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IL DESIGN COME GIOCO<br />

IL DESIGN DEI SERVIZI<br />

Nell’elencare i vari modi di associare il gioco al design, ponevo all’ultimo posto il tema che intitola il presente<br />

paragrafo. Molti ricercatori, sempre in riferimento alla tecno-scienza digitale, alla realtà virtuale,<br />

all’immaterialità, alla miniaturizzazione e simili - ormai leit motiv anche nel nostro campo - stanno studiando<br />

la relazione possibile tra il design e i «servizi». Premetto che considero il problema legato soprattutto a<br />

una metafora, pari a quelle che vedremo legare le principali voci dell’informatica all’arte, all’architettura e al<br />

design. Ciononostante, l’idea di un design associato ad un servizio non è del tutto infondata e quindi in grado<br />

di indurre a qualche riflessione.<br />

Semplificando molto, proviamo a definire il termine «servizio» in relazione, vera o presunta, col design.<br />

Quest’ultimo, nella sua più aggiornata accezione «non si applica solo ad un prodotto fisico (definito da<br />

materiali, forma e funzione), ma si estende al sistema prodotto. Cioè l’insieme integrato dei prodotti, servizi<br />

e comunicazione con cui le imprese si presentano sul mercato»28. Una ulteriore specificazione contribuisce<br />

a rendere più chiara la nozione di design dei servizi: «dato rilevante, su cui porre I’ac cento, è quello della<br />

natura dei servizi che non qualificandosi come proprietà, differiscono in maniera sostanziale dai beni materiali<br />

che, viceversa, inducono all’acquisto, al possesso e alla proprietà. Il servizio o l’esperienza, in quanto<br />

beni immateriali che non possono essere prodotti, ma solo erogati, quindi messi a disposizione e consumati<br />

nel momento in cui appaiono sul mercato, mal si adattano alla logica dell’acquisto per accumulare o tramandare.<br />

Questo cambiamento pervade la natura stessa dei beni che, perdendo la loro caratteristica di esclusiva<br />

funzionalità e corporeità, evolvono in beni dall’alto contenuto informativo. [...] Attraverso la presenza fisica<br />

del bene in casa o in ufficio, le aziende stabiliscono un contatto diretto con il cliente; ciò consente di realizzare<br />

una fornitura di servizi che lo accompagna per l’intera durata di vita del prodotto. Così configurata, la<br />

piattaforma di servizi rivoluziona la logica della produzione, poiché diventa un costo associato all’attività<br />

d’impresa, una struttura ponte tra questa e il cliente. Nella logica di vendere sempre più servizi ed esperienze<br />

che beni, soprattutto in settori dove l’uniformità, la quantità e il prezzo hanno saturato i mercati, la sfida<br />

consiste nell’attrarre i clienti attraverso il plusvalore offerto. Al limite, per conquistare sempre maggiori quote<br />

di mercato, le aziende offrono gratuitamente i prodotti della prima generazione, allo scopo di fidelizzare il<br />

cliente in una relazione di lungo termine basata sull’erogazione di servizi sempre più agili e innovativi»29.<br />

Anche a non seguire alla lettera le suddette definizioni e le relative teorie, risulta tuttavia comprensibile<br />

che - come già accennato e come vedremo meglio più avanti -, posto lo scollamento in molti casi tra forma<br />

e funzione, oppure che ad una forma corrispondano più funzioni, molti sono portati a pensare all’esistenza<br />

di una funzione «immateriale», ovvero ad una prestazione. Se un prodotto, avente comunque un senso, non<br />

denuncia chiaramente a cosa serve, vuol dire che l’originaria funzione si è trasformata appunto in qualcosa<br />

di più complesso. Ma se tutto questo è vero, anzitutto siamo fuori dalla cultura materiale; in secondo luogo,<br />

prevedendo la piega moralistica del discorso ecologico, mi chiedo fino a che punto il problema del servizio<br />

sia pertinente alla pratica del design.<br />

E ben vero che «i ritrovati della tecnica non sono neutri e indifferenti, strumenti possibili del bene e del male.<br />

Nella cattiveria dei loro effetti, riproducono quella della loro origine. Con ciò non si vuol escludere la possibilità<br />

di un `mutamento di funzione’ (che è il problema capitale di una critica progressiva), ma si vuol attirare<br />

l’attenzione sullo stretto rapporto che intercorre tra il ritrovato tecnico e la sua funzione sociale, che lo predetermina<br />

nella sua costituzione oggettiva. Lo strumento contiene in sé - nella sua struttura immanente - il<br />

cattivo fine a cui lo si adopera. Occorre diffidare di un certo ottimismo a buon mercato, che si spaccia per<br />

illuministico, e che, sulla base della neutralità dello strumento, fa dipendere ogni cosa dalla buona volontà<br />

di chi se ne serve. Nulla, purtroppo, è neutrale, per la semplice ragione che è un prodotto dell’uomo»30.<br />

Ora, a parte l’ammissione del cambiamento di funzione che, pur introducendo una contraddizione, viene<br />

ammessa dall’autore citato, il passo è qui riportato per distinguere un «ritrovato della tecnica» (nel nostro<br />

caso l’informatica e gli annessi) da una prestazione immateriale qual è quella che invocano i sostenitori del<br />

«design dei servizi». Infatti, è la tecnoscienza a non essere neutrale e quindi spesso oggetto di una malefica<br />

gestione, non certamente il design. Beninteso, se per quest’ultimo s’intende un «piano dei servizi» a grande<br />

scala, allora l’argomento è prettamente politico ed economico, per cui stanno in piedi le ricerche che si vanno<br />

sviluppando, ma se per design intendiamo ciò di cui si occupa questo libro, il «design dei servizi» è una «giocosa»<br />

Metafora.

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