Nel settembre 1869 in un documento preparato dal<strong>la</strong> Prefettura di Napoli venivano confermate le re<strong>la</strong>zioni che legavano gli ambienti criminali ai ceti sociali più elevati. Autorevoli membri delle c<strong>la</strong>ssi dominanti intervenivano <strong>per</strong> salvare dal carcere i loro omologhi nel sottomondo criminale. “<strong>Le</strong> raccomandazioni, diceva <strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione prefettizia, cadano d’ordinario a favore dei camorristi più influenti, quando si pensa che i più famosi camorristi non furono a quel rigore, che altri sottopostivi ne furono presto liberati, si sarebbe del domicilio coatto tentati di dire: che non colpì i pessimi, che colpì <strong>per</strong> breve tempo i cattivi e che nel<strong>la</strong> rete ora rimangono solo i pesci piccoli>>. Sempre nel 1869 si svolgeva, nel<strong>la</strong> città di Castel<strong>la</strong>mmare di Stabia, un processo a carico di 67 imputati, di cui 18 pregiudicati accusati di aver costituito un’associazione criminale con lo scopo di depredare nel Porto Mercantile, con minacce a mano armata, continuare contrabbandi, esercitare <strong>camorra</strong> in d<strong>anno</strong> dei commercianti, dell’Erario dello Stato e dei privati. Gli altri 49, imputati di complicità e ricettazione, erano impiegati doganali, pesatori, facchini. Nello stesso rapporto del pretore al procuratore del re si dava conto anche di un contrabbando compiuto dal comandante siciliano di un bastimento proveniente da Trapani con 100 quintali di sale, in accordo con alcuni camorristi di Castel<strong>la</strong>mmare. Lo sbarco avvenne rapidamente sul<strong>la</strong> spiaggia cittadina e, <strong>la</strong> sera dopo, al<strong>la</strong> marina di Cassano <strong>per</strong> <strong>la</strong> distribuzione nei paesi <strong>del<strong>la</strong></strong> peniso<strong>la</strong> sorrentina, col favore di parecchie guardie doganali corrotte. Il sindaco di Castel<strong>la</strong>mmare, ch’era proprietario di alcuni bastimenti, non aveva alcuna difficoltà a ri<strong>la</strong>sciare certificati di buona condotta ai notori camorristi e aveva introdotto negli uffici doganali due imputati già ammoniti dal pretore. Tra i suoi scaricatori al porto c’era il camorrista più temuto, Gennaro Ferrara, che, non <strong>per</strong> caso, citerà come testi a suo discarico il sindaco e gli assessori municipali. <strong>Le</strong> indagini e gli atti istruttori compiuti dal<strong>la</strong> polizia e dal pretore non appaiono <strong>per</strong>ò sufficienti a configurare <strong>per</strong> gli imputati il reato di “associazione di malfattori”: né al pubblico ministero, né poi al tribunale, che procedono rapidamente al<strong>la</strong> scarcerazione di tutti i detenuti. Questa linea liberale, fortemente garantista, corrispondeva agli orientamenti governativi. C’è da notare che, se il reato associativo era raramente applicato ai camorristi, più facilmente colpiva internazionalisti, anarchici e socialisti. Intanto, anche a Napoli e al Sud era in atto una trasformazione delle re<strong>la</strong>zioni sociali, che produceva interazioni tra i diversi strati <strong>del<strong>la</strong></strong> società, in uno con il progressivo ampliamento <strong>del<strong>la</strong></strong> partecipazione politica e delle funzioni di amministrazione e di governo. Anche in presenza di un suffragio partico<strong>la</strong>rmente ristretto, intorno al 3-4%, si segna<strong>la</strong>vano brogli e compravendita di voti. Era il caso di un deputato moderato del quartiere napoletano San Giuseppe, De Rosa, che affidava l’acquisto dei voti a un comitato formato da un commesso municipale, due guardie nazionali, un cantiniere e un camorrista appena tornato dal domicilio coatto. L’inchiesta diretta dal senatore Saredo sulle amministrazioni napoletane dopo l’unificazione, mostrava che già nei primi decenni unitari il<strong>legalità</strong> e criminalità si diffondevano attraverso re<strong>la</strong>zioni più complesse che andavano ben oltre il sottomondo plebeo e camorristico. Si andavano formando reti di interessi che avvicinavano sempre più i ceti bassi e quelli alti. Si affacciavano atteggiamenti, valori che al<strong>la</strong>rgavano i confini <strong>del<strong>la</strong></strong> <strong>camorra</strong> plebea verso più moderne forme di il<strong>legalità</strong>. Al posto <strong>del<strong>la</strong></strong> bassa <strong>camorra</strong>, esercitata sul<strong>la</strong> povera plebe, sorgeva un’alta <strong>camorra</strong>, composta dai più audaci borghesi. Costoro traevano alimento nei commerci e negli appalti, nelle pubbliche amministrazioni, nei circoli e nel<strong>la</strong> stampa. Come rilevava l’inchiesta Saredo, veniva fuori una figura sociale <strong>del<strong>la</strong></strong> realtà politicoamministrativa di Napoli di fine Ottocento, l’interposta <strong>per</strong>sona. Questa figura, sempre attiva nel<strong>la</strong> Napoli borbonica, trovava più ampi spazi nel<strong>la</strong> nuova organizzazione politica ed elettorale, con <strong>la</strong> diffusione del voto, l’affermazione delle clientele e dello scambio tra voti e servizi. Con le forme <strong>del<strong>la</strong></strong> corruzione diventava centrale <strong>la</strong> figura dell’intermediario. 10
Scrive, in proposito, lo storico Barbagallo: