Making Life numero 1
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MAKING LIFE | Gennaio 2021 | Numero Uno
PHARMA REPUTATION
PharmaFuture & Health
MAKING LIFE | Gennaio 2021
MAKING LIFE | Gennaio 2021 | Numero Uno
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e ne governa il cambiamento
Comunicare la scienza,
cosa NON
fare per
migliorare
MAKING LIFE | Gennaio 2021
la Reputation
INDICE
Pharma Novel
Commenti
CSR
Focus
Caterina Lucchini
Marketing Youngers’ e comunicazione
feedback
Produzione
Pharmatelling
Riflessioni di un
manager del pharma
8
Covid-19 e industria
farmaceutica,
opportunità e sfide
Reputation, una
questione di fiducia
12
14
Potere e responsabilità
Ridefinire il contenuto
La CSR nell’industria
farmaceutica
Certificare l’impatto
sociale
16
18
22
28
Oltre la qualità
Covid & Pharma
reputation
Pharma in Italia,
fiducia con riserva
Youngers’ feedback
32
36
38
40
01 02 03 04 05 07
Corporate reputation
e imprese
Paradigmi della
divulgazione scientifica
Scienza e reputation
Il fattore biotech
DM e Trasparenza
42
46
48
50
52
06
Relazioni pericolose
GMP qualità e valore
aggiunto
Etica dei trial clinici
Integratori sostenibili
e competitivi
56
60
62
66
Il“sense of purpose”
del mondo pharma
Lockdown e reputation
Un percorso di
responsabilità
Health&biotech
accelerator
Test rapido Covid-19
72
74
76
78
80
MAKING LIFE | Gennaio 2021
L’inizio
di una
nuova era
All’alba del 2021 è terribilmente affascinante dar vita a un’iniziativa
editoriale importante come la nascita di una nuova rivista
– che esplode poi nel suo universo di comunicazione digitale
– in un mondo che in qualche modo è costretto a fare i conti con
se stesso e a ripartire da zero. Perché il presente è molto veloce
e il futuro è accelerato da una pandemia non ancora sconfitta.
Un essere biologicamente microscopico e invisibile all’occhio
umano ha prodotto nel chiasso dell’emergenza sanitaria un riassetto
dell’ordine mondiale, e ancora non è finita. Il coronavirus
ci consegna un mondo al tempo stesso più largo e più stretto, un
pianeta contemporaneamente più piccolo e più grande. E il virus
non è stato che la miccia per dar fuoco alle polveri di una crisi
che salutiamo come l’inizio di una nuova era, che ci piaccia o no.
Eccolo qua, il cambiamento: si impone con forza, non si fa scegliere
ma ci sceglie e ci forza a modificare la nostra rotta di abitudini
inveterate e sonnolenti pigrizie. Basta, occorre cambiare:
pensare in un modo nuovo la realtà, metterla finalmente in sintonia
con le aspettative e le esigenze della persona.
Occorre pensare un nuovo futuro.
Per la verità, i mesi dell’emergenza sanitaria hanno prodotto
una grande quantità di futuro, almeno a livello di previsioni e
analisi. Ora tocca trasformare le lezioni apprese in progetti. Ma
la creatività richiesta per pensare e gestire nuovi modelli nasce
dall’incontro di competenze, culture e profili diversi, e il gruppo
di lavoro che ha dato vita a questo progetto editoriale – un gruppo
composto da ricercatori e giornalisti, donne e uomini di marketing
e di scienza, capitani coraggiosi di aziende che navigano
per acque sconosciute e profonde - ha chiesto fin da subito ai più
giovani di salire a bordo: perché sono i millenials a possedere
il nocciolo duro e il vero segreto del nuovo modo di pensare la
realtà, che è la condivisione. I giovani più talentuosi condividono
volentieri conoscenze e competenze, cercano sempre feedback,
non amano organigrammi e gerarchie: sono loro i padroni del
nuovo linguaggio digitale, spetta a loro comprendere che cosa
manca, individuarlo e mettersi in cammino. E spetta a noi, meno
giovani, accompagnare la crescita di persone nuove, dotate di
visione creativa e di strumenti manageriali adatti a superare le
zavorre del passato. Perché nessuno ce la fa da solo.
Le aziende destinate a vivere e a crescere hanno a loro volta
preso coscienza delle ricadute nel sociale della propria attività,
del proprio essere sempre componenti – preziose e fondamentali
– di un sistema più complesso, parti di una collettività unita
dalle medesime esigenze di sviluppo e di sostenibilità. Per le
imprese ovviamente questo non significa venire meno alla propria
ontologica mission di creare ricchezza, ma semplicemente
farlo in modo più moderno, nella consapevolezza del rapporto di
osmosi tra i risultati aziendali e il bene pubblico. Tutto questo in
un quadro di crescente e doverosa sensibilità verso i temi della
sostenibilità ambientale, economica e sociale, nonché di attenzione
ai paradigmi dell’economia circolare.
Su questo si costruisce la reputazione aziendale, che è oggi una
risorsa di valore inestimabile con un impatto rilevante sul business
aziendale. Making Life -Pharmafuture & Health avrà per
ogni uscita un fil rouge, che condurrà il lettore attraverso un
percorso di crescita: e questo primo numero è dedicato proprio
alla Corporate Reputation. I criteri di valutazione più utilizzati
per determinarne peso e qualità sono l’innovazione, la responsabilità
sociale, la gestione del personale e della clientela, la
trasparenza della gestione economica, l’impatto sull’ambiente,
l’eticità della mission, la sicurezza generale dell’azienda.
Anche per le imprese del settore farmaceutico, che stanno vivendo
un trend evolutivo tumultuoso e rapido, la Corporate Reputation
costituisce un asset in grado di creare e mantenere
posizioni di vantaggio competitivo. In quest’area si evidenziano
in modo particolare gli investimenti in ricerca e innovazione, la
riduzione degli inquinanti, l’utilizzo di energie rinnovabili.
Fondamentale l’attenzione alla compliance del paziente come
aderenza alla terapia fuori dal contesto ospedaliero: oggi è chiaro
il ruolo chiave dei pazienti per la diffusione di informazioni di
qualità sulle terapie innovative e l’accesso alla cura; per questo,
le aziende devono far proprio il concetto che per la costruzione
della propria reputazione è indispensabile la capacità di saper
sfruttare efficacemente le enormi potenzialità di social e digital
media e tutte le opportunità offerte dal web.
Vale per le imprese come per tutti noi l’impegno a ripensare le
catene globali del valore, in ottica di accorciamento e di circolarità,
per non rischiare che la solidarietà invocata oggi in risposta
alla crisi si esaurisca con la fine dell’emergenza; e il nostro
modesto ma tenace contributo sarà quello di ricordare sempre
la vitalità del nesso fra tutela dei diritti individuali e sostenibilità
economica.
6 7
MAKING LIFE | Gennaio 2021
PHARMA
NOVEL
Mario Addis
8 9
MAKING LIFE | Gennaio 2021
10 11
MAKING LIFE | Gennaio 2021
COVID-19 E INDUSTRIA
FARMACEUTICA,
OPPORTUNITÀ E SFIDE
Gabriele Costantino
È docente ordinario di Chimica farmaceutica e tossicologica,
e direttore del Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del
Farmaco dell’Università di Parma.
Gabriele.costantino@unipr.it
L’emersione del betacoronavirus denominato
SARS-CoV2 e l’emergenza indotta dalla diffusione
dell’infezione e della malattia sistemica a essa
associata hanno, in tempi rapidissimi, modificato le
priorità e le riflessioni di larghi strati della società.
Per diverse generazioni, soprattutto le più giovani,
l’idea di una malattia trasmissibile da uomo a uomo,
per via respiratoria, è stato qualcosa di assolutamente
inatteso. E forse ancora più inatteso, soprattutto
per le generazioni cui appartiene chi scrive, il fatto
che improvvisamente ci siamo trovati di fronte alla
constatazione che non esistono farmaci per trattare
una condizione estremamente diffusa e diffondibile!
Queste riflessioni portano a una serie di
questioni che sono molto dibattute in questi
giorni e che riguardano non solo i rapporti
tra individui ma anche i rapporti che a
livello di società abbiamo con i farmaci.
L’industria farmaceutica rappresenta
una componente importante - e sovente
anticiclica - per le economie dei Paesi
sviluppati, ma anche un driver insostituibile
di progresso e di innovazione. Da
questo punto di vista, è indispensabile
un’operazione culturale che faccia
sedimentare il più possibile nell’opinione
pubblica l’idea che il farmaco (e chi, dalle
università all’industria, mette energia e
rischio di impresa nella sua ideazione
e sviluppo) non è un bene di largo
consumo ma una vera e propria opera di
ingegno e di inventività. Detto questo, le
vicissitudini (iniziali?) di questa pandemia
hanno fatto emergere anche dinamiche
che dovrebbero esser attentamente
considerate nell’ottica di un aumento della
reputazione, sociale ed economica, della
filiera del farmaceutico.
Due aspetti sono particolarmente
significativi, da questo punto di vista.
Il primo riguarda il fatto – ovvio per gli
addetti ai lavori ma forse meno per
l’opinione pubblica – che i nuovi farmaci
di oggi derivano da ricerche e, soprattutto,
investimenti di 10-15 anni fa. La capacità
di prevedere scenari (e mercati, e bisogni)
a tale distanza è indice di enorme
lungimiranza, e non è possibile quindi
biasimare nessuno se ci troviamo oggi
in una grave carenza di farmaci contro
malattie infettive e trasmissibili. Questo
vale per le infezioni virali, ma lo stesso
discorso può esser fatto per le resistenze
batteriche, le infezioni fungine sistemiche,
le malattie parassitarie. Oggi sappiamo
che la crescita demografica, le migrazioni,
la sempre maggiore contiguità tra uomo
e animali da allevamento renderanno
sempre più probabile l’emersione di
nuove malattie zoonotiche, trasmissibili
e favoriranno sempre più la selezione di
geni di resistenza a farmaci. L’industria
farmaceutica ha iniziato oggi un percorso
di ricerca e di sviluppo (basato su approcci
di systems biology, knowledge-based,
riposizionamento, screening) che forse
non servirà ad avere un nuovo farmaco
per il Covid-19 prima del vaccino o di
altri interventi non farmacologici, ma che
sicuramente fornirà la base di conoscenza
e di materiale con cui affrontare le
inevitabili crisi dei prossimi decenni,
esattamente come l’industria e il mondo
della ricerca si sono trovati pronti negli
scorsi anni ad affrontare le malattie
oncologiche e non trasmissibili.
Il public engagement è fondamentale nello
stabilire se questa sfida sarà coronata o
meno dal successo, ma non v’è dubbio
che ci dovrà esser supporto a livello
governativo – nazionale e sovranazionale
– nel finanziare e nel dirigere anche
con interventi top-down la ricerca e lo
sviluppo in aree terapeutiche sinora
trascurate. Ma allo stesso modo l’industria
farmaceutica dovrà mettere in gioco la
sua reputazione come attività a forte
ruolo sociale e di progresso, non avendo
timore di investire in aree e progetti a forte
rischio e, apparentemente, a minor ritorno
economico.
La saldatura tra mondo farmaceutico
(industria, università, enti di ricerca) e
società civile dovrà avvenire su questi temi
e dovrà accadere alla svelta per riuscire ad
aver impatto per i prossimi decenni.
L’epidemia da SARS-Cov2 ha però messo
in luce anche un altro aspetto su cui
vale la pena riflettere, di ordine diverso
(e apparentemente meno significativo)
rispetto a quello precedente, ma
probabilmente di analoga se non peggiore
conseguenza. Sin dall’inizio della pandemia
- che evidentemente è stata ed è fenomeno
globale - si è osservato il fenomeno dello
shortage di farmaci, neppure direttamente
coinvolti nella gestione della pandemia
stessa. Questa è una dinamica oramai ben
conosciuta in economia, relativamente
all’impatto di crisi sistemiche (come
possiamo a ben diritto definire Covid-19)
sulle filiere di produzione e distribuzione di
prodotti sia di largo consumo che a elevato
valore aggiunto. Nel caso dei farmaci e
delle materie prime per la loro produzione,
le dinamiche produttive e di distribuzione
sono fortemente globalizzate (o, per dirla
dalla nostra prospettiva, delocalizzate) e i
volumi vengono stimati con largo anticipo.
Qualora venga richiesta, improvvisamente
e su larga scala, una riconversione della
produzione verso determinati principi
attivi o formulazioni, si possono generare
interruzioni sulla catena, con ripercussioni
importanti sulla disponibilità al banco.
Un esempio di ciò è facilmente desumibile
osservando i report di AIFA che, nel
primo semestre 2020, ha evidenziato
la carenza di numerosi principi attivi,
sia per blocco di approvvigionamento o
fabbricazione, sia per eccessiva domanda
(il lettore potrà trovare informazioni su
come l’Agenzia italiana ha affrontato la
crisi all’indirizzo: https://www.aifa.gov.
it/web/guest/-/carenze-di-farmacied-emergenza-covid-19).
L’esperienza
accumulata in questi mesi suggerisce
quindi la necessità che gli Stati sovrani,
attraverso le proprie agenzie di regolazione
e di controllo, esercitino non solo azione
di vigilanza e allerta, ma anche di
programmazione a lungo termine delle
disponibilità. A tale riguardo potrebbe
essere utile osservare che per gran
parte delle malattie non trasmissibili (ad
esempio malattie del metabolismo, tumori,
malattie cardiovascolari) è estremamente
improbabile assistere a una improvvisa
e massiva richiesta di una particolare
classe di farmaci, in quanto le dinamiche
di cambio di prevalenza su scala geotemporale
medio-alta richiedono tempi
molto lunghi. Viceversa, e l’esperienza
Covid19 è qui a insegnarcelo, le malattie
trasmissibili possono causare impennate
improvvise nella richiesta di particolari
farmaci, che dovrebbero sempre esser
disponibili. Ad esempio, il fatto che un
certo antibiotico abbia una domanda
costantemente bassa, non vuol dire che
non ce ne possa essere improvvisamente
un bisogno insostenibile su scala mondiale.
Il lettore potrà ricordare ad esempio il caso
dell’uso terroristico dell’antrace, che ha
causato uno shortage improvviso di un
normale antibatterico, appartenente alla
classe dei fluorochinoloni.
È necessario quindi che le aziende
produttrici, ma anche le agenzie nazionali,
riprendano un ruolo non solo burocratico
ma di analisi e previsione scientifica,
identificando con anticipo possibili
evoluzioni pandemiche che, soprattutto
di origine zoonotica, saranno sempre più
frequenti.
12 13
MAKING LIFE | Gennaio 2021
Reputation, una questione di fiducia
LA FIDUCIA NELLE
PERSONE, O NELLE
AZIENDE, HA
UNA FUNZIONE
FONDAMENTALE
PERCHÉ CI PERMETTE
DI RIDURRE LA
COMPLESSITÀ.
