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iletto, comodino, tavolo e poltroncina - erano composti da una<br />
struttura in tubi d’acciaio cromato. All’estremità opposta della<br />
stanza del figlio si accedeva alla camera matrimoniale, opera di<br />
Guido Frette ed Adalberto Libera, ambiente questo dominato<br />
dal letto matrimoniale e caratterizzato dalla presenza di armadi<br />
a muro. Tra queste due camere vi era il bagno, opera di Piero<br />
Bottoni. L’ambiente si presentava dotato di ogni confort moderno:<br />
un WC, un bidet, una vasca da bagno ed un “lavabo razionale”<br />
incassato in una toilette rivestita di gomma lavabile di colore<br />
arancione. Le pareti della stanza erano rivestite di gomma azzurra,<br />
materiale questo utilizzato per venire incontro a criteri di igiene<br />
e pulizia. Al lato opposto delle stanze fin qui esaminate vi era un<br />
agglomerato composto di tre vani, cucina, acquaio e camera della<br />
domestica. Queste stanze, disegnate da Piero Bottoni, furono il<br />
suo capolavoro, vero esempio di “taylorismo domestico”. Il gruppo<br />
cucina-acquaio era staccato dalla sala da pranzo da una paretecredenza<br />
costituita da tre vani apribili. Questi tre vani erano: un<br />
“passa vivande”, che metteva in comunicazione la cucina con la<br />
sala da pranzo; un “mobile rotante per stoviglie” di forma circolare,<br />
che metteva in comunicazione - contemporaneamente - cucina,<br />
sala da pranzo ed acquaio; un “passa piatti sporchi”, che univa la<br />
sala da pranzo con l’acquaio. I piatti cucinati e predisposti in cucina<br />
passavano per il passa vivande al tavolo della sala da pranzo per<br />
poi, una volta finito di mangiare, transitare per il passa piatti sporchi<br />
e andare nel lavandino dell’acquaio per il successivo lavaggio. I<br />
piatti venivano prelevati, o riposti, nel mobile rotante circolare da<br />
qualsiasi delle tre stanze comunicanti con questo apparato. Nella<br />
cucina vi erano un armadio ed una credenza dove gli sportelli<br />
della parte superiore erano stati sostituiti da ante avvolgibili in<br />
celluloide. Questa soluzione permetteva minimo ingombro e,<br />
grazie alla celluloide, leggerezza e facilità di pulizia. Accanto alla<br />
cucina elettrica, a quattro fuochi, sotto la grande finestra vi era un<br />
tavolo di legno ricoperto di linoleum. A completare la dotazione<br />
degli arredi della cucina, un ripiano, un lavello, una sedia munita<br />
di contenitore. Vi era inoltre un refrigerante per la conservazione<br />
degli alimenti. L’acquaio era composto da un doppio lavandino, il<br />
primo destinato ai piatti sporchi, il secondo al risciacquo. Terminate<br />
queste operazioni le stoviglie potevano essere riposte nell’apposito<br />
mobile rotante. Un ripiano, una vasca per risciacquare la biancheria<br />
e un ripostiglio erano gli ultimi componenti d’arredo dell’acquaio.<br />
Singolare la soluzione adottata per l’asse da stiro. Trattavasi<br />
dell’anta del ripostiglio che resa ribaltabile si tramutava in una<br />
superficie imbottita adatta allo stiraggio. Le pareti erano rivestite<br />
di gomma grigio-azzurra; il pavimento era in ceramica color crema.<br />
Una tenda in gomma scorrevole su anelli poteva separare la cucina<br />
dall’acquaio. Ultima stanza della “Casa Elettrica” era la camera<br />
della domestica, anch’essa realizzata da Piero Bottoni. L’elemento<br />
di maggiore interesse era il letto a scomparsa in legno di betulla.<br />
Chiuso, dava vita ad una scaffalatura libreria; aperto si tramutava in<br />
un ampio e comodo letto.<br />
I commenti pubblicati all’epoca sulla stampa specializzata<br />
risultarono essere tendenzialmente positivi, per una serie di<br />
innovazioni evidenti, osservabili, tangibili. Non mancarono però<br />
alcune considerazioni critiche nelle quali si accusava di asettica<br />
uniformità l’eccessivo ordine razionalistico espresso dall’insieme.<br />
Nella descrizione fatta finora mancano però le caratteristiche che<br />
definiscono la casa come “Elettrica”. Se è vero che l’abitazione da<br />
noi esaminata era un esercizio di stile razionalista compiuto dai<br />
giovanissimi architetti del Gruppo 7, essa era altresì qualcosa<br />
di più: era la “Casa Elettrica”, una vetrina di oggetti sconosciuti<br />
alla maggioranza degli italiani del 1930. Nel salotto e nella sala<br />
da pranzo venivano esposti una serie di prodotti della S.C.A.E.M.<br />
(Società Costruzione di Apparecchi Elettrodomestici Marelli) quali<br />
amarcord d’autore<br />
un aspirapolvere, una lucidatrice ed un ventilatore ad aria fredda,<br />
calda o profumata. Vi erano inoltre un telefono, un fonografo<br />
elettrico di marca Veravox Electric e un ozonizzatore per la<br />
depurazione dell’aria della società Ozono. Sul mobile posto sotto la<br />
finestra della sala da pranzo facevano bella mostra di sé un bollitore<br />
ad immersione e un tostapane della AEG, una teiera, un radiatore,<br />
uno scaldapiatti ed un bollitore per uova di produzione Therma.<br />
Sul tavolo della sala da pranzo vi era un grande scaldavivande. La<br />
stanza dei genitori conteneva una lucidatrice aspirante Columbus,<br />
un termoforo, una stufa, uno scaldapiedi, un asciugacapelli, tutti<br />
della Therma, e un ventilatore ad aria fredda, calda o profumata<br />
della S.C.A.E.M. Nella stanza del figlio vi erano un termoforo e uno<br />
scaldapiedi Protos, oltre ad una stufa della AEG. Nella camera<br />
della domestica faceva bella mostra una macchina da cucire della<br />
Compagnia Singer. Nella stanza da bagno vi erano due autentici<br />
“prodigi”, un asciugamani elettrico della Neptunia e un deodoratore<br />
automatico del WC; un piccolo aspiratore, azionato da un motorino<br />
elettrico, catturava i cattivi odori immettendoli direttamente nel<br />
tubo di scarico. La maggior parte degli elettrodomestici della<br />
“Casa Elettrica” erano concentrati - ovviamente - nella cucina. In<br />
quest’ambiente si trovavano una cucina elettrica a quattro fornelli<br />
- con tre intensità di calore - e forno della AEG oltre ad un forno<br />
elettrico munito di orologio della Protos. L’aspirazione degli odori<br />
di cottura avveniva tramite un piccolo aspiratore posto nel telaio<br />
della finestra. Sul tavolo da lavoro vi era un motore da cucina della<br />
KitchenAid composto da numerosi accessori, quali tritacarne,<br />
sbattiuova, impastatrice, frantumatrice, setaccio, etc., oltre ad uno<br />
spremilimoni ed un macina caffè entrambi della S.C.A.E.M. Poi,<br />
vi era un frigorifero elettrico automatico - o refrigerante - della<br />
società Frigidaire Corporation, del gruppo GMC, marca all’epoca<br />
sinonimo dell’apparecchio. Nell’acquaio vi era una lavabiancheria<br />
automatica della Neptunia. I panni sporchi venivano immessi nella<br />
lavatrice; una volta lavati venivano tolti dalla macchina e risciacquati<br />
nell’apposita vasca situata nella stanza. Successivamente, venivano<br />
riposti nuovamente nella lavatrice per essere centrifugati. Una<br />
volta asciutta, la biancheria poteva essere stirata con un ferro<br />
elettrico AEG. Tuttavia, quanto costava un’abitazione come la<br />
“Casa Elettrica”? Diciamo subito che gli architetti del Gruppo 7<br />
avevano concepito cinque tipologie di casa del costo compreso<br />
tra le 40.000 e le 100.000 lire. La “Casa Elettrica” aveva un costo<br />
di 60.000 lire, ma i suoi inquilini per dotarla del mobilio e delle<br />
lampade avrebbero dovuto sborsare altre 20.000 lire. Da questa<br />
cifra rimanevano esclusi gli elettrodomestici. Insomma, una casa<br />
da sogno per la quasi totalità degli italiani che si concretizzò in un<br />
unico esemplare dalla vita brevissima, ma dal fortissimo impatto<br />
simbolico. Nel 1931 il Museum of Modern Art di New York decise<br />
di organizzare per l’anno seguente la sua prima esposizione<br />
dedicata all’architettura moderna. Il direttore del museo, Alfred Barr,<br />
incaricò gli studiosi Philipp Johnson e Henry-Russell Hitchcock<br />
di organizzare l’evento. La mostra dal titolo “Modern Architecture.<br />
International Exhibition”, si svolse a New York tra il 10 febbraio<br />
e il 23 marzo 1932. All’interno dell’esposizione, si poterono<br />
visionare immagini dei modelli relativi alle opere architettoniche<br />
più interessanti realizzate negli ultimi anni in Europa e negli Stati<br />
Uniti. Tra queste costruzioni, unica proveniente dall’Italia, vi era<br />
anche la “Casa Elettrica”, o per meglio dire quella che gli americani<br />
chiamarono “Electrical House at the Monza Exposition”, opera di<br />
Luigi Figini e Gino Pollini. Ad oltre un anno dall’evento, la “Casa<br />
Elettrica”, ormai perduta per sempre, ma assurta a “classico” da<br />
tramandare, sopravviveva al divenire del tempo attraverso questa<br />
mostra e attraverso il ricordo e la testimonianza di chi concorse alla<br />
sua realizzazione.<br />
1<br />
Questo articolo è un sunto di un più ampio studio che l’autore sta dedicando<br />
alla “Casa Elettrica”: Da Monza al MoMA. La Casa Elettrica. Un estratto dello<br />
stesso verrà presentato al prossimo 75° Congresso Nazionale SIMLII [Società<br />
Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale] che si terrà a Bergamo tra<br />
il 17 ed il 19 ottobre 2012. 2<br />
G. Polin, La Casa Elettrica di Figini e Pollini. 1930,<br />
Roma 1982, pp. 52-55. 3<br />
G. Polin, La Casa Elettrica, op. cit., p. 100.<br />
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