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Cultura Italiana a Oriente

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anni passati nell’esercito egli aveva conservatoil gusto per i gesti precisi, per gli atteggiamenticontrollati. Ma Marcello sapeva che quando suopadre era adirato, precisione e controllo diventavanoeccessivi, cangiandosi nel contrario, ossia in unastrana violenza contenuta e puntuale rivolta, sisarebbe detto, a caricare di significato i gesti piùsemplici. Ora, quella sera, a tavola, Marcello notòsubito che il padre sottolineava con forza, quasia richiamarvi sopra l’attenzione, azioni abitualie di nessuna importanza. Prendeva, per esempio,il bicchiere, beveva un sorso e poi lo rimetteva aposto con un colpo forte sulla tavola; cercava lasaliera, ne toglieva un pizzico di sale e poi giù,deponendola, un altro colpo; afferrava il pane, lospezzava e quindi lo riposava con un terzo colpo.Oppure, come invaso da una subitanea smania disimmetria, si dava a inquadrare, coi soliti colpi, ilpiatto tra le posate, in modo che coltello, forchettae cucchiaio si incontrassero ad angolo retto intornoil circolo della scodella. Se Marcello fosse statomeno preoccupato dalla propria colpevolezza sisarebbe accorto facilmente che questi gesti cosìdensi di energia significativa e patetica erano rivoltinon già a lui ma a sua madre; la quale, infatti, adognuno di quei colpi, si rinsaccava nella propriadignità con certi sospiri di sufficienza e certe alzatedi sopracciglia piene di sopportazione. Ma la suapreoccupazione lo accecava, così che non dubitòche i genitori sapessero ogni cosa: certamenteRoberto da quel coniglio che era, aveva fatto la spia.Aveva desiderato la punizione, ma adesso vedendoi genitori così corrucciati, gli venne un improvvisoribrezzo della violenza di cui sapeva capace suopadre in simili circostanze. Come le manifestazionidi affetto della madre erano sporadiche, casuali,dettate evidentemente più dal rimorso che dall’amormaterno, così le severità paterne erano improvvise,ingiustificate, eccessive, suggerite, si sarebbe detto,piuttosto dal desiderio di rimettersi in pari dopolunghi periodi di distrazione che da una intenzioneeducativa. Tutto ad un tratto, su una lagnanza dellamadre o della cuoca, il padre ricordava di averun figlio, urlava, dava in smanie, lo percuoteva.Soprattutto le percosse spaventavano Marcelloperchè il padre aveva al mignolo un anello con uncastone massiccio che, durante queste scene, non sisa come, si trovava sempre voltato dalla parte dellapalma, aggiungendo così, alla durezza umiliantedello schiaffo, un dolore più penetrante. Marcellosospettava che il padre voltasse apposta in dentro ilcastone, ma non ne era sicuro.Intimidito, spaventato, incominciò ad architettarein fretta e in furia una bugia plausibile: lui non avevaucciso il gatto, era stato Roberto, e, infatti, il gattosi trovava nel giardino di Roberto, e come avrebbefatto lui ad ammazzarlo attraverso l’edera e il murodi cinta? Ma poi, improvvisamente, ricordò che lasera avanti aveva annunziato alla madre l’uccisionedel gatto che poi, in effetti, era avvenuta il giornodopo, e capì che qualsiasi bugia gli era preclusa.Per quanto distratta, sua madre aveva certamenteriferito la sua confessione al padre e questi, nonmeno certamente, aveva stabilito un nesso tra laconfessione e le accuse di Roberto; e così non c’eraalcuna possibilità di smentita. A questo pensiero,passando da l’uno all’altro estremo, con rinnovatoimpulso desiderò la punizione, purchè venisse prestoe fosse decisiva. Quale? Ricordò che Roberto, ungiorno, aveva parlato di collegi come di luoghi dovei genitori mettevano i figli discoli per punizione, esi sorprese a desiderare vivamente questo generedi pena. Era l’inconsapevole stanchezza dellavita familiare disordinata e poco affettuosa chesi esprimeva in questo desiderio; non soltantofacendogli vagheggiare ciò che i genitori avrebberoconsiderato un castigo, ma anche inducendolo atruffare se stesso e il proprio bisogno di questocastigo, con il calcolo quasi furbo che in tal modoavrebbe al tempo stesso calmato il proprio rimorsoe migliorato il proprio stato. Questo pensiero glisuggerì subito delle immagini che avrebbero dovutoessere scuoranti e invece gli riuscivano grate: unsevero, freddo edificio grigio dai finestroni sbarratida inferriate; camerate gelide e disadorne con file diletti, allineati sotto alti muri bianchi; aule smorte,piene di banchi, con la cattedra in fondo; corridoinudi, scale buie, porte massicce, cancelli invalicabili:tutto insomma, come in una prigione eppure tuttopreferibile alla libertà inconsistente, angosciosa,insostenibile della casa paterna. Persino l’idea diportare un’uniforme di rigatino e di aver la testarasata, come i collegiali che gli accadeva talvoltadi incontrare incolonnati per le strade; perfinoquest’idea umiliante e quasi ripugnante gli riuscivagrata nella sua presente disperata aspirazione ad unordine e ad una normalità purchessia.Tra queste fantasticherie non guardava più alpadre ma alla tovaglia abbagliante di luce bianca sucui, ogni tanto, si abbattevano gli insetti notturni chedalla finestra spalancata venivano a cozzare controil paralume della lampada. Poi alzò gli occhi e feceappena in tempo a vedere, proprio dietro suo padre,sul davanzale della finestra, il profilo di un gatto. Mala bestia, prima che egli avesse potuto distinguerneil colore, saltò giù, attraversò la sala da pranzo escomparve dalla parte della cucina. Sebbene non nefosse del tutto sicuro, tuttavia il cuore gli si gonfiòdi gioiosa speranza al pensiero che potesse essereil gatto che poche ore prima aveva veduto stesoimmobile tra gli iris, nel giardino di Roberto. E fucontento di questa speranza, segno che dopo tuttogli premeva più la vita dell’animale che il propriodestino. “I1 gatto,” esclamò con voce forte. E poigettando il tovagliolo sulla tavola e stendendo unagamba fuori della seggiola: “Papà, ho finito, possoalzarmi?”