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Switch 11 - Edison

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iletto, comodino, tavolo e poltroncina - erano composti da una<br />

struttura in tubi d’acciaio cromato. All’estremità opposta della<br />

stanza del figlio si accedeva alla camera matrimoniale, opera di<br />

Guido Frette ed Adalberto Libera, ambiente questo dominato<br />

dal letto matrimoniale e caratterizzato dalla presenza di armadi<br />

a muro. Tra queste due camere vi era il bagno, opera di Piero<br />

Bottoni. L’ambiente si presentava dotato di ogni confort moderno:<br />

un WC, un bidet, una vasca da bagno ed un “lavabo razionale”<br />

incassato in una toilette rivestita di gomma lavabile di colore<br />

arancione. Le pareti della stanza erano rivestite di gomma azzurra,<br />

materiale questo utilizzato per venire incontro a criteri di igiene<br />

e pulizia. Al lato opposto delle stanze fin qui esaminate vi era un<br />

agglomerato composto di tre vani, cucina, acquaio e camera della<br />

domestica. Queste stanze, disegnate da Piero Bottoni, furono il<br />

suo capolavoro, vero esempio di “taylorismo domestico”. Il gruppo<br />

cucina-acquaio era staccato dalla sala da pranzo da una paretecredenza<br />

costituita da tre vani apribili. Questi tre vani erano: un<br />

“passa vivande”, che metteva in comunicazione la cucina con la<br />

sala da pranzo; un “mobile rotante per stoviglie” di forma circolare,<br />

che metteva in comunicazione - contemporaneamente - cucina,<br />

sala da pranzo ed acquaio; un “passa piatti sporchi”, che univa la<br />

sala da pranzo con l’acquaio. I piatti cucinati e predisposti in cucina<br />

passavano per il passa vivande al tavolo della sala da pranzo per<br />

poi, una volta finito di mangiare, transitare per il passa piatti sporchi<br />

e andare nel lavandino dell’acquaio per il successivo lavaggio. I<br />

piatti venivano prelevati, o riposti, nel mobile rotante circolare da<br />

qualsiasi delle tre stanze comunicanti con questo apparato. Nella<br />

cucina vi erano un armadio ed una credenza dove gli sportelli<br />

della parte superiore erano stati sostituiti da ante avvolgibili in<br />

celluloide. Questa soluzione permetteva minimo ingombro e,<br />

grazie alla celluloide, leggerezza e facilità di pulizia. Accanto alla<br />

cucina elettrica, a quattro fuochi, sotto la grande finestra vi era un<br />

tavolo di legno ricoperto di linoleum. A completare la dotazione<br />

degli arredi della cucina, un ripiano, un lavello, una sedia munita<br />

di contenitore. Vi era inoltre un refrigerante per la conservazione<br />

degli alimenti. L’acquaio era composto da un doppio lavandino, il<br />

primo destinato ai piatti sporchi, il secondo al risciacquo. Terminate<br />

queste operazioni le stoviglie potevano essere riposte nell’apposito<br />

mobile rotante. Un ripiano, una vasca per risciacquare la biancheria<br />

e un ripostiglio erano gli ultimi componenti d’arredo dell’acquaio.<br />

Singolare la soluzione adottata per l’asse da stiro. Trattavasi<br />

dell’anta del ripostiglio che resa ribaltabile si tramutava in una<br />

superficie imbottita adatta allo stiraggio. Le pareti erano rivestite<br />

di gomma grigio-azzurra; il pavimento era in ceramica color crema.<br />

Una tenda in gomma scorrevole su anelli poteva separare la cucina<br />

dall’acquaio. Ultima stanza della “Casa Elettrica” era la camera<br />

della domestica, anch’essa realizzata da Piero Bottoni. L’elemento<br />

di maggiore interesse era il letto a scomparsa in legno di betulla.<br />

Chiuso, dava vita ad una scaffalatura libreria; aperto si tramutava in<br />

un ampio e comodo letto.<br />

I commenti pubblicati all’epoca sulla stampa specializzata<br />

risultarono essere tendenzialmente positivi, per una serie di<br />

innovazioni evidenti, osservabili, tangibili. Non mancarono però<br />

alcune considerazioni critiche nelle quali si accusava di asettica<br />

uniformità l’eccessivo ordine razionalistico espresso dall’insieme.<br />

Nella descrizione fatta finora mancano però le caratteristiche che<br />

definiscono la casa come “Elettrica”. Se è vero che l’abitazione da<br />

noi esaminata era un esercizio di stile razionalista compiuto dai<br />

giovanissimi architetti del Gruppo 7, essa era altresì qualcosa<br />

di più: era la “Casa Elettrica”, una vetrina di oggetti sconosciuti<br />

alla maggioranza degli italiani del 1930. Nel salotto e nella sala<br />

da pranzo venivano esposti una serie di prodotti della S.C.A.E.M.<br />

(Società Costruzione di Apparecchi Elettrodomestici Marelli) quali<br />

amarcord d’autore<br />

un aspirapolvere, una lucidatrice ed un ventilatore ad aria fredda,<br />

calda o profumata. Vi erano inoltre un telefono, un fonografo<br />

elettrico di marca Veravox Electric e un ozonizzatore per la<br />

