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un caffè letterario - Comunità Italiana

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10Gennaio / 2005Gennaio / 200511GIUBBE ROSSE: <strong>un</strong> caffè <strong>letterario</strong>Quei frequentatorialle Giubbedell’Italia inguerra fu <strong>un</strong> duro colpoL’interventoper i nostri amici (sopratuttoperché coincise (con ladifferenza di qualche giorno)con la caduta di Parigi. Parigiera per tutti loro la cittàsognata, il simbolo della cultura,della poesia, dell’arte.Saperla invasa dai grigi reggimentidella Wehrmarcht liaddolorava come avesserovisto <strong>un</strong>a persona cara in baliadi feroci energumeni. I pochissimiche avevano avutola fort<strong>un</strong>a di andarci, Traverso,Delfini, Bilenchi, Landolfi,Montale, pensavano chenon l’avrebbero più vista; glialtri, specie i più giovani, chela sognavano con struggimento,disperavano di poterla mairaggi<strong>un</strong>gere.Non sarebbe stato più comeprima, anche se in apparenzala vita a Firenze continuavaalla stessa maniera.Qualc<strong>un</strong>o, Pratolini, Gatto,era già partito. Poi se ne andaronoBo e Macrì. Intornoalle tavole di marmo delleGiubbe Rosse, la conversazionelanguiva. Pon-ponpon,faceva Montale, battendola mano sulla pietra. Rosai,che sonnecchiando continuavaa far la guardia delcorpo, apriva <strong>un</strong> occhio escuoteva il capo. Se Parronchi,Luzi, Bigongiari cominciavano,sottovoce, <strong>un</strong>a discussione,Rosai li osservavaper qualche minuto poi indicandolie Landolfi diceva:“Spaccano il capello in quattro;ma il capello non c’è”.Landolfi stava diventandocrudele. Non si era mai sentito“ermetico” lui; gli ermeticianzi non gli erano maipiaciuti, e ora non li sopportavapiù. Ancora meno sopportavache lo trattassero come<strong>un</strong>o di loro. Ogni sera neprendeva di mira qualc<strong>un</strong>o.«Maestro» diceva dopo averefissato a l<strong>un</strong>go la vittima,«mi ascolti e abbia la cortesiadi rispondermi». «Ha ellamai visto sparger lacrime <strong>un</strong>felino?» (‘Il pianto delle tigri’era <strong>un</strong> frammento di <strong>un</strong> versodi Bigongiari). Davanti alsilenzio imbarazzato dell’interlocutore,Landolfi concludeva:«D<strong>un</strong>que, se ella tace,vuol dire che le tigri nonpiangono».Un’altra volta toccava aLuzi. «Mi dica, maestro, inquale paese ella ha visto <strong>un</strong>cane convesso?». Il verso delpoeta diceva esattamente così:“... per le rosse città deicani afosi / convessi soprai fiumi arsi dal vento”. Luziche non credeva necessariodi fornire spiegazioni circa laconvessità dei cani, badava afumare. Landolfi, che sapevaManlio CancogniDa “Nuova Antologia” ottobre-dicembre 1992Giancarlo Vigorellia memoria tutte le poesie deisuoi amici, continuava: «Leicrede veramente, maestro,che in Georgia i passeri sianopiù profondi che altrove?».Il verso <strong>un</strong> po’ arcano di Luzidiceva “<strong>un</strong> passero profondosi dispiuma nel golfo dove sognaila Georgia”.Così il gruppo andavacorrodendosi sotto l’ironiadei suoi stessi componenti.Ma per i non fiorentini, leGiubbe Rosse erano ancora<strong>un</strong> miraggio. Già nel pienodella guerra, quando viaggiarein treno cominciava ad esserearduo, per via dei ritardie della mancanza di posti asedere, c’erano giovani al<strong>un</strong>nidelle Muse che venivanoa Firenze apposta per vederequel