12.07.2015 Views

Cultura Italiana a Oriente

Cultura Italiana a Oriente

Cultura Italiana a Oriente

SHOW MORE
SHOW LESS
  • No tags were found...

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

ARRIVO A PECHINO CON LO SCIANGAI-EXPRESSA Pechino ci arrivai dopo due giorni di viaggioattraverso uno dei paesaggi più tristi e piatti cheavessi mai veduto in vita mia. Il lento treno cinesedalla lugubre e rauca sirena, lo Sciangai-Expressreso famoso da un film altrettanto menzognero checonvenzionale, attraversò ad una media di 30-40chilometri all’ora una buona metà della Cina per tuttala sua lunghezza; più province, alcune delle qualigrandi come nazioni europee, vennero percorse;eppure, in quei due giorni non vidi mai altro cheun’infinita pianura ancora invernale nonostantela primavera inoltrata, gialla, senza alberi, senzaalture, senza corsi d’acqua, polverosissima, sparsadappertutto dei tumuli delle tombe.Il treno, sebbene si fosse in pianura, procedevacon quella faticosa lentezza con la quale da noi iconvogli avanzano in salita, dentro i pesanti vagonile cerniere, i gangheri, le connessure, ogni cosagemeva e cigolava come per uno sforzo penoso,attraverso i doppi vetri la campagna restava adistanza di ore così immutabile che se ne perdevail senso del tempo e dello spazio. Ma più che lapiattezza del paesaggio e la lentezza del treno, quelche dava al viaggio un suo carattere ossessivo erail gran numero di tombe di cui appariva sparsa ladeserta campagna.È questa una delle caratteristiche più originalidel paesaggio cinese: le montagnole delle tombeche, senza ordine né alcuna specie di recinto, quae là tumefanno i campi arati, rompono le righe deisolchi, e allignano dappertutto così numerose chesulle prime addirittura si pensa ad una specialeconformazione del terreno. E in verità la Cinaintera si potrebbe paragonare ad un’immensa facciapiatta e bonaria tutta coperta di foruncoli, e in ogniforuncolo un cadavere già polverizzato o ancorafresco.La religione pagana degli antenati vuolequeste inumazioni situate di solito presso la casae il podere dove il morto penò e lavorò da vivo;sorgono le tombe così numerose e con così pocoriguardo dell’economia da rendere improduttivauna vasta estensione del suolo cinese; diviso tra lavenerazione per gli antenati e la fame che l’assediasenza tregua, il contadino spinge l’aratro piùvicino che può a questi tumuli, e i più antichi, giàdisfatti dalle intemperie, cerca di far scomparire orarosicchiandone un angolo ora un altro di stagione instagione.Come ho detto questa vista ripetuta delle tombequasi mi ossessionò. Vedevo un tumulo solitario nelmezzo di un gran campo arato a perdita d’occhio epensavo: “Ecco, lì riposa alfine colui che per annie anni si ruppe la schiena sotto la pioggia, la nevee il vento per tracciare questi solchi lunghissimi edirittissimi”; contavo sette, otto o dieci tumuli, l’unostretto all’altro, quali più grossi e alti, quali piùpiccoli, non lontani da certe casupole di fango seccoe mi dicevo: “Ecco i nonni che ebbero la venturadi mangiare riso fino ai sessanta o ai settant’anni, ipadri meno fortunati che schiattarono a quaranta, ledonne morte nelle doglie del parto e i piccolini cosìbelli con le facce tonde e gli occhi stretti e obliquia cui la dissenteria o altra febbre non permise dipassare il quinto anno di età”; finalmente in vista allemura merlate di qualche città mi si presentavano agliocchi, allineate tra i fossi e i terreni vaghi, centinaiae centinaia di montagnole tutte uguali; serrate,pullulanti come i mucchi delle saline, disciplinate, eallora non potevo fare a meno di pensare:“Ecco i giovanotti, contadini e figli di contadiniche si arruolarono negli eserciti allora nemici delgenerale Wang e del generale Li; qui avvenne labattaglia