28.01.2017 Views

Anton Giulio Majano. Il regista dei due mondi

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

FALSOPIANO<br />

CINEMA


<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, uomo-record del teleromanzo italiano<br />

(comanda la classifica a quota 16), usa lo “zoom” come una<br />

lancia. In TV come al cinema esistono i registi-sciabolatori,<br />

quelli che “zoomano” a fendenti, a piattonate, a mulinello:<br />

esistono i fiorettisti più eleganti che con lo “zoom” fanno<br />

botte dritte, cavate, puntate. Ex-ufficiale di cavalleria, <strong>Majano</strong><br />

conosce un colpo solo: l’affondo. Non appena in un dialogo<br />

a <strong>due</strong> o a tre, un personaggio sta per dire una battuta<br />

importante, zac!, la telecamera di <strong>Majano</strong> “zooma” in primo<br />

o in primissimo piano in modo da far esprimere all’attore<br />

tutto quello di cui è capace.<br />

(Morando Morandini, “<strong>Il</strong> Giorno”, 6 ottobre 1971, in: Lorenzo<br />

Pellizzari (a cura di), Telering. <strong>Il</strong> Morandini televisivo).<br />

<strong>Il</strong> cavallo racchiude in sé lo scattante segreto del vero cinema:<br />

il movimento. Ma un movimento animato, vibrante, a<br />

cui egli stesso partecipa visibilmente e che è ben diverso da<br />

quello di un’auto o di un velivolo, così pronti a tornare ciechi<br />

ed inerti non appena le mani e la volontà dell'uomo cercano<br />

di comandarli. La sua generosità istintiva, la bellezza<br />

degli scenari nei quali vive, la sua aria di signorile riserbo,<br />

ne fanno inoltre l’animale più simpatico dello schermo. Ed è<br />

anche un magnifico attore, che non dà mai, a differenza del<br />

cane, suo rivale, l’impressione di recitare.<br />

(<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, Cavalleria e cinema, in: “Cinema” n.<br />

47, 10 giugno 1938, p. 368).


EDIZIONI<br />

FALSOPIANO<br />

Mario Gerosa<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong><br />

<strong>Majano</strong><br />

il <strong>regista</strong> <strong>dei</strong> <strong>due</strong> <strong>mondi</strong>


Ringraziamenti<br />

Alfredo Baldi, Chiara Cadeddu, Alexandra Celi, Sonia La Rosa, Domenico<br />

Monetti, Stefano Nazzi, Luca Pallanch, Margherita Palli, Lucia Pavan, Egle<br />

Santolini, Lorenza Scalisi, Roberta Zanoli, Susanna Zirizzotti, l’Archivio di<br />

Stato di Chieti, il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e il Servizio<br />

Teca Aperta della Rai.<br />

© Edizioni Falsopiano - 2016<br />

via Bobbio, 14<br />

15121 - ALESSANDRIA<br />

http://www.falsopiano.com<br />

Progetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri<br />

Stampa: C.N.S. Vaprio d’Adda<br />

Prima edizione - Dicembre 2016


Sommario<br />

Prefazione<br />

di Oreste De Fornari p. 9<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, il <strong>regista</strong> <strong>dei</strong> <strong>due</strong> <strong>mondi</strong> p. 13<br />

Biografia p. 23<br />

<strong>Il</strong> cinema p. 30<br />

I grandi sceneggiati p. 83<br />

L’altra televisione p. 171<br />

<strong>Majano</strong> visto da vicino p. 218<br />

Postfazione<br />

di Cinzia TH Torrini p. 245<br />

Filmografia cinema p. 246<br />

Filmografia televisione p. 253<br />

Bibliografia p. 283


Prefazione<br />

E allora David Lean?<br />

di Oreste De Fornari<br />

La sera di Ferragosto, in occasione della scomparsa di Ettore Bernabei,<br />

l’episodio di Provaci ancora Prof! con Veronica Pivetti, in programma<br />

su RaiUno, è stato sostituito da Maria di Nazareth, una<br />

produzione Lux Vide, la società di cui Bernabei era presidente, specializzata<br />

in fiction a tema religioso. Dubito che a qualcuno in viale Mazzini<br />

sia venuto in mente di commemorare lo storico direttore generale in<br />

un modo meno ovvio, orientandosi verso i teleromanzi anni Cinquanta e<br />

Sessanta, spesso con la regia di <strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, simbolo del progetto<br />

culturale della Rai di Bernabei. (Sembra che il bianco e nero non sia<br />

più proponibile in prima serata).<br />

Fortunatamente, per rimediare alle lacune della memoria ufficiale, è arrivato<br />

questo libro di Mario Gerosa, il cui titolo risorgimentale sarebbe piaciuto<br />

a <strong>Majano</strong>, dove vengono passati in rassegna i diversi generi e media<br />

in cui si è cimentato il <strong>regista</strong> abruzzese. A cominciare dal cinema. Gerosa<br />

ne parla con passione e competenza, narrando trame, riportando notizie, e<br />

formulando giudizi. Non sono in grado di verificarli, tranne rari casi, come<br />

Lui, lei e il nonno , una commedia piuttosto scombinata, ma non abbastanza<br />

per diventare un cult movie. <strong>Il</strong> genovese Gilberto Govi è il proprietario<br />

di una ditta di conserve a Napoli, Walter Chiari il nipote playboy,<br />

scenografie in stile pop di Piero Filippone, giustamente elogiate da Gerosa.<br />

Del teatro televisivo ricordo un’edizione di Prima pagina del 1969,<br />

con una variante curiosa rispetto all’originale: l’evaso che si nasconde<br />

nella sala stampa del carcere è un uomo di colore. <strong>Il</strong> tocco alla <strong>Majano</strong> a<br />

volte era in trovate clamorose come questa, o come l’incongruo “Yes”<br />

sulla lavagna di Anna Maria Guarnieri nella Cittadella (l’attrice ne parla<br />

9


nell’intervista riportata nel libro). Oltre che naïf gli sceneggiati di <strong>Majano</strong><br />

erano un po’ lenti, ma se qualcuno glielo faceva notare era capace<br />

di rispondere: «E allora David Lean?». C’erano in lui un Matarazzo e un<br />

David Lean, ma non oso immaginare un Breve incontro diretto da <strong>Majano</strong>,<br />

magari con Alberto Lupo al posto di Trevor Howard. È possibile distinguere<br />

nei suoi lavori anche una vena sperimentale, soprattutto nei<br />

Figli di Medea, una specie di finto reality dove la trasmissione viene interrotta<br />

per annunciare che Enrico Maria Salerno è impazzito e ha rapito<br />

suo figlio. (<strong>Il</strong> precedente era La guerra <strong>dei</strong> <strong>mondi</strong> radiofonica di Orson<br />

Welles).<br />

Poi appunto ci sono gli sceneggiati, con la loro parte di “fumettismo”<br />

che faceva storcere la bocca ai letterati, non solo da noi . Mi raccontò <strong>Majano</strong><br />

che al bar della BBC un dirigente gli si rivolse in questi termini:<br />

«Quale nuovo crimine contro la letteratura inglese sta preparando Signor<br />

<strong>Majano</strong>?». E lui: «Un grosso crimine, Vanity Fair». L’inglese ci restò di<br />

sasso perché loro non avevano ancora pensato di portare Thackeray in tv.<br />

Parlando di teleromanzi, Gerosa mette in risalto gli aspetti più personali<br />

dello stile di <strong>Majano</strong>. Per esempio è convinto che nel suo modo di usare lo<br />

zoom ci sia qualcosa di proustiano (francamente non me ne ero accorto).<br />

<strong>Il</strong> prolifico <strong>regista</strong> trovava anche il tempo per scrivere racconti e romanzi.<br />