GUADAGNARLA, PERÒ,
NON È FACILE MENTRE È
FACILISSIMO PERDERLA
Nel funzionamento dei sistemi
sociali – spiegano i sociologi
– un fattore fondamentale è
rappresentato dalla fiducia dei
cittadini nella capacità di un
sistema o di una istituzione
di agire coerentemente
con quanto ci si aspetta da
loro. La reputazione delle
organizzazioni dipende
proprio dal livello di fiducia
che sono riuscite a creare
con le loro azioni. Da questo
punto di vista, l’emergenza
sanitaria legata a Covid-19
ha seriamente messo alla
prova questa capacità, come
ci spiega Antonio Maturo,
docente di Sociologia della
salute presso l’Università di
Bologna.
COSA C’ENTRA
LA SOCIOLOGIA
CON LA
CORPORATE
REPUTATION?
La sociologia si occupa, tra le
varie cose, di come vengono
costruite le rappresentazioni
sociali, le convinzioni collettive
e le credenze. Dunque,
essendo la reputazione
un insieme di credenze e
valutazioni che gli individui
formulano su altri individui
o su organizzazioni, ecco
che c’entra la sociologia. La
reputazione è una costruzione
sociale che rende possibile
la fiducia. E la fiducia svolge
una funzione importantissima
nella nostra vita: ci permette
di ridurre la complessità.
Noi risparmiamo un sacco
di tempo perché abbiamo
fiducia. Abbiamo fiducia che il
barista ci serva il cappuccino
quando lo chiediamo, che i
professori insegnino bene, che
il tramviere non sia ubriaco.
Se noi sospettassimo di tutto
e tutti saremmo paralizzati.
Uno potrebbe dire: ma come
possiamo avere fiducia di
gente che non conosciamo?
Dalle credenziali e dalla
reputazione. Se un professore
ha preso un dottorato a
Harvard abbiamo maggiore
fiducia nelle sue competenze
rispetto a uno che lo ha
preso in una università
sconosciuta. Non andiamo a
controllare il suo curriculum
o a intervistare i suoi colleghi
per verificare che sia bravo: il
fatto che abbia un dottorato a
Harvard riduce la complessità.
Dunque, la reputazione di
un’organizzazione – sia essa
università o azienda – fa sì
che noi, come consumatori,
abbiamo fiducia nei suoi
“prodotti”. Attenzione però:
la fiducia è difficile da
guadagnare ed è facilissima
da perdere. Si costruisce
con la perseveranza e nel
tempo, ma la si può perdere
per un episodio o per una
mela marcia. E il sistema
dei media amplifica le brutte
notizie. Non ha senso che un
giornale scriva che anche
oggi l’azienda ha pagato i suoi
dipendenti (che talvolta non è
semplice) ma sono guai seri
se l’azienda scivola su una
buccia di banana come una
pubblicità troppo irriverente
verso un particolare gruppo
sociale o un suo manager
che in un’intervista parla a
sproposito. Errori deplorevoli
che però non hanno nulla a
che fare col prodotto.
CHI HA
PERSO LA
REPUTAZIONE
OGGI E CHI L’HA
GUADAGNATA?
La sanità lombarda
certamente non ha dato
grande prova, per motivi
organizzativi e non
professionali. Ma in generale
quasi tutta la sanità italiana
– e non solo – ha traballato.
Fa eccezione il Veneto che,
sempre per motivi storici
e organizzativi, durante
il Covid ha retto. Di qui il
consenso stellare di cui
gode Zaia. Un discorso a
parte meritano i virologi che
in molti casi sono divenute
quello che i massmediologi
chiamano “celebrity”. Virologi
e altri specialisti sono
stati interpellati in modo
parossistico dalle televisioni
e dai canali digitali. In tal
senso, si è concessa loro
enorme fiducia. Il problema
è che interpellati sugli stessi
argomenti dicono cose
diversissime. E da fuori uno
pensa: ma come è possibile
che gli scienziati non abbiano
una visione oggettiva? Ma il
problema è che la scienza non
è oggettiva: è fatta di ipotesi,
teorie e approcci differenti.
È assolutamente normale
che gli scienziati facciano
ragionamenti differenti e
conflittuali. La scienza evolve
proprio così. Tuttavia, a livello
mediatico, questa eterogeneità
non paga. I media vogliono
semplificare.
E IL SETTORE
PHARMA IN
CHE POSIZIONE
SI TROVA
RISPETTO A
FIDUCIA E
REPUTAZIONE?
In una posizione eccellente.
La politica ha lasciato a
desiderare rispetto alla
gestione del Covid-19,
sebbene, a mio avviso, sia una
fatica abnorme gestire una
pandemia! Comunque, tutti
hanno qualche motivo per
essere scontenti.
Chi per motivi sanitari, chi
per motivi economici, chi per
motivi organizzativi in senso
stretto (pensiamo ai genitori di
studenti e scolari). La Politica
ha delegato alla Scienza.
Ma come abbiamo visto, in
termini di opinione pubblica,
gli scienziati non sono stati
capiti. Il loro pensiero è troppo
complesso per i media, è
notiziabile solo a prezzo di
radicali semplificazioni.
In questo contesto, il Pharma
sta emergendo come big
player perché il vaccino
salverà milioni di vite. Le
aziende farmaceutiche stanno
lavorando a ritmi infernali,
in alleanza con prestigiose
università. Ci sono aspettative
altissime e finora la
comunicazione è stata molto
efficace. è stata enfatizzata,
giustamente, la dimensione
della ricerca, a discapito di
quella commerciale. Su un
piano diverso, più locale,
andrebbe dato un credito alle
farmacie, che in molti casi si
sono poste su una dimensione
molto simpatetica con i
cittadini. Le farmacie sono
state boe in un mare agitato
per molte persone.
Per tornare alla corporate
reputation, mi sembra che il
Pharma potrà tra poco vantare
un ruolo quasi pubblico
e istituzionale per il suo
contributo nella pandemia,
mettendo tra parentesi
l’aspetto commerciale.
Antonio Maturo
Docente di Sociologia della salute
presso l’Università di Bologna e
la Brown University, e direttore
del Centro di studi avanzati su
umanizzazione delle cure e salute
sociale (Università di Bologna).
14 15
MAKING LIFE | Gennaio 2021
POTERE E
RESPONSABILITÀ
COME È CAMBIATO NEL TEMPO IL RAPPORTO FRA
MONDO DEGLI AFFARI E SOCIETÀ, DALLA GRANDE
DEPRESSIONE ALLA RESPONSABILITÀ DI IMPRESA
Giorgio Lorenzo Colombo
Direttore Scientifico, CEFAT - Centro di Economia e valutazione del Farmaco e
delle Tecnologie sanitarie, https://cefat.unipv.it/ Dip.to di Scienze del Farmaco,
Università degli Studi di Pavia
L’impresa è un sistema economico
e sociale complesso, la cui rilevanza
sociale cresce in rapporto alle ricadute
sul contesto in cui opera e quella
economica è legata alla ricchezza
creata con la sua attività. Questo
sistema economico si pone al centro
di una serie di rapporti con differenti
gruppi sociali, rispetto ai quali attiva
relazioni di scambio di informazioni
e di rappresentanza. Questi gruppi
finiscono per costituire dei veri e propri
interlocutori dell’impresa o portatori
di interesse e vengono chiamati
anche stakeholder e sono coloro
che influenzano e sono influenzati
dall’attività dell’impresa stessa.
STAKEHOLDER
PRIMARI E
SECONDARI
Ma esistono due differenti livelli di
stakeholder: i primari, senza la cui
continua partecipazione l’impresa
non è in grado di sopravvivere
come organizzazione funzionante;
e i secondari, che comprendono il
folto gruppo di coloro che non sono
essenziali per la sopravvivenza
dell’azienda ma che esercitano
un’influenza indiretta su di essa.
Grazie all’identificazione di tutti gli
attori partecipanti all’impresa, a partire
dalla metà del XX secolo cresce nelle
imprese la consapevolezza che i
destinatari ultimi dei propri messaggi
non sono solo i clienti, ma una più
ampia varietà di soggetti con i quali è
necessario costruire rapporti stabili e
non solo di natura economica.
Questa nuova visione dell’impresa,
nel periodo successivo alla Grande
Depressione del 1920, nasce anche in
risposta a due questioni in particolare:
il rischio dato dalla crescente
tendenza al controllo sociale e alla
socializzazione di importanti quote di
mercato, e all’esigenza di trovare nuove
forme di legittimazione sociale della
propria professione da parte dei grandi
imprenditori. Queste problematiche
ebbero in risposta la dimostrazione
che l’impresa rappresenta l’istituzione
più idonea a servire la società e la
rappresentazione degli uomini d’affari
come professionisti capaci di esprimere
interessi e obiettivi non più individuali
ma sociali.
NASCITA DELLA CSR
Viene così a emergere l’idea che potere
e responsabilità sono indissolubilmente
legati fra loro in ogni ambito della vita
umana e pertanto anche nelle relazioni
fra mondo degli affari e società.
Inizia con queste premesse a emergere
il concetto di Responsabilità sociale
d’impresa (CSR, dall’inglese Corporate
social responsibility). Negli anni ’70
la CSR è ancora considerata un costo
aggiuntivo, ma necessario in quanto
dovere dell’impresa nei confronti della
società e, grazie alla presa di coscienza
di questi concetti, le imprese iniziano ad
adottare alcune pratiche per migliorare
la propria gestione e per differenziarsi
rispetto ai competitori sulla base
delle richieste che gli giungono dagli
stakeholder, ma il loro obiettivo ultimo
rimane ancora il profitto.
Se precedentemente l’attenzione era
incentrata sulla definizione di CSR, negli
anni ’90 invece inizia a crescere
l’interesse per la rendicontazione
socio-ambientale, o meglio
sull’esigenza da parte delle imprese di
render conto del proprio operato
attraverso strumenti che consentano
loro di rappresentare ai propri
interlocutori le azioni intraprese.
Metodo utilizzato per tutelare e
migliorare l’immagine aziendale e
d’altra parte per informare gli
interlocutori esterni rispetto all’attività
aziendale e alle sue risorse. A seguito di
queste esigenze si sviluppano standard
di rendicontazione sia a livello
internazionale che nazionale. Negli anni
più recenti, al concetto di CSR si è
affiancato quello di “sostenibilità”,
introdotto per la prima volta nel 1987
dal Rapporto Brutland delle Nazioni
Unite, definito come “uno sviluppo che
soddisfa i bisogni del presente senza
compromettere la possibilità delle
generazioni future di soddisfare i propri
bisogni“.
16 17
MAKING LIFE | Gennaio 2021
(RI) DEFINIRE
IL CONTENUTO
Simone Montonati
produzione di valore a lungo
termine e la trasparenza verso
azionisti e consumatori.
In questo contesto, dotarsi
di una strategia per la
responsabilità sociale
d’impresa (CSR) non è
semplicemente una buona
idea, ma può rivelarsi uno
strumento fondamentale per
emergere in un’arena sempre
più competitiva. Un approccio
strategico nei confronti di
questo tema può portare
benefici in termini di gestione
del rischio, riduzione dei costi,
accesso al capitale, relazioni
con i clienti, gestione delle
risorse umane e capacità
di innovazione. Anche gli
stakeholder, inclusi gli
investitori, impiegano sempre
di più i parametri sociali
e ambientali per valutare
l’appetibilità di un’impresa.
E il settore farmaceutico non
fa eccezione, come ci spiega
Valeria Brambilla, Partner
italian Life sciences and Health
care leader di Deloitte Italia.
soprattutto le loro principali
esigenze anche attraverso
il loro coinvolgimento
(“stakeholder engagement”).
Ogni azienda, infatti, svolge
attività e ruoli sociali differenti.
Una farmaceutica italiana
potrebbe includere stakeholder
differenti rispetto a una grande
multinazionale “big pharma”,
in funzione del radicamento
o meno territoriale che le
stesse hanno nel nostro Paese.
In altri casi, vi sono aziende
del settore che producono
prodotti potenzialmente
impattanti sull’ambiente,
quindi si dovranno occupare
66 %
maggiormente di questo
aspetto; ci sono poi elementi
peculiari, come la privacy.
In definitiva, si tratta di allargare
l’approccio seguito finora, che
privilegiava il punto di vista
degli azionisti. Scelta del tutto
legittima e in qualche modo
doverosa dato che lo scopo
di ogni società è comunque
quello di esercitare un’attività
economica e produrre utili.
Ora però la sensibilità dei
cittadini sta cambiando e le
aziende farmaceutiche sono
disponibili ad adeguarsi:
diventa così fondamentale
aderire a framework legali e
sociali del business e utilizzare
i programmi CSR per distribuire
vantaggi a tutti gli stakeholder.
Come devono adeguarsi le
aziende farmaceutiche?
Il mondo farmaceutico per sua
natura ha sempre investito
principalmente nella leadership
di prodotto, perché lì risiede il
suo core business: realizzare
prodotti eccellenti, in termini
di efficacia e sicurezza. Questo
ha attratto gran parte delle
risorse e delle attenzioni
aziendali, compresa la
delle società
italiane attua un
Tradizionalmente
legate alla
leadership di
prodotto, le aziende
farmaceutiche
devono ora offrire
una definizione
più ampia del loro
valore, identificando
con precisione i
propri stakeholder
e le loro specifiche
esigenze
Valeria Brambilla - Deloitte Italia
Ad agosto 2019, la Business
Roundtable, un gruppo
costituito da 181 Ceo di
grandi società americane, ha
sancito un nuovo standard
per la gestione delle imprese
sostenendo che l’obiettivo
principale di un’azienda non è
più solo il valore per l’azionista.
D’ora in poi devono diventare
prioritari anche i dipendenti,
il rispetto delle diversità, la
promozione dell’inclusione, la
creazione di valore per i clienti,
la costruzione di relazioni
etiche con i fornitori, la tutela
ambientale, il sostegno delle
– e alle – comunità, oltre alla
Cosa distingue le attività di
CSR nei settori farmaceutico e
biomedicale?
La CSR nel settore delle
scienze della vita è diversa
da quella di altri settori in
quanto la popolazione ha
aspettative molto elevate sul
suo ruolo sociale: l’idea che
la medicina debba superare il
concetto di semplice “bene” ha
guadagnato popolarità negli
ambienti economici e pubblici.
La medicina salva la vita delle
persone ed è una necessità,
non un semplice bisogno.
La definizione delle strategie
in termini di CSR, comunque,
dovrebbe avvenire a livello di
singola azienda e non seguire
un percorso generalizzato.
Ogni impresa deve individuare
con precisione non solo i
propri specifici stakeholder –
attraverso un processo definito
appunto “identificazione
degli stakeholder” - ma
percorso di stakeholder
Stakeholder engagement
finalizzato all’aggiornamento
dell’analisi di materialità
Presente
Non presente
Esplicitazione degli
stakeholder coinvolti
engagement
34 % 41 % 40%
60 %
66 % 59 %
5% 50 %
67 %
Fonte: Osservatorio nazionale sulla rendicontazione non finanziaria, 2°rapporto, 2019
95 % 50 % 33 %
18 19
MAKING LIFE | Gennaio 2021
19 % nel 2017 26 % Presenza di piani di sostenibilità
Fonte: Osservatorio nazionale sulla rendicontazione non finanziaria, 2°rapporto, 2019
20 % Appartenenti al settore non finanziario
6 % Appartenenti al settore finanziario
74 % Nessun piano di sostenibilità dichiarato
rendicontazione di sostenibilità
definiti dalla Global Reporting
Initiative (GRI) che forniscono un
framework fondamentale ma
ancora generico. Servono ora
indicatori specifici e affidabili
come avviene per le valutazioni
finanziarie.
