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Cultura Italiana a Oriente

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suscitano a proposito:Innanzitutto la Grande Muraglia, il simbolo delconservatorismo, che da una parte serviva ai cinesiper proteggersi contro le invasioni barbariche, mad’altra impedì lo sviluppo e i cambiamenti, e fecedella Cina un Paese aragosta, cioè duro fuori, molledentro.In secondo luogo il Palazzo d’estate e le Tombedei Ming, altri simboli del feudalesimo cinese,che suscitavano dalla parte dei cinesi solo l’odiodel passato. Il senso del bello in Cina oggi è statosostituito dal senso di buono”,scrive Moravia.(p.152). Tali monumenti non sono belli perché nonsono buoni, e possono servire solo per educare eistruire.Fu questa l’interpretazione di Moravia sulsentimento dei cinesi verso il loro passato, quandovide la distruzione tragica dei monumenti storici .Malgrado le condizioni umane penose e laconfusione sociale che testimoniò, Moravia provò“sollievo”, e vide in Cina un’“utopia realizzata”,una utopia che consisteva nella povertà del popolo ela castità. Si aspettavano dalla Cina delle“soluzioniutopistiche”, che avrebbero dovuto far sentire laricchezza come peccato, come colpa, come delitto”.Fu necessario un terzo viaggio perché potesse capirefinalmente la crudeltà di questa rivoluzione con tuttele conseguenze tragiche.3 Il viaggio del 1986Sul suo terzo viaggio che effettuò dall’ottobreal dicembre del 1986, ci sono poche tracce, cinquearticoli soltanto sul Corriere della Sera, in cuiMoravia descrisse i cambiamenti nella città diPechino, dicendo che nel suo primo viaggio del1936, Pechino rimaneva una città asiatica nella qualei grandi stradoni imperiali somigliavano a “lettiasciutti di torrenti”; mentre nel secondo viaggio del1967, venne colpito dalle processioni delle GuardieRosse in onore di Mao, tutti in uniforme blu, colpiccolo libro di Mao stretto in pugno; e quando tornòa Pechino per l’ultima volta nel 1986, ciò che glisaltò agli occhi furono i grattacieli di tipo americano,costruiti recentemente con capitali e tecnologiestraniere. Quando attraversava la Piazza Tiananmenin macchina e guardava fuori dal finestrino, pensavache la città stesse diventando senza carattere, “nonc’era nulla di memorabile”, fino a quando non videla marea di biciclette che gli suscitarono un nuovointeresse.3.1 Le visiteRealizzò finalmente il sogno nato dal primoviaggio di visitare la Mongolia. A Huhehot,capoluogo della regione autonoma della Mongoliainterna, visitò due luoghi antichi, un tempio lamaistaquasi intatto, e il Mausoleo di Gengis Khan, nelcuore del deserto di Gobi, distrutto dalle GuardieRosse (solo allora cominciò a capire questa forzadistruttiva, e l’amarezza che provavano i cinesi perquella rivoluzione tragica che aveva suscitato tantidanni alle opere d’arte, e tante conseguenze fisiche emorali a tutti). Era in via di restauro, però a Moraviasembrava “qualcosa tra Disneyland e Le mille e unanotte”.Rispetto all’immenso deserto che da soloassumeva un fascino irresistibile, la città di Pechinogli sembrava, a prima vista, senza carattere, fino aquando lo sguardo cadde sulla gente in bicicletta:“pedalano calmi, riflessivi, composti e dignitosi,danno l’impressione di una folla che abbia adottatala bici non già per necessità ma per libera scelta.La bici è silenziosa, inodore, elegante”. L’infinitapazienza che gli risultava anche ad un certo modoincomprensibile, dimostrata dai ciclisti in bicicletta,l’oggetto che simbolizzava il momento storico,veniva subito associata alla cultura millenaria cinesee al confucianesimo, senza tenere in considerazioneche i cinesi volevano proprio lasciarsi alle spalle ilpatrimonio medievale, considerato conservatore, percorrere verso la modernità, e che la rivalutazione delconfucianesimo doveva ancora arrivare.3.2 Le riflessioniDiversa dai primi due viaggi, la Cina divennemolto meno affascinante per Moravia, che nondedicò nessuna parola in Vita di Moravia al terzoviaggio, ma ci dimostrò, nell’articolo pubblicato sulCorriere della sera, la sua nostalgia e l’amarezzaverso un’antica civiltà distrutta: “Pechino di alloraera una meraviglia, adesso non è più niente. Alloracome era stata per secoli, un groviglio di vicolipittoreschi simili alle calli veneziane. Adesso è comese Roma fosse rimasto soltanto il Colosseo, piazzaSan Pietro e basta”.Le mura alte e i vicoli pittoreschi cedettero lospazio alla metropolitana e ai grattacieli di stileamericano, e i ragazzi in processioni venivanosostituiti dagli operai docili che si recavano al postodi lavoro in bicicletta; le università furono riaperte,però alle domande di Moravia, gli studenti sapevanosolo rispondere in modo univoco, seguendo lapropaganda ufficiale, “sorridendo e ridacchiandoma senza fare obbiezioni e prendere posizioniindividuali”. L’unica cosa che rimaneva era lapovertà. In Mongolia interna, Moravia fu invitatoa un banchetto, caratterizzato da un agnello interoda distribuire secondo la qualità della carne el’importanza del commensale, e animato da danzee canzoni locali. Ma fuori dalla yurta di lusso dovealloggiava, vide un’anziana che prendeva l’acquadal pozzo, fu per lui il simbolo della povertàcontadina. Più sorprendente fu la riflessione sulsocialismo reale cinese, mettendo a paragone la CittàProibita di Pechino, simbolo del potere feudale, e unalbergo di lusso a Guangzhou , in cui alloggiavanoo mangiavano i funzionari cinesi e i turisti stranieri,e dove un’anatra costava 40 yuan, mentre fuori daquesta “nuova Città Proibita” lo stipendio mediocinese era di 100 yuan. Scrisse sul Corriere dellaSera : “Il potere cambia e come. Ma i mezzi di cuisi serve sono pochi e sempre i stessi”.III ConclusioneMoravia è sempre convinto che “un intellettualenon è altro che il testimone del suo tempo”, ein tutti i suoi saggi le testimonianze sono sempreaccompagnate da riflessioni e osservazioni. Quandoscrive sull’India parla quasi sempre della religione,una religione primitiva, mentre l’Africa è perMoravia un Paradiso. Nel caso della Cina, Moraviaè costretto a parlare della sua storia millenaria.I temi che gli stanno più al cuore rimangonoquelli esistenziali: la povertà, l’influenza delconfucianesimo sulla vita dei cinesi, e lo sviluppoa passi stentati e a volte sanguinosi, con sacrificiculturali irragionevoli e irrecuperabili.Un testimone di mentalità sicuramenteintellettuale-occidentale, che associa un movimentodi massa caratterizzato dal culto personale ad unareligione, e che preferisce case e palazzi antichi aigrattacieli, la gente semplice e umile piuttosto airicchi. Ma anche un testimone con un obiettivo bendeterminato, perché la sua riflessione sull’esistenzaumana va sempre a finire per l’attaccare la societàborghese, la battaglia che Moravia ha lanciato nel1929 con il romanzo d’esordio Gli Indifferenti.Cosicché nell’introduzione della Rivoluzione<strong>Cultura</strong>le in Cina, partendo dalla realtà della Cinacomunista, il discorso prosegue pian piano versole riflessioni sulla società occidentale, e ci fornisceun quadro perfetto di questa società di consumo, laquale è diventata disumana e difettosa a causa dellaricchezza. “Questa cultura è consumata nello stessomodo che sono consumati i prodotti industriali...Ilconsumo culturale non produce che sterco culturale,niente altro”(La Rivoluzione <strong>Cultura</strong>le in Cina,p.18). Invece la Cina con la sua povertà generale,è per lui un esempio della condizione normaledell’uomo, perché “la superfluità non lo rende piùuomo di quanto non faccia appunto la povertà”. Daqui nasce la ricetta che Moravia propone per guarirela società borghese corrotta: innanzitutto la povertà,ed anche la castità, prendendo come modello l’utopiadella Cina di Mao, che “stava copiando dei valorie dei costumi della campagna”.Purtroppo le “soluzioni utopistiche” non sisono realizzate in Cina e Moravia, come gli altriscrittori italiani, rimane sempre più incantato dallaterra sperduta dell’Africa, dove i paesaggi bellied autentici attirano non solo il nostro scrittorema anche i suoi lettori. Mentre la Cina continua ilsuo cammino verso una modernità che all’epocadell’ultimo viaggio di Moravia era ancora difficileda immaginare.10 11

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