Ne conosco uno, Tre addii, del 1987, un giallo ambientato nel<br />

mondo della televisione, che diventerà anni dopo una fiction targata Mediaset.<br />

Mi colpì che ogni personaggio fosse caratterizzato dalla sua automobile,<br />

la vecchia Porsche del direttore della fotografia, la 126 della<br />

aiuto costumista, l’Alfa 164 verde oliva del commissario (del resto la<br />

passione per i motori era tipica di quella generazione: Risi, <strong>Anton</strong>ioni,<br />

Maselli, e chissà quanti altri). E poi dietro al <strong>regista</strong> c’era l’uomo, che ho<br />

conosciuto negli anni del tramonto, pieno di amarezza perché gli mancava<br />

il magico giocattolo che aveva fatto funzionare così bene: («Sono<br />

quattro anni che non faccio niente. Sono ridotto a lavorare di notte. Non<br />

vedo l’ora di chiudere gli occhi perché lavoro sognando: faccio le carrellate,<br />

i primi piani...»).<br />

Ora, anche grazie a questo libro, lo possiamo immaginare in altre età<br />

della vita. Ufficiale di cavalleria in Africa, che viene decorato da Rommel,<br />

a Napoli nel ’45 nella redazione di Radio Italia Libera, con Ghirelli,<br />

10


Steno e Longanesi, in un clima di entusiasmo e precarietà (Mario Soldati<br />

che strillava: «Mi hanno rubato i fagioli!») e poi naturalmente in via<br />

Teulada, a dirigere con piglio militaresco la complessa macchina produttiva<br />

dello sceneggiato da studio, sfidando la rigidità di qualche burocrate<br />

(durò fatica a convincerli che l’ampex si poteva tagliare), o<br />

scontrandosi con un attore troppo lontano dai suoi canoni, come Gian<br />

Maria Volonté, che lasciò il set di Delitto e castigo e fu sostituito da Luigi<br />

Vannucchi. Non sapremo mai come sarebbe stato il Raskolnikov di Volonté,<br />

ma nemmeno sapremo come era il Raskolnikov di Vannucchi, perché<br />

un dirigente ha distrutto le bobine, forse per fare spazio negli armadi<br />

o per recuperare il nastro. Non c’è da stupirsi. A quei tempi ben pochi<br />

immaginavano che i teleromanzi fossero destinati a finire nelle cineteche<br />

o sulle storie del cinema. Anche per questo ci sono voluti tanti anni perché<br />

qualcuno si accorgesse che <strong>Majano</strong> è stato un grande e scrivesse un<br />

libro su di lui.<br />

11


12


<strong>Il</strong> <strong>regista</strong> <strong>dei</strong> <strong>due</strong> <strong>mondi</strong><br />

Quando parlava del suo modo di confezionare grandi classici<br />

televisivi, <strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong> adottava colorite metafore<br />

gastronomiche. Lui, che per il grande schermo diresse Mastroianni, la<br />

Loren, Virna Lisi, Amedeo Nazzari, Walter Chiari, che commissionò a<br />

Pier Luigi Pizzi e a Gabriella Pescucci i costumi per i suoi sceneggiati,<br />

che fece debuttare in televisione Aldo Fabrizi, che firmò la regia del<br />

Cantagiro, che lavorò con Fiorella Mannoia quando faceva la stuntgirl,<br />

che fu uno uno straordinario scopritore di talenti, che scrisse decine di<br />

soggetti e che realizzò centinaia di opere, per la radio, il cinema, il teatro<br />

e la televisione, che stabilì le regole del teleromanzo, lui che nella Freccia<br />

nera ebbe Dante Spinotti come operatore, lui, che spesso fu tacciato di<br />

creare <strong>dei</strong> “polpettoni”, sosteneva di dover apparecchiare una ricchissima<br />

messa in scena, un atto che ripeté per decine di volte con estremo rispetto<br />

per il pubblico, l’ideale convitato alla sua tavola di <strong>regista</strong>.<br />

“Ai venti milioni di telespettatori ammannisco uno spettacolo degno<br />

di questo nome, diciamo pure un pranzo luculliano, dall’antipasto al Saint<br />

Honoré finale. <strong>Il</strong> pubblico lo sente: e mi ama”. 1 .<br />

Ribadì più volte questa pittoresca e sapida visione, che dà conto della<br />

sua grande generosità di artista che dispensava a piene mani il suo senso<br />

dello spettacolo, il suo desiderio di intrattenere, di debellare anche il più<br />

remoto rischio di annoiare. Questo pantagruelico genio televisivo,<br />

inventore di sequenze memorabili che hanno riscritto le regole del<br />

melodramma, sosteneva che “il pubblico vuole appassionarsi,<br />

commuoversi, odia che gli si faccia il solletico: preferisce un menu<br />

sostanzioso, con antipasto e dessert, servito su vasellame Upim, al<br />

cappuccino offerto in porcellane di Sèvres”. 2<br />

Un concetto, quello di una televisione massimalista e vorace, ripreso<br />

in altre occasioni. Come quando, a proposito della riproposta in<br />

televisione <strong>dei</strong> Racconti di Padre Brown, dubitava che fosse “il caso di<br />

servire <strong>dei</strong> cappuccini a un pubblico dal palato ormai ustionato dai<br />

polizieschi americani”. 3<br />

Questa visione gastronomica, da buongustaio della letteratura e dello<br />

13


spettacolo, fa venire in mente Alexandre Dumas, che oltre ai Tre<br />

moschettieri e al Conte di Montecristo, scrisse un Grand Dictionnaire de<br />

cuisine. Erano personaggi fuor del comune, abituati a pensare in grande,<br />

incapaci di concepire una vita vissuta in una sola puntata.<br />

Gli sceneggiati di <strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong> sono abbondanti, ricchi,<br />

sostanziosi, non lasciano insoddisfatti. Li si può criticare, dire che sono<br />

eccessivamente lunghi, magari ampollosi, forse un po’ retorici, ma sarebbe<br />

profondamente ingiusto dire che non appagano. A suo modo <strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong><br />

<strong>Majano</strong>, il cui nome stesso è magnificamente massimalista, rientra nel<br />

novero <strong>dei</strong> grandi narratori ottocenteschi, come appunto Dumas, Balzac,<br />

Hugo, Dickens, Thackeray. Aveva la capacità di orchestrare enormi<br />

narrazioni, di concertare decine di personaggi, centinaia di comparse,<br />

padroneggiando set complicati che comprendevano decine di ambienti,<br />

migliaia di metri quadrati. Le sue ricostruzioni erano accurate, rese<br />

amorevolmente, con perizia e meticolosità d’altri tempi. <strong>Il</strong> pubblico<br />

adorava queste grandi opere che mobilitavano poderose maestranze oltre<br />

a cast stellari con i più bei nomi del teatro e del cinema di allora. E lo<br />

apprezzavano anche alcuni maestri, primo fra tutti Luchino Visconti, che<br />

non si perdeva uno degli sceneggiati firmati da <strong>Majano</strong>.<br />

Entrambi, <strong>Majano</strong> e Visconti, erano legati al Neorealismo e avevano<br />

una comune passione per il cinema francese: Visconti aveva fatto il suo<br />

apprendistato con Jean Renoir, mentre <strong>Majano</strong> era più sensibile al<br />

