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Volume 1. - Camera di Commercio di Imperia

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Introduzioneal momento della ricostituzione delle Camere, una complessità aggiuntiva riguardanteil rispetto dei <strong>di</strong>ritti acquisiti dal personale. Non a caso, in un importanteintervento all’Assemblea dell’Unione del luglio 1947, il ministro democristianoGiuseppe Togni incluse il personale delle Camere tra i soggetti aventi voce sultema della riforma.In sintesi, la documentazione risalente ai primi anni del dopoguerra rivela lostallo nei rapporti tra Camere e Ministero, con le prime unitariamente trinceratesulle richieste dell’abolizione degli UPIC e dell’autonomia nella designazione delpersonale, il secondo fermo nella <strong>di</strong>fesa delle proprie prerogative, consapevoledella posizione <strong>di</strong> forza che gli veniva dal controllo della produzione normativa edalla capacità <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zionare le stesse élite politiche. Un esempio palese è datodal già citato intervento del ministro Togni: il suo pronunciamento pubblico afavore delle Camere sui temi dell’abolizione degli UPIC, del coinvolgimentodelle Camere nella <strong>di</strong>stribuzione degli aiuti previsti dal Piano Marshall e, infine,dell’attuazione della riforma dell’Ente non produsse alcun risultato concreto.È in questo scenario che si colloca l’azione <strong>di</strong> Stefano Brun, presidente della<strong>Camera</strong> <strong>di</strong> commercio <strong>di</strong> Napoli, il quale con grande realismo operò una complessamanovra per contenere i danni derivanti dallo stato <strong>di</strong> isolamento – traquesti, forse il più grave fu il mancato riconoscimento costituzionale dell’Ente,nonostante l’attenzione della Costituente alle componenti produttive della società– e per reinserire le Camere nel gioco istituzionale.L’azione <strong>di</strong> Brun si mosse su due fronti. Riguardo alle associate, invitò congrande franchezza la componente settentrionale a prendere atto che il Paeseera cambiato e che ogni ipotesi <strong>di</strong> ritorno al modello liberale della rappresentanzadegli interessi impren<strong>di</strong>toriali era resa impraticabile anche dalla crescitadell’associazionismo impren<strong>di</strong>toriale. La presenza istituzionale <strong>di</strong> esponenti dellavoro all’interno delle Camere non solo era parte <strong>di</strong> questa trasformazione, maconferiva ad esse una rappresentatività generale degli interessi su cui peraltroera fondatamente possibile avanzare la richiesta <strong>di</strong> riassorbimento delle funzionidegli UPIC.Ancora sul piano interno, pur ribadendo il <strong>di</strong>segno associativo “confederale”dell’Unione e dunque l’assenza <strong>di</strong> un vincolo <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione delle posizionimaggioritarie, il modello Brun introduceva tra le Camere una sorta <strong>di</strong> galateoistituzionale per limitare il ricorso a soluzioni in<strong>di</strong>viduali che indebolivano lacapacità negoziale dell’intero sistema.Sul secondo fronte, quello ministeriale, il nuovo in<strong>di</strong>rizzo dell’Unione riuscìa convertire l’antagonismo in una collaborazione improntata a mutuo sostegnoistituzionale. Il Ministero ne accolse gli esponenti all’interno delle proprie Commissioni<strong>di</strong> lavoro (nelle quali inizialmente era più facile fossero presenti le Con-11

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