<br />
la loro religione. Con le importanti<br />
conquiste fatte successivamente alla<br />
caduta di Costantinopoli, il sultano<br />
aveva trasformato il proprio stato<br />
in un impero a grande maggioranza<br />
musulmana, perciò, a partire dal XVI<br />
secolo, si può parlare di “minoranze<br />
non musulmane”. Tra queste la più<br />
consistente era certamente quella dei<br />
greco-ortodossi, presente non solo<br />
nei Balcani ma anche a Cipro e nelle<br />
province siriane, in Egitto vi erano<br />
i copti mentre nell’area montagnosa<br />
dell’Anatolia orientale, in alcune città<br />
dell’Asia minore e anche nella capitale<br />
si annoveravano gruppi, di dimensioni<br />
variabili, di armeni gregoriani.<br />
Vi erano pure i cristiani cattolici, sulle<br />
isole egee, in Dalmazia, in Bosnia<br />
e in Ungheria, nonché quelli calvinisti,<br />
in Transilvania e Ungheria. I sudditi<br />
non maomettani, a prescindere<br />
dalla loro confessione, pagavano un<br />
testatico, la “cizye”, che solitamente<br />
veniva pagato da ogni uomo in età da<br />
lavoro, la cui quota della tassa veniva<br />
calcolata in base ai beni posseduti.<br />
Dal punto di vista giuridico, evidenzia<br />
la storica, i non musulmani erano<br />
in una situazione di svantaggio: non<br />
potevano, ad esempio, testimoniare<br />
in sede di processo contro i musulmani,<br />
le loro abitazioni non potevano<br />
superare in altezza quella dei vicini<br />
islamici. In realtà, scrive Faroqhi,<br />
“la prassi era tuttavia molto più tollerante<br />
delle norme giuridiche e delle<br />
disposizioni dei sultani e, in alcune<br />
città dell’Anatolia, musulmani e non<br />
musulmani condivisero per secoli gli<br />
stessi quartieri, sebbene ciò non fosse<br />
ben visto dalle autorità” (p. 47). Un<br />
luogo comune da sfatare è poi quello<br />
delle conversioni forzate, in quanto si<br />
verifi carono solo in casi rari, e sovente<br />
era il risultato di un atto volontario<br />
e determinato da ragioni diverse “innanzitutto,<br />
gli interminabili confl itti<br />
religiosi tra ortodossi, cattolici e protestanti<br />
devono aver avuto un effetto<br />
di rigetto tra i molti europei sudorientali<br />
che non erano più disposti a credere<br />
alla missione divina delle chiese<br />
cristiane. Per alcune persone meno<br />
sensibili vi erano chiaramente motivi<br />
più ‘secolari’” (pp. 47-48).<br />
Segue a pagina 8<br />
EVENTI<br />
storia e ricerca 3<br />
La romanizzazione della Venetia e dell’Histria<br />
le realtà storico artistiche di Parenzo e Aquileia<br />
Nell’ultimo fi ne settimana<br />
di settembre, i docenti delle<br />
cosiddette materie formative<br />
dell’identità nazionale – storia,<br />
geografi a, arte, storia dell’arte,<br />
natura e società – , che insegnano<br />
nelle scuole elementari e medie<br />
superiori italiane in Croazia e<br />
Slovenia, si sono riuniti a Parenzo<br />
e Aquileia (26 e 27 settembre)<br />
per l’edizione 2008 del seminario<br />
di aggiornamento professionale,<br />
didattico culturale dedicato a a<br />
queste materie. Una due giorni<br />
di studio organizzata nell’ambito<br />
della collaborazione operativa<br />
tra l’Unione Italiana di <strong>Fiume</strong> e<br />
l’Università Popolare di Trieste,<br />
ha visto la collaborazione del Dipartimento<br />
di Scienze Geografi -<br />
che e Storiche dell’Università degli<br />
Studi di Trieste e del Centro<br />
Studi Altoadriatici di Aquileia.<br />
Il seminario ha visto presenti,<br />
in qualità di relatori, il prof.<br />
Giuseppe Cuscito, ordinario all’Università<br />
di Trieste, Direttore<br />
del Dipartimento di Scienze<br />
Geografi che e Storiche; la<br />
prof.ssa Gabriella Bernardi, docente<br />
al Master in Studi Umanistici<br />
presso l’Università di Bologna<br />
e l’Università Primo Levi; il<br />
prof. Enrico Lucchese, docente<br />
di Storia dell’Arte all’Università<br />
di Trieste. Hanno partecipato<br />
ai lavori 25 insegnanti delle<br />
istituzioni della CNI, ai quali si è<br />
unita la consulente superiore per<br />
le scuole della minoranza italiana<br />
(Agenzia per l’educazione e la<br />
formazione della Repubblica di<br />
Croazia) prof.ssa Patrizia Pitac-<br />
Seminario di aggiornamento didattico culturale<br />
co. Alla buona riuscita dell’appuntamento<br />
annuale hanno contribuito<br />
Claudia Millotti, collaboratrice<br />
del Settore Educazione e<br />
Istruzione della Giunta esecutiva<br />
dell’Unione Italiana – <strong>Fiume</strong> ed<br />
Elisabetta Lago alla quale è stata<br />
affi data la conduzione del seminario,<br />
mentre l’organizzazione<br />
della logistica e la direzione dell’escursione<br />
di studio in Italia è<br />
stata curata dal direttore organizzativo<br />
dell’Università Popolare<br />
di Trieste Fabrizio Somma.<br />
I contenuti, riguardanti precipuamente<br />
quella parte del piano<br />
e programma didattico rivolto<br />
alla cura delle specifi cità dell’insegnamento<br />
nelle scuole italiane,<br />
erano volti a illustrare due realtà<br />
storiche ed artistiche di particolare<br />
rilievo quali la Basilica Eufrasiana<br />
di Parenzo e la Basilica di<br />
Aquileia. Infatti, il seminario è<br />
stato impostato su tematiche riguardanti<br />
la “Romanizzazione<br />
della Venetia e dell’Histria” e<br />
Aquileia fu non solo un caposaldo<br />
contro le incursioni galliche<br />
e/o istre, diventò il centro d’irradiazione<br />
della romanizzazione<br />
del territorio della Venezia orientale<br />
e dell’Istria nonché della regione<br />
alpina.<br />
L’inaugurazione ha avuto luogo<br />
venerdì 26 settembre presso la<br />
Comunità degli Italiani di Parenzo.<br />
Dopo la prolusione del coordinatore<br />
scientifi co del seminario,<br />
Giuseppe Cuscito, su “Le<br />
radici romane della Venezia Giulia”<br />
ha avuto luogo, per lo stesso<br />
relatore, la lezione accademi-<br />
I partecipanti davanti alla Basilica di Aquileia<br />
ca su “Parenzo dall’Antichità al<br />
Medioevo”. L’intervento di Gabriella<br />
Bernardi dell’Università<br />
di Bologna su “I mosaici della<br />
Basilica Eufrasiana di Parenzo”<br />
e la visita guidata alla Basilica<br />
hanno impegnato la seconda parte<br />
del pomeriggio. La prima giornata<br />
si è conclusa con due lezioni<br />
di Enrico Lucchese dell’Università<br />
di Trieste sulla bibliografi a<br />
storico artistica dell’Istria e la<br />
comparazione tra le opere d’arte<br />
di Venezia e dell’Istria.<br />
La mattinata di sabato ha visto<br />
il gruppo impegnato nella lezione<br />
di Cristiano Tiussi (Università<br />
di Trieste) sugli scavi di<br />
Aquileia, nonché in quella sulla<br />
Basilica e il Battistero Cromaziano<br />