Realismo poetico di René Clair e di Marcel Carné, a un immaginario<br />

onirico e evanescente governato dai sentimenti e dal sentimentalismo.<br />

Entrambi, poi, avevano una certa affinità con il mondo di Marcel Proust:<br />

Visconti tentò di portare a compimento il suo grandioso progetto di<br />

trasposizione cinematografica della Recherche, e <strong>Majano</strong> a sua volta<br />

cercò di infondere ai suoi sceneggiati un tempo proustiano, quello della<br />

memoria, <strong>dei</strong> lunghi flashback, delle folgoranti intuizioni rappresentate<br />

visivamente dagli zoom (l’equivalente delle fulminee intuizioni<br />

mnemoniche del Narratore della Recherche), che fanno l’effetto di punti<br />

esclamativi e di repentine incursioni nei pensieri <strong>dei</strong> personaggi. C’era<br />

però una differenza. Quando Visconti creava le proprie ibridazioni<br />

culturali, le dichiarava immediatamente. In Ossessione italianizzò il<br />

dramma americano di James. M. Cain, ambientandolo nella Bassa<br />

Padana, e allo stesso modo, trasportò le Notti bianche di Dostoevskij a<br />

14


Livorno. Altre volte, invece, si mantenne estremamente aderente alla<br />

storia e alla geografia: la Baviera di Ludwig è più bavarese del vero, al<br />

pari della Sicilia della Terra trema.<br />

<strong>Majano</strong> invece tende a non intaccare la toponomastica del romanzo, ma<br />

ne deforma il contesto culturale. Pur conoscendo a fondo la materia che<br />

tratta, non resiste a imporre la sua visione, e inevitabilmente tende a<br />

ricondurre le vicende all’Italia, a conferire una certa familiarità, a tradurre<br />

in un lessico locale (sempre aulico, mai dialettale) molte delle vicende, che<br />

siano tragedie americane o inglesi, vestendole con la sensibilità nostrana.<br />

Come scrisse Maurizio Costanzo, “agli inglesi, per sua esplicita<br />

affermazione, vorrebbe assomigliare, ne vorrebbe possedere il “self<br />

control” e il “sense of humour”, ma al contrario la sua italianità vien fuori<br />

a ogni pie’ sospinto e quindi si consola di questo amore non corrisposto<br />

traducendo diligentemente in immagini quanto gli inglesi hanno scritto<br />

sulla pagina”. 4<br />

Per i suoi teleromanzi scelse una serie di storie straniere e le adattò<br />

allo spirito nostrano, rendendole omogenee tra loro in un linguaggio<br />

stilistico nuovo, che tende a italianizzare i romanzi d’origine – siano essi<br />

francesi o russi-, riconducendoli tutti a una sintassi semplificata, usando<br />

volti di attori italiani che aiutavano il pubblico ad orientarsi nel dramma,<br />

ritrovando sempre le stesse fisionomie.<br />

“Antoine Jules de la Nouvelle Vague”, come lo chiamava<br />

simpaticamente Nando Gazzolo, fu un grande sperimentatore nella<br />

tradizione, e tradusse in un linguaggio inedito alcuni <strong>dei</strong> più grandi<br />

classici di tutti i tempi, appoggiandosi a una schiera di attori di vaglia<br />

che ricorrono nei suoi film e nei suoi sceneggiati, definendo una grande<br />

famiglia sul set. Proprio grazie a quegli attori, quasi esclusivamente<br />

italiani, spesso provenienti dal teatro, <strong>Majano</strong> riuscì ad addomesticare<br />

anche le storie più esotiche, permettendo allo spettatore di trasfigurare<br />

luoghi lontani con scenari conosciuti: si guarda la spiaggia di Brighton e<br />

si pensa a Forte <strong>dei</strong> Marmi, si ammira la Scozia e si pensa a Candelo, e<br />

viceversa, si pensa di vedere la Francia e invece si osserva Tirrenia,<br />

perché comunque, in un modo o nell’altro, prevale un sentire italiano. E<br />

dove non arriva la scenografia, si supplisce con l’immaginazione.<br />

Quello di <strong>Majano</strong> è una sorta di esperanto televisivo, che permette di<br />

tradurre in una stessa lingua, con una funzione pedagogica, la poetica di<br />

15


Dostoevskij e di Dreiser, di Stevenson e di Matilde Serao, di Théophile<br />

Gautier e di Tommaso Grossi.<br />

È la stessa capacità di ridurre e rapportare una serie di personaggi di<br />

un milieu letterario a un altro universo che si ritrova nel Poe di Corman.<br />

<strong>Il</strong> <strong>regista</strong> americano scelse Vincent Price come Virgilio nel mondo oscuro<br />

dello scrittore del Pozzo e il pendolo e diede vita a una saga parallela.<br />

Allo stesso modo <strong>Majano</strong> attinse da varie tradizioni letterarie e ne creò<br />

una di livello superiore, che è la letteratura televisiva. I grandi autori del<br />

diciannovesimo e del ventesimo secolo si amalgamano così in un liquido<br />

amniotico culturale in cui respirano i protagonisti di David Copperfield,<br />

di Jane Eyre e del Caso Maurizius, in un’unica saga corale, quella del<br />

teleromanzo, che assume una propria qualifica di medium.<br />

<strong>Majano</strong> in un certo senso creò l’Unione Europea della letteratura,<br />

abbattendo i confini culturali tra le varie nazioni, unificando i linguaggi<br />

<strong>dei</strong> vari romanzi. Nei suoi sceneggiati scompaiono le unicità e le<br />

differenze degli autori e si sviluppa una nuova lingua, una lingua<br />

televisiva, che il pubblico imparò presto a conoscere.<br />

Per riuscire in questa difficile impresa in televisione <strong>Majano</strong> aveva a<br />

disposizione un importante bagaglio culturale e una grossa esperienza<br />

maturata anche come <strong>regista</strong> cinematografico.<br />

L’humus in cui si formò è quello sofisticato e avventuroso del cinema<br />

degli anni Trenta e Quaranta, il cinema <strong>dei</strong> telefoni bianchi e quello di<br />

cappa e spada, cui si aggiungono poi le esperienze personali di alto<br />

ufficiale, che combatté in Africa durante la Seconda guerra <strong>mondi</strong>ale e<br />

comandò gli spahis, i leggendari cavalieri libici. Apprese i rudimenti del<br />

cinema con Luis Trenker, che considerava il suo maestro, e scrisse vari<br />

soggetti e sceneggiature per Mario Costa, Carlo Ludovico Bragaglia,<br />

Alessandro Blasetti, Mario Bonnard, Camillo Mastrocinque. <strong>Il</strong> suo<br />

immaginario spazia da un certo Neorealismo allo storicismo, e anche in<br />

quest’ambito è presente una sorta di bulimia cinematografica che<br />

comprende un’infinità di ispirazioni, tutte metabolizzate, dal Ponte <strong>dei</strong><br />

sospiri di Bonnard alla Cena delle beffe di Blasetti, a Malombra di Soldati.<br />