depurazione dell’aria della società Ozono. Sul mobile posto sotto la<br />

finestra della sala da pranzo facevano bella mostra di sé un bollitore<br />

ad immersione e un tostapane della AEG, una teiera, un radiatore,<br />

uno scaldapiatti ed un bollitore per uova di produzione Therma.<br />

Sul tavolo della sala da pranzo vi era un grande scaldavivande. La<br />

stanza dei genitori conteneva una lucidatrice aspirante Columbus,<br />

un termoforo, una stufa, uno scaldapiedi, un asciugacapelli, tutti<br />

della Therma, e un ventilatore ad aria fredda, calda o profumata<br />

della S.C.A.E.M. Nella stanza del figlio vi erano un termoforo e uno<br />

scaldapiedi Protos, oltre ad una stufa della AEG. Nella camera<br />

della domestica faceva bella mostra una macchina da cucire della<br />

Compagnia Singer. Nella stanza da bagno vi erano due autentici<br />

“prodigi”, un asciugamani elettrico della Neptunia e un deodoratore<br />

automatico del WC; un piccolo aspiratore, azionato da un motorino<br />

elettrico, catturava i cattivi odori immettendoli direttamente nel<br />

tubo di scarico. La maggior parte degli elettrodomestici della<br />

“Casa Elettrica” erano concentrati - ovviamente - nella cucina. In<br />

quest’ambiente si trovavano una cucina elettrica a quattro fornelli<br />

- con tre intensità di calore - e forno della AEG oltre ad un forno<br />

elettrico munito di orologio della Protos. L’aspirazione degli odori<br />

di cottura avveniva tramite un piccolo aspiratore posto nel telaio<br />

della finestra. Sul tavolo da lavoro vi era un motore da cucina della<br />

KitchenAid composto da numerosi accessori, quali tritacarne,<br />

sbattiuova, impastatrice, frantumatrice, setaccio, etc., oltre ad uno<br />

spremilimoni ed un macina caffè entrambi della S.C.A.E.M. Poi,<br />

vi era un frigorifero elettrico automatico - o refrigerante - della<br />

società Frigidaire Corporation, del gruppo GMC, marca all’epoca<br />

sinonimo dell’apparecchio. Nell’acquaio vi era una lavabiancheria<br />

automatica della Neptunia. I panni sporchi venivano immessi nella<br />

lavatrice; una volta lavati venivano tolti dalla macchina e risciacquati<br />

nell’apposita vasca situata nella stanza. Successivamente, venivano<br />

riposti nuovamente nella lavatrice per essere centrifugati. Una<br />

volta asciutta, la biancheria poteva essere stirata con un ferro<br />

elettrico AEG. Tuttavia, quanto costava un’abitazione come la<br />

“Casa Elettrica”? Diciamo subito che gli architetti del Gruppo 7<br />

avevano concepito cinque tipologie di casa del costo compreso<br />

tra le 40.000 e le 100.000 lire. La “Casa Elettrica” aveva un costo<br />

di 60.000 lire, ma i suoi inquilini per dotarla del mobilio e delle<br />

lampade avrebbero dovuto sborsare altre 20.000 lire. Da questa<br />

cifra rimanevano esclusi gli elettrodomestici. Insomma, una casa<br />

da sogno per la quasi totalità degli italiani che si concretizzò in un<br />

unico esemplare dalla vita brevissima, ma dal fortissimo impatto<br />

simbolico. Nel 1931 il Museum of Modern Art di New York decise<br />

di organizzare per l’anno seguente la sua prima esposizione<br />

dedicata all’architettura moderna. Il direttore del museo, Alfred Barr,<br />

incaricò gli studiosi Philipp Johnson e Henry-Russell Hitchcock<br />

di organizzare l’evento. La mostra dal titolo “Modern Architecture.<br />

International Exhibition”, si svolse a New York tra il 10 febbraio<br />

e il 23 marzo 1932. All’interno dell’esposizione, si poterono<br />

visionare immagini dei modelli relativi alle opere architettoniche<br />

più interessanti realizzate negli ultimi anni in Europa e negli Stati<br />

Uniti. Tra queste costruzioni, unica proveniente dall’Italia, vi era<br />

anche la “Casa Elettrica”, o per meglio dire quella che gli americani<br />

chiamarono “Electrical House at the Monza Exposition”, opera di<br />

Luigi Figini e Gino Pollini. Ad oltre un anno dall’evento, la “Casa<br />

Elettrica”, ormai perduta per sempre, ma assurta a “classico” da<br />

tramandare, sopravviveva al divenire del tempo attraverso questa<br />

mostra e attraverso il ricordo e la testimonianza di chi concorse alla<br />

sua realizzazione.<br />

1<br />

Questo articolo è un sunto di un più ampio studio che l’autore sta dedicando<br />

alla “Casa Elettrica”: Da Monza al MoMA. La Casa Elettrica. Un estratto dello<br />

stesso verrà presentato al prossimo 75° Congresso Nazionale SIMLII [Società<br />

Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale] che si terrà a Bergamo tra<br />

il 17 ed il 19 ottobre 2012. 2<br />

G. Polin, La Casa Elettrica di Figini e Pollini. 1930,<br />

Roma 1982, pp. 52-55. 3<br />

G. Polin, La Casa Elettrica, op. cit., p. 100.<br />

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