Un impulso importante è stato
fornito dalle istituzioni...
Certamente le Direttive
2013/34/UE e 2014/95/UE,
introducendo nuovi obblighi
sulla comunicazione di
informazioni di carattere non
finanziario per le aziende di
grandi dimensioni, hanno
accelerato il processo.
In Italia un salto di qualità
si è avuto con il D.Lgs.
254/2016, che ha introdotto
nell’ordinamento Italiano
l’obbligo per gli enti di interesse
pubblico di grandi dimensioni
di redigere e pubblicare una
“Dichiarazione di carattere non
finanziario”.
Un ulteriore importante passo è
stato compiuto dalle istituzioni
finanziarie – a iniziare dalla
Banca Centrale Europea – che
stanno progressivamente
introducendo parametri
non finanziari, legati alle
performance sociali e
ambientali nei loro processi
di attribuzione dei rating per
la concessione del credito.
Questo ha indotto anche i fondi
di investimento a prendere in
considerazione questi aspetti
per selezionare le società
su cui investire. Per questo
sono nati molti servizi che
forniscono dati e analisi sulle
attività di CSR delle aziende,
esattamente come avviene per
le informazioni finanziarie. È
evidente che se tutto il mercato
dà valore anche economico a
questi fattori non finanziari,
le società saranno ancor più
indotte ad affrontarli.
Resta comunque da vedere se
(e quando) queste informazioni
diventeranno accessibili anche
ai consumatori come già
avviene per i bilanci. Siamo solo
all’inizio di un percorso ancora
in gran parte da percorrere.
In questo contesto, qual è il
valore delle certificazioni?
Le certificazioni sicuramente
aiutano, se non altro perché il
giudizio di un ente indipendente
fornisce garanzie agli
osservatori e agli investitori.
Vale il principio che si applica
per il bilancio: non certificarlo
equivale a dichiarare una non
disponibilità a sottoporsi a un
controllo esterno. Non a caso
il decreto sulle società quotate
non si è limitato a introdurre
una rendicontazione non
finanziaria ma ha imposto alle
aziende di certificarla.
Il processo di certificazione
può essere utile anche per
individuare e sistemare
eventuali lacune o, viceversa,
rilevare punti di eccellenza che
possono essere valorizzati nella
comunicazione verso i terzi.
Presenza
di piani di
sostenibilità
Nel 2018, il 26% delle società analizzate
dall’Osservatorio nazionale sulla rendicontazione
non finanziaria ha inserito nell’elaborazione del
proprio bilancio aziendale anche obiettivi qualiquantitativi
dedicati in modo specifico alle
tematiche di sostenibilità, una percentuale in
crescita rispetto all’anno precedente, quando
meno di un’azienda su cinque aveva provveduto.
Circa i due terzi di queste hanno integrato un
piano di sostenibilità all’interno del proprio
piano industriale, una quota superiore di 12
punti percentuali rispetto al 2017.
In generale, le aziende di maggiori dimensioni si
dimostrano più mature nella gestione della
responsabilità sociale di impresa e l’ambito
della sostenibilità non fa eccezione. Il 66%
delle società appartenenti al FTSE MIB
(il più significativo indice azionario della
Borsa italiana) ha infatti definito un piano
di sostenibilità (erano il 53% nel 2017). Di
queste, il 90% lo ha collegato al proprio piano
industriale.
comunicazione. Coerentemente
con la leadership di prodotto,
la strategia è stata quella di
rivolgersi ai medici (e non ai
pazienti), maggiormente in
grado di apprezzare il valore
del prodotto. La CSR impone
ora una definizione più ampia
del valore, e le strategie devono
cambiare di conseguenza,
compresa la comunicazione.
Da qualche anno la leadership
si sta spostando dal prodotto
al valore, un concetto ben
più esteso, che per essere
definito richiede la capacità
di individuare e coinvolgere
i propri stakeholder e loro
esigenze.
A che punto sono le aziende
riguardo alla CSR?
È un tema estremamente
attuale, a tutti i livelli e in tutti
i settori e le aziende si stanno
progressivamente adattando.
Un’analisi del Nasdaq Center
for corporate governance ha
evidenziato che le aziende
pongono maggiore enfasi sulla
divulgazione di informazioni
e metriche “che esulano
dall’ambito finanziario” e il
91% di esse ha pubblicato un
rapporto di sostenibilità.
“L’Osservatorio nazionale
sulla rendicontazione
non finanziaria” - una
collaborazione tra Deloitte e lo
Sda Bocconi – ha analizzato
197 società italiane soggette
all’applicazione del D.Lgs.
254/2016 mettendo in luce
una emergente sensibilità
aziendale verso obiettivi non
finanziari e un maggior livello di
stakeholder engagement.
Al momento le società di
maggiori dimensioni mostrano
un impegno più intenso sui temi
di responsabilità sociale, ma
questo è anche dovuto al fatto
che queste attività richiedono
ingenti investimenti, non solo in
termini monetari ma anche di
risorse, di formazione ecc.
Si tratta peraltro di aree di
studio non ancora consolidate,
con una metodologia standard
sottoposta a continua
trasformazione. Gli analisti
stanno lavorando, anche in
collaborazione con le istituzioni
europee, per definire regole
condivise, indici, algoritmi
decisionali. Al momento, però,
sono stati fissati soprattutto
dei principi, come quelli
indicati nelle linee guida per la
2018
2017
86 /197 SDGs citati nella DNS
società citano i
Sustainable
Development Goals
(SDGs) all’interno
della propria DNF
44 %
56 %
SDGs non citati nella DNS
41 /194 SDGs collegati agli obiettivi futuri
società citano i
Sustainable
Development Goals
(SDGs) all’interno
della propria DNF
21 %
79 %
Fonte: Osservatorio nazionale sulla rendicontazione non finanziaria, 2°rapporto, 2019
Disclosure degli SDG
SDGs non citati nella DNS
Sebbene in un anno sia più che raddoppiata la percentuale di aziende che citano gli SDG (gli Obiettivi di sviluppo
sostenibile fissati dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite) nella propria Dichiarazione non finanziaria (dal 21%
del 2017 al 44% nel 2018), crolla la quota di società che li collegano a obiettivi futuri (dal 76% al 36%).
20 21
MAKING LIFE | Gennaio 2021
La responsabilità sociale
nell’industria farmaceutica
Il mondo delle industrie
farmaceutiche, vista la natura
stessa della sua tipologia
di impresa, non poteva non
sposare un nuovo modo di
fare impresa socialmente
responsabile. Così che,
molte aziende hanno deciso
di spostare il focus della
loro attenzione dal classico
concetto di “farmaco” a quello
più globale di “paziente”,
risultante di una naturale
conseguenza dell’impegno
più vasto che le industrie
farmaceutiche vogliono
assumere. Nel settore
farmaceutico, in relazione
alla responsabilità sociale,
si evidenziano due tendenze
differenti nell’adottare ed
implementare le politiche di
CSR:
Una più incentrata sul ruolo
e l’identità dell’azienda quale
attore economico, dove la CSR
possiede un ruolo tendenzialmente
collaterale rispetto alle sue attività
primarie e dalla quale discendono politiche tese
in maggior modo a massimizzare l’immagine
positiva dell’azienda, quindi ad aumentarne la
reputazione e il controllo degli impatti sociali
della propria attività.
1 2
Una più incentrata sul ruolo e
l’identità dell’azienda quale attore
sociale, dove invece la CSR possiede
un ruolo centrale rispetto alle sue
attività primarie e dalla quale conseguono
politiche tese in maggior modo a creare sviluppo
sociale inteso anche come condizione necessaria
allo sviluppo dell’azienda.
Il mondo farmaceutico moderno ha preso coscienza del fatto che non può
esimersi dall’impegno nel progresso sociale, dall’agire concretamente per lo
sviluppo economico della società e dalla cura dell’ambiente
Giorgio Lorenzo Colombo
Direttore Scientifico, CEFAT - Centro di Economia e valutazione del Farmaco e delle Tecnologie sanitarie,
https://cefat.unipv.it/ Dip.to di Scienze del Farmaco, Università degli Studi di Pavia
DIVERSE
DECLINAZIONI
DELLA CSR
In base a questa distinzione
è possibile verificare che le
imprese che prediligono un
approccio sociale pongono
una particolare attenzione alle
seguenti caratteristiche date
alla CSR:
• primato dello sviluppo
sostenibile rispetto
allo sviluppo
economico dell’azienda
• creazione di valore
aggiunto per sé e la
società
• essere parte integrante
della cultura di impresa
e del modo di operare
• generare opportunità
per l’azienda in termini
di conoscenza e
innovazione
• sviluppo sociale quale
condizione dello
sviluppo dell’azienda
• ascolto dei bisogni
della società
• rifiuto di proporre
principi generali
di CSR
• integrazione della CSR
nella attività ordinarie
dell’impresa
22 23
MAKING LIFE | Gennaio 2021
Nelle aziende che seguono
un approccio più economico,
la CSR è contraddistinta dai
seguenti caratteri:
LE POLITICHE DI
RESPONSABILITÀ
SOCIALE
In generale le politiche di
responsabilità sociale adottate
dall’industria farmaceutica,
possono essere ricondotte in
quattro grandi categorie dei
programmi di CSR:
• ricerca del consenso
alle proprie attività
• gestione delle
implicazioni etiche
delle proprie attività
economiche
e produttive
• rispetto delle leggi
• gestione dell’impatto
sociale delle proprie
attività in particolare
nei confronti dei clienti
e dei beneficiari dei
prodotti
• generico impegno
sociale e contributo
alla comunità senza
dichiarazioni degli
obbiettivi e delle scelte
di fondo che ne guidano
l’azione
• restituzione alla società
del proprio successo
economico
• rispetto di tavole di
valori
1 2 3 4
Politiche
ambientali:
orientate a
minimizzare o eliminare gli
impatti ambientali delle
proprie attività produttive
e di ricerca medica e di
laboratorio.
Politiche sociali:
ampio numero
di interventi che
vanno dalla solidarietà al
mecenatismo.
Politiche della
salute: possono
essere attività di
aiuto ai soggetti più deboli
con difficoltà nell’accedere
a farmaci e/o cure oppure
divulgazione di cultura
della salute presso il largo
pubblico.
Politiche
interne all’azienda:
politiche rivolte al
personale ed al contesto
imprenditoriale in generale,
è diretto inoltre agli ambiti
che influiscono anche sulla
reputazione dell’azienda.
Nell’ambito di queste
politiche è collocabile
anche l’attività di ricerca e
formazione rivolte al campo
medico- farmacologico.
Questa distinzione è
presente, forse in modo
inconsapevole, anche nei
siti web delle aziende;
quando la Responsabilità
sociale d’impresa (CSR) è
• direttamente dalla
home page
Al contrario, nei siti delle
aziende in cui la CSR occupa
un posto collaterale o
periferico nel quadro delle
politiche imprenditoriali,
le informazioni riguardanti
parte integrante del nucleo
dell’azienda i contenuti
che la riguardano possono
essere reperiti:
• in sezioni autonome
molto corpose che
hanno uno status logico
pari a sezioni dedicate
alla produzione e al
marketing
ciò non sono raggiungibili
direttamente dalla home
page e sono inserite in settori
specifici quali:
• attraverso richiami
specifici, all’interno di
altre sezioni del sito
IL CODICE
DEONTOLOGICO DI
FARMINDUSTRIA
Come in tutti i settori, anche
nel mondo farmaceutico,
come si è potuto notare anche
dalla diversità dei dati raccolti
dagli studi, non vi è una
regolamentazione istituzionale
della Responsabilità sociale
d’impresa, essendo intesa
come comportamento
adottabile in modo volontario
dagli imprenditori per
permettere che esso venga
accettato con maggior
consenso e implementato
nelle proprie politiche con
grande efficacia. Ma in
Italia, Farmindustria, ossia
l’Associazione delle imprese
del farmaco si è dotata di
un Codice deontologico
che, oltre ad assicurare un
comportamento corretto tra le
industrie, regolamenta anche i
rapporti tra industrie e mondo
scientifico e sanitario. Questo
codice, come in altri contesti
internazionali, permette di
regolamentare: l’informazione
scientifica diretta; congressi,
convegni e riunioni scientifiche;
i rapporti dell’industria con
il mondo sanitario e con le
associazioni dei pazienti.
Tutti elementi fortemente
toccati dalla responsabilità
sociale di queste industrie.
Una loro regolamentazione
permette quindi di meglio
specificare i limiti entro cui le
industrie possono agire senza
sconfinare in comportamenti
eticamente irresponsabili.
L’informazione scientifica
diretta comprende:
• il bilancio
di esercizio
• le relazioni
internazionali
• le attività delle
fondazioni
• gli eventi e la
comunicazione
pubblicitaria ed
istituzionale
• l’informazione verbale
diretta al medico
• il materiale
informativo
• il materiale
promozionale
• l’aggiornamento
professionale e
la collaborazione
scientifica
• la pubblicità su
giornali e riviste
24 25
LINKEDIN / FACEBOOK / TWITTER / INSTAGRAM / YOUTUBE
I rapporti dell’industria con il
mondo scientifico e sanitario
e con le associazioni dei
pazienti comprendono invece:
• le consulenze
scientifiche e le
borse di studio
• i rapporti con le
società scientifiche
• le sperimentazioni e le
indagini connesse
ai farmaci
• i siti internet
• i rapporti tra le aziende
farmaceutiche
e le associazioni dei
pazienti
Tutti questi elementi
all’interno del Codice
deontologico trovano precisa e
meticolosa regolamentazione,
atta a garantire l’eticità dei
comportamenti delle industrie
farmaceutiche facenti parte di
Farmindustria e permettendo
in questo modo alle aziende
presenti sul territorio italiano
di lavorare in modo etico e
socialmente responsabile.
Ma la Responsabilità Sociale
d’Impresa dichiarata da
molte aziende farmaceutiche
come metodo di condotta
delle proprie imprese è
sempre rispettata? Le società
farmaceutiche conducono
tutti il loro rapporti secondo i
principi di questa teoria? Ne
parlano i codici di condotta
delle industrie farmaceutiche
e ora sempre più spesso
anche le associazioni di
pazienti: i finanziamenti che
le industrie dirigono ai gruppi
di tutela dei pazienti e dei
consumatori vanno dichiarati
e resi pubblici, sia da chi
elargisce sia da chi riceve,
in nome della trasparenza e
della tutela dei cittadini. La
strada sembra ancora lunga
su tutti e due i fronti. Il rischio,
nel mondo farmaceutico, per
la natura di questo settore
strategico e dei rapporti che
intrattiene necessariamente
con il mondo scientifico dei
decisori pubblici e dei pazienti,
che dietro la responsabilità
sociale dichiarata, si potrebbe
celare una irresponsabilità
sociale nei i rapporti con i
medici e associazioni dei
pazienti, celata dietro false
spoglie di responsabilità
sociale e di grande umanità.