che secondo segreti accordi avrebbe dovutoessere incruenta ma che per un errore tattico risultòsanguinosissima; ora giacciono, poveri eroi stupiti,e i loro capi Wang e Li messisi d’accordo governanoinsieme la provincia.”Così pensavo mentre il treno arrancava; e se nonavessi saputo che la Cina è la più prolifica e vitalenazione che ci sia al mondo, la vista di tante tombemi avrebbe convinto di attraversare un lugubre edeserto paese abitato ormai soltanto da morti.Ma i vivi non mancavano. Ogni due ore, talvoltapiù spesso, la corsa rallentava, e in un gran cigoliodi freni, con certi bruschi contraccolpi che facevanocozzare l’un contro l’altro i viaggiatori, il trenosi fermava davanti il marciapiede di una stazionecampagnuola.Una folla aspettava il treno, una folla ne scendeva;tutta gente rustica, dalle facce stolide, infagottata ingiubbe e pantaloni di cotone nero foderato di ovattao di pelliccia; donne con gabbie e ceste, uominicon casse e sacchi, e i bambini gonfi di troppi panniaggrappati alle gambe.Le stazioni erano casette quadrate di poveramuratura, tutt’intorno in una luce scialba si stendevala pianura deserta, i villaggi dovevano essere lontanicome l’attestavano dietro le tristi palizzate dicemento, attaccati a piccoli carri dalle ruote ferratee dai tetti a gronda, certi bruni cavallucci pelosi. Inqueste stazioni il treno sostava a lungo, senza motivoapparente; poi la sirena rauca e querula gridava, euno dopo l’altro i vagoni si scuotevano; mentre isoldati rimasti soli sul marciapiede presentavano learmi come se fosse stato un corteo funebre.Altre volte il treno passava accanto a un villaggio.Vedevo, appena distinte con righe di luce dalgiallume circostante, le casupole di fango seccocoi tetti di paglia impoltigliata e scurita dallepiogge, costruite sulla sponda di un largo lettoasciutto di torrente; nel quale i cani magri e arruffatirovistavano tra i ciottoli e le immondizie; tuttointorno terre sgretolate che da certe tracce comedi solchi pareva che un tempo fossero state campicoltivati; in tanto eguale e abbagliante gialloresole macchie erano i maiali neri che nei piazzali sirotolavano nella polvere come se fosse stata mota eacqua.Una caligine livida e gonfia offuscava il cielosenza nubi e il sole vi faceva un alone quasi verdesimile ad uno sputo; tant’era l’aridità del paesaggioche non agli occhi faceva male, ma alle nariciche ne risentivano una irrespirabile e spasimosasecchezza come di polvere. Vidi un contadino chezappava ai margini di un immenso campo in cuiogni traccia di aratura si era disfatta e cancellatain una sola granulosa farina; ad ogni zappata unanuvola di polvere si levava sotto il ferro della vangae l’avvolgeva tutto. Ancora vidi una donna che stavaseduta sull’orlo della massicciata con le gambe daipantaloni neri penzolanti nel vuoto; dava il pettoa un bambino, un involto di cenci; mi sorpreseche potesse farlo, l’aridità della terra mi daval’impressione che ogni umore, anche negli uomini,si fosse rasciugato. Dovevano essere mesi che noncadeva una sola gocciola di pioggia e tirava quelvento che vedevo all’orizzonte sollevare dei granturbini scuri; io ne provavo sete e non facevo chebere.Tale monotonia, come ho detto, durò due giorni;le stazioni si seguivano alle stazioni, i soldatipresentavano le armi, i contadini salivano con i lorocesti, il treno fischiava e ripartiva. Al terzo giorno siarrivò a Pechino.Pechino sta con le sue mura tirate a filo di squadranel mezzo della gran pianura asciutta come una granfortezza. Tutte le città cinesi sono cinte di mura e,certo, sotto quest’aspetto Pechino è la più cinesedelle città.Come da noi un treno entra nella galleria chefora una collina, così la locomotiva dell’espresso di12 13

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!