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sonore di un uccello-ponte (1992) o Rotte confuse di un<br />

giocoliere celeste (1995). Proprio in questo periodo fa la<br />

sua apparizione, accanto a temi già noti come il libero<br />

riassemblaggio di elementi della natura (uccelli) o quello,<br />

sempre presente, del viaggio celeste (raffigurato nei<br />

simboli, spesso ricorrenti, di sole e luna), la riflessione sulla<br />

modernità, esemplificata nell’accostamento tra dimensione<br />

arcaica e cibernetica. Si pensi ad opere come Il<br />

mio giocattolo del futuro (1990) o Danza apotropaica<br />

con asta virtuale (1995). In esse, mitologie antiche e moderne<br />

si alternano liberamente, con la libertà immaginativa<br />

che presuppone un’analoga distanza dal mito figurato,<br />

trasfigurato favolisticamente. Tale tema sarà più<br />

compiutamente sviluppato nelle opere del periodo più<br />

recente. Gli anni a cavallo del millennio, con il ciclo dei<br />

Cartigli Ermetici, vedono altresì l’ampliarsi dello spazio<br />

pittorico in un continuum che tutto contiene e fagocita:<br />

seguendo la traccia semantica delle intitolazioni, il cosmo<br />

figurativo di Chimenti diventa mappa dell’anima,<br />

del suo continuo mettersi in relazione con il mondo per<br />

ricondurre tutto a se stessa. Osservatori dell’anima, magie<br />

della memoria, voluttà dionisiache, sino al grande<br />

affresco dei Cartigli iridescenti della memoria guerriera<br />

con ombre colorate vagamente gioiose/giocose (2001),<br />

tutto sembra rifarsi a una dinamica esistenziale che affronta<br />

l’icastica varietà dei casi e delle forme del mondo<br />

ricomponendola in un insieme figurativo eterogeneo e<br />

variopinto ma connesso ed unitario. Il soggetto dell’opera<br />

impegna tutta la tela, lasciando pochissimo spazio a<br />

quella superficie colorata, neutra o contrastante, che in<br />

precedenza si definiva come margine o confine del soggetto<br />

stesso. Qui non c’è dicotomia o dialettica, tutto è<br />

assimilato in uno spazio concepito come “tutto-pieno”<br />

il cui codice figurativo, come è stato detto, “affonda<br />

le sue radici nell’Oriente pittorico” 5 . Nel periodo più recente,<br />

tale compattezza figurativa conosce una nuova<br />

disgregazione secondo le dinamiche della dialettica e<br />

della relazione. Con il ciclo Nuove icone dell’invisibile<br />

(in cui il titolo scavalca l’allusione per farsi vera e propria<br />

chiave esegetica) Chimenti sembra mettere in scena<br />

una drammaturgia dell’essere, in cui (come in ogni<br />

drammaturgia che si rispetti) due elementi figurativi, raddoppiamento<br />

e rovesciamento della medesima figura,<br />

dialogano tra loro: sono gli amanti immaginifici, i gemelli<br />

cyborg dall’unico ombelico, le figure simbiotiche<br />

(i ricorrenti simbionti) che definiscono una ineliminabile<br />

relazione del sé, una sua necessità di rispecchiamento e<br />

riconoscimento. Ancora una dinamica esistenziale forse,<br />

ma aperta alle inquietudini e alle incertezze del collettivo:<br />

ricompare il tema del futuro (Rivisitazioni nostalgiche<br />

di due guerrieri simbiotici del futuro, 2003) e della sua<br />

convivenza, in un’alterità irrisolvibile, con tutto quanto è<br />

immanente - l’archetipo e l’origine, adombrata nell’elemento<br />

ombelicale. Nel Dittico dell’identità con simbionti<br />

sopra<br />

Dittico dell’identità con simbionti immaginifici vagamente industriosi 2003<br />

tempera e acrilico su tavola, cm 70x200<br />

sotto<br />

Danza apotropaica con asta virtuale 1995<br />

tecnica mista su cartone, cm 35x50<br />

immaginifici vagamente industriosi (2003) due figure vagamente<br />

cavalleresche, armate di spada, si fronteggiano<br />

ai lati di un elemento centrale che sembra essere<br />

una giostra: uno scontro di elementi che la figurazione<br />

(l’essere composti dalle medesime parti) e l’intitolazione<br />

dell’artista definiscono come identici, come articolazioni<br />

di una medesima identità. Quello che Chimenti mette in<br />

scena qui, a uno degli estremi della sua vicenda artistica,<br />

è uno scontro impossibile - eppure necessario - dell’uno<br />

con il sé stesso ed insieme altro da sé, in una dimensione<br />

dicotomica che sola può garantire il perpetuarsi dell’immaginazione,<br />

della memoria e dell’oblio, dell’affettività<br />

e del distacco, dell’esistenza in tutte le sue parti infinitamente<br />

complesse e minute che la pittura dell’artista ha<br />

saputo indagare con puntualità soave e immaginifica.<br />

1 Luca Beatrice, L’ornamento non è delitto. Elogio della pittura di Pino<br />

Chimenti, in Catalogo mostra personale, L’Idioma Centro d’Arte, Ascoli<br />

Piceno, 2008<br />

2 Gillo Dorfles, Microcosmi, in Pino Chimenti. Microcosmi, Edizioni Gabriele<br />

Mazzotta, Milano, 2010<br />

3 Gillo Dorfles, Op. cit.<br />

4 Gillo Dorfles, Pino Chimenti, in Catalogo mostra personale, L’Idioma<br />

Centro d’Arte, Ascoli Piceno, 1991<br />

5 Giorgio Cortenova, La carezza della fabulazione, in Catalogo mostra<br />

personale, Forum Artis Museum, Montese, Modena, 1997<br />

Pino Chimenti<br />

vive ed opera a Spezzano Albanese (Cs)<br />

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