L’IMPATTO DI
COVID-19
The Best ingredients for a better life
Nella fase attuale di incertezza
dovuta al Covid-19, le aziende
farmaceutiche sembrano
aver risposto alle attese
dei cittadini, assicurando
continuità produttiva, accesso
alle cure e fornendo il proprio
sostegno al sistema sanitario.
Il percorso delle aziende
farmaceutiche nel rapporto con
l’opinione pubblica è pertanto
in continua evoluzione (vedi
articolo a pag.36). Negli anni
recenti, le imprese del settore
si sono poste l’obiettivo di
“farsi conoscere”, di raccontare
chi sono e cosa fanno, anche
per superare vecchi pregiudizi.
Nel tempo hanno poi cercato
di mettere in rilievo il loro
ruolo nella società. Oggi,
al tempo del Covid-19, le
aziende farmaceutiche hanno
avuto un ruolo sul piano
informativo riguardo al virus,
attirando maggiormente le
persone a visitare i propri
siti internet o a seguire i
loro canali social, in modo
propositivo e supportando
una “buona” comunicazione
scientifica presso la classe
medica e i pazienti/caregiver.
Non è però più sufficiente
raccontarsi in base a cosa si
vende; oggi bisogna informare
le persone su cosa fanno
le aziende farmaceutiche a
supporto della società. Ancora
oggi, queste tematiche di
responsabilità sociale vengono
raccontate meno rispetto
a tematiche aziendali o di
prodotto; il cambiamento in
questo caso deve avvenire
sviluppando attività aziendali
in cui la responsabilità sociale
d’impresa (CSR) diventi
parte integrante del nucleo
strategico dell’azienda,
con l’elaborazione di una
vera e propria strategia
che veda il coinvolgimento
dell’organizzazione a tutti i
livelli.
#FaravelliNutraDivision
ECCIPIENTI / SALI MINERALI / LIEVITI DI BIRRA E ARRICCHITI / ANTIOSSIDANTI / AMINOACIDI / ZUCCHERI E
DERIVATI / VITAMINE / PROTEINE / FIBRE / ACIDI GRASSI / DOLCIFICANTI / ESTRATTI IN POLVERE / ATTIVI PER
CONTROLLO PESO CORPOREO / ATTIVI PER CONTROLLO COLESTEROLO / ATTIVI PER SISTEMA IMMUNITARIO /
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26
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MAKING LIFE | Gennaio 2021
Certificare
l'impatto
sociale
28
In un clima di crescente sfiducia nei
confronti delle aziende, è necessario
fornire ai consumatori strumenti per
distinguere le iniziative concrete dalle
operazioni di facciata. B corp analizza e
certifica le attività sociali e ambientali
delle imprese
Simone Montonati
La fiducia dei consumatori nelle aziende continua a ridursi.
Secondo un recente sondaggio, in Italia l’81% della popolazione
ritiene che negli ultimi anni sia diventato più difficile potersi
fidare delle imprese e dei loro prodotti. Una sensazione
condivisa con il resto del mondo: percentuali analoghe si
registrano in Francia, Germania, Usa, Medio Oriente, India e
Australia (unica eccezione la Cina con il 55%). I consumatori
diventano particolarmente sospettosi di fronte alle iniziative di
responsabilità sociale, dato che in passato prodotti o campagne
presentate come modelli di attenzione alla comunità o
all’ambiente si sono rivelati clamorosi bluff.
GREEN WASHING
Basti pensare allo scandalo Volkswagen, la quale, mentre
presentava il suo nuovo motore eco-compatibile (con tanto di
sito dedicato e lancio promozionale in grande stile) diffondeva
dati falsificati sulle emissioni. Già in precedenza la fiducia dei
consumatori era stata messa alla prova da scelte aziendali
quanto meno incoerenti. Philip Morris, ad esempio, nel 1999
spese 100 milioni di dollari per promuovere una campagna
sociale da 75 milioni sollevando profondi dubbi sui reali
obiettivi dell’iniziativa. Anche la campagna per la Coca-Cola Life,
presentata in una confezione verde e riciclabile che le conferiva
un’aura naturale ed ecologica, venne aspramente criticata dato
che in realtà la bevanda conteneva la bellezza di 17 grammi di
zucchero a porzione.
Non stupisce dunque che, secondo diverse ricerche scientifiche,
i rapporti aziendali sulle attività di CSR vengano considerati poco
credibili. La sensazione dei consumatori è che le aziende non
presentino un quadro completo e realistico delle loro attività ma
selezionino solo alcuni elementi particolarmente convincenti
(una pratica definita “cherry picking”). Come spiega una recente
review scientifica, questa percezione ha messo in discussione la
fiducia degli stakeholder creando un gap di credibilità tra loro e
le aziende in tema di rendicontazione della CSR.
B3.600
Aziende
150
Settori
74
Paesi
Corporation
29
MAKING LIFE | Gennaio 2021
UN SISTEMA DI GARANZIA
Un aiuto ai consumatori per poter distinguere attività in buona
fede da comportamenti scorretti arriva da B Corp, un sistema
che certifica le performance sociali e ambientali delle imprese.
Ottenere la certificazione è tutt’altro che semplice (vedi box nella
pagina accanto). Finora, più di 140.000 aziende di 74 Paesi si
sono misurate con questo protocollo e solo 3.790 hanno ottenuto
la certificazione.
Il concetto di B corp, comunque, si spinge oltre la mera verifica
delle attività sociali di un’impresa e introduce l’idea che
un’azienda possa porsi obiettivi diversi dal semplice profitto.
In alcuni stati Usa, ad esempio, esiste una vera e propria
forma societaria, la B corporation (B sta per benefit), attribuita
alle imprese che, mentre cercano di creare utile, si pongono
l’obiettivo di realizzare contemporaneamente un impatto positivo
per la società e l’ambiente.
Si tratta di un principio tutt’altro che scontato. Nel 1919 Henry
Ford fu condannato dalla suprema corte del Michigan a ritornare
sui suoi passi dopo che aveva deciso di tagliare i prezzi delle
auto e aumentare i salari dei lavoratori. Tale decisione, spiegò
il giudice, non è accettabile perché “un’azienda deve operare
principalmente nell’interesse della massimizzazione del profitto
dei suoi azionisti”. Una soluzione contro gli interessi degli
azionisti era da ritenersi illegale, anche se portatrice di benefici
alla comunità.
“
Dobbiamo tornare a una
società che non dia a una classe
di stakeholder un vantaggio
sproporzionato sugli altri.
Bill Clinton
ex presidente degli Stati Uniti
UN NUOVO RUOLO PER LE IMPRESE
Ora le idee sul ruolo dell’azienda nella società stanno mutando
e l’85% dei cittadini pensa che anche il mondo imprenditoriale
abbia responsabilità nel migliorare la loro vita. Nella strategia
aziendale, inoltre, il concetto di portatori di interesse
(stakeholder) sta sostituendo quello di azionisti (shareholder).
Anche gli analisti finanziari sostengono la necessità di questo
cambiamento. Robert J. Shiller, premio Nobelper l’economia
nel 2013, ha previsto che le B corporation “avranno risultati
economici migliori di tutte le altre”.
In Italia, con legge di stabilità del 2016, è stato introdotto uno
status giuridico – le società benefit – analogo a quello delle B
Corporation americane. Si tratta della prima nazione al mondo
a introdurre questa forma (negli Usa lo status è valido solo in
34 stati e non esiste una normativa federale). Anche le società
che riescono a ottenere le certificazioni sono in aumento, segno
che a mutare è anche l’approccio con cui le imprese vengono
gestite. Tra queste vi sono nomi noti come Patagonia, Danone,
Ben & Jerry’s (che fattura oltre un miliardo di dollari) ma anche
moltissime piccole realtà.
“
Spero che tra cinque, dieci
anni, ci guarderemo indietro
e diremo che le B-corp sono
state l’inizio della rivoluzione.
Il paradigma esistente
non funziona più:
questo è il futuro.
Yvon Chouinard
fondatore di Patagonia
Da 0 a 200
La certificazione si basa sul calcolo di un indice, denominato
Benefit impact assessment (o B impact assesment), che
non si limita ad analizzare un prodotto o un servizio, ma
misura la performance sociale e ambientale complessiva
dell’azienda. L’impatto viene misurato su una scala da
0 a 200 punti e per ottenere la certificazione è necessario
superare la soglia degli 80 punti. Per usare le parole di Eric
Ezechieli, fondatore di Nativa (parte attiva nell’introduzione
della legge sulle Società Benefit in Italia): «Sopra gli 80 punti
un’azienda è rigenerativa, restituisce al mondo più valore
di quanto ne prende, sotto gli 80 punti è estrattiva, sottrae
valore alla comunità».
Le aree prese in considerazione per la valutazione dell’indice
sono cinque: governance, lavoratori, comunità, ambiente e
clienti, ognuna delle quali contiene alcune voci specifiche,
personalizzate in base alle dimensioni, al settore e all’area
geografica in cui opera l’azienda. I punteggi nelle singole
voci sono pubblici, così come i risultati degli anni precedenti.
In questo modo, ognuno può farsi un’idea dei punti di forza
e delle criticità di una specifica impresa. “La Certificazione
B Corp – spiegano gli stessi ideatori – non si limita a
dimostrare dove la vostra azienda eccelle ora, ma vi impegna
a considerare l’impatto a lungo termine sugli stakeholder,
integrandolo nella struttura legale della vostra azienda”.
A livello globale l’85% dei cittadini pensa che anche il
mondo imprenditoriale abbia responsabilità nel migliorare
la loro vita. Quanto i governi.
85 %
Mondo imprenditoriale
Governi
86 %
Fonte: Eric Ezechieli, “La Benefit Corporation e lo scopo del business”.
30 31
MAKING LIFE | Gennaio 2021
OLTRE LA QUALITÀ
Percezione globale dei pazienti
La reputazione generale dell’azienda farmaceutica è positiva per il 46% degli
intervistati ma ci sono alcune zone d’ombra come la trasparenza e i prezzi.
Paradossalmente, i giovani hanno più fiducia degli adulti e degli anziani
Caterina Lucchini
Sebbene l’industria del farmaco
abbia un ruolo chiave nel progresso
della salute e delle condizioni di vita
dell’umanità, ha anche accumulato
ricchezza e questo è probabilmente
uno dei principali motivi per cui risulta,
da sempre, tra i settori più criticati da
governi, media e opinione pubblica.
Di conseguenza, la fiducia e
l’apprezzamento del pubblico verso
il settore tendono a essere limitati in
molti Paesi, posizionando il settore
farmaceutico al 12 imo posto di una
classifica condotta da Caliber, ben al di
sotto di altre aree come quella del food
e dei software, ad esempio. Due report
di recente pubblicazione, condotti
rispettivamente da Research&Market
e Caliber, ci offrono una fotografia
eterogenea della percezione delle
persone e lanciano alcuni spunti
interessanti per le aziende.
PHARMA INDUSTRY
AL PRIMO POSTO
Il report dal titolo “Corporate reputation
of pharma in 2019 - The global patient
perspective” di Research&Market
è ormai alla sua nona edizione. Tra
nove settori sanitari presi in analisi,
i 1.850 gruppi di pazienti intervistati
posizionano al primo posto, in termini
di reputazione aziendale, l’industria del
farmaco. Un atteggiamento di fiducia
nel complesso positivo. In particolare,
una fiducia che sembra crescere
rispetto al 2018 e che non è mai stata
– a quanto riporta il documento – alta
quanto l’ultimo anno (figura 1).
I DRIVER DELLA
REPUTATION
Se da un lato i gruppi di pazienti
intervistati nel 2019 reputano in
miglioramento il comportamento
delle aziende sui temi per loro
importanti (prodotti di qualità,
sicurezza, innovazione), dall’altro la
trasparenza, le giuste politiche di prezzo
e l’arruolamento dei pazienti nella
ricerca clinica sono invece aree su cui
gli intervistati non esprimono commenti
particolarmente positivi (figura 2).
Per la prima volta, in questa edizione,
è stata chiesta un’opinione sul tema
dell’accesso ai farmaci. Solo il 26% ha
dichiarato che il settore è “eccellente” o
“buono” nel garantire a tutti pazienti la
possibilità di curarsi. Tuttavia, i risultati
delle risposte variano molto da un Paese
all’altro, passando dal 65% di risposte
positive dei pazienti serbi all’8% di quelle
nei Paesi Bassi. Tra i nostri connazionali,
solo il 22% degli intervistati ha reputato
positivamente l’impegno dell’industria
farmaceutica in questo ambito.
Per quanto riguarda le aziende che
godono di miglior reputation, ViiV
Healtcare, Roche/Genentech e AbbVie
guadagnano rispettivamente il primo,
secondo e terzo posto nel report di
Research&Market.
45
%
46
%
60%
42
%
43
%
41
%
50%
40%
39
%
38
%
30%
34
%
35
%
20%
10%
0%
2011
2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019
Qualità
Sicurezza
Innovazione
Accesso ai farmaci
Trasparenza
Arruolamento
studi clinici
Giuste politiche
di prezzo
Figura 1. Eccellente o buona considerazione della reputazione dell’azienda pharma dal 2011 al 2019 (Fonte: Corporate reputation of pharma in 2019 - The global patient perspective – Research&Market)
Figura 2. I driver della reputation (Fonte: Corporate reputation of pharma in 2019 - The global patient perspective – Research&Market)
32 33
PERTINENZA VS
INNOVAZIONE
Altri dati sulla percezione del paziente
arrivano da un’ulteriore indagine
condotta tra la fine del 2019 e gli inizi
del 2020 su oltre 13mila intervistati
unici di 95 Paesi. Si tratta dello studio
“Global Pharma Study 2020”, condotto
da Caliber. Come mostra la figura 3,
tra i diversi fattori che alimentano la
reputazione aziendale, la “pertinenza”
(in inglese “relevance”, che misura
la facilità dei pazienti a relazionarsi
con ciò che le aziende farmaceutiche
rappresentano) ottiene le prime
posizioni, mentre l’innovazione
arriva ultima. Questo dato merita
una riflessione, in particolare da
parte delle aziende del farmaco, che,
contrariamente a quanto emerge
dall’opinione dei consumatori, puntano
enormemente sull’innovazione, che di
norma ricopre un ruolo centrale nel
settore commerciale.
Di contro, la pertinenza ha un valore
percepito molto elevato: per alcuni
paesi tra cui Brasile, Italia, Paesi Bassi,
Svizzera, Stati Uniti e Russia è il più
importante driver della reputazione.
MAKING LIFE | Gennaio 2021 | Numero Uno
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Inspiration
Leadership
13,6 %
12,9 %
12,8 %
12,6 %
12,1 %
11,0 %
14,0 %
PharmaFuture & Health
PHARMA REPUTATION
PER INFORMAZIONI SCRIVI A
abbonamenti@makinglife.it
Innovation
10,9 %
Figura 3. La relevance ha più valore per i pazienti rispetto all’innovazione (Fonte: Global Pharma Study 2020 – Caliber)
IL PARADOSSO
DELL’ETÀ
Secondo l’indagine, la fiducia da
parte degli intervistati diminuisce
all’aumentare dell’età. Un effetto
paradosso, se si pensa che il maggior
bisogno delle case farmaceutiche è
proprio nella popolazione di età più
avanzata (figura 4).
