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Switch 11 - Edison

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acconto<br />

la mia cena<br />

delle beffe<br />

al ristorante<br />

dello spread<br />

La crisi raccontata a mio figlio: ovvero l’Odissea<br />

di uno scrittore che scopre i tagli alla spesa<br />

tra portate di lusso, conti salati e chef terribili<br />

«<br />

Guarda che l’hanno frainteso.»<br />

«Nonono non è vero!» si affretta a dirmi Simona.<br />

«Ma come non è vero? Sono 17 anni che lo fraintendono<br />

e proprio stavolta deve averla detta giusta?»<br />

«Sìsì. Berlusconi ha detto che c’è la coda fuori dai ristoranti e noi<br />

siamo gli unici stronzi che non ci andiamo mai! Ma non ti vergogni,<br />

eh?»<br />

Ecco è cominciata così, qualche mese fa. Capiamoci, non è che io<br />

non porti mai la mia famiglia al ristorante. Figuriamoci. Mia madre<br />

faceva la cuoca. Come posso non apprezzare l’arte culinaria?<br />

Ricordo anzi l’entusiasmo da bambino, quando papà arrivava a<br />

casa presto e annunciava trionfante: «Stasera mangiamo fuori!». Io<br />

esultavo. Ma mia madre, che conosceva l’andazzo, apparecchiava<br />

sul balcone. Quindi, questa cosa di mangiare al ristorante me la<br />

di Edoardo Montolli<br />

sono sempre portata dietro anch’io.<br />

Però Simona, la mia compagna, per ristorante non intendeva mica<br />

un ristorante qualsiasi, no.<br />

Lei intendeva quelli che fanno vedere al TG. Non so se avete<br />

presente. Nel TG non c’è un cuoco a pagarlo oro. Solo chef. E<br />

un tizio, lì sopra, che inventa ogni giorno un piatto nuovo, facile<br />

facile, su cui Simona prende rigorosamente appunti e che poi<br />

deve assolutamente, necessariamente riprovare a fare. Cascasse il<br />

mondo. Tipo: uova sbattute, salsa di parmigiano, una grattuggiata di<br />

tartufo e, fondamentale, un po’ di polvere di amaranto degli altopiani<br />

della Bolivia. Che dà quel tocco di esotico, no? Certo, io sono più<br />

tradizionalista, più per le portate preparate da un modesto cuoco,<br />

de gustibus. Ma per le preziose ricette che dà a Simona, per mesi<br />

ho sognato di ringraziare personalmente questo signore che porta<br />

gli chef nel TG. Di incontrarlo per strada e di stringergli la mano,<br />

spiegandogli nel dettaglio come abbia reso molto più frizzante la<br />

mia esistenza: «Ho girato tre centri commerciali, quattro alimentari<br />

e pure due farmacie. Ora, gentilmente, o mi dici subito dove la trovo<br />

questa cazzo di polvere di amaranto degli altopiani della Bolivia o ti<br />

faccio una faccia così».<br />

Purtroppo non c’è ancora stata occasione.<br />

In compenso, nel pieno della crisi economica, mentre affogavo nei<br />

debiti ed Equitalia mi aveva ormai proposto l’abbonamento, pur<br />

di non sentirmi un verme, ho infine portato Simona e i bambini in<br />

questi templi della nuova cucina, che io fatico a comprendere, dove<br />

i cuochi sono scomparsi e dove regnano gli chef.<br />

E tutto questo, faccio notare in famiglia sottolineando lo sforzo che<br />

sto compiendo, mentre «lo spread sale alle stelle».<br />

«Cos’è lo spread?» mi fa Manuel, mio figlio più grande che sta<br />

iniziando la scuola.<br />

Già, cos’è? Non lo so. Non lo sa nessuno. Pure wikipedia dice: “può<br />

essere inteso come…può anche essere inteso come…”. Perché di<br />

fatto non lo sanno bene manco loro. È un nome nuovo, impalbabile.<br />

Non sappiamo cos’è, non ne avevamo mai sentito parlare prima.<br />

Voglio dire, so benissimo che lo spread rappresenta la differenza<br />

tra il prezzo più basso a cui un venditore è disposto a vendere un<br />

titolo e il prezzo più alto che un compratore è disposto ad offrire<br />

per quello stesso titolo. Ma non l’ho mica capito cos’è. Però ci sta<br />

rovinando tutti quanti.<br />

«Allora? Cos’è lo spread?» insiste Manuel.<br />

«Te lo spiego domani al ristorante».<br />

IL PRIMO<br />

Il primo ristorante, chef pluridecorato, specialità pesce, ha le<br />

posate d’argento. A dirla tutta, non c’è ‘sta gran coda annunciata<br />

da Berlusconi (certamente frainteso): dieci persone. Ma a Simona<br />

non importa.<br />

Il menù non me lo danno. «Perché?»<br />

«Faccio io, non-si-preoccupi» dice il cameriere, uno solo per tutti.<br />

Che poi è il proprietario. Vola da un tavolo all’altro, illustrando<br />

le meraviglie della sua Casa, i suoi stemmi, gli attestati. È uno<br />

spilungone che parla tutto attaccato, come un telecronista<br />

brasiliano: «Signori-allora-da-dove-vogliamo-cominciare. Pesce?<br />

Vabeneilpesce? Abbiamo-dellottimo-branzino…» Parla per dieci<br />

minuti. Si agita, mima i profumi, i sapori del branzino.<br />

«Se no?» faccio io.<br />

«Eh, no, tumidevi ascoltarebene prima didecidere di non prenderlo,<br />

eh, dai, su…». E ci racconta la vita, le abitudini, le passioni del suo<br />

branzino e sul perché e il percome noi dobbiamo assolutamente<br />

mangiarci il suo dannato specialissimo branzino. Non so come<br />

faccia, non riesco a interromperlo. Secondo me c’ha solo quello.<br />

Ma alla fine decide tutto lui.<br />

I piatti sono un po’ più grandi del normale. Però il branzino è uno<br />

solo: uno diviso per quattro. Con tanti funghi sopra e infinito aglio.<br />

Non ne ricordo il nome da cotto. Ma Manuel, che ha sei anni ma<br />

non è scemo, mi guarda e mi fa: «Perché il pesce coi funghi?»<br />

«Mi sa che non hai ancora visto niente».<br />

Infatti, il resto lo vedo io appena lo chef-proprietario-cameriere<br />

porta il conto. «Guarda che ho chiesto il “mio” conto, non quello di<br />

tutto il ristorante».<br />

«Simpatico. Carta o contanti?»<br />

Duecento euro per due adulti, un infante e un bimbo di 4 anni.<br />

Simona è sicura: «Ci hai portato nel posto sbagliato».<br />

Sarà. Manuel non ha mangiato nulla.<br />

In compenso, adesso è un esperto ittico. E gli è rimasta la fissa:<br />

«Cos’è lo spread?»<br />

«Te lo dico da grande».<br />

SWITCH32<br />

06 SWITCH33

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