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TRAKS INTERVIEW #2

Secondo numero della nuova rivista, costola di www.musictraks.com, che pubblica soltanto interviste approfondite ai protagonisti della musica indipendente italiana. Tra i protagonisti: Rashomon, Giuliano Clerico, Tiziano Bianchi, Dulcamara, Ohio Kid

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DULCAMARA<br />

l’idea dei grandi spazi<br />

Mattia Dulcani, con amici e compagni di ventura, pubblica “Indiana”, disco<br />

che racconta di un’America più inventata che immaginata, con ossessioni,<br />

perfezionismo, testi che scompaiono nella musica<br />

Come e da quali ispirazioni nasce “Indiana”?<br />

Non saprei più rispondere a questa domanda,<br />

ci siamo dentro fino al collo.<br />

E se Indiana per me rappresenta un<br />

fiume, siamo in corrente. A essere seri,<br />

forse l’idea dei grandi spazi, dei fiumi<br />

d’Argentina, di giovanili ascolti di “Anima<br />

latina”. Da un volere uscire da un<br />

suono di provincia.<br />

Vorrei sapere come sono andate le<br />

lavorazioni del disco, perché mi sembra<br />

che il disco dimostri una notevole<br />

cura del dettaglio nella scrittura,<br />

nell’esecuzione e negli arrangiamenti.<br />

Ti ringrazio, sì forse troppa. A un certo<br />

punto è diventata ossessione. Alcune<br />

tracce sono state incise in degli appartamenti<br />

di<br />

passaggio<br />

perché non<br />

ci sarebbe<br />

stato altro<br />

modo, questo<br />

fattore<br />

ovviamente<br />

ha aumentato<br />

la difficoltà<br />

di avere<br />

un suono<br />

plasmabile<br />

come potrebbe<br />

essere<br />

quello<br />

realizzato in un buono studio e non ti<br />

dico nemmeno quante tracce abbiamo<br />

abbandonato per il semplice fatto che<br />

non suonavano per noi. Una volta<br />

adottata la modalità “one take” se il<br />

brano non respira non c’è nulla da<br />

fare e si va avanti. In più la grande<br />

difficoltà è stata scrivere testi che riuscissero<br />

a scomparire nella musica,<br />

togliendo ego personale e narrazione<br />

da cronaca per spostarle in un “luogo”<br />

ideale dove le parole stesse avessero<br />

la stessa valenza dei suoni. Dell’America<br />

nell’estetica e nel riconoscimento<br />

culturale c’è ben poco, però non possiamo<br />

nascondere che molti artisti<br />

della scena folk americana ci abbiamo<br />

influenzato il pensiero rispetto al<br />

modo di registrare e di mixare i dischi.<br />

Mi sembra che questo disco porti a<br />

compimento una trasformazione che<br />

ha portato dall’amore iniziale e dichiarato<br />

per l’hip hop a lidi del tutto diversi.<br />

Quanto c’è stato di consapevole e<br />

quanto di spontaneo in questo processo?<br />

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