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un caffè letterario - Comunità Italiana

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12Gennaio / 2005Gennaio / 200513Il 25 luglio vuotò le carceri,ma non restituì alleGiubbe i suoi antichi amici.Ormai la guerra cominciavaa farsi sentire con tutto ilsuo peso e non serviva piùignorarla. Davanti a fatti cosìmassicci, le ‘ragioni supreme’della poesia e dell’intelligenzasembravano impallidire,perdere il loro valore.Gli ermetici cominciavanoa dubitare di loro stessi.L’occupazione tedesca li disperse.Pratolini era a Roma,Gatto, Bo e Traverso nascostichissà dove, Macrì fra i partigiani.Più che al caffè o intrattoria i superstiti s’incontravanoadesso per strada oal gabinetto Vieusseux doveda qualche anno Bonsantiaveva preso il posto di Montale.Bonsanti aveva sospesoLetteratura. Lui era il solo anon sembrare scosso. «Checosa c’è di nuovo?», chiedevasottovoce fregandosile mani. Era la sua domandaabituale. Un giorno la rivolsea Bilenchi, davanti al Bottegone,mentre si sentivano adistanza degli schianti paurosie nel cielo ululavano lesirene. «Ci stanno bombardando,ecco che cosa c’è!»,rispose Bilenchi correndo aripararsi nel Duomo.Nelle tragiche giornatedell’agosto del ‘44, quandotedeschi e alleati si dividevanola città, e dai tetti crepitavanole raffiche dei franchitiratori, i nostri amici soffrironola fame e la sete. Nei ricoverila gente moriva e nonpoteva essere seppellita. Nascosticome gli altri cittadini,divisero con loro speranze epaure, il poco cibo e l’acquainquinata dei pozzi. Appenala città fu liberata, Gadda,che aveva vissuto gli ultimigiorni nel terrore dei tedeschi,senza consultarsi conPier Carlo Santininess<strong>un</strong>o, partì verso il sud,a piedi, diretto verso Roma.Non tornò più a Firenze.Landolfi aveva già preso lastessa direzione qualche meseprima, per rifugiarsi nelsuo castello di Pico. La guerra,dopo Cassino, era passatain quel tratto del Lazio meridionale,come <strong>un</strong> uraganospaventoso. In proposito arrivavanoa Firenze le notiziepiù contradditorie. Si raccontavache si fosse ridestatocome da <strong>un</strong> incubo, trovandosiin piena notte, soloe completamente nudo in<strong>un</strong>a campagna deserta. Avevagirovagato nel buio perore; all’alba aveva bussatoalla porta di <strong>un</strong> convento. Ifrati gli dettero <strong>un</strong> pane e <strong>un</strong>saio. Avvolto in quel saio,scalzo, con la barba l<strong>un</strong>ga,era arrivato a Roma. In tempoper fare la sua misteriosacomparsa nella prima casada gioco clandestina apertasinella capitale.Queste e altre storie relativeagli amici dispersi divertivanomolto i superstiti frequentatoridelle Giubbe che stavano pocoa poco ritrovandosi. Entravanoa far parte della leggenda,‘ermetica’, garantendo lasopravvivenza del movimento.Ma fino a quando?Le Giubbe non avevanosubito danni e nemmenola piazza che fra non moltosi sarebbe chiamata ‘dellarepubblica’. Alle spalle delfronte che andava allontanandosioltre l’Appennino, Firenze,sommersa da <strong>un</strong>a folla dimilitari di ogni razza, riprendevaa vivere.C’era nell’aria l’allegria<strong>un</strong> po’ irresponsabile diquando si ricomincia, stupitidi esserci ancora. Gli ermeticinon tardarono ad accorgersi,nei mesi che seguirono,che in quella nuova‘temperie’ (<strong>un</strong>a parola cheamavano), la ‘dissidenza’ ermetica(che ormai s’identificavacon la loro giovinezza)aveva perso ogni significato.E infatti