69,3
%
70,8
%
66,9
%
64,0 64,0 64,1
% % %
è la community dell’innovazione
nell’healthcare
e ne governa il cambiamento
Figura 4. Fiducia delle aziende del farmaco nelle
diverse generazioni (Fonte: Global Pharma Study 2020 – Caliber)
Generation Z Generation X Baby Boomers
Generation Y
(Millennials)
Generation
Jones
Silent
Generation
34
MAKING LIFE | Gennaio 2021
COVID &
PHARMA
REPUTATION
È DAVVERO CAMBIATA
L’OPINIONE DEI
CONSUMATORI NEI
CONFRONTI DEL
MONDO PHARMA DOPO
L’EMERGENZA SANITARIA?
Daniele Martinelli
Fin dall’inizio della pandemia si è molto discusso di quali ripercussioni potrà avere l’emergenza sulla
percezione dei consumatori nei confronti dell’industria farmaceutica ma con il passare del tempo appare
chiaro che probabilmente non esiste una risposta univoca.
Sebbene inizialmente l’impatto sulla reputazione del settore pharma sembrasse positivo, alcune distinzioni
tra le diverse aziende sono emerse fin dalle prime rilevazioni. Ad agosto, uno studio di FutureBrand aveva
rilevato un complessivo miglioramento della percezione dei cittadini per le big pharma ma se da un lato vi
erano aziende come Roche e AstraZeneca che scalavano le classifiche globali della reputation, altre, come
Gilead, perdevano progressivamente terreno. Gli autori della ricerca spiegavano queste differenze sulla base
di una miglior risposta individuale all’emergenza da parte di alcune aziende, che avrebbe fruttato loro le
migliori performance reputazionali.
DIFFERENZE
GEOGRAFICHE
Secondo lo studio pubblicato da Caliber a settembre
(vedi anche articolo a pag.32), la pandemia in realtà
ha avuto un effetto netto nullo sull’opinione pubblica
del pharma: a livello globale il Trust&Like Score
del settore (l’indice che misura il livello di fiducia)
è sostanzialmente rimasto inalterato passando dal
67,5 pre-covid a 67,4. Esistono, però, significative
differenze tra le aree geografiche.
In alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, la reputazione
delle big pharma ha registrato un’impennata
(indice da 69 a 77) mentre in altre zone, come la
Scandinavia, ha subito un tracollo (in Norvegia, ad
esempio, ha perso 6,4 punti). Non sembra, peraltro,
che i risultati siano correlati al modo in cui i governi
hanno gestito la crisi: Stati Uniti e Brasile hanno
entrambi sofferto molto ma mostrano impatti
opposti (-3,9 per il Brasile). Analogamente, Norvegia
e Polonia hanno arginato precocemente il contagio,
ma con effetti inversi sulla reputazione (in Polonia
+3,9). Inoltre, spiega il rapporto, non pare esserci
alcuna correlazione tra l’impatto reputazionale
e il sistema sanitario del Paese o la fiducia delle
persone nello Stato.
CHI SALE, CHI SCENDE
A livello globale, comunque, si registrano sensibili
differenze anche tra le singole aziende (figura 1).
Spiegare perché alcune società – come Novo
Nordisk e Teva – abbiano migliorato la propria
reputazione mentre altre – come Bayer, AbbVie
e J&J – sperimentavano una reazione contraria
è senz’altro complesso ma vi è un elemento
particolarmente interessante che emerge dalla
ricerca ed è legato alla notorietà dell’azienda.
Lo studio, infatti, ha rilevato una correlazione
inversa tra la “familiarità” del marchio e il
punteggio dell’indice di fiducia. Come mostrato
dalla figura 2, le aziende più conosciute sono
anche quelle che registrano i più bassi livelli
di Truts&Like. Il rapporto afferma che questo
elemento era presente anche prima della
pandemia, ma sembra che l’emergenza abbia
intensificato il fenomeno accentuando la
polarizzazione della reputazione tra le big pharma.
FIDUCIA & GRADIMENTO
2.8
NOVO NORDISK
0.7
ROCHE
1.0
ASTRAZENECA
0.6
PFIZER
FIGURA 1 - Variazione nella reputazione dopo Covid-19
(Fonte: Global Pharma Study 2020, Caliber
76%
74%
72%
70%
68%
66%
64%
62%
TAKEDA
PHARMA
60%
0% 10%
NOVO NORDISK
MERCK
ABBVIE
(MSD)
& COTEVA
SANOFI
ASTRAZENECA
NOVARTIS
GLAXOSMITHKLINE (GSK)
Figura 2 - Llivello di fiducia in base alla notorietà del marchio
Fonte: Global Pharma Study 2020, Caliber
2.0
TEVA
ROCHE
SANOFI
NOVARTIS
BAYER
1.2
-0.1
-2.8
PFIZER
-2.5
ABBVIE
-0.3
LILLY
1.7
MERCK
-2.2
TAKEDA
BAYER
-0.9
GSK
J&J (JOHNSON&JOHNSON)
20% 30% 40% 50% 60% 70%
FAMILIARITÀ
36 37
MAKING LIFE | Gennaio 2021
Pharma
industry
in Italia,
fiducia con
riserva
Secondo un recente sondaggio, le associazioni italiane di pazienti
apprezzano la qualità dei prodotti farmaceutici ma sono critiche
riguardo alla trasparenza e alle politiche commerciali delle aziende
REPUTAZIONE IN
AUMENTO
Nel 2019, il 59% degli intervistati ha
descritto la reputazione aziendale
dell’industria del pharma come
“eccellente” o “buona”, una percentuale
in aumento rispetto al 56% del 2018.
Agli occhi delle associazioni italiane,
il punto di forza delle farmaceutiche
risiede soprattutto nella qualità dei
prodotti, giudicata positivamente dalla
metà del campione. Per quanto positivo,
questo dato risulta sensibilmente
in calo rispetto al 61% dell’anno
precedente. Nonostante la disposizione
complessivamente positiva, i
pazienti nel nostro Paese mostrano
preoccupazione per le politiche di
prezzo dei farmaci e per i livelli di
trasparenza del settore. Le politiche
sull’equità dei prezzi, ad esempio,
vengono ritenute eccellenti o buone
solo dall’8% dei gruppi intervistati
e la trasparenza delle politiche di
prezzo raccoglie un misero 13% (una
valutazione condivisa dai pazienti
di tutto il mondo: la media tra tutte
le 1.850 organizzazioni intervistate
globalmente è del 14%). Anche in
tema di accesso ai farmaci, i risultati
non sono incoraggianti: in Italia solo
il 22% dei gruppi apprezza l’operato
dell’industria (nel mondo sono il 26%).
UN CATTIVO
RAPPORTO CON LE
ASSOCIAZIONI
Deludente anche il rapporto con le
associazioni di pazienti, giudicato
eccellente o buono solo dal 29% delle
organizzazioni (a livello globale questa
percentuale sale al 42%). Secondo
i ricercatori, il rapporto tra aziende
e associazioni di pazienti in Italia
potrebbe essersi deteriorato durante
le fasi di negoziazione sui prezzi dei
farmaci: “Indubbiamente – afferma
il report – il pensiero dei gruppi di
pazienti è stato influenzato dal fatto
che i temi del prezzo dei farmaci e
della trasparenza hanno dominato il
panorama farmaceutico italiano per
tutto il 2019”.
Per quanto riguarda le singole aziende,
Roche gode della miglior reputazione
assoluta tra le 74 associazioni di
pazienti che conoscono il marchio, e si
posiziona al secondo posto per le 33
organizzazioni che hanno collaborato
con la multinazionale svizzera.
Complessivamente, Novo Nordisk si
classifica al secondo posto e Pfizer
al terzo. Pfizer si è anche classificata
al primo posto assoluto tra le 22
associazioni italiane che la hanno avuta
come partner.
Caterina Lucchini
LA
RICERCA
La considerazione dei pazienti italiani
per le aziende farmaceutiche è
migliore rispetto a quella negli altri
Paesi. Tuttavia, questo risultato si deve
soprattutto alla valutazione positiva
della qualità dei prodotti farmaceutici
mentre i giudizi sull’etica aziendale
risultano decisamente poco lusinghieri.
Lo rivela un’indagine pubblicata da
Research&Markets e intitolata: “The
corporate reputation of pharma in 2019
- The patient perspective - Italy Edition”.
Giudizi
Positivi
VALUTAZIONE POSITIVA DELLA REPUTAZIONE
DELL’INDUSTRIA DEL PHARMA
2018 56 %
VALUTAZIONE POSITIVA DELLA TRASPARENZA DEI
PREZZI SULLA QUALITÀ DEI PRODOTTI FARMACEUTICI
2019 50 %
2018 65 %
100
GRUPPI DI PAZIENTI
IN
ITALIA
GRUPPI DI PAZIENTI CHE
HANNO LAVORATO PER
ALMENO 1 PHARMA
65 % NOV
2019
IL
PERIODO
GEN
2020
Reputazione
Negativa
2019 59 % 8 %
VALUTAZIONE POSITIVA DELLE
POLITICHE DI EQUITÀ DEI PREZZI:
VALUTAZIONE POSITIVA DELLA
TRASPARENZA DEI PREZZI:
13 %
38
VALUTAZIONE POSITIVA IN TEMA
DI ACCESSO AI FARMACI:
22 %
MAKING LIFE | Gennaio 2021
YOUNGERS’ FEEDBACK
PHARMA E
GIOVANI
Bene, ma non
benissimo
Quale percezione
hanno i giovani
della reputation
delle aziende
farmaceutiche?
I risultati della
survey condotta
sui social da
MakingLife in
collaborazione
con Farmaceutica
Younger
In tema di reputazione delle
aziende farmaceutiche, un
interessante sondaggio è
stato condotto da MakingLIfe
in collaborazione con
Farmaceutica Younger,
piattaforma italiana dedicata
a giovani laureati in discipline
scientifiche che vogliono
reperire informazioni per
comprendere regole e
meccanismi del settore
farmaceutico. Con l’idea
di valutare la percezione
dei lavoratori più giovani,
la piattaforma ha lanciato
una survey tra i suoi social
follower. Pur non avendo
la pretesa di riprodurre un
campione statisticamente
rappresentativo, l’indagine
risulta ugualmente stimolante,
perché la maggior parte delle
risposte è stata fornita da
giovani tra i 26 e i 35 anni
che lavorano in un’azienda
farmaceutica.
QUANTO LE AZIENDE
FARMACEUTICHE
SONO ATTENTE ALLA
RESPONSABILITÀ
SOCIALE?
La prima informazione
che emerge è un generale
apprezzamento per il livello
di responsabilità sociale
mostrato dalle farmaceutiche.
Gli intervistati hanno valutato
questo aspetto con un
punteggio medio di 3,5 (su una
scala da 1 a 5) con oltre la metà
del campione che ha fornito
una valutazione positiva. In
particolare, l’8,6% ha attribuito
il massimo punteggio. La stessa
percentuale ha risposto con
giudizio negativo (“1” o “2”)
mentre il 38,6% ha valutato con
un “3” le performance sociali
dell’industria.
Percezione del livello di
responsabilità sociale
delle aziende pharma
QUALE INFLUENZA
HA IL MANIFESTO
ETICO DI UN’AZIENDA
SULLE SCELTE
PROFESSIONALI?
Si tratta di dati da non
trascurare, perché i giovani
sono particolarmente attenti
all’approccio delle aziende
sui temi sociali e ambientali
e questo fattore influenza
significativamente anche le
loro scelte professionali, come
conferma lo stesso sondaggio.
Il 42,9% degli intervistati, infatti,
attribuisce importanza 4 o 5 al
manifesto etico aziendale per
selezionare il proprio posto di
lavoro.
Influenza del manifesto
etico delle aziende sulle
scelte professionali
DURANTE UN
COLLOQUIO O IN
FASE DI ASSUNZIONE
TI È STATA SPIEGATA
IN MANIERA
ESAUSTIVA L’ETICA
AZIENDALE?
Questa esigenza non pare
essere pienamente recepita
dalle imprese, dato che quasi
l’80% dei giovani intervistati
lamenta di non aver ricevuto
spiegazioni esaustive sul
codice etico dell’azienda
durante il colloquio di
selezione.
I pochi cui è stata illustrata
la politica sociale sono
rimasti positivamente colpiti
soprattutto dal livello di
trasparenza (indicato in quasi
il 43% dei casi).
Seguono, a pari merito,
l’attenzione all’utilizzatore
finale, il rispetto per i
dipendenti, l’ambiente, la
sostenibilità e la categoria
“qualsiasi decisione, anche
la più piccola, deve sempre
essere presa in ottica di
preservare e garantire la
sicurezza del paziente”.
Riguardo agli aspetti etici
maggiormente penalizzati
dalle aziende, gli intervistati
si sono dimostrati meno
unanimi, indicando quasi
in egual misura tre diversi
fattori: “gestione del
personale”, “pratiche di
marketing”, “trasparenza
e cooperazione con altre
aziende farmaceutiche”.
Solamente l’ultima risposta
ha ottenuto una leggera
preferenza, raccogliendo il
40% delle scelte.
Aziende che illustrano
il proprio codice etico in
fase di assunzione
40 Silvia Vernotico
41
MAKING LIFE | Gennaio 2021
Il ruolo chiave della
Corporate Reputation
per le imprese
Micaela Terzi
Coltivare la reputazione delle organizzazioni diventa cruciale in un
momento come questo, di incertezza, sfide imprenditoriali e forte
competizione tra i talenti
RE
PU
TA €
TION
Micaela Terzi è una Business Coach che collabora con Accademia
della Felicità, società di coaching e formazione che aiuta aziende,
singoli professionisti e privati a realizzarsi e a esprimere
pienamente il proprio valore.
info@accademiafelicita.it
La corporate reputation è considerata
sempre più una risorsa di valore
per le aziende, e i membri dei board
sono consapevoli del loro ruolo
di responsabilità nel garantire la
reputazione e lo sviluppo del business.
Lo ha affermato Micho Spring,
presidente global corporate practice
di Weber Shandwick, che ha realizzato
la ricerca “The state of corporate
reputation in 2020: everything matters
now”.
La ricerca, condotta online raccogliendo
i pareri di oltre 2.200 dirigenti di grandi
società che operano in 22 mercati
differenti, ha rilevato che la corporate
reputation per i manager arriva a
coprire il 63% del valore di mercato di
un’azienda.
Saper soddisfare le aspettative dei
propri stakeholder nel tempo diventa
quindi un asset fondamentale, non
solo per le grandi multinazionali, ma
per chiunque faccia business, in tutti i
settori.
