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InDialogo 211.pdf - parrocchiaditagliuno.it

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RUBRICHEEzio MariniZio Barba PellegrinoI funghi, il letame e l’Inno alla GioiaBARBATA DI VAL DEL RISO Io non sono maicosì contento come quando prendo su e vado lontano a cercarcampanili. Prendo su, proprio: uno zaino. Che parte pesante e diventaleggero ad ogni chilometro.Tiro fuori un panino, tiro fuori un pensiero,tiro fuori un patimento, a sera è vuoto. I nomi, poi, fanno ilresto. Come il nome del paese che ha battezzato di ottimismo tuttauna valle: Riso, frazioncina di Gorno.Ci arrivo dall’arco verde curvato addosso ai versanti della valle, traOneta e Scullera, Cantoni d’Oneta e Chignolo d’Oneta attraversola Madonna del Frassino che si china su un fazzoletto macchiatocon tre lacrime di sangue, per risalire da Riso il ripido sentiero checollega alla Valle Seriana passando da Barbata ancora invisibile dietroi f<strong>it</strong>ti boschi. Compare in sella ad un poggio traf<strong>it</strong>to di vento. Sulsagrato della chiesetta, dedicata alla Madonna della Mercede, noncoriandoli di nozze da spazzare via prima di chiudere la porta, maun’ordinata famiglia di legna accatastata ai lati della porta il cui spiraglioaperto inv<strong>it</strong>a ad entrare. Mi affaccio e quasi svengo all’incrociarsidi profumo di funghi e profumo d’incenso: al centro della navata,in perfetto trionfante allineamento con l’altare, una tavolata di pregiatofresco Ben di Dio appena raccolto. Da chi? E perché portato lì? Prego più a lungo del sol<strong>it</strong>o, in una chiesa, in unacasa, in un bosco, ecco dove mi sento allo stesso tempo. Ma dietro la parete laterale sinistra cominciano a tenermi compagniavoci e rumori di cucina. Busso alla porticina:’Scusi, è il sagrestano lei?’, domando sommesso. E mi r<strong>it</strong>rovo seduto abere un caffè offerto al pellegrino dalla padrona di casa: ‘ ormai d’inverno Barbata ha soltanto sette ab<strong>it</strong>anti, ma la Messace l’abbiamo ancora’, precisa il Barbabianca degno del nome del paese. ‘Con i funghi?’, vorrei chiedere, ma non oso, forsemancherei di rispetto. Resterà un segreto tra Dio e il popolo di Barbata.BONDO DI COLZATE Gli ultimi prati di Barbata sidistendono su un dolce dossello pianeggiante, accompagnandomi adiscendere verso la Valle Seriana. Prima di piegare ai margini delbosco che piomba sopra Bondo di Colzate, i profumi di funghi edincenso che ho lasciato a Barbata si rinnovano in un’altra coppia diprofumi: fiori di campo chiazzano di lillà un semispoglio calvariettoalto trenta centimetri, dal quale si erge un crocefisso stagliato sullosfondo di una cumulo di letame: è quel Gesù morto per le bellezzee per le miserie? Dei tanti crocifissi che ho incontrato in centinaiadi chiese, questo qui mi prende di sorpresa: quella montagnadi letame verrà distribu<strong>it</strong>a a mucchietti da inforcare in grumi sparsi tutt’intorno, anche sotto il calvario, quasi a mescolarsicol sangue del Redentore.Alzo lo sguardo all’alto orizzonte di quell’incanto, lo riabbasso al terreno bruno e lillà. E’il momento di raccogliere i pensieri gioiosi del camminatore, che mi fanno ricordare il giorno in cui imparai da un librodi latino che il letame ha la stessa radice della letizia, perché gli antichi vedevano le brune distese di campi concimatisorridere come donne incinte,‘letate’ dal letame che le rendeva madri. E nel vento che riprende a soffiare mi porto giùverso Bondo di Colzate il rimescolarsi di morte e v<strong>it</strong>a.Indialogo n. 21147

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