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In questo numero: Concilio Vaticano II 2009-2010 - Diocesi ...

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Febbraio<strong>2010</strong>25ne della sacramentalità dell’episcopato (LG 21),che obbliga a ripensare la relazione tra vescovoe presbiteri, e il recupero del diaconato come «gradoproprio e permanente della gerarchia» (LG 29),che riconfigura i gradi del sacramento dell’Ordinecom’erano nei primi secoli della Chiesa: vescovopresbiterio-diaconi.Tutti questi elementi trovano il loro giusto postonell’immagine di Chiesa proposta dal concilio, quandopresenta il Popolo di Dio raccolto intorno al suovescovo che celebra all’unico altare, circondato dalsuo presbiterio e dai ministri (cfr SC 41). E’ il concilioad affermare infatti che la diocesi «è una porzionedel Popolo di Dio, affidata alle cure pastoralidel vescovo coadiuvato dal suo presbiterio, inmodo che, aderendo al suo pastore e da lui u7nitaper mezzo del Vangelo e dell’Eucarestia nello Spiritosanto, costituisca una Chiesa particolare, nella qualeè veramente presente e agisce la Chiesa di Cristouna, santa, cattolica ed apostolica» (CD 11). Si trattadi temi che ho ripetutamente spiegato su questepagine, commentando la Lumen Gentium. Certo,testi del genere impegnano tutti i ministri ordinati– vescovo, presbiteri, diaconi – a costruire unarelazione come esprima il servizio al Popolo di Dionella forma anzitutto della comunione.La diversità delle funzioni deve sempre esprimersinella convergenza e nella sinergia delle vocazioni,dei doni, dei carismi, in vista dell’edificazionedella Chiesa. Purtroppo, una conoscenza scarsadella dottrina determinerà una realizzazionedebole non solo del modello di prete disegnato dal<strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>, ma di qualsiasi un modello di prete,con conseguenze che si possono facilmente immaginaree che spesso è dato purtroppo di vedere.L’intervento di mons. <strong>In</strong>citti è stato di carattere piùpratico. Il tema che hasviluppato riguardavain fatti la comunione presbiteralee gli organismidi partecipazione nelladiocesi. <strong>In</strong> apertura egliha rammentato come nellaChiesa siano due lefonti della partecipazione:il battesimo e l’ordine– che stanno a fondamentodegli organismidi partecipazione nellaChiesa: il Consigliopastorale diocesano e ilConsiglio pastorale parrocchialeda una parte;il Consiglio presbiteralee il Collegio deiConsultori dall’altro.Spiegando questi ultimi,mons. <strong>In</strong>citti ha affermato a chiare note come lacomunione presbiterale si fondi sulla partecipazioneall’unico sacerdozio: dalla la partecipazione allostesso bene – il sacerdozio – discende sia la comunionetra i membri del presbiterio che la corresponsabilitànel ministero.Naturalmente, bisogna intendersi sulla funzione diguida affidata nella Chiesa particolare al vescovoe partecipata dai presbiteri.Sarebbe infatti deviante ricalcare l’idea di governonella Chiesa sui modelli della società civile: ierila monarchia, oggi la democrazia. Nella Chiesa nonc’è, strettamente parlando, un governo della maggioranza,in forza del principio di rappresentanzadel popolo, perché chi guida la Chiesa è lo Spiritodi Dio, per cui il fine di chi governa non può checonsistere nell’ascolto docile dello Spirito.Ascolto che porterà a un consenso, non dato dalconteggio di una maggioranza, ma dalla convergenzaverso una unità di pareri e di intenti comeespressione dell’ascolto dello Spirito, che siesprime nella ricercadell’unanimità.L’attenzione delrelatore di è poi concentrata sul Consiglio presbiterale,spiegandone la natura attraverso quattro formulelatine con cui il codice di diritto canonico caratterizza<strong>questo</strong> organismo: Coetus sacerdotum,Presbyterium repraesentans, Senatus episcopi, <strong>In</strong>regimine dioecesis. Si tratta di un gruppo ristrettodi sacerdoti (coetus sacerdotum), indicati