Secondo la ricerca di Weber
Shandwick la reputation è influenzata
da un insieme di diversi fattori, tutti
di impatto simile. Questo significa che
non è possibile focalizzarsi o dare
priorità soltanto ad alcuni di essi, ma
è necessario lavorare alla reputazione
dell’azienda in maniera complessiva.
Tutto influisce sul “giudizio” dei
consumatori: la qualità – non solo dei
prodotti ma anche dei dipendenti – la
cultura aziendale, la performance
finanziaria, i valori trasmessi
attraverso le strategie di marketing e
comunicazione, la qualità del Ceo ecc.
(% global executives rate
8-10 on 10-point scale)
Quality of products or services
FATTORI CHE CONTRIBUISCONO
ALLA REPUTAZIONE AZIENDALE
Quality of employees
Quality of customer service
Safety of product services
Respect for customer or employee privacy
Product or service innovation
Industry leadership
Financial performance
Value for the cost or price of products or services
Ethics and values
Technological advancement
Corporate culture
Corporate purpose
Quality of Ceo or Chair
Training and support for employees
Marketing and communications
Quality of senior leadershipother than Ceo or Chair
Diversity and inclusion of the workplace
Community relations
Governance
Environmental responsability
Global presence
Philanthropy or charity support
63%
63%
61%
60%
60%
59%
59%
59%
58%
58%
57%
57%
57%
56%
56%
55%
55%
54%
54%
53%
51%
50%
48%
Fonte: The state of corporate reputation in 2020: everything matters now
42 43
MAKING LIFE | Gennaio 2021
IL RAPPORTO CON IL
CLIENTE IN 7 STEP
È proprio il Ceo che gioca un ruolo
cruciale nella corporate reputation:
otto manager su dieci in tutto il mondo
affermano infatti che è importante che
queste figure comunichino apertamente
i valori della società in modo che ci sia
un riconoscimento positivo di tutta la
struttura. Questo significa che la cura
della reputazione non può più essere
relegata solo ai responsabili marketing
o comunicazione, ma è un affare che
coinvolge tutti coloro che fanno parte di
un’organizzazione.
Sempre più si parla di personal
branding, della logica, cioè, con cui
una persona crea e trasferisce a un
pubblico specifico la sua promessa
di valore. In azienda il valore viene
trasmesso dalle persone che ci
lavorano, la cui immagine può essere
un importante fattore di competitività.
Il personal branding consente
all’azienda di attirare le opportunità
più in linea con i suoi valori, agendo
per valorizzare i punti di maggiore
efficienza ed efficacia. Oggi infatti non
basta essere conosciuti per far sì che
i propri prodotti o servizi vengano
acquistati. È sempre più importante
lavorare sulla reputazione delle
persone che lavorano in azienda, per
far sì che i consumatori ne capiscano
il vero valore, anche rispetto ai
competitor. Il rapporto cliente/azienda
deve essere costantemente nutrito, per
far sì che vengano attraversati tutti gli
stadi che lo compongono:
Il pubblico ti
1 riconosce
Ha chiaro perché sei utile e
3 comprende il tuo valore
5
Ti sceglie
Ti consiglia ad
7 altri e parla
bene di te
Sa esattamente
che cosa fai 2
Percepisce il tuo
posizionamento e ti considera
come una delle possibili
opzioni
Ti rimane
fedele
4
6
Ogni business deve puntare ad
attraversare tutti questi stadi e non
fermarsi solamente alla vendita. I
clienti che vengono fidelizzati hanno
infatti un grandissimo valore, anche dal
punto di vista economico. Si calcola che
acquisire nuovi clienti costi all’azienda
cinque volte di più che fidelizzare quelli
che hanno già comprato una volta.
Inoltre, il passaparola fa risparmiare
moltissimo a livello di marketing e
comunicazione: in pratica, una buona
reputazione contribuisce a ridurre i
costi e massimizzare i guadagni, perché
spinge le persone a fare marketing al
posto dell’azienda.
EMPLOYER
BRANDING
All’interno delle attività che
contribuiscono alla corporate
reputation, il Ceo branding ricopre un
ruolo di estremo valore. Serve infatti
a veicolare al pubblico temi, valori
e competenze, in maniera chiara,
costante e coerente con gli obiettivi
aziendali. Quando il Ceo o le altre
persone chiave dell’azienda sono
identificabili in modo inequivocabile,
Un terzo degli
executive attribuisce
alla reputazione
dell’azienda oltre
il 75% del suo
valore di mercato
uno dei principali benefici è anche
l’employer branding. L’impresa è
cioè in grado di attrarre le persone
“giuste”, che condividono i valori
dell’organizzazione e quindi sono già
ampiamente ingaggiati, senza che sia
necessario investire ulteriormente in
questa attività.
Per la corporate reputation la
comunicazione dei valori aziendali
è fondamentale. Chiarire e poi
realizzare la propria mission, vision
e i propri valori, che sono considerati
driver principali di reputazione per il
marketing e la comunicazione.
Le organizzazioni possono rafforzare la
propria reputazione e avere un impatto
positivo partendo dalla comprensione
delle aspettative del pubblico e dal suo
coinvolgimento attivo.
INGAGGIARE I
CONSUMATORI
Con l’avvento del digitale i consumatori
hanno avuto la possibilità di entrare
ancora più in stretto contatto con i
brand e hanno sviluppato la tendenza
ad acquistare prodotti e servizi che
PERCENTUALE DEL VALORE DI MERCATO
ATTRIBUITO ALLA REPUTAZIONE DELL’AZIENDA
IL 76
PERCENTO
Non so
0%-25%
26%-49%
50%-75%
76%+
in qualche modo sentono di aver
contribuito a sviluppare. Le recensioni,
i feedback, i sondaggi, la condivisione
sui canali social diventano uno degli
strumenti chiave di cui dispongono le
aziende per entrare in contatto con
il pubblico di riferimento facendolo
sentire coinvolto nello sviluppo di
un prodotto e un servizio, che poi
diventa più facile vendere. Il marketing
e la comunicazione, quindi, non si
possono più limitare a raccontare
i benefici e le caratteristiche di
un articolo, ma devono pensare
a come ingaggiare i consumatori
raccontandone la storia e l’evoluzione,
permettendo così una maggiore
consapevolezza e condivisione dei
valori guida dell’azienda. A maggior
ragione – afferma Leslie Gaines-
Ross, chief reputation strategist di
Weber Shandwick – in un periodo
caratterizzato da incertezza, sfide
imprenditoriali, trasformazione digitale
velocissima e competition forte tra
talenti, in cui la reputazione è una
risorsa competitiva irrinunciabile:
«Coltivare strategicamente e
mantenere una solida reputazione, sia
internamente che esternamente, deve
essere una priorità assoluta per quasi
tutte le aziende».
14 %
33 % 6
12 %
10 %
31 %
Fonte: The state of corporate reputation in 2020: everything matters now
Fonte: The state of corporate reputation in 2020: everything matters now
44 45
MAKING LIFE | Gennaio 2021
I nuovi paradigmi
per l’informazione scientifica
Etica, integrità, valore dell’eccellenza: i paletti per una
comunicazione corretta riguardano anche il modo di
utilizzare la scienza
Caterina Lucchini
Una volta si parlava del
prodotto, delle sue qualità,
dei punti di forza. Oggi gli
approcci comunicazionali,
in tutti gli ambiti e anche in
quello medico-farmaceutico,
sono stati stravolti. Si tende
a parlare sempre meno
dell’oggetto in sé, che ha perso
la sua centralità nel processo
comunicativo: si racconta
piuttosto una esperienza,
si porta il consumatore ad
abbracciare la percezione
globale dell’azienda, i suoi
valori, la sua integrità,
l’etica che muove le scelte
strategiche. I consumatori
vogliono sapere chi sei, cosa
pensi, guardano alla tua
reputazione, per l’appunto,
prima ancora di capire cosa
hai da offrire. Questo vale
per tutti i settori, e quello
farmaceutico non può fingere
che questi cambiamenti di
espressione non tocchino
anche l’ambito della salute,
a maggior ragione in
questo momento storico.
La pandemia di Covid-19,
infatti, ha probabilmente
accelerato questo processo,
e sta già obbligando le
aziende a fare un passo
indietro per osservare con
umiltà quanto sta accadendo
e avere l’intelligenza di
capire quali passi compiere
per il futuro. La reputation
è sempre più importante in
ambito comunicativo ma non
si costruisce in un giorno.
Ci vuole tempo, costanza,
deve basarsi su un processo
analitico che porti a capire i
bisogni della società senza
avere l’arroganza di credere
di saperli già. Non essere
pronti a osservare, mettersi
in discussione e cambiare
ove opportuno, significherà
probabilmente essere tagliati
fuori. Anche nell’utilizzo
della letteratura scientifica
a sostegno delle proprie
campagne.
SCIENZA ED
ETICA DELLA
COMUNICAZIONE
L’editoria scientifica
rappresenta l’insieme delle
pubblicazioni che raccolgono
i risultati della ricerca
accademica e non solo. Si
tratta, come è stato anche
ricordato sulle colonne del
Sole 24 Ore, di “edizioni
fondamentali per contribuire
allo sviluppo stesso della
ricerca, attraverso il
confronto tra studiosi, ma
che sempre più devono
avere il compito di aprire la
ricerca verso la società”. Chi
si occupa di divulgazione
scientifica avrebbe il compito
di comprendere e digerire
le informazioni presenti
nell’editoria scientifica,
spesso dedicata a persone
esperte del settore, e
renderla comprensibile a
tutti. Attualmente però – si
legge nell’introduzione della
pubblicazione «L’etica della
comunicazione scientifica”,
a firma di Antonio Addis
(membro della Commissione
tecnico-scientifica dell’Agenzia
italiana del farmaco e della
Commissione regionale
del farmaco della Regione
Lazio) e Luca De Fiore
(Direttore generale de Il
Pensiero Scientifico Editore)
- la comunicazione soffre
numerosi problemi sia per
questioni legate alla cattiva
ricerca (la ricerca non
etica, la fabbricazione e la
falsificazione di dati, il conflitto
di interessi, la rendicontazione
incompleta, l’alterazione della
verità e il plagio) sia per i limiti
di un sistema accademico
che non premia la qualità dei
contenuti». Secondo gli autori,
è necessaria un’inversione
di rotta che potrebbe essere
basata su cinque principali
cambiamenti (vedi infografica).
Ai valori quali l’integrità,
la trasparenza e l’etica
spetterebbe pilotare i processi
comunicativi.
La comunicazione in ambito
biomedico e lo studio
delle criticità etiche a essa
collegate dovrebbero avere
un ruolo centrale nel percorso
di formazione e nel lavoro
di chi fa ricerca e chi opera
in medicina a qualsiasi
livello, dai ricercatori nelle
università, agli editori, alle
agenzie di comunicazione
che supportano l’industria,
all’industria stessa, alle
istituzioni, agli operatori
1
STABILIRE
POCHE REGOLE CHE
POSSANO ESSERE
REALMENTE SEGUITE
“Il codice deontologico di
Farmindustria sottolinea
l’importanza della trasparenza
e impegna le imprese a
tutelare la propria credibilità,
non ammettendo affermazioni
esagerate, asserzioni
universali e iperboliche, e
confronti non dimostrabili
e privi di una evidente base
oggettiva. Tuttavia non
mancano sia negli studi sia
nel marketing termini quali
breakthrough, game-changer,
miracle”
sanitari.
Inoltre, suggeriscono gli autori
nelle conclusioni dell’articolo,
sarebbe opportuno far
riaffiorare i principi proposti
da Alessandro Liberati,
medico prematuramente
pioniere delle sintesi delle
evidenze:
una comunicazione
onesta deve rendere
accessibili i risultati
della ricerca a chi deve
prendere decisioni che
riguardano la propria
salute
2
MIGLIORARE LA
QUALITÀ
DELL’INFORMAZIONE
SCIENTIFICA
“Le pubblicazioni sui
periodici editi dai predatory
publisher non dovrebbero
essere considerate utili ai fini
concorsuali e un database
pubblico che indicizzi queste
riviste potrebbe orientare le
istituzioni e i ricercatori”
3
ACCETTARE E
INCENTIVARE UN
CONFRONTO APERTO
“L’invito dovrebbe però
essere interpretato come
un maggior coinvolgimento
delle istituzioni nella
comunicazione”
i ricercatori devono
impegnarsi in studi che
promettano vantaggi
ai cittadini e non siano
unicamente utili alla
propria carriera o
all’industria
prima di aprire nuovi
fronti di ricerca è
opportuno esaurire le
potenzialità delle ricerche
già avviate
4
CONSENTIRE AI
CITTADINI DI POTER
ESPRIMERE E FAR VALERE LE
PROPRIE ESIGENZE
“Cambiare la prospettiva
– dall’informazione
unidirezionale alla
comunicazione
multidirezionale – prevede che
tutti i portatori di interesse
accettino di misurarsi con la
produzione di conoscenze,
diventando co-costruttori
della comunicazione. È
compito delle istituzioni
creare una cultura della
comunicazione nelle
organizzazioni, nei luoghi di
cura, dagli spazi cittadini alle
aree interne meno frequentate
e colpevolmente dimenticate.
Rispettando le differenze,
promuovendo la health
literacy, dando continuità al
dialogo: sperimentando le
opportunità offerte anche alla
comunicazione dal digitale e
dall’intelligenza artificiale”
la definizione delle
priorità della ricerca
dev’essere un processo
trasparente e condiviso
le “migliori evidenze”
(best evidence) sono
quelle ottenute con
metodologie di studio
più rigorose e quelle più
rilevanti per i cittadini e i
malati
5
TRASFORMARE
L’INCERTEZZA DA LIMITE A
VALORE
“Dal dubbio scaturiscono
nuovi interrogativi oggetto di
studio e, volendo coinvolgere
sempre di più i cittadini nella
determinazione dell’agenda,
è indispensabile presentare
la Medicina – salute e
malattia – come un ambito in
costante divenire, oggetto di
un’instancabile riflessione e
di un confronto il più aperto
possibile”
CINQUE PROPOSTE PER
IL CAMBIAMENTO
46 47
Comunicare la scienza
MAKING LIFE | Gennaio 2021
cosa NON
fare per
migliorare
la Reputation
Caterina Lucchini
LE NUMEROSE APPARIZIONI
MEDIATICHE DEI VIROLOGI
ITALIANI NELL’ULTIMO
ANNO NON HANNO GIOVATO
ALLA REPUTATION DELLA
COMUNITÀ SCIENTIFICA
A dicembre scorso Reputation
Science, società italiana che analizza
dati usando modelli matematici per
fornire e implementare strategie di
comunicazione, ha valutato l’impatto
comunicativo delle dichiarazioni
rilasciate dai virologi italiani che negli
ultimi dieci mesi si sono espressi
sulle misure anti-Covid adottate dal
governo e, in generale, sulla pandemia.
È stata una notizia che ha avuto forte
eco ed è stata ripresa da numerose
fonti: agenzie stampa, giornali, siti di
news, radio e tv. La società ha da subito
commentato che l’intento dello studio
è stato quello di indagare l’effetto
della comunicazione scientifica sulla
popolazione in un momento storico così
particolare, e non di creare “classifiche”
di esperti o giudicarne l’operato.