come accordarequel linguaggio allusivo, indiretto,oscuro, metafisico,con la realtà che irrompevasguaiata nelle strade e fra lemura di casa?S’erano sempre sentitiorgogliosamente soli. Orail muro d’indifferenza cheli escludeva (proteggendoli)era crollato, e oltre le rovinesi intravedeva il mondo aprirsisu nuove e imprevedibilestrade. I giovani voltavano lespalle al passato. Per la letteraturaitaliana del ventennionon avevano che disprezzo.Poco ci mancava che l’accusasserod’essere stata con lasua ‘assenza’, complice delregime. Saggiamente (et pourcause) gli ermetici tacevanoevitando le polemiche. Firenzed’altra parte aveva cessatodi essere la capitale letterariad’Italia avendo ceduto il postoa Roma e Milano. Il grupponon esisteva più. Ritiratala gloriosa insegna Ciasc<strong>un</strong>oora sapeva di dover fare iconti solo con se stesso, senzarimpianti ma anche senzaillusioni.GIUBBE ROSSE: <strong>un</strong> caffè <strong>letterario</strong>Giubbe Rosse alledieci della seraCarlo BoDa <strong>un</strong>a intervista di Giulio Nascimbeni sul Corriere della sera di mercoledì 1 giugno 1994Nei ricordi di Bo riappare <strong>un</strong>a Firenze lontana di caffè che sono entrati nella storia dellaletteratura come le Giubbe Rosse, e di trattorie popolari come il «Troia», «Ottavio», il«Lacheri», il «Lapi»: trattorie semibuie, sistemate in locali spesso senza finestre, ma con ilfuoco giusto per le costate, con l’olio vero dove far annegare i toscanelli. Le Giubbe più chedai letterati erano dominate da <strong>un</strong> vecchio e autoritario «tavolante», incapace di resisterealla tentazione di presagire la mossa vincente dello scacco matto quando si metteva dispalle a due giocatori. Adesso, per restare in termini di poesia, l’aria del caffè è quella di <strong>un</strong>aSpoon River cittadina. Troppi nomi mancherebbero se si tentasse l’appello.Professor Bo, come scoprì Lorca?«Per amore di verità, devodire che i primi in senso assolutoa occuparsi di Lorcafurono Giuseppe Valentini,addetto culturale alla nostraambasciata di Madrid, chetradusse <strong>un</strong>a poesia, e AngeloMarcori, che accennò a Lorcain <strong>un</strong> saggio sulla poesiaspagnola, uscito sulla rivistaLetteratura, diretta da AlessandroBonsanti».D’accordo, ma fu lei ad affrontareorganicamente il poeta.Come ebbe, come conobbe itesti?«Ero rimasto a Firenze dopoessermi laureato con <strong>un</strong>a tesidi letteratura francese suHuysmans. Il mio maestro erastato Luigi Foscolo Benedetto.All’<strong>un</strong>iversità avevo anchestudiato lo spagnolo e ricevevolibri da quel paese attraverso<strong>un</strong> mio parente che conoscevail redattore capo de LaPrensa. Ma il mio vero consigliereera Eugenio Montale».Faceva parte anche lei dellabrigata che si ri<strong>un</strong>iva al caffèdelle Giubbe Rosse?«Nei miei primi tempi fiorentinifrequentavo il caffè San Marco,dove m’incontravo con RenatoPoggioli, Leone Traverso,Tommaso Landolfi, Mario Luzie Piero Bigongiari. In seguito cispostammo alle Giubbe Rosse,rispettando i tre sacramentaliCarlo Boapp<strong>un</strong>tamenti quotidiani: alle12, alle 18 e, per chi non avevafamiglia, alle 22. Non averefamiglia, in quell’epoca, era <strong>un</strong>handicap. il fascismo non soloimponeva la tassa sul celibato,ma ritardava le carriere. Dopoaver vinto il concorso per lacattedra di francese a Urbino,ho dovuto aspettare due annila nomina».12 13

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