23.05.2015 Views

La parola e la cura

Il pregiudizio: l'evitabile e l'inevitabile delle convinzioni consapevoli Numero 1 Anno 2015 La Parola e la cura è una rivista rivolta a tutti i professionisti che utilizzano la parola nel loro lavoro, parla di counselling perché con questo termine indichiamo le comunicazioni professionali caratterizzate da una costante attenzione alla relazione con l'altro, alla qualità dello scambio comunicativo, all'efficacia dei messaggi.

Il pregiudizio: l'evitabile e l'inevitabile delle convinzioni consapevoli
Numero 1 Anno 2015

La Parola e la cura è una rivista rivolta a tutti i professionisti che utilizzano la parola nel loro lavoro, parla di counselling perché con questo termine indichiamo le comunicazioni professionali caratterizzate da una costante attenzione alla relazione con l'altro, alla qualità dello scambio comunicativo, all'efficacia dei messaggi.

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Il pregiudizio: l’evitabile e l’inevitabile delle convinzioni inconsapevoli <br />

<strong>La</strong> cosa peggiore per me è stata che non intendevo fosse questa <strong>la</strong> direzione in cui andare, io <br />

desideravo proprio quel rapporto di fiducia che però il mio comportamento, <strong>la</strong> mia paura, <strong>la</strong> mia <br />

ansia non riuscivano a far nascere. E così più cercavo di ottenere e dare questa fiducia più <strong>la</strong> <br />

persona (medico) che avevo davanti si sentiva travolto da un’infinità d’informazioni ed emozioni <br />

difficilmente gestibili. Uscivo spesso da quegli ambu<strong>la</strong>tori con rabbia, con ipotesi difficilmente <br />

confermabili del perché quel medico si fosse comportato in un certo modo ed inevitabilmente ciò <br />

produceva giudizio che andava ad alimentare il pregiudizio sul<strong>la</strong> categoria, che andava a rafforzare <br />

il comportamento “errato” al<strong>la</strong> visita successiva. <br />

<strong>La</strong> re<strong>la</strong>zione non è mai semplice, necessita di strumenti basi<strong>la</strong>ri per essere interpretata, richiede <br />

che si conoscano regole, fondamentalmente innate, d’interpretazione di detti e non detti, di gesti <br />

e di sguardi. Per <strong>la</strong> maggioranza delle persone tutto ciò, appunto, è innato e quindi risulta <br />

semplice quasi banale anche solo il discuterne, ma per altri tutto ciò è complicatissimo e richiede <br />

un grande esercizio, una vera forma di riabilitazione, se così si può dire, di “connessioni” cerebrali. <br />

Ciò secondo me riporta l’attenzione su alcuni aspetti fondamentali del<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione, non solo di <br />

quel<strong>la</strong> medico-­‐paziente. <br />

L’essere umano, neurotipico o neurodiverso che sia, comprende <strong>la</strong> realtà attraverso un continuo <br />

specchiarsi con ciò che lo circonda, ambiente e persone, singoli e gruppi, questo continuo ed in <br />

progress specchiarsi implica una danza senza fine che normalmente non risulta stancante ma che <br />

in altri casi può essere sfinente se non si riesce ad ottenere un incontro in cui l’individuo <br />

neurotipico sia in grado umanamente di sforzarsi di comprendere le difficoltà del neurodiverso, <br />

ma non attraverso il giudizio che finirebbe con porre <strong>la</strong> suddetta persona su un piano di <br />

superiorità ma con lo sforzo a comprendere che diverso non significa inferiore o sbagliato. <br />

Nel<strong>la</strong> mia esperienza ho dovuto far ricorso a un enorme sforzo, a un’auto-­‐riabilitazione di <br />

connessioni non funzionanti o diversamente funzionanti per avvicinarmi a chi queste connessioni <br />

le aveva attive, una fatica immane per imparare cosa significassero determinati gesti, purtroppo <br />

devo dire, una forma di normalizzazione per superare <strong>la</strong> percezione che lo sguardo dell’altro mi <br />

rimandava. Comprendevo d’altro canto più in un certo senso <strong>la</strong> difficoltà dell’altro a re<strong>la</strong>zionarsi <br />

con me che <strong>la</strong> mia a sforzarmi di capire gli altri. Ed è proprio in questa danza che si palesa <br />

chiarissima <strong>la</strong> comprensione che per quanto sia uno a condurre, e di certo non può essere il <br />

paziente, entrambi rimandano input ed output che devono essere accolti ed interpretati al fine <br />

che <strong>la</strong> danza risulti fluida e possa evolversi in sempre maggiori risultati. <br />

Fino a che non ho compreso questo nel rapporto fra me e i medici ha continuato a presentarsi <br />

inevitabilmente un susseguirsi di ostacoli che rendevano pressoché impossibile l’instaurarsi di una <br />

re<strong>la</strong>zione fiduciaria e danzante. <br />

Nel momento in cui ho invece capito che forse dovevo provare, sforzarmi, di modificare il mio <br />

approccio invece che attendere che si modificasse il loro, le cose “magicamente” son cambiate. Ho <br />

cominciato così a ricevere quello che tanto desideravo, ma che sembrava impossibile ottenere. <br />

Così, ecco che <strong>la</strong> chiave di tutto è risultata l’interrompere il meccanismo che ero abituato a seguire <br />

senza aspettarmi che fossero gli altri a modificare il loro. In qualche modo è necessario rompere <br />

gli equilibri fino a quel momento costruiti al fine di ottenere nuovi feedback. <br />

E’ stata molto dura, ma non posso di sicuro negare che questo dover imparare a danzare sia <br />

stata un’avventura affascinante ed estremamente formativa, ma soprattutto che sia stata <strong>la</strong> <br />

chiave per ritrovare <strong>la</strong> libertà! <br />

42

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!