luogo sacro alla poesia eal pensiero.Il nuovo arrivato, marchigianoo pugliese, entrava timidamentenel grande caffèdi piazza Vittorio nascondendola propria delusionescoprendolo così diverso dacome l’aveva immaginato.Credeva fosse <strong>un</strong> locale intimo,con pareti foderate di legno,soffitti bassi, velluti, luciraccolte. Invece si trovavain <strong>un</strong>a sala qual<strong>un</strong>que, anonimacome il buffet di <strong>un</strong>astazione ferroviaria. Alla vistadel gruppo ‘fatale’ la federinasceva più ardente e piùdura. Sedeva accanto ai ‘loro’tavolini in fondo alla sala,e guardava gli eletti tendendol’orecchio. In genere nonpercepiva nulla. Gli ermeticisembravano addormentati.Egli allora, accostandosia quello che gli pareva piùabbordabile, si presentava epoi <strong>un</strong>o alla volta, si facevaindicare gli altri. «E quellochi è?». «E quello?». «E quello?».Non si dimentichi cheall’epoca i letterati non eranooggetto di reportages fotograficie che quindi le lorosembianze erano ignote.Per sapere come fossero fattiMontale, Gatto, Luzi o Sereni,che fra i poeti erano i piùamati dai giovanissimi, bisognavaandare a vederli. Guaiperò se l’incauto cadeva sottogli artigli di Landolfi. Davero lupomannaro (personaggiocaro ai suoi racconti)questi non si lasciava sfuggirel’occasione.Giacinto Spagnoletti, frai ‘provinciali’ piovuto nella‘capitale’ (fino al ‘43 Firenzecontinuò ad avere questafama) fu letteralmentesbranato. Landolfi, che per isuoi perfidi giochi era capacedi andare a leggere anchei versi semiclandestini che sistampavano a Cagliari, a Tarantoo a Macerata, si mise ainterrogarlo con tono autorevolema benevolo. Spagnolettirispondeva, commosso,sentendosi invadere da<strong>un</strong> piacevole calore. Se, giàil primo giorno, pensava, <strong>un</strong>Landolfi lo trattava con tantoriguardo, ogni speranza per ilfuturo era permessa. Landolfiaveva appoggiato il mentoal palmo della mano, e guardaval’infelice con gli occhineri e penetranti. «Sì, sì, sì»,fece all’ultimo come per riassumerela conversazione, ealzando minacciosamente lavoce «è giusto, siamo d’accordo,perché ‘le parole nonsono acqua calda’ è vero?».E mentre Spagnoletti taceva,allibito per l’improvviso mutamento,continuò a incalzarloa base di altre citazionitratte dai suoi versi. «Perché,come lei dice, è vero maestro,i gatti sono maturi». Elevandosi in piedi, quasi urlando.«E i finocchi sono su-Luigi Cavallodati», «E il minuetto che lei eil suo amico Ruggero ballate,è inconcreto!».Landolfi venne richiamatonel ‘42 al distretto in via SanGallo dove lo raparono a zero.Egli se ne adontò moltissimo,e da quel giorno entrandoda Br<strong>un</strong>o gridava con ariavendicativa: «Abbasso il papae i suoi ministri in cielo e interra e in qualsiasi luogo!».Gli squadristi dei tavolini vicinoalla porta, lì per li approvavanoquella sparata; pois’insospettivano e andavanoda Rosai.«O Ottone, quel moro, iltuo amico, che cosa vuol direcol papa? Non sarà mica <strong>un</strong>bigio?».Nella primavera del ‘43Landolfi fu arrestato e chiusoalle Murate in via Ghibellinain compagnia di Carlo Levi,Quinto Martini e altri letteratie pittori. Questo fatto sparseil panico fra i frequentatoridelle Giubbe. Erano ormaipochi quelli che continuavanoad andarci abitualmente.Si temeva che persino fra icamerieri si potessero celaredelle spie.10 11

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