Sebbene non sempre la notizia sia
stata presentata evidenziando questo
come obiettivo primario, il valore dei
dati presentati è invece di grande
importanza per comprendere l’effetto
della comunicazione sulla Reputation del
mondo scientifico. Lo studio si è basato
su due indicatori: l’indice di allerta, e cioè
l’orientamento prevalente di ciascun
esperto rispetto al grado di rigidità delle
misure di contenimento da adottare, e
il grado di coerenza tra le varie opinioni
espresse nel tempo da ciascuno.
TROPPE
INFORMAZIONI
POSSONO
CONFONDERE?
La società ha esaminato centinaia di
dichiarazioni pubbliche di scienziati e
medici dal 1 febbraio al 20 novembre,
selezionandone oltre 120 con un
impatto mediatico significativo, che
hanno generato oltre 70mila contenuti
online tra web e social network.
Ebbene, i principali risultati dell’analisi
hanno fatto emergere un volume di
contenuti estremamente rilevante; basti
pensare che, secondo lo studio, durante
i 10 mesi presi in esame, ogni giorno,
le esternazioni degli esperti hanno
generato circa 234 contenuti sul web;
allo stesso tempo, ogni dichiarazione
ha generato in media 586 contenuti
online in totale. «Questo eccesso di voci
continue, sovrapposte e contrapposte
ha sortito l’effetto di disorientare
ulteriormente. È chiaro che si tratta di
una situazione inedita, però chiunque
parli deve tenere conto degli effetti
che le sue parole possono sortire»,
ha dichiarato in merito Auro Palomba,
presidente della società di analisi.
L’IMPORTANZA DI
MESSAGGI COERENTI
Oltre ad aver registrato una mole
elevata di informazioni, Reputation
Science ha anche rilevato un doppio
livello di incoerenza nelle dichiarazioni
rilasciate: molti esperti hanno infatti
cambiato approccio nei vari mesi e,
in generale, si è assistito a una forte
divergenza tra le opinioni riguardo alla
gravità della pandemia e alla severità
delle misure di contenimento. Questo
potrebbe aver confuso ulteriormente i
cittadini.
«Quando si decide di parlare in pubblico
bisogna occuparsi del messaggio che
viene trasmesso, non solo di quello che
si vorrebbe dire – rimarca Palomba
– La nostra ricerca dimostra su base
scientifica che alcuni esperti hanno
avuto un’enorme esposizione ma hanno
portato messaggi incoerenti. Questo
ha generato un senso di smarrimento
nell’opinione pubblica che può aver
condotto buona parte della popolazione
a una generalizzata sfiducia verso la
scienza», aggiunge il presidente di
Reputation Science. Stiamo vivendo
un momento di forte incertezza, e ora
più che mai è necessario comprendere
in modo chiaro i meccanismi della
comunicazione, il peso che singole
parole e messaggi più articolati
possono avere sulla percezione e
sui livelli di ansia delle persone, già
sottoposte a forti pressioni dal contesto
attuale. «Purtroppo – denuncia –
un effetto negativo di questo trend
riguarda il fatto che rischia di ledere
l’importanza delle misure e dei
comportamenti fondamentali per
limitare la pandemia».
48 49
MAKING LIFE | Gennaio 2021
LE BIOTECH
SALVERANNO IL MONDO
Monica Torriani
Al centro dello
sviluppo del
vaccino che potrebbe
scrivere la storia,
le biotecnologie
sono sempre più
decisive, con la forza
di uno strumento
inoppugnabile: la
scienza, motore di
trasparenza anche
nella comunicazione
Maria Luisa Nolli, cofounder e Ceo di NCNbio
e membro del board di Assobiotec
Le biotecnologie abbracciano
settori vasti e complessi,
comportano interazioni con il
Dna e sono coinvolte in ambiti
che si prestano al dibattito,
anche etico, e alla polemica.
«Gli Ogm hanno rivoluzionato
l’agrofood».
Esordisce così, nella nostra
conversazione, Maria Luisa
Nolli, cofounder e Ceo di
NCNbio e membro del board di
Assobiotec, partendo proprio
dal tema più spinoso, che
da anni tiene banco in molti
consessi e che continua a
essere uno dei nodi irrisolti
dei nostri contraddittori tempi.
«Quella rivoluzione è stata,
in parte, non compresa, ma
oggi abbiamo una carta in più:
quella di tecnologie sempre più
raffinate, del gene editing, che
possono migliorare sempre
di più la nostra agricoltura e
rendersi più comprensibili dal
grande pubblico.
In passato è stato commesso
un errore di comunicazione
proprio verso il fruitore dei
prodotti delle biotecnologie,
oggi al centro delle iniziative
delle associazioni di impresa e
scientifiche.
Siamo orientati verso un
approccio che fa leva sulla
presenza intrinseca della
scienza nelle biotecnologie, che
devono comunicare ai cittadini
costantemente e nella maniera
più appropriata, per evitare che
passino messaggi ascientifici,
superficiali e deleteri».
Che tipo di relazione lega
la reputation aziendale
costruita attraverso strategie
di comunicazione e quella
che esprime il sentiment dei
cittadini, che usano chiavi di
lettura diverse?
Oggi la scienza è nei discorsi di
tutti, anche perché attraversa
tutti i settori delle biotecnologie,
in primis quello della salute,
che ci vede oggi alle prese con
questa pandemia. Proprio la
scienza garantisce la relazione
fra questi due aspetti.
Da un lato abbiamo la
comunicazione aziendale, ad
esempio quella che è stata
prodotta dalle aziende che
hanno sviluppato i vaccini per
Covid-19, e dall’altro si trova la
comunicazione rivolta verso il
pubblico, che spiega perché i
vaccini sono sicuri.
E cioè perché, malgrado
la notevole accelerazione
impressa al loro sviluppo, sono
supportati da una scienza
d’eccellenza e da un regolatorio
che sorveglia tutto il percorso
dello sviluppo.
Ecco, il link è la scienza.
È possibile incentivare
il dibattito scientifico
minimizzando la confusione
che ne deriva?
I referenti della comunicazione
nei confronti della comunità,
non solo scientifica, ma sociale
nel suo complesso, dovrebbero
avere una visione comune.
Molto spesso, invece, si assiste
a un certo protagonismo
individuale, che non è positivo ai
fini della trasparenza. L’analisi
individualistica bypassa il
confronto, che rappresenta
un momento cardine per la
scienza, perché evita che si
imbocchino percorsi inefficaci.
Alla conclusione dei tavoli
più o meno formali, dovrebbe
emergere una visione univoca
e non le singole individualità.
Vede, noi siamo per natura un
Paese di forti individualità che
hanno bisogno di un fil rouge
che le unisca.
In futuro avremo sempre più
bisogno della collaborazione
dei cittadini con le
biotecnologie. Le aziende
possono facilitare questa
transizione?
In primis, occupandosi
delle malattie infettive, che
negli ultimi anni sono state
trascurate nelle pipeline dei
grandi progetti aziendali.
Poi, continuando a impegnarsi
nella comunicazione, perché
su questo versante l’asticella
continua ad alzarsi. Guardi
la situazione attuale: siamo
nel mezzo di una pandemia,
afflitti da problemi ambientali
di portata enorme. In questo
contesto, la sfida è quella di
comunicare l’impatto positivo
del biotech sulla società, in
termini di miglioramento
della qualità degli alimenti,
dell’ambiente e della salute,
associato a una sicurezza
sempre maggiore.
Non a caso, fra gli obiettivi di
questi ultimi anni di EuropaBio,
nella quale io rappresento
Assobiotec, c’è anche il
miglioramento della percezione
del biotech nella società.
E questo tema è uno degli
obiettivi della settimana
europea delle biotecnologie
che, promossa da Assobiotec,
viene organizzata ogni anno in
tutti i Paesi europei. Anche in
questo, la soluzione è puntare
sulla scienza, per i farmaci,
così come per l’alimentazione e
l’ambiente.
Genenta Science ha dichiarato
il suo interesse per un
contesto più internazionale. È
ora di un salto di qualità per le
biotech italiane?
Sicuramente Genenta,
supportata da tutto il gruppo di
ricerca che fa capo al professor
Naldini, è una candidata a
questo salto. Storicamente, se
lei osserva, questi salti sono
sempre quantici. Fra il 2013 e il
2014 abbiamo avuto importanti
merging e quotazioni in Borsa
di aziende che operavano nello
sviluppo di small molecules
scoperte con processi biotech
e quindi considerate in questo
settore. Oggi si parla di un
salto quantico per aziende
che fanno gene therapy
che, insieme alle Car-T e
all’immunoterapia dei tumori,
sta arrivando sul mercato non
solo con i grandi nomi, ma
anche con aziende di recente
costituzione che derivano da
costole dell’accademia. Genenta
è una di queste, tanto che
ha dichiarato pubblicamente
che, con la riorganizzazione
del management, punta alla
quotazione al Nasdaq.
Poi ci sono entità di eccellenza
di ricerca e sviluppo uniche
nel genere, come il gruppo
del professor Franco Locatelli
all’Ospedale Bambino Gesù, che
sta ottenendo grandi successi
nella costruzione di nuovi vettori
Car-T per un’immunoterapia
sempre più sicura. Un esempio
straordinario, un modello per
l’evoluzione del progetto di
ricerca dall’idea iniziale fino al
letto del paziente.
Sono molti gli elementi
accademici di ricerca e
sviluppo che potrebbero dare
vita a spin off di successo…
Come per l’hub del San
Raffaele, da cui è nata Genenta,
sono parecchie le realtà che
potrebbero diventare aziende.
Queste realtà sono eccellenze,
ma a macchia di leopardo in
Italia: come emerge da una
survey che stiamo conducendo
in NCNbio, le imprese biotech
da noi sono eccellenti in qualità,
meno in numerosità. Ma non mi
sento di criticare quest’ultimo
aspetto, perché il livello di
qualità è davvero molto elevato.
Il coinvolgimento diretto
del nostro territorio può
contribuire al controllo della
vaccine hesitancy?
Qui torniamo al concetto di
percezione. In Europa, ma
soprattutto in Italia, abbiamo
un ente regolatorio severo
in maniera direttamente
proporzionale alla qualità dei
farmaci che si vogliono mettere
prima in sperimentazione
clinica e poi in commercio.
Oggi c’è una tale sicurezza nel
controllo di qualità dei prodotti
che escono dalle officine che
è veramente impensabile e
sarebbe poco appropriato
dire che non sono sicuri.
Naturalmente, come per tutti
i farmaci, possono esserci
degli effetti indesiderati, ma
anche sul loro contenimento
c’è grande impegno e
responsabilità, sia da parte
delle aziende che del regolatore
Dobbiamo continuamente
comunicare questo aspetto.
D’altra parte, se il nostro
sistema sanitario è ritenuto da
tutti uno dei migliori al mondo,
è anche per la sicurezza che
garantisce a tutta la filiera.
50 51
MAKING LIFE | Gennaio 2021
DAL 2021, PER PROMUOVERE UN SISTEMA
ETICO E RESPONSABILE, LE AZIENDE
ASSOCIATE A CONFINDUSTRIA DISPOSITIVI
MEDICI DOVRANNO RENDERE PUBBLICI
I CONTRIBUTI EROGATI IN FAVORE
DI PROFESSIONISTI DELLA SALUTE,
ORGANIZZAZIONI SANITARIE, PROVIDER E
CURATORI DI CONVEGNI
Paola Arosio
Era il 2001 quando in Toscana esplose la tangentopoli delle
cardiochirurgie. Un’azienda del settore piazzava le proprie
forniture a suon di mazzette, elargendo a cardiochirurghi e
specialisti rianimatori bustarelle tra i 20 e i 100 milioni di lire
all’anno. L’inchiesta si concluse con una sfilza di patteggiamenti
e di condanne.
Nel 2008 fu la volta delle protesi ortopediche, con le imprese
produttrici che erano solite favorire i propri prodotti offrendo ai
medici viaggi all’estero, telefonini, computer, televisori.
Nel 2012 a entrare nel mirino fu la chirurgia plastica: un illustre
professore utilizzava le protesi mammarie di un determinato
produttore in cambio di apparizioni televisive, convegni, docenze
ai corsi.
Gli esempi potrebbero continuare, ricostruendo un quadro, tanto
preciso quanto poco edificante, delle forniture di dispositivi alle
strutture sanitarie.
Proprio per contrastare la corruzione in questo settore,
Confindustria dispositivi medici ha riservato alla trasparenza
uno specifico provvedimento, all’interno del proprio codice etico,
approvato nel 2018 e di prossima attuazione. Dal 1° gennaio
2021 le aziende associate dovranno, infatti, pubblicare sul
proprio sito web tutti i trasferimenti economici avvenuti nel
2020 ed effettuati nei confronti di professionisti della salute
(come medici, infermieri, personale di laboratorio, tecnici),
organizzazioni sanitarie (ospedali, uffici acquisti centralizzati,
cliniche, farmacie, laboratori, istituti di ricerca, associazioni di
pazienti), provider e organizzatori di convegni.
“
L’obiettivo del nostro lavoro è
ricostruire la fiducia tra il mondo
dei produttori, gli operatori
sanitari e la politica, facendo
della trasparenza uno degli
asset strategici per
le imprese del settore
Laura Ressa, direttore Affari legali e compliance
di Confindustria dispositivi medici.
53
MAKING LIFE | Gennaio 2021
PUBBLICARE
ANCHE DONAZIONI
E BORSE DI
STUDIO
SOBRIETÀ E INTEGRITÀ
Nel dettaglio, per quanto riguarda i professionisti devono essere
pubblicate le spese di partecipazione ad attività formative,
educazionali, promozionali sui prodotti organizzate dalle aziende
di dispositivi e i corrispettivi per consulenze e prestazioni
professionali, incluse le attività di speaker. I dati possono essere
resi noti in forma sia aggregata che individuale (in quest’ultimo
caso occorre, però, il consenso dell’interessato). Per quanto
concerne le organizzazioni sanitarie, occorre rendere pubblici,
in forma individuale e senza consenso, il finanziamento di
eventi formativi; i corrispettivi per consulenze e prestazioni
professionali, comprese le spese di viaggio e ospitalità; le
donazioni a favore delle strutture stesse. Altri dati da pubblicare,
in forma aggregata, sono le spese per le attività di ricerca e
per le borse di studio. Non è, invece, obbligatorio palesare i
contributi per materiali promozionali, pasti, bevande, campioni di
prodotto. Le aziende produttrici dovranno mettere in rete anche
una nota riepilogativa del metodo utilizzato per predisporre i
dati, con informazioni riguardanti Iva, valuta, aspetti fiscali. Tutte
le informazioni dovranno rimanere online per almeno tre anni.
ANALOGIE E
DIFFERENZE
Il nuovo provvedimento sulla trasparenza
aggiunge un ulteriore tassello al codice etico di
Confindustria dispositivi medici, un documento
che ha segnato l’avvio di un nuovo paradigma
incentrato su correttezza e responsabilità.