di Aquileia, a cura di<br />
Cuscito. Al pranzo conclusivo,<br />
presso il ristorante ai Patriarchi<br />
di Aquileia il gruppo seminariale<br />
ha avuto gradito ospite il sindaco<br />
di Aquileia Alviano Scarel che<br />
ha salutato i presenti a nome dell’amministrazione<br />
comunale e si<br />
è complimentato per un’iniziativa<br />
che lega in maniera indissolubile,<br />
storicamente e culturalmente<br />
queste terre nord adriatiche e<br />
le sue genti. Al rientro sono state<br />
tratte le considerazioni di<br />
conclusione del seminario con<br />
l’univoca convinzione dell’importanza<br />
e del grande contenuto<br />
culturale di questa annuale manifestazione<br />
di aggiornamento<br />
e formazione del corpo docente<br />
delle scuole italiane in Croazia e<br />
Slovenia.<br />
Lorena Oplanić
4 storia e ricerca<br />
Sabato, 4 ottobre 2008 Sabato, 4 ottobre 2008<br />
PATRIMONIO Intervista con un modellista che in 35 anni ha trasformato il suo passatempo in una missione storico culturale<br />
Tra battane, leudi e gozzi Luciano Keber naviga sicuro<br />
alla riscoperta delle nostre tradizioni marinare<br />
di Ardea Stanišić<br />
I<br />
modelli di imbarcazioni di Luciano<br />
Keber, sono il risultato<br />
– pluripremiato e riconosciuto<br />
– di un lavoro minuzioso, paziente,<br />
che affascina con tutti i dettagli<br />
in miniatura che vi si ritrovano.<br />
Un’arte vera e propria di cui, chissà<br />
perché, si parla poco. Perché,<br />
allora, non parlarne? Luciano Keber<br />
è disponibilissimo a farlo, anche<br />
perché proprio sulle pagine<br />
del nostro giornale, una trentina di<br />
anni fa, è uscito il primo articolo<br />
dedicatogli. Nel luglio scorso, si è<br />
svolta a Brest la maggiore rassegna<br />
mondiale delle imbarcazioni tradizionali,<br />
a cui quest’anno la Croazia<br />
è stata invitata quale ospite speciale,<br />
con un padiglione tutto per sé e<br />
per il suo patrimonio marittino-navale,<br />
rispettivamente un convoglio<br />
di dieci barche in formato originale<br />
(dai 7 ai 10 metri), tra cui la gaeta<br />
falcata, la batana rovignese, il leudo<br />
curzolano, la brazera di Ragusa,<br />
la gaeta di Lissa, tradizionali<br />
barche della foce della Narenta.<br />
E per quanto riguarda l’area litoraneo-montana,<br />
l’antica Liburnia.<br />
Un’imbarcazione per molti aspetti<br />
“immaginaria”, considerato che<br />
non ci sono fonti concrete per una<br />
costruzione esatta, fedelmente corrispondente<br />
all’originale. Esistono<br />
solamente dati scritti o raffi gurazioni<br />
su monete romane, in base<br />
ai quali ricostruirne l’aspetto “fi -<br />
sico”; si sa che era una nave agile,<br />
veloce, a remi, molto manovrabile,<br />
adatta agli inseguimenti, al supporto<br />
logistico e al rapido trasporto di<br />
truppe, con cui gli illiri svolgevano<br />
il commercio e guerreggiavano<br />
contro il nemico.<br />
Incontriamo Keber a Buccari:<br />
lavora presso la Capitaneria di<br />
porto locale, ma, soprattutto, in<br />
uno spazio del vecchio castello di<br />
Buccari dove custodisce in alcuni<br />
“scatoloni” diverse delle sue navimodelli<br />
(tra cui quelle dell’ultima<br />
mostra) e che ha adibito ad offi cina<br />
dove svolge i lavori iniziali, di<br />
sgrossamento. Ed è ciò che ci fa<br />
vedere innanzitutto: per la Scuola<br />
nautica di Buccari sta costruendo<br />
una nave “scolastica”, di cui quest’anno<br />
ricorre il centesimo anniversario<br />
della costruzione. Si tratta<br />
di un modello grande (1:10) da<br />
mettere in pratica, in acqua, e studiarne<br />
il veleggio, la navigazione<br />
a vela, che farà tappa da Lussino<br />
fi no a Ragusa (Dubrovnik). Sarà<br />
una nave ‘itinerante’ ad uso delle<br />
scuole e delle università di marineria<br />
della Croazia. Non esistono dati<br />
certi né disegni, solamente alcune<br />
illustrazioni e descrizioni in forma<br />
scritta. “Sto cercando di colmare<br />
questa lacuna – ci spiega Luciano<br />
– analizzando quanto più dettagliatamente<br />
tutte le fonti trovate (i disegni<br />
dei progetti furono distrutti<br />
durante i bombardamenti). In base<br />
a questi ho costruito lo scafo della<br />
nave che originariamente fu costruito<br />
a Kiel in Germania, proprio<br />
a scopo scolastico – istruttivo. È<br />
stata la prima nave-scuola sul Mediterraneo.”<br />
Di padre in fi glio<br />
Da quando si occupa di modellismo<br />
navale?<br />
“I miei primi modellini risalgono<br />
ai tempi della scuola: a nove<br />
anni ho fatto il primo scafo col fasciame,<br />
la catena, l’ancora, le gomene…<br />
mentre la prima nave<br />
‘vera’, di un metro e mezzo di lunghezza<br />
era la ‘Victory’, in prima<br />
media. Un amore ereditato da mio<br />
padre che non solo faceva diversi<br />
lavoretti in legno ma nel nostro appartamento<br />
al quarto piano ha costruito<br />
addirittura una battana vera!<br />
A scuola, a quei tempi, avevamo le<br />
ore di educazione tecnica, poi mi<br />
sono unito a un club di modellismo<br />
navale e da lì è proseguito il mio<br />
amore verso le costruzioni, il modellismo,<br />
poi il telecomando... Mi<br />
ricordo che da piccolo, quando si<br />
giocava con gli amici con le armi,<br />
tutti avevano le loro brave pistole<br />
acquistate nei negozi. Io me le fabbricavo<br />
da solo, in legno.”<br />
La prima mostra?<br />
“La mia prima esposizione, al<br />
tempo delle medie, ha avuto luogo<br />
in Circolo, l’attuale Comunità degli<br />
Italiani di <strong>Fiume</strong>, grazie a Stenio<br />
Vrancich. La mia prima uscita<br />
internazionale risale al 1979, a diciannove<br />
anni, a Londra, al Museo<br />
marittimo di Greenwich, con con<br />
una piccola barca tradizionale dalmata,<br />
lo štilac. La prima competizione<br />
internazionale risale al 1993,<br />
in Cecoslovacchia, dove ho rischiato<br />
la squalifi ca in quanto non<br />
avevo superato nessuna gara di carattere<br />
nazionale. Ma da noi, a livello<br />
nazionale, ancora non ne esistevano!<br />
In quella sede ho vinto la<br />
prima medaglia nel campo del modellismo<br />
per la Croazia. In seguito<br />
ho promosso le prime competizioni<br />
a livello nazionale in Croazia,<br />
secondo le regole internazionali, e<br />
dal 1997 ho conseguito il brevetto<br />
di giudice internazionale per il<br />
modellismo navale. Grazie a tutte<br />
queste iniziative, <strong>Fiume</strong>, da una<br />
decina d’anni, è diventata la portatrice<br />
di tutte queste attività a livello<br />
nazionale. Ora gli inviti per<br />
varie rassegne e competizioni sono<br />
piuttosto frequenti. Purtroppo sono<br />
poche le manifestazini a cui si può<br />
aderire: il trasporto dei modelli è<br />
molto costoso, c’è bisogno di un<br />
lavoro d’equipe e personalmente<br />
il tempo è sempre meno.”<br />
Le imbarcazioni<br />
dell’area quarnerina<br />
Come mai della nostra regione<br />
non c’è un’imbarcazione tradizionale?<br />
È vero, non abbiamo un’imbarcazione<br />
caratteristica come in altre<br />
parti dell’Adriatico, ad esempio<br />
le costruzioni tipiche dell’isola<br />
di Curzola (Korčula). Possiamo,<br />
però, ricordare il kvarnerski guc<br />
(gozzo quarnerino), che navigava<br />
da Crikvenica fi no ad Abbazia,<br />
ed è quella barca che possiamo<br />
ammirare sulle vecchie cartoline<br />
con cui si svolgevano le gite<br />
turistiche lungo le nostre coste.<br />
Una barca interessante, che veniva<br />
costruita anche con vele. E poi c’è<br />
la lovranska gajeta (gaeta lauranese)<br />
che di fatto è una variazione di<br />
quella originaria di Curzola. Negli<br />
ultimi vent’anni mi occupo intensamente<br />
della ricerca sulle imbarcazioni<br />
tradizionali della costa<br />
croata dell’Adriatico perché vedo<br />
che si tratta di un campo poco<br />
esplorato. Finché navigavo scoprivo<br />
e ammiravo le barche degli<br />
altri. Dov’era possibile ho sempre<br />
visitato musei, pescherie, negozi<br />
di modellismo e tutto ciò che ha<br />
a che fare con questo ramo specifi<br />
co. Mi sono reso conto, naturalmente,<br />
che ognuno cura la propria<br />
tradizione marinara e mi sono<br />
chiesto: ‘E noi? Che cosa stiamo<br />
facendo in questo senso?’ Eppure<br />
siamo un paese con una tradizione<br />
marinaresca invidiabile.”<br />
Il modellismo navale manca<br />
di esperti del settore?<br />
“Ammetto che anch’io all’inizio<br />
della mia avventura nel modellismo<br />
avevo intrapreso la via della<br />
costruzione delle imbarcazioni più<br />
note, tipo il cutty sark e altri velieri.<br />
Ma erano cose che avevano fatto<br />
già in tanti, mentre di ‘cose’ di<br />
casa nostra, batane, pasare, gajete,<br />
leudi, gozzi, si occupavano in<br />
pochi, e per la maggior parte solamente<br />
come souvenir. Non esiste<br />
una ricerca ‘seria’, una documentazione<br />
concreta e soprattutto<br />
disegni che li riguardi. Da qui<br />
il desiderio di approfondimento<br />
della nostra tradizione, ricerca di<br />
materiale originale, che possiamo<br />
considerare come folclore o<br />
come ricerca etnografi ca. Bisogna<br />
sapere che i costruttori navali del<br />
passato erano gente pratica e nella<br />
maggior parte dei casi operavano<br />
a seconda di modelli ‘propri’,<br />
personali, senza necessariamente<br />
mettere niente su carta. Per questo<br />
motivo l’ingegneria navale di<br />
una volta, quella in legno, manca<br />
di fonti originali. Oggidì nei musei<br />
di storia della marineria lavorano<br />
esperti e storici di marineria, nautica,<br />
arte, ma nessuno che abbia a<br />
che fare con il profi lo della storia<br />
dell’ingegneria navale. E qui entro<br />
in gioco io: spesso mi interpellano<br />
per commissionare restauri o la<br />
costruzione di modelli e navi. Collaboro<br />
con l’Istituto per il restauro<br />
a Pola, il Museo di storia della ma-<br />
rineria di <strong>Fiume</strong>, il Museo civico,<br />
il Museo della tecnica a Zagabria,<br />
quest’ultimo editore di un mio libro<br />
di disegni e schizzi di barche<br />
tradizionali dell’Adriatico croato,<br />
mentre un altro, un manuale sulla<br />
costruzione di modelli di trabacoli<br />
(trabakul), è edito dalla Facoltà di<br />
cultura tecnica di <strong>Fiume</strong>, ambedue<br />
bilingui (croato/inglese). So con<br />
certezza che uno di questi volumi<br />
è stato mandato in Cina, e mi<br />
sono reso conto personalmente che<br />
i cinesi hanno costruito modelli di<br />
barche in base ai miei disegni (in<br />
diversi negozi di accessori legati<br />
La sua prima battana<br />
Il modello della nave-scuola che sta costruendo attualmente<br />
alla navigazione, a Zagabria, tra i<br />
tanti modellini esposti ci sono anche<br />
batane, pasare e gozzi costruiti<br />
in base ai miei disegni)! Si tratta<br />
di volumi di natura tecnica, disegni<br />
secondo i quali una persona pur<br />
non conoscendo una barca specifi -<br />
ca ne può fabbricare con successo<br />
una copia. Ed è appunto questa la<br />
mia occupazione principale, il mio<br />
contributo al modellismo in legno:<br />
far conoscere agli altri quello che<br />
sono riuscito a scoprire, a fare. Riconosco<br />
un’imbarcazione, la copio<br />
(o disegno), ne realizzo lo schema<br />
(schizzo), il modello e lo presento<br />
attraverso una mostra o in un libro.<br />
Ho superato ormai da tempo la fase<br />
‘scolastica’, infantile, il modellismo<br />
puro.<br />
Ci vuole un museo<br />
della marineria<br />
Che cosa si potrebbe fare in<br />
questo senso, per valorizzare le<br />
nostre tradizioni marinare?<br />
Innanzitutto siamo ‘noi’ quelli<br />
che devono far valere le ‘nostre<br />
cose’. La barca più caratteristica<br />
del nostro territorio, come<br />
già detto, è il gozzo quarnerino, di<br />
5-6 metri di lunghezza. Ne trovia-<br />
5<br />
mo numerosi in fotografi e d’epoca<br />
(la nostra regione, con le riviere<br />
di Abbazia e Crikvenica, era la più<br />
forte nel campo del turismo d’elitè),<br />
ed erano in gran numero, 20-<br />
30 legate una di fi anco all’altra<br />
nei porticcioli, praticamente tutti<br />
uguali. Gli altri tipi di imbarcazioni<br />
in uso lungo tutto l’Adriatico,<br />
subivono delle leggere variazioni<br />
a seconda delle regioni. Stava poi<br />
alla popolazione locale presentare<br />
agli altri il proprio ‘prodotto’. I<br />
rovignesi, ad esempio, l’hanno saputo<br />
fare benissimo con la batana.<br />
Con l’ausilio dei modelli e ricerche<br />
di documentazioni per la loro<br />
costruzione, io cerco di farlo con<br />
la liburna (in occasione del Festival<br />
di Brest) e altre barche. Non<br />
è, però, di mia competenza addentrarmi<br />
nel campo di progetti per<br />
quanto riguarda i modelli che ricalcano<br />
le misure originali. In questo<br />
senso il discorso è molto più<br />
vasto in quanto potrebbe entrare in<br />
gioco un museo all’aperto, sull’acqua,<br />
come, ad esempio, il Museo<br />
della marineria a Cesenatico (nel<br />
Canal Morto), il primo in Europa<br />
di questo genere, con imbarcazioni<br />
tradizionali in grandezza originale.<br />
Quando l’ho visto, la prima<br />
idea che mi è passata per la testa<br />
era: sarebbe una cosa fantastica<br />
poterlo realizzare anche nel nostro<br />
Canal Morto! Cosa che ho fatto<br />
notare anche in articoli pubblicati<br />
in alcune riviste di nautica con cui<br />
collaboro. La parte settentrionale<br />
del Canal Morto penso sarebbe<br />