“Tu stai al tuo posto,” disse il padre con voceminacciosa. Marcello, intimidito, arrischiò: “Ma ilgatto è vivo...”“Ti ho già detto di stare al tuo posto,” ribadìil padre. Quindi, come se le parole di Marcelloavessero infranto anche per lui il lungo silenzio, sivoltò verso la moglie dicendo: “Allora di’ qualchecosa, parla.”“Non ho nulla da dire,” ella ripose con ostentatadignità, le palpebre basse, la bocca sdegnosa. Eravestita da sera, con un abito nero scollato; Marcellonotò che stringeva tra le dita magre un piccolofazzoletto che portava frequentemente al naso; conl’altra mano afferrava e lasciava ricadere sulla tavolaun pezzo di pane, ma non con le dita, bensì con lepunte delle unghie, come un uccello.“Ma di’ quello che hai da dire… parla…perbacco.”“Con te non ho nulla da dire.”Marcello cominciava appena a capire che nonera l’uccisione del gatto il motivo del malumoredei genitori quando, improvvisamente, tutto parveprecipitare. II padre ripetè ancora una volta: “Parla,perdio,” la madre, per tutta risposta, alzò le spalle;allora il padre prese il bicchiere a calice davantial piatto e, gridando forte: “Vuoi parlare sì o no?”lo sbattè con violenza sulla tavola. I1 bicchiere siruppe, il padre con un’imprecazione portò la manoferita alla bocca, la madre spaventata si levò dallatavola e si avviò in fretta verso la porta. I1 padre sisucchiava il sangue della mano quasi con voluttà,inarcando le sopracciglia al disopra della mano; mavedendo la moglie andarsene, interruppe di succhiaree le gridò: “Ti proibisco di andartene… hai capito.”Come risposta venne il colpo della porta sbattutacon violenza. Il padre si alzò anche lui e si slanciòverso la porta. Eccitato dalla violenza della scena,Marcello lo seguì.I1 padre si era già avviato su per la scala,una mano sulla balaustrata, senza scomporsi nè,apparentemente, affrettarsi; ma Marcello che gliveniva dietro vide che saliva gli scalini due a due,quasi volando silenziosamente verso il pianerottolo;come, pensò, un orco da favola calzato degli stivalidelle sette leghe; e non dubitò un momento chequesta ascesa calcolata e minacciosa avrebbe avutoragione della fretta disordinata della madre chepoco più su scappava per gli scalini, uno per uno,con le gambe impacciate dalla gonna stretta. “Oral’ammazza,” pensò seguendo il padre. Giunta sulpianerottolo, la madre fece una piccola corsa finoalla sua camera, non tanto rapida però da impedire almarito di insinuarsi dietro di lei per la fessura dellaporta. Tutto questo Marcello lo vide ascendendola scala con le sue gambe corte di bambino chenon gli consentivano nè di salire due gradini pervolta come il padre nè di saltellare in fretta comela madre. Come arrivò al pianerottolo, notò che alfracasso dell’inseguimento, era, adesso, subentrato,stranamente un silenzio improvviso. La porta dellacamera della madre era rimasta aperta. Marcello, unpo’ titubante, si affacciò sulla soglia.Dapprima non vide, in fondo alla camera inpenombra, ai due lati del largo letto basso, che ledue grandi tende vaporose delle finestre, sollevate dauna corrente di vento dentro la stanza, su su verso ilsoffitto, fin quasi a sfiorare il lume centrale.Queste tende silenziose, biancheggianti amezz’aria nella camera buia, davano un sensodi deserto, come se, inseguendosi, i genitori diMarcello si fossero involati fuori dalle finestrespalancate, nella notte estiva. Poi, nella striscia diluce che dal corridoio, attraverso la porta, giungevafino al letto, scorse finalmente i genitori. O meglio,non vide che il padre, di schiena, sotto il quale lamadre scompariva quasi completamente, salvo cheper i capelli sparsi sul guanciale e per un bracciolevato verso la spalliera del letto. Questo bracciocercava, convulsamente, di aggrapparsi con lamano alla spalliera, senza però riuscirvi; e intanto ilpadre, schiacciando sotto il proprio corpo il corpodella moglie, faceva con le spalle e con le mani deigesti come se avesse voluto strangolarla. “La staammazzando,” pensò Marcello convinto, fermandosisulla soglia. Provava in quel momento unasensazione insolita di eccitazione pugnace e crudelee insieme un desiderio forte di intervenire nellalotta, non sapeva neppur lui se per dar mano forteal padre o difendere la madre. Nello stesso tempo,quasi gli sorrideva la speranza di vedere, attraversoquesto delitto tanto più grave, cancellato il proprio:che era infatti l’uccisione di un gatto in confrontodi quella di una donna? Ma proprio nel momento incui, vincendo l’ultima esitazione, affascinato e pienodi violenza, si muoveva dalla soglia, la voce della30 31

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