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Anton Giulio Majano. Il regista dei due mondi

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Steno e Longanesi, in un clima di entusiasmo e precarietà (Mario Soldati<br />

che strillava: «Mi hanno rubato i fagioli!») e poi naturalmente in via<br />

Teulada, a dirigere con piglio militaresco la complessa macchina produttiva<br />

dello sceneggiato da studio, sfidando la rigidità di qualche burocrate<br />

(durò fatica a convincerli che l’ampex si poteva tagliare), o<br />

scontrandosi con un attore troppo lontano dai suoi canoni, come Gian<br />

Maria Volonté, che lasciò il set di Delitto e castigo e fu sostituito da Luigi<br />

Vannucchi. Non sapremo mai come sarebbe stato il Raskolnikov di Volonté,<br />

ma nemmeno sapremo come era il Raskolnikov di Vannucchi, perché<br />

un dirigente ha distrutto le bobine, forse per fare spazio negli armadi<br />

o per recuperare il nastro. Non c’è da stupirsi. A quei tempi ben pochi<br />

immaginavano che i teleromanzi fossero destinati a finire nelle cineteche<br />

o sulle storie del cinema. Anche per questo ci sono voluti tanti anni perché<br />

qualcuno si accorgesse che <strong>Majano</strong> è stato un grande e scrivesse un<br />

libro su di lui.<br />

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