adatta ad ormeggiare sei-sette barche<br />
radizionali nostre, e penso che,<br />
nell’insieme, non sarebbe una spesa<br />
proibitiva. Ma dovrebbe essere<br />
un lavoro comune di diverse istituzioni,<br />
a cominciare dall’Uffi cio<br />
turistico, il Museo di storia della<br />
marineria, la Città di <strong>Fiume</strong>… un<br />
lavoro d’équipe. E qui si dovrebbe<br />
pensare anche ad un buon lavoro<br />
di equipaggiamento tradizionale<br />
delle imbarcazioni, di manutenzione,<br />
un programma di navigazione<br />
per i visitatori, un progetto sì complesso<br />
ma non irrealizzabile che<br />
per una città come <strong>Fiume</strong> dovrebbe<br />
essere senza dubbio una sfi da<br />
da non scartare.<br />
ZLATKO MAJNARIĆ
6 storia e ricerca<br />
MOSTRE<br />
Giulio Cesare: l’uomo, le imprese<br />
Statua di Giulio Cesare nei<br />
Fori imperiali a Roma (si<br />
tratta di un’opera moderna,<br />
in bronzo)<br />
Torna nella capitale italiana un personaggio chiave del travagliato passaggio tra la<br />
I<br />
grandi protagonisti – e che protagonisti!<br />
– della storia romana<br />
a Roma! Dal prossimo 24 ottobre<br />
e fi no al 5 aprile 2009 il Chiostro<br />
del Bramante accoglie una mostra<br />
dedicata a Giulio Cesare (circa<br />
100 – 44 a.C.), il primo “dittatore”,<br />
artefi ce indiscusso della grandezza<br />
del futuro impero romano di cui<br />
sarà principe, non a caso, il fi glio<br />
adottivo Ottaviano, primo “Cesare<br />
Augusto”. La mostra, intitolata<br />
“Giulio Cesare: l’uomo, le imprese,<br />
il mito” è curata da Giovanni<br />
Gentili, Paolo Liverani, Enzo Sallustro,<br />
Giovanni Villa. La mostra<br />
riunisce per la prima volta documenti<br />
archeologici di grande importanza<br />
e bellezza, provenienti dai<br />
maggiori musei italiani e stranieri,<br />
insieme plastici appositamente realizzati,<br />
a ricostruire la Roma di Cesare.<br />
All’arte fi gurativa è affi data la<br />
documentazione del mito di Cesare<br />
e del cesarismo dall’età medievale<br />
al Rinascimento, da qui al Neoclassicismo<br />
e oltre; fi no ai primissimi<br />
decenni del Novecento, quando il<br />
cinema, attraverso fi lmati d’epo-<br />
Cesare è passato alla storia come uomo senza scrupoli, tanto<br />
deciso nel raggiungimento dei suoi fi ni da non lasciare spazio ai<br />
sentimenti e ai rapporti umani: dalle sue opere non traspare nessun<br />
elemento contrario a questa immagine, tanto che neppure nel<br />
“mitico” rapporto con Cleopatra si può ipotizzare una piena partecipazione<br />
affettiva da parte del generale. L’intento politico della<br />
relazione tra i due è evidente, ben oltre il celebre fascino della regina<br />
esercitato sapientemente su Cesare e suggellato dalla nascita di<br />
Tolomeo XV Cesarione nel 47. Ma si può giustamente pensare anche<br />
ad un certo sentimento aleggiante tra i due, testimoniato anche<br />
dalla presenza a Roma della regina d’Egitto per circa due anni, dal<br />
46 e fi no alla morte di Cesare.<br />
Cesare era però, a detta di Cicerone, “il marito di tutte le mogli<br />
e la moglie di tutti i mariti”. La frase richiama un altro aspetto, ovvero<br />
una certa disinvoltura nel suo orientamento sessuale, pratica<br />
non così diffusa a Roma, ma diffusa in chi poteva vantare una cultura<br />
intrisa di grecità. Per questo atteggiamento il proconsole viene<br />
ancora sbeffeggiato dai suoi legionari durante il corteo trionfale<br />
del 46, per una diceria risalente a 35 anni prima, quando il diciannovenne<br />
Cesare si sarebbe “sottomesso” al re di Bitinia Nicomede<br />
IV, che lo ospitava. Diversi scrittori, tra cui Cicerone, attestano<br />
l’episodio, nonostante l’ostinato silenzio di Cesare sul fatto.<br />
Se altri episodi “rosa” arricchiscono la biografi a del futuro divus<br />
– occorre ricordare l’ininterrotta, sincera relazione con Servilia,<br />
sorella di Catone e madre di Bruto, forse fi glio naturale di<br />
Cesare secondo alcuni – ben più gravi sono alcuni fatti intercorsi,<br />
come quelli che conducono il generale al ripudio, nel 62, della terza<br />
moglie, Pompeia, dopo sei anni di matrimonio: durante i misteriosi<br />
riti della Bona Dea, celebrati allora in casa di Cesare e riservati<br />
esclusivamente alle donne, Publio Clodio Pulcro, celebre quanto<br />
scellerato rampollo della più alta nobilitas romana, vi si intromette,<br />
travestito da suonatrice. Scoperto da un’ancella ed annullata la<br />
festa per il sacrilegio commesso dall’intrusione di Clodio, si scopre<br />
anche che questi, fi do collaboratore di Cesare, altri non è se non<br />
l’amante di sua moglie. Tuttavia nel processo che consegue all’episodio,<br />
Cesare, ripudiata la moglie, si rifi uta di testimoniare contro<br />
l’amico, dimostrando sia l’interesse predominante per la scalata<br />
al potere che il carattere per lo meno effi mero del matrimonio che<br />
pure lo aveva aiutato nella sua carriera.<br />
Più semplice e forse più sincero il rapporto con l’ultima moglie<br />
Calpurnia, donna forte e decisa che pare scomporsi, secondo<br />
le fonti letterarie, solo di fronte ai funesti presagi avvertiti in sogno<br />
la notte precedente le idi di marzo. Altro non sappiamo di lei, che<br />
resta a Roma, lontano dal marito, durante le molte campagne che<br />
portavano Cesare in tutto il Mediterraneo.<br />
Al distacco occorso tra Cesare e le donne, pare corrispondere<br />
una scarsa fecondità di fi gli: l’amata Giulia, avuta da Cornelia,<br />
e Tolomeo Cesarione, partorito da Cleopatra. In linea con l’impressione<br />
data dai suoi legami, Cesare preferì scegliere le persone<br />
congiunte non per il sangue, ma per il valore, legandole a sé con<br />
l’antica istituzione dell’adozione: così alla scarsità numerica di fi -<br />
gli naturali supplisce un numero notevole di “fi gli” per così dire<br />
spirituali, che lo hanno seguito, onorato e chiamato padre, su tutti<br />
l’erede Gaio Giulio Cesare Ottaviano, suo fi glio adottivo, il primo<br />
Augusto.<br />
ca, costumi di scena e scenografi<br />
e, racconta il mito più recente di<br />
Cesare.<br />
Di Cesare le cronache abbondano<br />
di notizie, fi n dai tempi che lo<br />
videro affacciarsi sul palcoscenico<br />
politico dell’Urbe e poi intrepido<br />
comandante dell’esercito romano,<br />
con cui riportò clamorose vittorie<br />
ed annessioni di nuovi territori che<br />
ingigantirono il potere di Roma in<br />
area mediterranea.<br />
Personaggio chiave del travagliato<br />
passaggio tra la repubblica<br />
romana e l’impero, Cesare non fu<br />
mai imperatore, ma pose le basi<br />
per la solida attuazione dell’Impero.<br />
Figura d’eccezione – letterato,<br />
storico, generale e politico di<br />