I suoi sceneggiati traspirano quel gusto: ci sono i volti, le pose, le<br />

passioni del cinema di quel tempo. Volti e pose ricchi di storia, che fanno<br />

parte di un grande mondo antico. E spesso ci sono gli stessi attori di<br />

allora, come traghettatori tra un cinema che non c’era più e la nuova<br />

16


avventura televisiva: Edda Soligo, Fosco Giachetti, Lauro Gazzolo,<br />

Andrea Checchi, Wanda Capodaglio, Massimo Pianfiorini...<br />

Attori legati a un momento ben preciso del cinema italiano, che nel<br />

periodo tra le <strong>due</strong> guerre riprese spesso stilemi e motivi dell’arte<br />

ottocentesca, riproponendo le stesse atmosfere <strong>dei</strong> pittori dell’epoca.<br />

Questa corrente “fu troppo sommariamente liquidata dalla critica del<br />

tempo, che le rimproverava le eccessive compiacenze stilistiche e<br />

l’edonismo; in realtà gli artisti appartenenti ad essa davano al nostro<br />

cinema quel senso della forma senza il quale non avremmo avuto le opere<br />

del neorealismo. L’ispirazione ottocentesca serviva a introdurre motivi<br />

nuovi, l’amore, la natura, la donna, la gioia di vivere, la sofferenza”. 5<br />

Temi che si ritrovano negli sceneggiati di <strong>Majano</strong>, dove prende corpo<br />

un’epica all’italiana, affine a quella raccontata con saporosa<br />

magniloquenza da Alessandro Blasetti e da Augusto Genina.<br />

Un altro personaggio chiave della cultura cinematografica di <strong>Majano</strong> è<br />

Carmine Gallone, per il quale scrisse soggetto e sceneggiatura del film<br />

Biraghin, la storia di una ragazza di modeste origini che diventa un’étoile<br />

della Scala, un film che sembra la trasposizione cinematografica en tableau<br />

vivant di un quadretto di genere di fine Ottocento. Da Gallone, famoso anche<br />

per i suoi film ispirati ai capolavori della lirica, <strong>Majano</strong> riprese il senso per<br />

la musicalità, che in alcuni casi trasforma gli sceneggiati televisivi del <strong>regista</strong><br />

della Cittadella in “opere liriche in prosa”, dove si coglie una spiccata<br />

ritmicità, tanto nei cori <strong>dei</strong> pirati dell’Isola del tesoro o <strong>dei</strong> ribelli della<br />

Freccia nera, quanto nella coralità delle azioni, come si vede nelle sequenze<br />

molto coreografate dell’Eredità della priora o della Pietra di luna.<br />

Tra i temi che affiorano nell’opera di <strong>Majano</strong> c’è anche il<br />

soprannaturale. Quel filone scorre come un fiume sotterraneo: al cinema<br />

invertebra film come Seddok, uno psycho thriller con implicazioni<br />

vampiristiche, e Terrore sulla città, dominato dalla paura della diffusione<br />

del morbo della peste. Negli sceneggiati il senso del mistero si ripresenta<br />

puntuale in Romeo Bar, con le allucinazioni di Ubaldo Lay, in Jane Eyre,<br />

dietro le porte chiuse, nella Pietra di luna, con le visioni di Lucy, la<br />

ragazza zingaresca interpretata da Mariella Fenoglio, e la presenza<br />

inquietante <strong>dei</strong> tre bramini, nell’Eredità della priora, con le streghe del<br />

bosco, e nell’aura neopagana di Castigo, per non dire del Mago di<br />

Sondrio, il finto veggente della prima serie di Qui Squadra Mobile.<br />

17


<strong>Il</strong> soprannaturale va di pari passo con la passione per l’esotismo.<br />

<strong>Majano</strong>, che durante la guerra visse la sua avventura africana, aveva un<br />

debole per tutto quel mondo eccentrico di paesaggi lontani e di fascinosi<br />

personaggi, che descrisse anche in alcuni racconti pubblicati su Excelsior<br />

e sulla Lettura: il mehari della Tripolitania, gli uomini del Negus, gli eroi<br />

caduti in battaglia fanno parte del corredo narrativo del <strong>regista</strong>, che nel<br />

1939 collabora alla sceneggiatura di Uragano ai tropici di Gino Talamo e<br />

Pier Luigi Faraldo, un film che racconta un dramma militare in Marocco,<br />

e che nel 1949 dirige Vento d’Africa, in cui è protagonista un maresciallo<br />

in pensione che aveva fatto parte delle truppe coloniali italiane. Erano gli<br />

ultimi fuochi del gusto dell’insolito e della scoperta, che in Italia erano<br />

destinati a essere rimpiazzati dalle risate della commedia e dalla satira<br />

sociale. Alla fine degli anni ’50 non c’erano più misteri di Shanghai da<br />

risolvere o deserti da esplorare, così <strong>Majano</strong> si trovò orfano di avventure.<br />

Allora al cinema decise di puntare su una personale visione del<br />

(neo)realismo (La domenica della buona gente), cercando di riportare in<br />

auge il romanticismo perduto (<strong>Il</strong> padrone delle ferriere, La rivale),<br />

confrontandosi col noir (L’eterna catena). Non diresse mai film di nicchia.<br />

“Quando si concerta uno spettacolo per milioni di spettatori ci si deve<br />

adeguare alla mentalità media”, disse <strong>Majano</strong> in un’intervista. “In questo<br />

sta la differenza tra televisione e cinema. In questo ultimo caso può darsi<br />

ch’io trovi un produttore suicida il quale vuole da me un film per iniziati:<br />

roba da salette sperimentali e da cineclub. Per lo schermo televisivo, che<br />

si rivolge alle masse, è tutto un altro discorso”. 6<br />

Poi, dopo una dozzina di film, passò definitivamente alla televisione,<br />

dove trovò la propria dimensione, la propria soddisfazione, negli<br />

sceneggiati, un territorio vergine, ancora da colonizzare, che gli consentì<br />

in parte di dar vita al suo stile personale, forgiato sui modelli <strong>dei</strong> maestri.<br />

In tal modo, per <strong>Majano</strong> gli sceneggiati rappresentano una personale<br />

elaborazione del lutto dell’avventura esotica. <strong>Il</strong> suo esotismo non lo cercò<br />

più su latitudini lontane ma nell’etere, nel televisore, che negli anni<br />

Cinquanta e Sessanta era ancora un medium da esplorare. Iniziò così la<br />

sua seconda vita, la seconda parte della carriera di questo “<strong>regista</strong> <strong>dei</strong> <strong>due</strong><br />

<strong>mondi</strong>”, del mondo del cinema e di quello della televisione.<br />

Raccontando le imprese del dottor Manson e di Dick Shelton, <strong>Majano</strong><br />

placò la sua sete di avventura perduta. Naturalmente, poi, riversò in quelle<br />

18


storie le tensioni drammatiche e le soluzioni spettacolari che avrebbe<br />

adottato se avesse potuto realizzare <strong>dei</strong> kolossal. <strong>Majano</strong>, definito anche<br />

“il Cecil B. De Mille italiano”, pensava in grande, e i suoi lavori sono<br />

kolossal in potenza.<br />

<strong>Il</strong> richiamo dell’immaginario esotico non si manifesta in modo esplicito,<br />

come nello Squadrone bianco o in Abuna Messias. Negli sceneggiati di<br />

<strong>Majano</strong> l’esotismo si vede concretamente in pochi casi, per esempio nella<br />

