gennaio-febbraio - Carte Bollate
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Affettività<br />
Un progetto che<br />
funziona bene<br />
questo punto parlo con Stefania Carrera,<br />
operatrice del progetto “Io non<br />
A<br />
ho paura”. Il progetto — che sta funzionando<br />
molto bene — è, in qualche maniera,<br />
l’anticipatore, in piccolo, del nuovo<br />
progetto sull’affettività. Si tratta della<br />
stanza arredata come un appartamento<br />
con cucina e bagno, dove si può fare i<br />
colloqui solo con figli minori, all’interno<br />
della “staccata”; comunque “monitorati”<br />
costantemente da invisibili microcamere.<br />
Stefania, cosa ne pensa del nuovo<br />
progetto<br />
Conosco il progetto e ne ho seguito<br />
l’intero iter, sin dalla prima presentazione<br />
effettuata dai detenuti che l’hanno ideato.<br />
È stato più volte oggetto di discussione<br />
all’interno del gruppo affettività, dell’osservatorio<br />
carcere e territorio.<br />
Credo che sia una proposta interessante<br />
da più punti di vista e sarebbe bello diventasse<br />
uno dei tanti progetti pilota che<br />
hanno visto la luce nell’istituto di <strong>Bollate</strong>.<br />
Quindi pensa che sarà attuabile<br />
In linea teorica credo di sì, poiché è<br />
una delle risposte possibili al diritto all’affettività<br />
sancito dal nostro ordinamento.<br />
In linea pratica bisogna capire in che<br />
categoria rientrerebbero tali colloqui (permessi<br />
premiali o altro) e muoversi dentro<br />
i paletti dati dai riferimenti normativi.<br />
La vostra agenzia se ne occuperà<br />
Oltre che “Spazio aperto servizi”, ci<br />
occupiamo anche di altri progetti; Agesol,<br />
Agenzia di Solidarietà per il lavoro che<br />
nasce con una missione precisa: favorire<br />
il reinserimento lavorativo di persone che<br />
provengono da circuiti penali; è dunque il<br />
“lavoro” il nostro obiettivo privilegiato, lavoro<br />
inteso come mezzo di sostentamento<br />
lecito e come possibilità di reinserimento<br />
a pieno titolo nella società. Quindi, almeno<br />
per ora, il tema dell’affettività non fa<br />
parte della peculiarità di Agesol. Ma una<br />
cosa non esclude l’altra, e l’interesse per<br />
ol lavoro di rete con altri soggetti e/o progetti,<br />
potrebbe condurre ad interessanti<br />
collaborazioni “trasversali”.<br />
Franco Palazzesi<br />
Una nuova educatrice<br />
Per Catia Bianchi necessario<br />
aiutare di più il Secondo reparto<br />
Con il trasferimento dell’educatrice della<br />
sezione Staccata, Tiziana Porfilio, sostituita<br />
dalla dottoressa Daniela Roehrssen, già<br />
educatrice del Secondo reparto, si è venuta<br />
a creare una mancanza in questo reparto,<br />
colmata dall’arrivo della dottoressa Catia<br />
Bianchi, 36 anni. La dottoressa Bianchi,<br />
giunge a <strong>Bollate</strong> grazie ad un procedimento<br />
di mobilità intercompartimentale che ha<br />
permesso il suo trasferimento direttamente<br />
dall’Asl della Provincia di Milano 1, dove ha<br />
lavorato come educatrice per 13 anni, di cui<br />
11 in una Comunità preadolescenti e adolescenti<br />
in affidamento<br />
dal Tribunale dei<br />
Minori e 2 in un ex<br />
ospedale psichiatrico.<br />
Quindi la sua<br />
formazione d’educatrice<br />
professionale,<br />
è prettamente<br />
socio-pedagogica.<br />
Sin dai tempi del<br />
percorso formativo,<br />
ha sempre tenuto<br />
in considerazione<br />
la possibilità di lavorare<br />
in carcere,<br />
possibilità che ora, dopo queste importanti<br />
esperienze, ha visto concretizzarsi.<br />
Dottoressa Bianchi, come ha conosciuto<br />
l’istituto di <strong>Bollate</strong><br />
Sono entrata per la prima volta nell’istituto<br />
di <strong>Bollate</strong> l’anno scorso, in occasione di<br />
una rappresentazione teatrale. L’impressione<br />
è stata, nonostante l’indubbia natura del<br />
contesto, positiva. Positivo è stato anche il<br />
primo approccio professionale, che, in ogni<br />
caso, ha richiesto, e continua a richiedere,<br />
adattamenti e apprendimenti riconducibili<br />
alla complessità che contraddistingue l’ambiente<br />
ristretto.<br />
Mi considero così ancora nella fase d’osservazione<br />
“partecipata” di tutto ciò che mi<br />
circonda. Affiancata dal dottor Giovanni<br />
Perricone, l’educatore in missione da Lecco,<br />
e supportata dai colleghi, ho cominciato ad<br />
entrare nel merito del lavoro quotidiano.<br />
Sono stata assegnata al Secondo reparto per<br />
evidenti esigenze; mi sento ben predisposta<br />
verso quest’incarico che si avvicina molto a<br />
quelle che sono attese e predisposizioni personali.<br />
Quale impressione le ha dato il primo<br />
impatto con l’ambiente e con le persone<br />
detenute<br />
La realtà di questo reparto, molto diversificata<br />
e complessa, è caratterizzata dalla<br />
presenza di stranieri e di persone detenute<br />
con problemi di tossicodipendenza; tutti con<br />
fine pena brevi, perciò difficili al trattamento.<br />
Sono persone che vanno aiutate più degli<br />
altri, poiché necessitano di un’attenzione<br />
particolare. Questa<br />
situazione sarà oggetto<br />
di un processo<br />
di riorganizzazione<br />
nei prossimi mesi, a<br />
partire dalla firma di<br />
protocollo dell’Asl,<br />
che permetterà un<br />
intervento maggiormente<br />
strutturato<br />
sul versante delle<br />
tossicodipendenze.<br />
Sarà il trascorrere<br />
del tempo e l’entrare<br />
sempre più nel<br />
merito delle situazioni<br />
a consentirmi di proporre e sviluppare<br />
iniziative o progetti tesi a creare o migliorare<br />
condizioni di opportunità per le persone<br />
detenute. La mia impressione è di poter lavorare<br />
in un clima di collaborazione con i<br />
colleghi e con tutte le persone appartenenti<br />
all’équipe, oltre naturalmente con il personale<br />
della Polizia penitenziaria del Secondo<br />
reparto.<br />
La popolazione carceraria è stata estromessa<br />
dalla società e rinchiusa in luoghi ristretti<br />
per espiare la pena. Possiamo affermare<br />
che lo Stato ha la colpa di aver permesso la<br />
ghettizzazione di persone costrette a vivere ai<br />
margini sociali, portati quindi a commettere<br />
quella tipologia di crimini definiti reati comuni,<br />
facendo spesso uso di stupefacenti.<br />
Possiamo quindi immaginare le situazioni<br />
ambientali che hanno portato le persone<br />
recluse al Secondo reparto. A questi vanno<br />
aggiunti quei cittadini di serie “B”, quasi<br />
tutti privi di cittadinanza che sono gli extracomunitari.<br />
M.C.<br />
carte<strong>Bollate</strong> 27