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Aprile 2011 - ANNO XC - N° 4 - Associazione Nazionale Alpini

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E D I T O R I A L E<br />

L’Italia che non fa rumore<br />

Il 17 marzo scorso, per la seconda<br />

volta in vita mia, ho comprato una<br />

bandiera italiana. La prima l’avevo<br />

acquistata nell’82 per i mondiali di<br />

calcio. Ventinove anni in meno e una<br />

coscienza civica più pallonara che altro,<br />

si prestavano ad uno sventolio<br />

che celebrava l’Italia campione del<br />

mondo.<br />

Ventinove anni dopo, con l’anagrafe<br />

che incalza e il tifo che si snoda tra<br />

una poltrona e un canale Sky, il drappo<br />

s’è fatto più grande, sorretto da<br />

un’asta di bronzo e acciaio che costa<br />

un capitale. L’ho esposto nel salone di<br />

rappresentanza della Biblioteca che<br />

dirigo. Sta a Verona ed è la più antica<br />

d’Europa e dentro, se solo si ascolta<br />

con attenzione, si sente il sussurro dei<br />

codici fermi lì da 1.600 anni. Al confronto<br />

i centocinquanta del Belpaese,<br />

rappresentano il vagito di un bimbo.<br />

Eppure è proprio sul ceppo di una storia<br />

lontana, che fiorisce l’Italia giovane<br />

e gagliarda, dalla voce squillante, che<br />

gufa i catastrofisti e i venditori di pessimismo.<br />

Viva l’Italia! E mi rincuoro, pensando a<br />

Dante e Petrarca, a Tiepolo e Canova,<br />

a Michelangelo e Leonardo, a Colombo<br />

e Galilei, a Francesco d’Assisi e Caterina<br />

da Siena, a Leopardi e Manzoni,<br />

a Marconi e Meucci… Cito a braccio facendo<br />

torto ai più, a troppi. Scorro la<br />

storia, così come mi passa sulla scena<br />

del cuore e penso che il bello che ci<br />

portiamo appresso è piantato nelle<br />

radici profonde del passato, prima che<br />

la politica mettesse il timbro dell’ufficialità<br />

ad una nazione che ancor divisa,<br />

era pur sempre Italia. Scruto con gli<br />

occhi le architetture di Varsavia e di<br />

Berlino, di San Pietroburgo e di Parigi e<br />

sento l’eco delle parole ammirate dei<br />

francesi parrucconi del Settecento<br />

che raccontano al mondo il genio des<br />

italiens, mentre si preparano a venirli<br />

a saccheggiare.<br />

Sfioro con la mano la bandiera tricolore<br />

e sento la freschezza del suo presente.<br />

È un presente attraversato dai<br />

venti della cronaca e i sussulti finanziari,<br />

che spesso ne rendono convulso<br />

il garrire. Ma è pur sempre un presente<br />

segnato dalla forza di un’identità solida<br />

e resistente.<br />

È quella delle piccole imprese a conduzione<br />

familiare, che hanno consentito<br />

il miracolo italiano e la rinascita di<br />

regioni segnate dalla miseria. Le stesse<br />

imprese, che sia pure nelle fatiche di<br />

una sfida epocale, consentono ancora<br />

tenori di vita impensabili in altre parti<br />

del mondo.<br />

È quella del volontariato, diffuso sul<br />

territorio come una mano silenziosa e<br />

operosa rivestita di fraternità, che ha<br />

nella Protezione civile un’espressione<br />

di eccellenza, ma che rappresenta uno<br />

Stato sussidiario dentro lo Stato.<br />

È quella dei donatori di sangue, di organi,<br />

di midollo osseo, sempre disponibili<br />

a supplire ai deficit delle risorse<br />

scientifiche con prontezza e altruismo.<br />

È quella della politica virtuosa, che<br />

nessuno sembra più vedere, travolta<br />

dal brutto della Casta, che un’informazione<br />

a senso unico continua a proporci.<br />

Penso invece ai Comuni virtuosi,<br />

l’Anticasta, quelli che hanno voglia di<br />

curare il bene della gente, ascoltandola,<br />

coinvolgendo i cittadini nelle scelte<br />

energetiche alternative, in quelle a<br />

favore del rispetto ambientale, nella<br />

raccolta differenziata, nell’organizzazione<br />

dei servizi sociali.<br />

Una miriade silenziosa, come la foresta<br />

che cresce, seminando civiltà mentre<br />

in giro si sentono i botti degli impallinatori<br />

di professione.<br />

È l’Italia della famiglia, quella che ancora<br />

tiene, tenendo unito il tessuto<br />

sociale, a dispetto delle pur troppe<br />

coppie che si disfano. È la famiglia che<br />

vive nel villaggio, distante dall’anonimato<br />

delle metropoli, che conserva il<br />

buon senso dell’opinione comune,<br />

quella delle casalinghe e degli operai,<br />

degli artigiani e delle parrocchie, dei<br />

bambini e dei nonni, mentre l’opinione<br />

pubblica sembra specializzarsi alla<br />

cattedra del gossip e del tutto possibile.<br />

Un’Italia che ha ancora il senso della<br />

casa e fa dire agli acuti osservatori<br />

britannici che la nostra qualità di vita,<br />

superiore al resto d’Europa, è ascrivibile<br />

alla tenuta della famiglia e ad un<br />

cattolicesimo di buona marca.<br />

È l’Italia degli alpini, cari amici. Una<br />

realtà piccola nella logica dei numeri.<br />

Ma ben più grande nello scenario culturale.<br />

Ci sarà pur una ragione se l’Italia<br />

ci ama e se il nostro profumo lascia<br />

il segno. La retorica è pericolosa, ma<br />

una falsa umiltà è altrettanto pelosa.<br />

Se l’Italia è ancora bella, un po’ di lifting<br />

glielo abbiamo fatto anche noi.<br />

Bruno Fasani<br />

3<br />

4-<strong>2011</strong>

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