Pietra di luna e, con vaghi accenni, nella Fiera della vanità, dove si parla<br />

di avventure coloniali in India. Ma, in senso lato, il fascino per ciò che è<br />

diverso e lontano <strong>Majano</strong> lo trasfonde anche nelle atmosfere incantate <strong>dei</strong><br />

salotti borghesi <strong>dei</strong> Barras o <strong>dei</strong> von Andergast. Sono <strong>mondi</strong> eccentrici e<br />

bizzarri quelli che racconta <strong>Majano</strong>, coadiuvato da grandi scenografi e<br />

costumisti, da Giancarlo Bartolini Salimbeni a Pier Luigi Pizzi, adattandoli<br />

al gusto italiano. L’esotismo si ricollega inevitabilmente anche all’epica<br />

militare, alle gesta <strong>dei</strong> soldati che combatterono in India o in Africa. E<br />

spesso c’è questo senso militaresco nella sua opera: il dottor Manson della<br />

Cittadella, molto invecchiato nelle sequenze iniziali e finali (un espediente<br />

per far sembrare più giovane Alberto Lupo, allora quarantenne, nelle scene<br />

del racconto principale), in cui racconta la sua storia al giovane dottor<br />

Grenfell, fa l’effetto di un ufficiale anziano, e sempre nella Cittadella, come<br />

in E le stelle stanno a guardare, nelle scene in miniera si ha la sensazione<br />

di assistere a un film di guerra, con i minatori che sembrano soldati che<br />

affrontano la vita con eroismo, resistendo stoicamente alle sofferenze (vedi<br />

Uomini sul fondo di De Robertis).<br />

L’esotismo di cui sopra ha una valenza aristocratica, è un’esperienza<br />

riservata a pochi. Ne rimane esclusa la povera gente, una componente<br />

fondamentale nei teleromanzi di <strong>Majano</strong>. Per le grandi masse sottoposte<br />

a sacrifici quotidiani l’ispirazione si sposta al Realismo poetico <strong>dei</strong> grandi<br />

registi francesi degli anni Trenta, a una personale interpretazione del<br />

Naturalismo e del Verismo.<br />

Ma non è solo storia, mistero e melodramma la formula dell’arte di<br />

<strong>Majano</strong>. C’è un altro versante importante, che è quello della<br />

comunicazione, del desiderio di esperire ogni possibile ramificazione <strong>dei</strong><br />

media, quelli tradizionali e quelli più all’avanguardia. Da giovane <strong>Majano</strong><br />

lavorò nei quotidiani e alla radio, e portò spesso un atteggiamento da<br />

cronista nei suoi lavori. Terrore sulla città è impostato come un diario<br />

19


giornalistico, Qui Squadra Mobile è pensato come una serie di “cronache<br />

di polizia giudiziaria”, Breve gloria di Mister Miffin racconta i dietro le<br />

quinte della televisione. L’aggancio all’attualità gli serviva per rendere<br />

più autentici i film e gli “sceneggiati contemporanei”, per la famosa<br />

legge della “sospensione del dubbio”, e non di rado si dilettò a mostrare<br />

gli strumenti tecnologici della comunicazione. Appena poteva,<br />

inquadrava un televisore, un registratore, una telecamera, un telefono,<br />

una radio, tutto ciò che fa parte dell’universo <strong>dei</strong> media.<br />

<strong>Il</strong> suo più grande atto mediatico riguarda I figli di Medea,<br />

un’operazione ardita, che andò ben oltre i confini dello spettacolo e creò<br />

un cortocircuito con i canali dell’informazione, facendo pensare a milioni<br />

di spettatori di essere testimoni, in diretta, in tempo reale, di un dramma<br />

vissuto dalla protagonista dello sceneggiato che stavano guardando. Un<br />

azzardo, che suscitò reazioni contrastanti e che ebbe un notevole strascico<br />

sui giornali. Naturalmente questa sua voglia di sapere, di immagazzinare<br />

nozioni, storie e riferimenti comprendeva anche il cinema.<br />

“Non sono di quei registi televisivi che dicono di non andare mai al<br />

cinema perché non hanno niente da impararvi. Io vado spesso al cinema<br />

e ho quattro titoli nella testa che per me sono le punte più alte alle quali<br />

può arrivare un uomo di spettacolo, Questo pazzo pazzo mondo (che ha<br />

permesso agli americani di frantumare al cinema l’ondata televisiva), e<br />

tre poemi cinematografici, <strong>Il</strong> posto delle fragole, L’arpa birmana e La<br />

ballata di un soldato. Delle cose mie alle quali tengo di più, <strong>Il</strong> caso<br />

Maurizius e Una tragedia americana”. 7<br />

Gli sceneggiati secondo <strong>Majano</strong>, che pur tradiscono una forte<br />

conoscenza del set cinematografico, sono come un teatro esteso e dilatato,<br />

un teatro televisivo, dove a volte la narrazione si snoda in modo<br />

estremamente sobrio, perché la storia si dipana lentamente, senza colpi<br />

di scena, al fine di creare un’atmosfera densa e immersiva, pastosa, una<br />

concatenazione di episodi senza soluzione di continuità, una maglia fatta<br />

di piccoli eventi che si sorreggono uno con l’altro in un’architettura<br />

complessa e ponderata. I lavori di <strong>Majano</strong> sono sempre molto meditati,<br />

diluiti in un tempo sospeso. D’altronde, il senso del tempo per lui era<br />

fondamentale, sia come elemento determinante nelle sue narrazioni, sia<br />

nella sua vita: dormiva tre o quattro ore a notte e lavorava moltissimo.<br />

Come spiegò in un’intervista del 1971 rilasciata a Maurizio Costanzo,<br />

20


“Ho circa <strong>due</strong>cento ore di spettacolo televisivo andato in onda...altro che<br />

brevetto di pilotaggio!”. 8<br />

Arrivò anche a definire esattamente anche il tempo degli sceneggiati,<br />

rapportandolo a quella misurazione gastronomica di cui si è parlato<br />

all’inizio. “La puntata di un romanzo sceneggiato- è una mia valutazione<br />

deve essere di un’ora e un quarto compresi i titoli. Perché un’ora e un<br />

quarto? Perché il romanzo sceneggiato è un appuntamento periodico<br />

imposto al pubblico, e se io impongo questo appuntamento, non debbo<br />

dare al pubblico la sensazione di un telefilm. Infatti il pubblico considera<br />

il telefilm, anche quando è un telefilm realizzato bene, come un<br />

appuntamento trascurabile. Lo spettatore può essere distratto, non gli<br />

importa niente anche se non è puntuale all’appuntamento, se cioè vede il<br />

telefilm numero uno di questa serie, poi vede il terzo, poi vede l’ottavo;<br />

non gli interessa. Io invece col romanzo sceneggiato gli impongo di<br />

rimanere a casa e di vedere le puntate. Quindi il pubblico che vede un<br />

telefilm della durata di 40-45-50 minuti al massimo si arrabbia -l’ho<br />

constatato personalmente- si arrabbia quando la puntata è troppo breve.<br />

<strong>Il</strong> pubblico con la puntata del romanzo sceneggiato deve avere la<br />

sensazione che si trova di fronte a un pranzo completo che comincia con<br />

gli antipasti e finisce con la torta Saint-Honoré e col cognac di marca”. 9<br />