straordinaria lungimiranza – iniziò<br />
già da vivo a costruire il mito di se<br />
stesso. Si presentò infatti come discendente<br />
di Venere, legato quindi<br />
al mito originario della stessa città<br />
di Roma risalente, secondo l’antica<br />
tradizione, allo stesso Enea, fi glio<br />
di Venere, che si vuole sbarcato<br />
sulle rive tirreniche laziali al termine<br />
del suo lungo peregrinare, esule<br />
da Troia, come narra l’Eneide virgiliana.<br />
Questa trama leggendaria,<br />
magistralmente costruita da Cesare,<br />
sarebbe stata ripresa e sviluppata<br />
dai suo successori al comando<br />
dell’Impero, ed instancabilmente<br />
elaborata fi no ai tempi nostri.<br />
Probabilmente, senza la fi ne tragica<br />
del suo assassinio, che lo colse<br />
nel momento del massimo fulgore<br />
evitandogli vecchiaia e decadenza,<br />
il mito di Cesare non si sarebbe affermato<br />
con altrettanta forza.<br />
Abel de Pujol, Cesare si reca al senato alle idi di marzo, olio su tela,<br />
Valenciennes, Musée des Beaux<br />
Sabato, 4 ottobre 2008<br />
In esposizione a Roma dal 24 ottobre 2008 al 5 aprile 2009<br />
Il marito di tutte le mogli<br />
e la moglie di tutti i mariti<br />
Il mito di Cesare è rimasto vivo<br />
ininterrottamente dalla sua morte.<br />
Col tempo, è capitato anche che<br />
dallo stesso mito siano stati permeati<br />
luoghi e monumenti che<br />
nulla hanno avuto a che fare, direttamente<br />
o indirettamente, con<br />
la persona e le varie vicende di<br />
Cesare. Esemplare in questo senso<br />
è la leggenda cesariana legata<br />
al celebre obelisco egizio che si<br />
erge maestoso ancora oggi in piazza<br />
San Pietro, proveniente dal vicino<br />
circo di Nerone-Caligola in<br />
Vaticano.<br />
Trasportato dall’Egitto per volontà<br />
dell’imperatore Caligola nel<br />
37 d.C. come principale elemento<br />
decorativo della spina per il circo,<br />
l’obelisco era stato realizzato per<br />
Nencoreo, faraone della XII dinastia<br />
(1991-1786 a.C.) e collocato<br />
ad Heliopolis, città dalla quale<br />
Giulio Cesare lo fece trasferire<br />
ad Alessandria, capitale ellenistica<br />
dell’Egitto dei Tolomei, per adornare<br />
la città di Cleopatra. Con tale<br />
simbolo eretto a Roma, Caligola<br />
si univa idealmente all’iniziatore<br />
dell’impero; tuttavia egli non riuscì<br />
a vedere completato il circo,<br />
che fu portato a termine da Nerone<br />
e che fu anche teatro del martirio<br />
di San Pietro nel 64.<br />
Il primo papa della chiesa cristiana<br />
fu sepolto lì a fi anco, nel<br />
luogo dove già sorgeva una necropoli,<br />
poi occultata dai lavori per la<br />
realizzazione della prima basilica<br />
di S. Pietro, al tempo dell’imperatore<br />
Costantino. L’obelisco però<br />
rimase fuori dal perimetro dell’edifi<br />
cio e fu lasciato al suo posto<br />
– nei pressi dell’attuale Aula Nervi<br />
–, col suo globo bronzeo dorato<br />
e l’iscrizione, poi perduta, che rimandava<br />
a Cesare.<br />
Nel corso del Medioevo il monumento,<br />
impostosi per l’attiguità<br />
alla mèta di migliaia di pellegrini,<br />
venne chiamato l’aguglia e la probabile<br />
suggestione data allo stesso<br />
dalla vicinanza della sepoltura di<br />
S. Pietro, portò a vedervi un mo-<br />
La mostra intende partire dal<br />
personaggio Cesare e dal suo più<br />
stretto contorno politico e culturale,<br />
toccando i momenti forti della<br />
sua ascesa al potere: gli alleati-avversari<br />
– come Crasso, Pompeo,<br />
Cicerone –, le campagne militari<br />
che gli diedero gloria e ricchezza,<br />
l’avventura egiziana e l’incontro<br />
con Cleopatra, regina d’Egitto,<br />
l’ambiente culturale e artistico romano<br />
di quegli anni; fi no alla morte,<br />
avvenuta alle idi di marzo del<br />
44 a.C., alla successione al potere<br />
nelle mani del giovane fi glio adottivo<br />
Ottaviano e l’apoteosi. La memoria<br />
e il “culto” di tale eccezionale<br />
fi gura non si persero mai, neppure<br />
nei secoli di decadenza dell’Impero<br />
e negli anni oscuri successivi<br />
alle invasioni barbariche in Italia.<br />
Fu però in età medievale, e particolarmente<br />
con l’avverarsi del Sacro<br />
Romano Impero (inizi IX secolo),<br />
che il mito del fondatore dell’impero<br />
riprese, tanto da additarsi nella<br />
sfera sovrastante l’obelisco vaticano<br />
l’urna cineraria del grande<br />
condottiero. Si trattò per lo più di<br />
una ripresa del mito in senso ideologico-politico,<br />
tesa a riaffermare i<br />
valori unifi canti del nuovo impero<br />
carolingio. All’arte spettò il compito<br />
di illustrare tale recupero.<br />
Specialmente a partire dal Duecento<br />
e poi dal Trecento, il recupero<br />
dell’antico si afferma anche<br />
attraverso le immagini dei grandi<br />
protagonisti della storia romana, e<br />
Cesare è ovviamente tra questi. In<br />
pieno Rinascimento i celebrati cicli<br />
ad affresco del Mantegna o di<br />
Andrea del Sarto, dedicati al dittatore<br />
romano, sono conforto e paragone<br />
per il nuovo principe e il suo<br />
imperium. Letteratura e musica celebrano<br />
i fasti di Roma come quelli<br />
di Cesare, e basterà citare a mo’ di<br />
esempio il Jilius Caesar di William<br />
Shakespeare.<br />
Il mito di Cesare e il “Cesarismo”<br />
traversano i secoli e paiono<br />
riacutizzarsi tra fi ne Settecento e<br />
Ottocento: l’interesse per l’antico<br />
e per i suoi protagonisti riesplode<br />
con forza nel secolo dell’Illuminismo<br />
e tra i suoi protagonisti,<br />
e basterà citare l’eredità sfociata<br />
poi nella fi gura e nel ruolo di<br />
La leggenda legata al celebre obelisco egizio<br />
numento funerario, ovviamente<br />
di un “Grande”: il grande globo<br />
posto sulla sommità dell’obelisco<br />
altro non sarebbe stato che l’urna<br />
cineraria di Gaio Giulio Cesare,<br />
di cui si sapeva, attraverso le<br />
fonti letterarie, della cremazione,<br />
avvenuta tra i tumulti poco dopo<br />
l’assassinio. La leggenda divenne<br />
parte integrante delle notizie raccontate<br />
ai visitatori della basilica<br />
ed il monumento additato come<br />
tomba di Cesare nei Mirabilia Urbis<br />
Romae, tanto da essere ancora<br />
vivo nella memoria culturale della<br />
stessa popolazione romana fi no<br />
alla fi ne del XVI secolo, quando<br />
papa Sisto V Peretti, fi ero avversario<br />
di ogni superstizione e diffi<br />
dente della considerazione quasi<br />
religiosa per il globo, decise di<br />
porre fi ne alla medesima. Il globo<br />
è conservato oggi nei Musei Capitolini,<br />
sfregiato, tra l’altro, dai<br />
segni delle archibugiate infertegli<br />
dai Lanzichenecchi durante il Sacco<br />
di Roma, nel 1527.
