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Notiziario n. 29 - Entra anche tu nella Community ffc

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« Mi sono sempre dettache sono fatta per vivere,magari sgomitando un po’,ma per vivere »conviveva di più. Ora ci sono moltenorme d’igiene e si cerca di crearemeno contatti possibili tra pazienti.Si è un po’ più distaccati. Comunque,quando ci si trova lì dentro, ognunosa che cosa è l’altro. Siamo personeche abbiamo moltissimo in comune.La malattia è molto difficile da condividerecon una personache non ce l’ha.Chi ha la stessa cosati capisce in modo diverso.L’amico malatosa cos’è tossire molto;avere tanto catarro, ladifficoltà a trovare levene; faticare a tenereun ago cannula per più di 2 giorni;non riuscire a respirare; faticare asalire le scale. Sono le piccole coseche fanno la malattia. L’amico sano èquello che si preoccupa, si aggiorna,ti aiuta fisicamente, però la sua comprensionedella malattia non sarà maicosì profonda».Quando Marcia ebbe un forte calodella funzionalità respiratoria cominciòa usare l’ossigeno. «Avete maivisto qualcuno con una bombola atracolla e le cannette nel naso tipoospedali da telefilm? Ecco, ce le avevoanch’io. Solo che portavo la bombolain uno zaino e degli occhiali gigantiche nascondevano le cannette. Arrivataa quel punto non avevo molta scelta– dice. «In quella condizione avrei po<strong>tu</strong>torimanere in una si<strong>tu</strong>azione stabile,ma non sapevo per quanto tempo».Decise per il trapianto di polmoni,pure una soluzione non definitiva, mal’unica ancora praticabile.Nella sua battaglia quotidiana allamalattia, l’incrollabile fiducia <strong>nella</strong>vita. «Mi sono sempre detta chesono fatta per vivere, magari sgomitandoun po’, ma per vivere». Laprospettiva di nuovi polmoni le promettevauna vita migliore: «Non homai pensato di non farcela. Vivevogiorno per giorno con la consapevolezzadi essere in una si<strong>tu</strong>azionemolto critica, ma con la certezza cheprima o poi sarebbe arrivato <strong>anche</strong> ilmio momento».Un anno e 10 mesi di attesa nelleparole di Marcia scivolano a filo d’acqua.«Ho cercato di fare <strong>tu</strong>tto quelloche ancora mi era possibile fare: uscivocon gli amici, andavo al cinema,svolgevo le commissioni quotidiane,passavo un po’ di tempo con il fidanzato.Una settimana prima dell’intervento,che ho fatto nel luglio del2001, ero al mare con mia mammae mia zia che mi facevano fare il bagnoe uscire la sera. In rianimazionela mia abbronza<strong>tu</strong>raera invidiata dalle infermiere!».La telefonata, infine, arrivò. Marciapose una condizione:«Vengo purché nonmi tagliate i capelli». Ilchirurgo rise e accettò.L’operazione riuscì. Marcia ci era arrivatain buone condizioni e recuperòin fretta: «Conta molto l’approcio cheuno ha verso la malattia – spiega –, aldi là del fatto clinico, che non siamonoi a poterlo cambiare. L’atteggiamentocon cui si affrontano le cose cambiamolto le prospettive. Io volevo ritornarea vedere le persone che mi eranostate vicine <strong>anche</strong> quando stavo peggio.Volevo vedere la gente, ritornare afare le cose, lavorare. Dovevo recuperareil tempo perso. Una delle primecose che feci dopo il trapianto fu dicomprarmi la bicicletta. Era una cosache ormai non me la ricordavo più».Mentre la pensa, il suo viso s’increspadi luce poi ammorbidisce di dolcezzae mi pare di vederci l’espressione delbambino che scarta l’involucro coloratoe luccicante di una caramella. Leicontinua: «Abi<strong>tu</strong>arsi a rifare le cose di<strong>tu</strong>tti i giorni diventava un gioco. Primasono tornata a fare quelle di sempre,poi ho iniziato a farne di nuove e chenon avevo mai fatto».Nel verbo “fare”, declinato in <strong>tu</strong>ttele persone, i modi e i tempi, ripe<strong>tu</strong>toper un limite che tende all’infinito,sta scritta la fame di vita di Marcia,che mi dice: «Non c’è niente di sicuroe matematico», ma, come insegnail filosofo di Gorizia: «Esser nati nonè che voler continuare», perché «semi è possibile una qualche speranza,c’è qualcosa per me». MichelstaedterMarcia non l’ha letto, ma sa comefare di sé stessa fiamma e che «chiteme la morte è già morto». Per questovive, a <strong>tu</strong>tta vita, e vivrà. nPagina a fianco: Palazzo della Gran Guardiadi Verona, Marcia tra Bagatta e VittoriaCabello alla cena di gala per il decennaledella FondazioneA destra, Marcia con la mammaNOTIZIARIO FFC N. <strong>29</strong> DICEMBRE 201023

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