La critica a volte fu dura con lui. Non tutti apprezzarono la sua abilità<br />

di divulgatore di lusso. “A parecchi, tra i critici, dà forse fastidio quella<br />

che loro chiamano la mia sagacia spettacolare, cioè mestiere. Per loro<br />

sono solo un buon mestierante. La cosa buffa è che io vengo dal<br />

giornalismo, sono un ex-scrittore. (…). C’è qualcuno, devo dire, che ha<br />

scritto altre cose. Per esempio: “Non riusciamo a capire come <strong>Majano</strong>,<br />

che ricordiamo come un letterato fine e preparato, si prenda il gusto<br />

macabro di fare il campione degli indici di gradimento”. Bene, se devo<br />

essere onesto con me stesso, questo gusto macabro, io me lo prendo con<br />

tanto, tanto piacere”. 10<br />

P.S. Nel 1964 <strong>Majano</strong> girò il suo unico Carosello, per la linea di abiti<br />

Cori. Protagonista è Eleonora Rossi Drago, che decanta a un gruppo di<br />

ragazze attente le meraviglie di grandi classici della letteratura, come<br />

Piccole donne.<br />

21


Note<br />

1<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, in: Donata Gianeri, <strong>Il</strong> pubblico ha sempre ragione,<br />

“Stampa Sera”, 8 febbraio 1978, p. 20.<br />

2<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, in: Gloria De <strong>Anton</strong>i, <strong>Majano</strong> amareggiato, “<strong>Il</strong> Corriere<br />

della Sera”, 28 aprile 1987, p. 36.<br />

3<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, Piccoli schermi, grandi opere. A puntate, “<strong>Il</strong> Corriere<br />

della Sera”, 23 settembre 1990, p. 10.<br />

4<br />

Maurizio Costanzo, L’Italia piange sotto le sue “stelle” in: “Tempo”, n. 43, 24<br />

ottobre 1971, p. 76.<br />

5<br />

Guido Gerosa, Da Giarabub a Salò. <strong>Il</strong> cinema italiano durante la guerra,<br />

Milano, Edizioni di Cinema Nuovo, 1959.<br />

6<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, in: R. Morbelli, <strong>Majano</strong> (finita La cittadella), parla <strong>dei</strong><br />

suoi 10 teleromanzi, “Stampa Sera”, 11 dicembre 1963, p. 9.<br />

7<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, in: <strong>Il</strong> padre del teleromanzo, intervista di Pietro Pintus,<br />

“Radiocorriere TV” n.3, 19/25 gennaio 1969, p. 17.<br />

8<br />

Maurizio Costanzo, L’Italia piange sotto le sue “stelle” in: “Tempo”, n. 43, 24<br />

ottobre 1971, p. 77.<br />

9<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, in: AA.VV., Atti del convegno su <strong>Il</strong> feuilleton in<br />

televisione, Torino, ERI/Edizioni Rai Radiotelevisione italiana, 1978, p. 138.<br />

10<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, in: Mila Murzi, Sofia l’ho fatta io e ora mi snobba,<br />

“Oggi”, 1 novembre 1971, p. 79.<br />

22


Biografia<br />

“Veniva dalla carriera militare, dall’arma della cavalleria: chissà<br />

quanto c’era di così condizionante in questa estrazione che lo influenzava<br />

un po’ nel comportamento concedendogli un alone romantico e<br />

demodé”. 11<br />

Aveva un temperamento burbero, scherzava poco, aveva un piglio<br />

autoritario da ufficiale, e poi adorava i ristoranti cinesi, fumava la pipa,<br />

aveva una biblioteca di più di diecimila libri, gli piacevano i romanzi di<br />

Patricia Highsmith e Stephen King, e dormiva pochissimo. Per molti era<br />

il papà o il re del teleromanzo, per altri il sovrano del feuilleton, e<br />

qualcuno lo definì “il Blasetti della televisione”.<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong> (all’anagrafe <strong>Anton</strong>io Luigi Nicola <strong>Majano</strong>)<br />

nacque a Chieti il 5 luglio 1909, sotto il segno del Cancro. Dopo aver<br />

frequentato l’Accademia militare di Modena, si laureò in scienze<br />

politiche a Roma.<br />

Appassionato di letteratura, partecipò a un concorso per una novella,<br />

venne scelto tra 1500 concorrenti e da allora pubblicò racconti su varie<br />

riviste, come La lettura, Excelsior, Le grandi firme, L’illustrazione<br />

italiana. Fu anche critico cinematografico per Mercurio 12 , la rivista di<br />

Alba De Céspedes, e collaborò con Cinema <strong>Il</strong>lustrazione e con Cinema,<br />

dove pubblicò gli articoli “Evoluzione dell’ingenua” 13 , dedicato a una<br />

tipologia che prende le mosse dai personaggi interpretati da Mary<br />

Pickford, e “I ruoli e gli attori” 14 . Nel 1946 fu tra i soci fondatori del<br />

Sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiani.<br />

Cominciò a frequentare i set nel 1936 (in quell’anno aveva fatto<br />

domanda di iscrizione al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma,<br />

dove fu ammesso al corso di regia), come assistente alla regia di Luis<br />

Trenker in Condottieri. “Ricordo con piacere quello che considero il mio<br />

autentico maestro, Luis Trenker. Un uomo prestigioso, allora, nel cinema<br />

<strong>mondi</strong>ale. Un uomo rude e a suo modo affascinante. Montanaro, autentico.<br />

Da lui appresi la tenacia, il dedicare completamente se stessi al lavoro”. 15<br />

Ufficiale di cavalleria (vinse vari concorsi ippici), durante la Seconda<br />

guerra <strong>mondi</strong>ale prestò servizio col grado di maggiore per <strong>due</strong> anni e<br />

mezzo in Africa settentrionale, a capo di un comando di Spahis, le truppe<br />

23


coloniali del Regno d’Italia di stanza in Libia. Come spiegò in<br />

un’intervista, in quel periodo fu anche decorato da Rommel con la croce<br />

di guerra. 16 A queste esperienze dedicò <strong>due</strong> novelle pubblicate su La<br />

lettura: Un burnus (n. 11, 1942) e Spahis (n.2, febbraio 1943). Nel 1941<br />

pubblicò il romanzo Verso il sole. Nel 1938, in collaborazione con Cesare<br />

Zavattini, scrisse il soggetto de L’ultimo eroe, che a un certo punto<br />

doveva diventare un film per la regia di René Clair. Poi, però, il progetto<br />

fu abbandonato 17 .<br />

Dopo l’8 settembre 1943 partecipò attivamente alla lotta partigiana,<br />

comandando una brigata in Abruzzo, e poi creò il programma radiofonico<br />

L’Italia combatte, con l’Inno di Mameli come sigla, trasmesso da Radio<br />

Bari. Dal 1943 fino al 1945 collaborò con La Gazzetta del Mezzogiorno<br />

e <strong>Il</strong> tempo e fu direttore del quotidiano La Patria. Quindi lavorò a Radio<br />