Sabato, 4 ottobre 2008<br />
repubblica e l’impero<br />
il mito<br />
Napoleone I. Mentre in Italia, nel<br />
primo Novecento, il mito romano<br />
troverà nell’ideologia fascista il<br />
luogo privilegiato per un nuovo<br />
“ritorno”.<br />
Sempre nel Novecento è anche<br />
e forse soprattutto il cinema, settima<br />
arte, ad aver tenuto vivo il mito<br />
di Cesare fi no a noi; tanto che dall’epoca<br />
del muto ad oggi, sono oltre<br />
cento le pellicole che lo vedono<br />
diretto o indiretto protagonista. La<br />
produzione cinematografi ca inerente<br />
Cesare può suddividersi sinteticamente<br />
in tre periodi: gli anni<br />
Dieci del Novecento, col suo cinema<br />
d’impianto teatrale; quella degli<br />
anni Cinquanta e Sessanta, che popolarizza<br />
le gesta di Cesare e degli<br />
antichi romani; infi ne gli anni delle<br />
grandi produzione hollywoodiane<br />
a Cinecittà, la via più breve per<br />
esportare oltre oceano il mito di cesare<br />
e di Roma antica.<br />
Roma, Musei Capitolini,<br />
Globo dell’obelisco di Sisto V<br />
Ricordo di Mario Rigoni-Stern<br />
Lo scorso 16 giugno si è spento nella sua<br />
Asiago lo scrittore Mario Rigoni-Stern.<br />
Il suo nome è indissolubilmente legato<br />
al capolavoro “Il sergente nella neve”, lo<br />
sconvolgente racconto autobiografi co sulla<br />
ritirata degli alpini nella campagna di Russia<br />
(fi ne 1942-inizio 1943). Questi appassionanti<br />
ricordi, pubblicati nel 1953 da Einaudi nella<br />
collana “Gettoni” diretta da Vittorini, furono<br />
scritti nel corso di un’altra terribile esperienza,<br />
la prigionia dell’autore nel lager tedesco I<br />
B in Masuria, nel 1944.<br />
Seppur defi nito inizialmente dallo stesso<br />
Vittorini scrittore non per vocazione, oggi Rigoni<br />
Stern occupa un posto di tutto rispetto<br />
nella letteratura italiana contemporanea, grazie<br />
al vigore morale, la verità umana ed il misurato<br />
lirismo della sua opera.<br />
Il suo amico e collega Ferdinando Camon<br />
lo ha ricordato come uno scrittore classico,<br />
dalla visione lucida e dalla scrittura semplice<br />
ma potente, dotato della grandezza tipica dei<br />
solitari; un uomo buono e mite che se ne fregava<br />
dei convegni e delle società letterarie.<br />
Dopo l’infanzia trascorsa tra la semplice<br />
gente di montagna nelle malghe dell’Altopiano,<br />
nel 1938 Rigoni-Stern entrò volontario<br />
nella Scuola militare d’alpinismo d’Aosta<br />
e allo scoppio della guerra fi nì per essere impiegato<br />
su vari fronti (Francia, Grecia, Albania,<br />
Russia). Catturato dai tedeschi all’indomani<br />
dell’armistizio (8/9/1943) fu deportato<br />
nella Prussia Orientale e fece ritorno a casa<br />
solamente nel 1945, impiegandosi nel catasto<br />
comunale fi no al 1970, per poi dedicarsi<br />
esclusivamente alla scrittura.<br />
Il “sergente nella neve” è giustamente<br />
considerato un classico del ‘900, un intenso<br />
e toccante diario di guerra privo d’enfasi retorica,<br />
spietatamente realista e dal linguaggio<br />
asciutto e concreto, che rifl ette la drammatica<br />
esperienza del Corpo di Spedizione italiana<br />
in Russia (CSIR). Nell’ottobre 2007 “Il sergente<br />
nella neve” è stato trasposto anche in<br />
scena: alla cava Arcari di Zovoncedo (VI)<br />
l’attore Marco Paolini, ispirandosi alle memorie<br />
di Russia dell’autore, ha realizzato una<br />
piece teatrale di grande successo, trasmessa<br />
in diretta TV.<br />
“Ho ancora nel naso l’odore che faceva il<br />
grasso sul fucile mitragliatore arroventato…<br />
”, questo splendido incipit introduce la prima<br />
parte dell’opera (Il caposaldo), ricordi ed<br />
emozioni della vita quotidiana sulle rive del<br />
Don, tra attese e paure, apatie e forte senso<br />
di cameratismo, dove ai rari momenti di serenità<br />
in cui forte è la volontà di tenere l’inconcepibile<br />
guerra alla porta, fa da contrasto<br />
lo smarrimento e l’inquietudine del contatto<br />
quotidiano con la morte (memorabile la pagina<br />
sulla fi ne del tenente Sarpi).<br />
La stanchezza e l’insofferenza per il confl<br />
itto non riescono a spegnere il senso dell’umanità<br />
tra i commilitoni, uomini semplici<br />
e schietti che dopo le solite giornate di vedette<br />
e reticolati, si ritrovano a confrontarsi nella<br />
condivisione di un triste destino: “C’era la<br />
guerra, proprio la guerra più vera dove ero io,<br />
ma io non vivevo la guerra, vivevo intensamente<br />
cose che sognavo, che ricordavo e che<br />
erano più vere della guerra…la morte fredda<br />
e verde aspettava sul fi ume, ma io avevo dentro<br />
di me un calore che scioglieva tutte queste<br />
cose”. Gli esiti del confl itto volsero al peggio<br />
per gli sfortunati alpini che, dopo aver provato<br />
il trauma delle terribili Katiuscie a 72 colpi<br />
sovietiche, furono costretti a ripiegare per<br />
uscire dall’accerchiamento.<br />
Il sergente maggiore del battaglione Vestone<br />
Rigoni-Stern riuscì a condurre in porto<br />
lo sganciamento, rimanendo in coda alle operazioni;<br />
l’orgoglio per la missione compiuta<br />
s’unì allo sdegno per il fallimento dell’assurda<br />
guerra fascista, riassunta in un esercito<br />
mandato allo sbaraglio in terre lontane, privo<br />
di mezzi, collegamenti e comandi adeguati.<br />
Pensieri taciuti e tradotti in gesti emblematici:<br />
“Ed erano vuote le tane, vuote, vuote di<br />
tutto ed io ero come le tane… Stringevo forte<br />
il mitragliatore. Premetti il grilletto, sparai<br />
tutto un caricatore; ne sparai un altro e piangevo<br />
mentre sparavo”.<br />
La seconda parte dell’opera ci precipita<br />
nell’allucinante ritirata degli alpini: le scene<br />
divengono più dinamiche, il ritmo si fa incalzante<br />
in frasi secche e sempre più concise,<br />
i toni accentuano la loro drammaticità -Un<br />
passo dietro l’altro, un passo dietro l’altro, un<br />
passo dietro l’altro. Pareva di dover sprofondare<br />
con la faccia dentro la neve e soffocare<br />
con due coltelli piantati sotto l’ascelle”.<br />
Tra il gelo e la fame, la stanchezza e i pidocchi,<br />
gli alpini marciano nelle steppe desolate<br />
affrontando ogni sorta di pericolo: l’assenza<br />
di coordinate spazio-temporali nel testo<br />
rifl ette la reale esperienza dei fuggitivi, con-<br />
sci unicamente di essersi allontanati dal Don,<br />
braccati dai russi, privi di mezzi e collegamenti<br />
e lontani migliaia di Km dall’agognata<br />
salvezza. Frequenti divengono le visioni oniriche<br />
dell’autore, che rifugge dagli orrori della<br />
guerra e si sottrae all’apatia nei delicati e<br />
lontani ricordi del suo paese e del suo passato,<br />
intercalati dalle immagini di un futuro fi -<br />
nalmente pacifi co e sereno.<br />
La natura, così estranea alle bassezze degli<br />
uomini –Vi era un bel sole: tutto era chiaro<br />
e trasparente, solo nel cuore degli uomi-<br />
storia e ricerca 7<br />
Il leggendario sergente nella neve<br />
la sua umanità, il messaggio di pace<br />
di Marco Grilli<br />
ni era buio. Buio come una notte di tempesta<br />
su un oceano di pece- pare come violentata<br />
dagli orrori della storia, mostrandosi dura e<br />
inospitale nell’odissea del ritorno –Si levò il<br />
vento…veniva libero, immenso, dalla steppa<br />
senza limiti. Nel buio freddo trovava noi,<br />
povere piccole cose sperdute nella guerra, ci<br />
scuoteva, ci faceva barcollare.<br />
Seppur coinvolto in un’esperienza ai limiti<br />
della sopportabilità umana, dove le uniche<br />
vie d’uscita paiono la follia o il suicidio,<br />
l’autore riesce a conservare la sua umanità,<br />
tramandandoci pagine dal valore universale.<br />
Un’umanità che traspare nell’odio verso i<br />
privilegi e l’autoritarismo, nel legame di fratellanza<br />
con i compagni alpini, nel mancato<br />
odio verso il nemico.<br />
Di fronte al cinismo ed alla brutalità dei<br />
metodi dei tedeschi, i russi paiono come combattenti<br />
coraggiosi e degni di rispetto, e non<br />
uomini inferiori e sottosviluppati come creduto<br />
dalle alte sfere fasciste: “Loro hanno le<br />
Katiuscie e le Maruske e la vodka e campi di<br />
girasole: e noi le Marie e le Terese, vino e boschi<br />
d’abeti”.<br />
In fondo i “nemici”: “Sono giovani e non<br />
hanno la faccia cattiva, ma solo seria e pallida,<br />
e compunta, guardinga”, muoiono invocando<br />
mama e provocano nell’autore dolore<br />
e senso di colpa alla vista di un loro caduto<br />
pianto dai familiari.<br />
Dopo la terribile battaglia della Nikolajewka<br />
(26/1/1943) l’accerchiamento russo<br />
fu fi nalmente rotto, ma non si trattò di una<br />
vittoria: il 70% degli alpini rimase sepolto<br />
nelle fredde steppe russe. “Ero arido come<br />
un sasso e come un sasso venivo rotolato dal<br />
torrente”; Rigoni perse i suoi migliori amici<br />
e nella commovente conta dei morti ricordò<br />
Rino, Raul, Moreschi, Pintossi, il capitano, il<br />
cappellano e quel Giuanin che ripeteva sempre<br />
“Sergentmagiù, ghè rivarem a baita?”.<br />
Il dolore lancinante di quest’anima sconvolta<br />
dall’inferno vissuto, pare ancora placarsi<br />
nella scena più bella del libro, quando Rigoni,<br />
ospitato da soldati e civili russi, condivise<br />
con loro un semplice pasto: “Ora non lo<br />
trovo affatto strano, a pensarvi, ma naturale<br />
di quella naturalezza che una volta dev’esserci<br />
stata tra gli uomini. (…) In quell’isba si era<br />
creata tra me e i soldati russi , e le donne e i<br />
bambini un’armonia che non era un armistizio.<br />
Era qualcosa di molto di più del rispetto<br />
che gli animali della foresta hanno l’uno per<br />
l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano<br />
portato degli uomini a saper restare uomini.<br />
(…) Finché saremo vivi ci ricorderemo,<br />
tutti quanti eravamo, come ci siamo comportati<br />
(…). Se questo è successo una volta potrà<br />
tornare a succedere. Potrà succedere, voglio<br />
dire, a innumerevoli altri uomini e diventare<br />
un costume, un modo di vivere”. Diffondere<br />
questo messaggio di pace rappresenta forse<br />
il miglior modo per ricordare l’uomo Rigoni-Stern.