peralmeno la metà mediante elezione da parte dei confratelli,in ragione del loro ufficio o per nomina vescovile.Su <strong>questo</strong> punto sono fioccate le domande,anche per la recente redazione dello statuto delConsiglio presbiterale.Le domande si sono concentrate soprattutto suicriteri di elezione, individuando a che titolo un presbiteroabbia voce attiva e passiva: chi può essereeletto nel Consiglio? Chi ha diritto di voto?L’interesse intorno alla questione dipende dal fattoche in diocesi sono incardinati molti presbiteriche appartengono solo nominalmente al presbiterio,ma di fatto risiedono altrove e non esercitanoun ministero a favore della Chiesa di Velletri-Segni. Questo gruppo di sacerdoti rappresenta glialtri sacerdoti (presbyterium repraesentans). La rappresentanzanon compete solo a quelli eletti, maa tutti: a mio parere, il participio “repraesentans”non indica solo una funzione di rappresentativitàdei memebtri del Consiglio, ma anche un fatto diripresentazione, nel sensoche il Consiglio esprimeun fatto ecclesiale difondamentale importanza:che il vescovo, il qualeè principio e fondamentodi unità della Chiesa locale,non esercita la sua funzione da solo, ma semprecon il suo presbiterio. Si tratta di una conseguenzadella natura stessa del ministero ordinato:il vescovo, che ha la pienezza del sacerdozio,non è mai senza il suo presbiterio, come il presbiterionon è mai senza il vescovo. Nei documenticonciliari, questa unità del vescovo con il suo presbiterioè continuamente ribadita (cfr SC 41; LG20. 28; CD 11; AG 19. PO 7).Questo aspetto risulta del tutto evidente nella terzaformula: il Consiglio presbiterale è il Senatusepiscopi: organismo a servizio del vescovo, nonun senato della diocesi. E’ il vescovo a presiederlo,e con il consiglio affronta i problemi posti all’ordinedel giorno. <strong>In</strong> quanto pastore della Chiesa chegli è affidata, egli deve sentire l’esigenza di ascoltare,prima di decidere, i suoi consiglieri. Per cuiil vescovo dovrebbe convocare il Consiglio tuttele volte che sente la necessità di consigliarsi.Su che cosa il vescovo deve consigliarsi? Il Codicespecifica che il Consiglio ha competenza in regiminedioecesis: condivide cioè la responsabilitàdi governo con il vescovo sugli affari di maggiorimportanza della diocesi.Le prerogative del Consiglio presbiterale sono nell’ambitodel voto consultivo (can. 500), nel sensoche la consultazione serve al vescovo per ricercaree discernere ciò che lo Spirito suggerisce oggiper il bene della Chiesa.Il codice precisa che vescovo ha bisogno del consensonei casi espressamente dichiarati dal diritto;inoltre il vescovo potrebbe prevedere dei casiin cui, per una sorta di autovincolazione, prevedee richiede il consenso: per alcuni sarebbe unaspecie di abdicazione del governo da parte del vescovo,per altri (e il relatore propende per questa soluzione)è una modalità piùpiena di esercizio del governo.<strong>In</strong> conclusione mons.<strong>In</strong>citti ha spiegato anchela natura e i, compiti delCollegio dei Consultori,anche se ha espresso ilparere che si tratti di undoppione rispetto alConsiglio presbiterale.Come si vede, i temi affrontatidurante il corso sonostati uno stimolo a viverein modo più consapevolee impegnato il ministeroche Dio ha affidato a noiministri ordinati per ilbene della Chiesa diVelletri-Segni. Si è trattatodi una grande opportunitàdi aggiornamentoteologico e pastorale, colta con senso di responsabilitàdai sacerdoti della diocesi, vista la largapartecipazione.Foto: nella pagina accanto in alto un momento dell’incontro;inbasso, da sinistra, il vescovo mons. Apicella, il relatore mons.Giovanni <strong>In</strong>citti, d.D.Vitali e d.L. Vari.in questa pagina un momento della messa in sufragio di S.E.mons.Martino Gomiero già vescovo della diocesi, presieduta damons. Apicella e concelebrata dai sacerdoti del presbiterio.

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