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Anton Giulio Majano. Il regista dei due mondi

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spettacolo, fa venire in mente Alexandre Dumas, che oltre ai Tre<br />

moschettieri e al Conte di Montecristo, scrisse un Grand Dictionnaire de<br />

cuisine. Erano personaggi fuor del comune, abituati a pensare in grande,<br />

incapaci di concepire una vita vissuta in una sola puntata.<br />

Gli sceneggiati di <strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong> <strong>Majano</strong> sono abbondanti, ricchi,<br />

sostanziosi, non lasciano insoddisfatti. Li si può criticare, dire che sono<br />

eccessivamente lunghi, magari ampollosi, forse un po’ retorici, ma sarebbe<br />

profondamente ingiusto dire che non appagano. A suo modo <strong>Anton</strong> <strong>Giulio</strong><br />

<strong>Majano</strong>, il cui nome stesso è magnificamente massimalista, rientra nel<br />

novero <strong>dei</strong> grandi narratori ottocenteschi, come appunto Dumas, Balzac,<br />

Hugo, Dickens, Thackeray. Aveva la capacità di orchestrare enormi<br />

narrazioni, di concertare decine di personaggi, centinaia di comparse,<br />

padroneggiando set complicati che comprendevano decine di ambienti,<br />

migliaia di metri quadrati. Le sue ricostruzioni erano accurate, rese<br />

amorevolmente, con perizia e meticolosità d’altri tempi. <strong>Il</strong> pubblico<br />

adorava queste grandi opere che mobilitavano poderose maestranze oltre<br />

a cast stellari con i più bei nomi del teatro e del cinema di allora. E lo<br />

apprezzavano anche alcuni maestri, primo fra tutti Luchino Visconti, che<br />

non si perdeva uno degli sceneggiati firmati da <strong>Majano</strong>.<br />

Entrambi, <strong>Majano</strong> e Visconti, erano legati al Neorealismo e avevano<br />

una comune passione per il cinema francese: Visconti aveva fatto il suo<br />

apprendistato con Jean Renoir, mentre <strong>Majano</strong> era più sensibile al<br />

Realismo poetico di René Clair e di Marcel Carné, a un immaginario<br />

onirico e evanescente governato dai sentimenti e dal sentimentalismo.<br />

Entrambi, poi, avevano una certa affinità con il mondo di Marcel Proust:<br />

Visconti tentò di portare a compimento il suo grandioso progetto di<br />

trasposizione cinematografica della Recherche, e <strong>Majano</strong> a sua volta<br />

cercò di infondere ai suoi sceneggiati un tempo proustiano, quello della<br />

memoria, <strong>dei</strong> lunghi flashback, delle folgoranti intuizioni rappresentate<br />

visivamente dagli zoom (l’equivalente delle fulminee intuizioni<br />

mnemoniche del Narratore della Recherche), che fanno l’effetto di punti<br />

esclamativi e di repentine incursioni nei pensieri <strong>dei</strong> personaggi. C’era<br />

però una differenza. Quando Visconti creava le proprie ibridazioni<br />

culturali, le dichiarava immediatamente. In Ossessione italianizzò il<br />

dramma americano di James. M. Cain, ambientandolo nella Bassa<br />

Padana, e allo stesso modo, trasportò le Notti bianche di Dostoevskij a<br />

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