8 storia e ricerca<br />
Da pagina 2<br />
La «svolta»<br />
del XVIII secolo<br />
L’Impero ottomano annoverava,<br />
fi n dalle origini, non pochi rapporti<br />
con l’Europa, nel XVIII secolo,<br />
invece, le relazioni conobbero un<br />
nuovo corso. Ambasciatori vennero<br />
inviati in Francia, alla corte di<br />
Luigi XV, e vi fu un incontro con<br />
l’arte europea. Nella monografi a<br />
la studiosa si sofferma anche sul<br />
ruolo delle donne, demolendo certi<br />
stereotipi. Leggiamo infatti che le<br />
rappresentanti del gentil sesso, sposate,<br />
potevano amministrare il proprio<br />
patrimonio e annoveravano il<br />
diritto ad avere una capacità giuridica,<br />
tant’è che potevano presentare<br />
istanza in tribunale, anche contro<br />
il coniuge. Le donne, inoltre, svolgevano<br />
pure attività religiose, artistiche<br />
e letterarie. Generalmente le<br />
ragazze, prima della pubertà, avevano<br />
accesso alle scuole coraniche,<br />
poiché secondo la dottrina religiosa<br />
“uffi ciale” era loro concesso, come<br />
voleva l’islam delle origini, tramandare<br />
i detti del profeta, ma quasi<br />
sempre avevano imparato a leggere<br />
e a scrivere già a casa.<br />
Gli insuccessi militari registrati<br />
nel corso della guerra contro la<br />
Russia (1768-1774) portarono lo<br />
stato ottomano, soprattutto con il<br />
sultano Selim III, all’acquisizione<br />
delle tecniche militari europee.<br />
Malgrado gli sforzi in quella direzione<br />
i risultati non furono immediati,<br />
anzi, sino al 1826, le possibilità<br />
di un’innovazione in quel<br />
settore furono alquanto limitate. Il<br />
nuovo corso che si auspicava avviare,<br />
necessitava in primo luogo<br />
di soldati bene addestrati che ben<br />
presto sarebbero entrati in concorrenza<br />
con i giannizzeri, i quali erano<br />
strettamente legati alla popolazione<br />
artigiana della grandi città. In<br />
quel periodo si registrarono le prime<br />
divergenze tra le posizioni degli<br />
ulema, che si ritenevano i legittimi<br />
custodi della comunità musulmana,<br />
ed il potere politico che riteneva<br />
necessaria una svolta per uscire da<br />
una situazione di crisi. Il già ricordato<br />
Selim III volle allora riformare<br />
l’esercito mediante l’istituzione<br />
di un nuovo corpo (il “Nuovo ordine”),<br />
il cui addestramento venne affi<br />
dato a istruttori europei. Parallelamente<br />
si passò alla ristrutturazione<br />
dello stato. Nel 1839 fu promulgata<br />
la legge conosciuta come “Tanzimat”<br />
cioè “riorganizzazione”, la<br />
quale garantiva a tutti i suditi la sicurezza<br />
della vita, della proprietà<br />
e dell’onore e al contempo veniva<br />
regolato il rapporto tra il sovrano<br />
e le classi dirigenti. Verso il 1850<br />
l’élite ottomana ritenne che i centri<br />
urbani, ed in particolare la capitale,<br />
necessitassero di una spinta modernizzatrice.<br />
Le guerre e le masse<br />
di profughi però impedirono che lo<br />
stato impiegasse notevoli risorse<br />
per costruzioni dispendiose, pertanto<br />
si aprirono le porte al capitale<br />
privato dei facoltosi commercianti,<br />
anche stranieri.<br />
Movimenti nazionali<br />
e insurrezioni<br />
Ma non erano questi i soli problemi<br />
che assillavano la Sublime<br />
Porta, agli albori del XIX secolo,<br />
infatti, i Balcani furono teatro delle<br />
insurrezioni, o meglio dei movimenti<br />
nazionali, che interessarono<br />
la Serbia e la Grecia, e che nella seconda<br />
metà di quello stesso secolo<br />
avrebbero infi ammato tutte le province<br />
europee sotto la giurisdizione<br />
di Istanbul. A Belgrado i giannizzeri<br />
di quella guarnigione, a seguito dei<br />
soprusi commessi, scatenarono gli<br />
animi della popolazione. Selim III,<br />
che a causa della politica riformistica<br />
era ai ferri corti con gli esponenti<br />
del celebre corpo scelto, appoggiò in<br />
un primo momento gli insorti con il<br />
fi ne di arginare i giannizzeri. La sua<br />
strategia nella politica interna si rivelò<br />
un fallimento e l’insurrezione<br />
fu ben presto incanalata contro<br />
l’Impero medesimo. Dopo alterne<br />
vicende, nel 1830, il principato di<br />
Serbia venne riconosciuto a livello<br />
internazionale come una piccola<br />
formazione autonoma all’interno<br />
della federazione di stati ottomani.<br />
Gli Elleni, invece, grazie ai contatti<br />
commerciali via mare, tra cui quelli<br />
con i territori russi del mar Nero, poterono<br />
preparare l’insurrezione proprio<br />
nella città di Odessa. Per lo zar<br />
quelle aspirazioni volte a costituire<br />
uno stato andavano appoggiate perché<br />
avrebbero rappresentato un’occasione<br />
irrepetibile per estendere il<br />
proprio dominio sull’area balcanica<br />
nonché per avere uno sbocco sul<br />
Mediterraneo. Successivamente altri<br />
fermenti nazionali avrebbero scosso<br />
la regione. Sino agli anni Ottanta del<br />
XIX secolo la Corona inglese giudicava<br />
strategicamente importante il<br />
mantenimento dell’Impero ottomano<br />
in primo luogo perché costituiva<br />
una sorta di barriera contro la politica<br />
espansionistica di San Pietroburgo.<br />
E proprio per tali ragioni nel<br />
corso della guerra di Crimea (1853-<br />
1856) il sultano ottenne l’appoggio<br />
dell’Inghilterra e della Francia – vi<br />
aderì pure il Regno di Sardegna –<br />
per fronteggiare l’esercito zarista.<br />
Tra l’ultimo quarto dell’Ottocento e<br />
il secondo decennio del Novecento<br />
altri confl itti interessarono i Balcani.<br />
Questi fatti d’arme determinarono<br />
una considerevole contrazione dei<br />
confi ni della Sublime Porta e furono<br />
inoltre accompagnati da espulsioni<br />
di massa e da emigrazioni. I massacri<br />
della popolazione musulmana furono<br />
una costante delle guerre d’indipendenza<br />
nel sud-est europeo. Le<br />
masse di profughi ripiegavano verso<br />
Istanbul, vivendo in pessime condi-<br />
Anno IV / n. 32 del 4 ottobre 2008<br />
zioni in attesa che il governo desse<br />
loro una nuova sistemazione.<br />
Verso la fi ne<br />
Il Ventesimo secolo fu caratterizzato,<br />
sul versante interno, da spinte<br />
centrifughe che insanguinarono i<br />
territori europei della compagine ottomana,<br />
mentre in politica estera il<br />
sultano dovette affrontare l’attacco<br />
italiano della Tripolitania e della Cirenaica<br />
(1911-12) e nei Balcani si trovò<br />
impelagato in due guerre balcaniche<br />
(1912-13) il cui risultato fu la cacciata<br />
dei Turchi dal continente europeo,<br />
eccetto dalla Tracia orientale. In<br />
quel periodo si verifi cò altresì un avvicinamento<br />
alla Germania che si tradusse<br />
in una penetrazione economica<br />
tedesca nell’Impero ottomano nonché<br />