Italia Libera, a Napoli, e anche alla radio nazionale, dove firmò molti<br />

feuilletons e dove lavorò con Vittorio Gassman, Tino Buazzelli, Nino<br />

Manfredi. In radio diresse molti sceneggiati, tra cui Jane Eyre (replicato<br />

una decina di volte, poi cancellato dagli archivi e rifatto, sempre per la<br />

radio, a furor di pubblico), che portò poi anche in televisione, e Le<br />

inchieste del commissario Maigret. Per quattro volte vinse il Premio<br />

Nazionale radiodrammatico.<br />

Negli anni ’40 fu capo ufficio sceneggiature della Scalera Film. Nel<br />

1943 lavorò come assistente alla regia al fianco di Goffredo Alessandrini<br />

in Lettere al sottotenente. Firmò poi numerosi soggetti e sceneggiature.<br />

Tra i film cui ha collaborato, Noi vivi e Addio Kira! di Goffredo<br />

Alessandrini, Un giorno nella vita di Alessandro Blasetti, La primula<br />

bianca di Carlo Ludovico Bragaglia, La città dolente di Mario Bonnard.<br />

Sempre nel 1943 si apprestava ad esordire come <strong>regista</strong> di cinema,<br />

con La carica degli eroi, film che doveva dirigere con Oreste Biancoli.<br />

Ma il progetto rimase irrealizzato. In tutto diresse undici film, passando<br />

dalla commedia all’horror, poi, nel 1963, abbandonò definitivamente il<br />

cinema per dedicarsi solo alla televisione. <strong>Il</strong> suo ultimo film è I fratelli<br />

corsi. Nel corso della sua carriera come <strong>regista</strong> di cinema ha diretto<br />

grandi attori, da Marcello Mastroianni (L’eterna catena) a Virna Lisi (<strong>Il</strong><br />

padrone delle ferriere), da Sophia Loren (La domenica della buona<br />

gente) a Walter Chiari (Lui, lei e il nonno). “Ho avuto un torto verso me<br />

stesso”, disse. “Quello di accantonare un po’ il cinema. Dieci anni che<br />

24


non faccio un film”. 18<br />

Alla Rai entrò nel 1949, come <strong>regista</strong> unico del primo periodo<br />

sperimentale della televisione italiana, un incarico che svolse nella sede<br />

di Milano: realizzò regie di vari tipi di eventi, dalla boxe alla Serva<br />

padrona di Pergolesi. In quel periodo sposa l’attrice Franca Fratini da<br />

cui divorzia qualche anno dopo (per il suo nome d’arte, Franca Maj,<br />

l’attrice tenne la prima sillaba del cognome del <strong>regista</strong>). Nel 1954 andò<br />

in onda sul Programma Nazionale La signora Rosa, la prima delle tante<br />

commedie dirette da <strong>Majano</strong> per la televisione. Nel 1955 venne trasmesso<br />

Piccole donne, il suo primo sceneggiato (non il primo sceneggiato in<br />

assoluto della televisione italiana, che è <strong>Il</strong> Dottor <strong>Anton</strong>io, diretto da<br />

Alberto Casella). Nell’arco di trent’anni, dal 1955 al 1985 girerà una<br />

trentina di teleromanzi, oltre a moltissime commedie, pièces teatrali e<br />

miniserie tv. I suoi sceneggiati sono il trampolino di lancio per molti<br />

giovani attori, come Maresa Gallo (la seconda moglie di <strong>Majano</strong>, che già<br />

aveva recitato con Leonardo Cortese e Alberto Lattuada e che diventerà<br />

anche una famosa doppiatrice), Daniela e Loretta Goggi. “Adalberto<br />

Maria Merli, uno <strong>dei</strong> personaggi di ... E le stelle stanno a guardare,<br />

quando deve chiedere di me, al telefono, dice ‘C’è il responsabile del<br />

mio successo?’. Corrado Pani mi idolatra’”. 19<br />

Come affermò lui stesso, aveva una predilezione per gli autori inglesi<br />

e adattò per il piccolo schermo i romanzi di Wilkie Collins, Dickens,<br />

Stevenson, Cronin (che ebbe occasione di conoscere di persona a<br />

Rapallo) oltre a opere di grandi autori europei e americani.<br />

Alcuni di quei lavori sono andati persi o distrutti e sono entrati nella<br />

leggenda della storia della televisione, come <strong>Il</strong> caso Maurizius, la cui<br />

memoria si tramanda attraverso le sempre più rare testimonianze di chi<br />

l’ha visto e di qualche articolo di giornale. Gran parte di quei<br />

teleromanzi ebbero un enorme successo, anche in virtù di una<br />

narrazione curata e lineare.<br />

Nel 1959 realizzò I figli di Medea, un curioso esperimento mediatico,<br />

in cui uno sceneggiato è bruscamente interrotto dalla falsa cronaca del<br />

rapimento in diretta di un ragazzino. Un’idea sul genere della Guerra <strong>dei</strong><br />

<strong>mondi</strong> di Orson Welles. In quel lavoro riaffiora la vena giornalistica di<br />

<strong>Majano</strong>, che disse, a proposito della televisione: “L’ideale sarebbe se<br />

riuscisse a cogliere <strong>due</strong> cose in una: L’attualità viva, folgorante, in un<br />

25


omanzo in cui i problemi siano di una estrema contemporaneità. La<br />

fantascienza, ad esempio, oggi sarebbe una miniera per gli sceneggiati”. 20<br />

Tra uno sceneggiato e una commedia, trovò il tempo per altre<br />

esperienze: nel 1960 fu trasmesso Sentimentale, un varietà con Mina e<br />

Nicola Arigliano, nel 1961 diresse Va pensiero, uno spettacolo televisivo<br />

in cui venivano rievocati alcuni episodi salienti del Risorgimento italiano,<br />

nel 1967 diresse Raffaella Carrà in Tutto per bene di Pirandello,<br />

trasmesso dalla Rai sul Programma Nazionale. Firmò anche varie regie<br />

teatrali: per esempio, nel 1969 mise in scena I parenti terribili di Cocteau,<br />

con Lida Ferro, Roldano Lupi, Gabriella Poliziano, Aldo Reggiani e Alida<br />

Valli. Di tanto in tanto ritornò a dirigere qualche radiodramma, come Ben<br />

Hur (1973), con Warner Bentivegna; nel 1973 firmò la diretta televisiva<br />

della finale del Cantagiro Show, a Jesolo, con Tony Renis e Lola Falana.<br />

Molto popolare e molto amato dal pubblico, fu uno degli ospiti della<br />

prima puntata di Bontà loro (18 ottobre 1976), il talk show di Maurizio<br />

Costanzo.<br />

Nel 1980 tornò per un momento al cinema, quando curò i dialoghi<br />

italiani del film Lulu di Walerian Borowczyck e nel 1985 fu lì lì per<br />

coronare un suo vecchio sogno, girare il remake del Caso Maurizius, ma<br />

alla fine non se ne fece nulla. Rimpiangeva anche di non aver mai potuto<br />

realizzare un altro progetto cui teneva molto, una trasposizione della<br />

Montagna incantata di Thomas Mann, con Alida Valli tra i protagonisti.<br />

In un’intervista, nel 1981, disse che gli sarebbe anche piaciuto dirigere un<br />

teleromanzo tratto da L’albero di Giuda di Cronin. 21 Era ormai archiviata<br />

da tempo tra i rimpianti del passato l’idea per uno sceneggiato tratto dai<br />

Promessi sposi di Alessandro Manzoni. “Ci penso da cinque o sei anni ma<br />

alla Rai non hanno ancora voluto capire che c’è un solo, grande,<br />

magnifico romanzo sceneggiato da fare: I promessi sposi”, aveva detto<br />

<strong>Majano</strong> nel 1963, in un’intervista pubblicata sul “Corriere<br />

d'informazione”, quattro anni prima che venisse trasmessa la versione di<br />

Sandro Bolchi.<br />

“I personaggi: Renzo dovrebbe essere Marcello Mastroianni. O ci<br />

mettiamo su questo piano o è meglio non farne nulla. Per Lucia vedo<br />

Lucilla Morlacchi: un volto espressivo che con <strong>Il</strong> Gattopardo di Visconti<br />

avrà sicuramente un rilancio notevole. L’Innominato dovrebbe essere<br />

Vittorio Gassman, Fra Cristoforo Salvo Randone, Don Rodrigo Renzo<br />

26


27


Ricci, Don Abbondio Gino Cervi, la perpetua Ave Ninchi, il conte<br />

Attilio... pensateci bene, il conte Attilio? non c’è che Alberto Sordi che<br />

potrebbe farlo. E per il Griso vedrei Arnoldo Foà”. (U.N., Promessi sposi<br />

secondo <strong>Majano</strong>: telefilm con grossi calibri, “Corriere d'informazione”,<br />