in un’infl uenza militare. Nel 1913 il<br />
generale Liman von Sanders divenne<br />
ispettore generale dell’esercito ottomano.<br />
Scoppiata la Grande guerra<br />
e alleatasi con gli Imperi centrali la<br />
Porta si trovò impegnata sul fronte<br />
caucasico contro i Russi, e massacrò<br />
buona parte della popolazione armena<br />
dell’Anatolia, accusata di intese con il<br />
nemico. Sul fronte occidentale contrastò,<br />
anche grazie all’appoggio militare<br />
germanico, lo sbarco delle truppe<br />
del Commonwealth ai Dardanelli, che<br />
dovevano forzarne il blocco e quindi<br />
consentire il passaggio degli aiuti nel<br />
mar Nero in direzione degli scali russi.<br />
L’operazione fu una vera e propria<br />
carnefi cina (tra il febbraio 1915 ed<br />
il febbraio 1916 degli oltre 450.000<br />
uomini del corpo di spedizione circa<br />
100.000 furono evacuati per malattia<br />
ed oltre 150.000 furono i morti<br />
ed i dispersi) ed il comando britannico<br />
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina<br />
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina<br />
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat<br />
edizione: STORIA E RICERCA<br />
Redattore esecutivo: Ilaria Rocchi-Rukavina / Impaginazione: Denis Host-Silvani<br />
Collaboratori: Marco Grilli, Gianfranco Miksa, Kristjan Knez, Lorena Oplanić e<br />
Ardea Stanišić / Foto: Ivor Hreljanović, Zlatko Majnarić e Goran Žiković<br />
La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano<br />
con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre<br />
2004<br />
Sabato, 4 ottobre 2008<br />
<strong>Fiume</strong> <strong>1918</strong>, <strong>negata</strong> l’autodeterminazione<br />
Dalla prima pagina<br />
Lo stesso 29 ottobre esce quello<br />
del Comitato Nazionale Croato,<br />
dipendente dal Consiglio nazionale<br />
degli Sloveni, Croati e Serbi costituito<br />
a Zagabria il 5 ottobre <strong>1918</strong><br />
(nel quale <strong>Fiume</strong> è rappresentata<br />
dall’avvocato Riccardo Lenac).<br />
Nel pomeriggio un corteo croato<br />
proveniente da Sussak, preceduto<br />
dal Reggimento Jelačić si riversa<br />
in città (il capoluogo quarnerino<br />
resterà militarmente occupato per<br />
una ventina di giorni). Jekelfalussy<br />
consegna le chiavi del palazzo<br />
del Governo al Comitato Croato.<br />
Konstantin Rončević, commissario<br />
del Consiglio Nazionale degli SCS<br />
di Zagabria assume l’esercizio dell’autorità<br />
statale nella città di <strong>Fiume</strong><br />
nelle vesti di Commissario politi-<br />
co per la città di <strong>Fiume</strong> e Sussak col<br />
suo distretto (il 31 Riccardo Lenac<br />
sarà nominato Supremo conte della<br />
città e del suo distretto). L’atmosfera<br />
è elettrizzata.<br />
Gli “Argonauti del Carnaro”<br />
– Giovanni Matcovich, Giuseppe<br />
de Meichsner, Mario Petris, Attilio<br />
Prodam e Giovanni Stiglich – si<br />
mettono in cammino verso l’Italia:<br />
invocano l’invio di forze italiane per<br />
arginare, se non proprio respingere,<br />
la presenza armata delle truppe<br />
croate. In serata – è ancora il<br />
29 –, il Consiglio Nazionale Italiano,<br />
presieduto da Antonio Grossich,<br />
si insedia nel Municipio fi umano e<br />
all’indomani emette il suo proclama,<br />
ispirato da Giovanni Rubinich<br />
e compilato da Lionello Lenaz. È<br />
la logica conseguenza del discorso<br />
pronunciato qualche giorno prima<br />
dal deputato Ossoinack. Il messaggio<br />
è chiaro: la città di <strong>Fiume</strong>, fi no<br />
ad allora un corpus separatum costituente<br />
un comune nazionale italiano,<br />
avoca a sé il diritto di autodecisione<br />
delle genti; diritto inserito<br />
dal presidente statunitense Woodrow<br />
Wilson nei suoi “14 punti” per<br />
una pace duratura. “Basandosi su<br />
tale diritto – si conclude – il Consiglio<br />
nazionale proclama <strong>Fiume</strong> unita<br />
alla sua madrepatria l’Italia. Il<br />
Consiglio Nazionale Italiano considera<br />
provvisorio lo stato di cose subentrato<br />
addì 29 ottobre <strong>1918</strong>, mette<br />
il suo deciso sotto la protezione dell’America,<br />
madre di libertà e della<br />
democrazia universale e ne atten-<br />
de la sanzione dal congresso della<br />
pace.” Per far affi ggere il proclama<br />
nella città nel volgere di poche ore si<br />
commette un errore: in calce al testo<br />
si scrive la data del 30 settembre anziché<br />
quella del 30 ottobre <strong>1918</strong>. E<br />
mentre la parte croata – e in seguito<br />
anche la sua storiografi a – sminuisce<br />
la richiesta di autodeterminazione,<br />
la risposta del popolo è tale<br />
da essere considerata un vero e proprio<br />
plebiscito. I fi umani si riversano<br />
nelle piazze e nelle vie del centro,<br />
formano cortei con tanto di bandiere<br />
italiane, striscioni patriottici. Un<br />
impeto di orgoglio, un’esplicita e<br />
inequivocabile manifestazione della<br />
ferma determinazione dei cittadini<br />
Sette secoli di storia dell’Impero dei sultani ottomani<br />
fi umani a far valere la propria identità.<br />
Il proclama del 30 ottobre <strong>1918</strong><br />
costituisce “il fulcro di tutta la questione<br />
fi umana”, come scriverà il<br />
prof. Luigi Peteani, uno dei massimi<br />
conoscitori della storia fi umana.<br />
Nei mesi successivi le nubi sul<br />
capoluogo quarnerino si faranno<br />
più spesse, disegnando previsioni<br />
tetre. Si abbatterà un vero e proprio<br />
ciclone. Nel momento in cui si apriranno<br />
i “giochi” diplomatici per<br />
decidere le sorti della città, nessun<br />
governante vorrà dare ascolto alla<br />
volontà già espressa dai fi umani.<br />
Ignorando la loro voce, mozzeranno<br />
l’anima fi umana.<br />
Ilaria Rocchi-Rukavina<br />
Il sultano Solimano il Magnifi co<br />
dovette ritirarsi. Nel 1916 i Turchi si<br />
imposero in Iraq mentre in Arabia la<br />
guarnigione ottomana di Medina resistette<br />
sino al <strong>1918</strong>. Sul fronte siriano i<br />
problemi si registrarono verso la fi ne<br />
del 1917, ossia con la presa inglese di<br />
Gerusalemme.<br />
Il primo confl itto mondiale e la disfatta<br />
dell’esercito turco determinarono<br />
il crollo dell’Impero. Con la pace<br />
di Losanna del 1923, a seguito della<br />
guerra con la Grecia, la Turchia, divenuta<br />
ormai una repubblica, venne<br />
riconosciuta a livello internazionale.<br />
Mustafa Kemal detto Atatürk, il padre<br />
fondatore della Turchia moderna,<br />
aveva seguito un’ideologia che si<br />
basava su una rottura con il passato, e<br />
quella repubblica degli albori si poneva<br />
in antitesi alla realtà rappresentata<br />
dai sultani. Ma questa è ormai un’altra<br />
storia.<br />
Kristjan Knez