15-16 marzo 1963, p.11). Inoltre avrebbe voluto Sophia Loren per la<br />

monaca di Monza e Paola Borboni per Agnese, la madre di Lucia.<br />

L’ultimo suo sceneggiato, Strada senza uscita, lo girò nel 1986, a 77<br />

anni. “Inattivo alla regia dagli anni Ottanta, gli sceneggiati, diceva, se li<br />

faceva di notte, immaginandosi le carrellate, le inquadrature, perché di<br />

giorno non glieli facevano fare”. 22<br />

“In questi ultimi anni di telenovelas si sentì emarginato e frainteso: gli<br />

apparentamenti con la volgarità <strong>dei</strong> seriali di recente successo lo<br />

offendevano, i casi sudaticci e precari <strong>dei</strong> polpettoni delle reti meno<br />

scrupolose lo facevano inorridire, lui che aveva sempre pescato i suoi<br />

attori dal miglior teatro, come faceva la televisione <strong>dei</strong> primordi”. 23<br />

Nel 1989 ricevette una segnalazione al Premio di Narrativa della<br />

rivista Millelibri con il racconto La paranza. Nel 1990 pubblicò Tre addii,<br />

il suo secondo romanzo, un giallo ambientato nel mondo della<br />

televisione. Da anni pensava a un libro in cui ripercorrere la sua carriera<br />

e le sue esperienze televisive, ma non lo scrisse mai. “Troppi ricordi si<br />

affollano nella mia mente. Forse dovrei decidermi a scrivere quel mio Tv<br />

Zoo autobiografico a cui penso da parecchio”. 24<br />

Morì a Marino il 12 agosto 1994, colpito da un ictus.<br />

Note<br />

11<br />

Enrico Vaime, È morto <strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, “L’Unità”, 13 agosto 1994.<br />

12<br />

Nel primo numero fu pubblicato il suo articolo Primo incontro con Greer<br />

Garson. Vedi “Mercurio” n.1, 1 settembre 1944, p. 142.<br />

13<br />

“Cinema”, n. 56, 25 ottobre 1938, p. 249.<br />

14<br />

“Cinema”, n. 65, 10 marzo 1939, p. 156.<br />

28


15<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, in: Mila Murzi, Sofia l’ho fatta io e ora mi snobba,<br />

“Oggi”, 1 novembre 1971, p. 77.<br />

16<br />

Intervista al TG1, 9 gennaio 1981.<br />

17<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, La storia dell’Ultimo eroe, “Millelibri”, n. 26, gennaio<br />

1990, p. 48.<br />

18<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, in: Mila Murzi, Sofia l’ho fatta io e ora mi snobba,<br />

“Oggi”, 1 novembre 1971, p. 76.<br />

19<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, in: Mila Murzi, Sofia l’ho fatta io e ora mi snobba,<br />

“Oggi”, 1 novembre 1971, p. 79.<br />

20<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, in: <strong>Il</strong> padre del teleromanzo, intervista di Pietro Pintus,<br />

“Radiocorriere TV” n. 3, 19-25 gennaio 1969, p. 16.<br />

21<br />

Intervista al TG1, 9 gennaio 1981.<br />

22<br />

Stefania Scateni, E le stelle piangono A. G. <strong>Majano</strong>, “L’Unità”, 13 agosto 1994.<br />

23<br />

Enrico Vaime, È morto <strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, “L’Unità”, 13 agosto 1994.<br />

24<br />

<strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong>, Piccoli schermi, grandi opere. A puntate, “Corriere della<br />

Sera”, 23 settembre 1990.<br />

29


<strong>Il</strong> cINema<br />

Vento d’Africa (Kamsin) (1949)<br />

La prima parte della vita di <strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong> comprende lunghi<br />

periodi in Africa, come comandante delle truppe scelte degli Spahis<br />

durante la Seconda guerra <strong>mondi</strong>ale. Fu un periodo avventuroso, che<br />

confina con la leggenda, che il <strong>regista</strong> raccontò anche in alcune sue<br />

novelle, dove infuse le atmosfere, i profumi e i caratteri di quelle terre e<br />

di quelle genti. Anni di guerra ma anche anni di ricordi, confluiti nel senso<br />

di malinconia che avvolge Vento d’Africa, la storia del maresciallo Grandi<br />

(Giovanni Grasso), sottufficiale delle truppe coloniali italiane, che non<br />

riesce a liberarsi dalla morsa della memoria che lo attanaglia. Non riesce,<br />

soprattutto, ad allontanare da sé l’immagine della figlia, uccisa con il<br />

marito l’11 gennaio del 1948, nel corso della terribile domenica<br />

dell’eccidio di Mogadiscio, durante la quale gruppi di somali attaccarono<br />

i residenti italiani. I coniugi avevano un figlio, Salvatore (Gino Leurini),<br />

rimasto profondamente scosso dagli eventi che colpirono la sua famiglia.<br />

Dodicenne, ora è affidato al nonno, che si adopera per farlo entrare in un<br />

prestigioso collegio. Qui però il ragazzo non riesce ad ambientarsi, non<br />

fraternizza con i compagni e anzi viene estromesso. Così, disperato, cerca<br />

di imbarcarsi per Mogadiscio, spinto anche dai funesti ricordi. Però non<br />

riesce nel suo intento e, fortemente provato e preso dallo sconforto, si<br />

ammala gravemente. Durante il periodo della malattia gli sarà vicino il<br />

nonno, l’unico in grado di instaurare un dialogo con il ragazzo, che infine<br />

riuscirà ad entrare in armonia con i compagni del collegio.<br />

Contribuisce notevolmente alla riuscita di quest’opera, un film amaro<br />

e lacrimoso, la presenza del giovane Gino Leurini, che l’anno prima era<br />

stato Garrone nel Cuore di Coletti e De Sica. Nel film sono state inserite<br />

anche alcune sequenze da Sentinelle di bronzo di Romolo Marcellini, con<br />

un monumentale Fosco Giachetti dai toni epici, mentre Giovanni Grasso<br />

nel ruolo del maresciallo addossa su di sé tutto il peso della memoria<br />

storica. Sul film ci furono pareri contrastanti: su Intermezzo 25 si parlò di<br />

“trita retorica”, mentre su Anteprima il giudizio fu entusiastico: ”Vento<br />

d’Africa, così fresco nella sua palpitante vicenda, così maestoso nella<br />

30

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!