Già nel gennaio 2019 sono, infatti, entrati in
vigore altri due aspetti del codice. Il primo
concerne la sobrietà e riguarda i requisiti
organizzativi degli eventi di formazione, ovvero
congressi, corsi, seminari, workshop. Vanno
evitati, in particolare, alberghi a cinque stelle
(esclusi quelli in convenzione), località turistiche
di mare o di montagna in alta stagione, viaggi in
prima classe, attività ricreative, accompagnatori
e prolungamento delle trasferte a carico
dell’organizzazione. Per verificare, attraverso un
controllo preventivo, il rispetto delle disposizioni
è stato introdotto il “Sistema di valutazione delle
conferenze”.
Il secondo aspetto del codice concerne, invece,
l’integrità e riguarda la sponsorizzazione
indiretta. In pratica, il produttore può dare
il proprio contributo per la formazione degli
operatori, senza però intervenire nella scelta
del programma scientifico, dei relatori e dei
professionisti che ne beneficiano.
A monitorare in generale l’applicazione del
codice è un’apposita Commissione di controllo,
che supervisiona anche l’operato del “Sistema di
valutazione delle conferenze”.
REGISTRO PUBBLICO
SANITÀ TRASPARENTE
SUNSHINE ACT IN ATTESA
DI APPROVAZIONE
Parallelamente al provvedimento sulla
trasparenza, si è sviluppato il disegno di legge
numero 491 (il cosiddetto Sunshine Act),
approvato dalla Camera e in attesa del via libera
da parte del Senato, che mira a garantire il
“diritto alla conoscenza” dei rapporti economici
che intercorrono tra i produttori e gli operatori
della salute o le organizzazioni sanitarie. In
particolare, la norma propone di istituire, entro
sei mesi dalla sua entrata in vigore, il registro
pubblico “Sanità trasparente” sul sito web del
ministero della Salute, nel quale le imprese
dovranno segnalare le erogazioni in denaro o
in beni e servizi. L’obbligo di comunicazione
scatta per un valore unitario maggiore di 50
euro o superiore a 500 euro all’anno nel caso
dei professionisti della salute e per un valore
unitario maggiore di 500 euro o superiore a
2.500 euro annui nel caso delle organizzazioni
sanitarie. Per chi non rispetta le regole sono
previste sanzioni che vanno da 1.000 a 100mila
euro.
Anche il governo vorrebbe introdurre alcuni provvedimenti simili
alle disposizioni sulla trasparenza varate da Confindustria, ma
con qualche differenza. Per esempio, nel caso del disegno di
legge del governo, la categoria dei professionisti include anche
i componenti delle commissioni giudicatrici nelle procedure di
affidamento dei contratti pubblici; il consenso alla pubblicazione
non deve essere esplicitamente richiesto, perché si intende
prestato nel momento stesso in cui vengono versati i contributi;
le comunicazioni vanno effettuate ogni sei mesi; possono
essere pubblicate anche informazioni riguardanti parenti fino al
secondo grado e conviventi di un professionista.
54 55
RELA
ZIO
NI
PERI
CO
LOSE
LA PRODUZIONE MONDIALE DEI FARMACI DIPENDE IN
LARGA MISURA DALLA FORNITURA DI API DA PARTE
DEI 1.500 STABILIMENTI CINESI. OLTRE ALL’AZZARDO
GEOSTRATEGICO CHE QUESTO VINCOLO COMPORTA,
ESISTONO SERI RISCHI PER LA REPUTAZIONE DELLE
AZIENDE FARMACEUTICHE
Monica Torriani
”Quando controlli le forniture di farmaci, controlli il mondo” è il suggestivo mantra di Rosemary
Gibson, Senior advisor dell’Hastings Center e coautrice del libro “China RX - Exposing the risks of
America’s dependence on China for medicine”. Una frase suggestiva, che la Gibson non ha avuto
timore di ripetere davanti al Congresso, in un’audizione che si è tenuta lo scorso luglio.
E che esprime il sentiment che serpeggia nell’ambiente.
Del resto, gli analisti elaborano forecast brillanti per la farmaceutica del prossimo futuro. In questo
scenario, il mercato globale degli API raggiungerà i 245 miliardi di dollari entro il 2024, 63 in
più rispetto al 2019. Un Cagr nel periodo considerato (6,1%) mantenuto da un lato frizzante dal costante
incremento dell’incidenza delle malattie croniche, della richiesta di farmaci biotecnologici
e dell’uso dei generici, e dall’altro frenato dai costi significativamente minori di questi ultimi e dai
tagli alle debordanti spese associate alla sanità pubblica.
Questi numeri sono comunque subordinati al soddisfacimento della domanda globale di API nel
rispetto di standard di qualità elevati e di opportuni requisiti di sostenibilità ambientale. Tutti fattori
che concorrono alla costruzione (o alla distruzione) della reputation delle aziende coinvolte.
DIPENDENZA
RISCHIOSA
1QUALITÀ
Una delle principali preoccupazioni è legata alle
pratiche di produzione impiegate dai fornitori
asiatici. Le recenti rilevazioni di medicinali
provenienti dalla Cina contaminati con
nitrosammine e condroitinsolfato ipersolfatato
hanno accresciuto i timori in quest’ambito.
2AMBIENTE
Una produzione concentrata in pochi luoghi specifici
– particolarmente se i requisiti ambientali sono
permissivi – crea il rischio di elevate concentrazioni di
residui tossici con impatto sulle comunità biologiche e
potenziale sviluppo di resistenza ai farmaci. Nel 2007, la
concentrazione di ciprofloxacina nel polo produttivo di
Patancheru era un milione di volte quella delle acque di
scarico municipali.
3TRASPARENZA
MAKING LIFE | Gennaio 2021
Affidarsi massivamente a fornitori delocalizzati
che rispondono a criteri normativi diversi da quelli
europei o americani comporta seri rischi in termini di
qualità, impatto ambientale, sicurezza e trattamento
dei lavoratori. Incidenti o irregolarità rilevate presso
uno degli stabilimenti che producono farmaci o
API possono avere gravi ripercussioni anche sulla
reputazione delle aziende farmaceutiche.
Come rilevato dal pharmaceutical committee della
Commissione europea, un altro punto preoccupante
è il fatto che in molti casi i MAH non hanno un
sufficiente accesso alle informazioni sui processi di
produzione e controllo, in quanto tali informazioni
sono considerate commercialmente riservate dai
produttori di API.
4TRATTAMENTO DEI LAVORATORI
I diritti umani e le condizioni di lavoro sono tra le
questioni più controverse in tema di rapporti con la
Cina. Negli anni, diverse organizzazioni internazionali
hanno documentato violazioni riguardanti salario
minimo, orario di lavoro, requisiti ambientali, e azioni
inappropriate sui dipendenti da parte dei datori di
lavoro.
56
57
MAKING LIFE | Gennaio 2021
POTENZIARE LA
PRODUZIONE
SENZA RIDURRE
LA QUALITÀ
NO API,
NO FARMACI
Rendere la produzione di API scalabile
per fare fronte alle fluttuanti esigenze
del contesto sanitario globale richiede
una profonda conoscenza del process
design su cui intervenire. Inoltre, il
potenziamento produttivo giova alla
reputazione della company solo se
salvaguarda gli standard di qualità.
Per questo sarebbe importante poter
tracciare lungo tutta la filiera non solo
il prodotto finito, ma anche i suoi singoli
elementi costitutivi.
In Europa, è il MAH ad avere l’obbligo
di presentare la QP Declaration, che
attesta la conformità degli attivi alle
GMP e la conoscenza dettagliata della
supply chain. Al produttore spetta
la responsabilità di discutere con il
fornitore di API dei requisiti necessari
per raggiungere i livelli di qualità
imposti.
ALCUNI INCIDENTI NEGLI
STABILIMENTI PHARMA IN CINA
Lo stesso non avviene nei Paesi asiatici,
dove può accadere che i siti produttivi
non corrispondano a quelli dichiarati,
che alcuni step della produzione siano
subappaltati senza autorizzazione
o che le GMP non siano pienamente
rispettate.
Da questo punto di vista, la completa
digitalizzazione della filiera, ad esempio
mediante tecnologie blockchain,
consentirebbe una tracciabilità analoga
a quella dei farmaci finiti.
Nell’aria da anni, il tema della sicurezza
dei principi attivi è esploso nel giugno
2018, quando è stata rintracciata la
presenza di residui di nitrosammine nei
sartani.
Queste impurezze, che si possono
formare in seguito all’utilizzo di
determinati solventi, reagenti e
starting material o di apparecchiature
contaminate, sono classificate come
2019 Esplosione in una linea di produzione di
glutammina di Shenhua Pharma: un morto
e otto feriti.
2018 Vaccino nocivo contro l’idrofobia di
Changsheng Pharma: 15 arresti e vaccini
invenduti.
2017 Confiscati 252.600 falsi vaccini DPT di
Changsheng Pharma.
2016 Vaccino nocivo prodotto da una fabbrica
illegale e distribuito in 10 province cinesi.
2014 Farmaci contraffatti per il trattamento del
diabete nella Provincia di Henan.
2013 Decesso di sette neonati associato a un
vaccino nocivo di Kangtai Pharma.
probabili agenti cancerogeni per l’uomo.
Ema ha pubblicato tre paper con le
indicazioni dirette alle aziende per
una gestione efficace del problema,
che impongono ai titolari di AIC
adempimenti ai fini di scongiurare il
rischio di contaminazioni.
Tuttavia, il caso delle nitrosammine ha
richiamato l’attenzione sulla necessità
di una valutazione chimica degli API
durante il processo produttivo e di un
continuo aggiornamento sul fronte
regolatorio.
Aspetti che si ripercuotono sui piani di
approvvigionamento di materie prime
e sul process design delle aziende,
ma che è fondamentale considerare
per prevenire il danno reputazionale:
per quanto riguarda le nitrosamine, le
industrie coinvolte stanno valutando
l’ipotesi di citare in giudizio i produttori
di API.
DIMENSIONE DEL
MERCATO GLOBALE
DEGLI
API
$ 164,20
miliardi
L’ottenimento delle sostanze attive
dipende strettamente dal reperimento
degli starting material, per i quali la
Cina, forte dei suoi quasi 1.500 impianti
produttivi (sui 3.350 circa presenti a
livello mondiale) detiene il primato
produttivo. Tuttavia, in un contesto
nel quale la tutela della reputazione
aziendale confligge con la continuità
nelle forniture, l’impossibilità di
acquisire materie prime e intermedi che
soddisfino i requisiti necessari genera
interruzioni nella supply chain. Questa è,
insieme all’aumento della domanda, una
delle ragioni principali alla base degli
shortage che negli ultimi mesi hanno
agitato le acque già turbolente della
gestione dell’emergenza sanitaria.
Il ministro delle Finanze francese Bruno
Lemaire, solitamente compassato,
ha commentato con parole dure la
condizione della nostra industria
farmaceutica, invitando a rivedere il
concetto stesso di globalizzazione e
descrivendo l’eccessiva dipendenza
$ 261,28
miliardi
europea dalla Cina come “irresponsabile
e irragionevole”. Del resto, a fine gennaio,
quando ancora la COVID-19 non aveva
assunto le proporzioni della pandemia e
le difficoltà di reperimento cominciavano
già a balenare, anche oltreoceano
l’atteggiamento non era più rilassato, se
Ed Silverman pubblicava su Stat News
un pezzo dal minaccioso titolo “Ora è il
momento di preoccuparsi”.
L’affrancamento da questa dipendenza
è un processo la cui complessità
deve essere ancora compresa
completamente. L’India, definita da
molti “la farmacia del mondo”, si affida
alla Cina per l’approvvigionamento di
API, starting material e intermedi di
produzione. E tutti i suoi tentativi di
emancipazione sono miseramente falliti,
perché se i costi di manodopera sono
paragonabili nei due Paesi, la scala della
produzione cinese è irraggiungibile:
è questo a mantenere significativo il
differenziale dei prezzi per gli API
UNA PRODUZIONE
SOSTENIBILE FIN
DALLE PRIME FASI
Malgrado le preoccupazioni globali
in materia di protezione ambientale
connesse all’industria chimicofarmaceutica,
la vivace attenzione
dei media, e la nuova sensibilità della
cittadinanza rispetto a queste tematiche
– che hanno un deciso impatto sulla
reputazione delle aziende – non esiste a
oggi una regolamentazione specifica del
rilascio di sostanze nell’ambiente.
Non sono, per esempio, disponibili
informazioni sull’impatto ambientale
degli API, i requisiti da monitorare
sono insufficienti e non esistono limiti
specifici alle emissioni dagli impianti
produttivi.
In alcuni Paesi non esiste neppure
l’obbligo di dichiarare i disastri
ambientali.
Poiché la produzione sia degli attivi
che dei prodotti finiti è concentrata in
aree geografiche precise, le emissioni
inquinanti raggiungono in queste zone
concentrazioni allarmanti, tossiche
di per sé e, nel caso in cui si tratti
di antibiotici, attive nel contribuire
al fenomeno globale dell’antibiotico
resistenza.
La questione ambientale ha spinto il
governo cinese a innalzare gli standard
di produzione, imponendo adempimenti
più stringenti che hanno reso
economicamente insostenibile l’attività
per molte aziende.
“
Dobbiamo
guardare ai
farmaci come
siamo abituati
a guardare ad armi
di importanza
strategica
Andrew Badrot,
CEO di C-squared Pharma
Fra il 2016 e il 2018 circa 150 fabbriche
di API sono fallite, con ripercussioni
dirompenti sulla supply chain.
L’introduzione della tassa ambientale,
che risale al 2018, porterà a un gettito
complessivo preveniente dall’industria
dei principi attivi cinese pari a circa 50
miliardi di yuan (qualcosa come 7,68
miliardi di dollari) ogni anno.
L’incertezza regolatoria, la riduzione del
numero di impianti e l’aumento dei costi
della produzione sono destinati a ridurre
il peso della Cina nelle forniture mondiali
di API: siamo pronti a farcene carico?
Fonte: Does CSR Influence Firm Performance Indicators? Evidence from Chinese Pharmaceutical Enterprises, 2019
59
MAKING LIFE | Gennaio 2021
Nel lungo e complesso percorso
che conduce dal principio
attivo al farmaco, le GMP
(Good manufacturing practices)
rappresentano un riferimento
per ogni fase della produzione,
un insieme di norme
che regolano i processi e le
attrezzature nell’ottica di assicurare
al prodotto gli standard
di qualità appropriati.
Le GMP descrivono i processi
validati, i requisiti della formazione
del personale impiegato
nella produzione dei farmaci,
le procedure di pulizia e sanitizzazione,
le caratteristiche
dei locali e delle attrezzature,
la gestione dei reclami e dei ri-
La conformità alle GMP impone
che l’intero complesso del sichiami
dei prodotti dal mercato,
nonché le verifiche periodiche
da effettuare per ottenere
un prodotto compatibile con
gli elevati standard di qualità
richiesti nel farmaceutico.
Tradizionalmente, offrono la
garanzia della compliance del
medicinale in termini di qualità
per non lasciare spazio alla
possibilità di un errore che
comprometta, direttamente o
indirettamente, la salute del
paziente.
Poiché la regolamentazione
e la produzione dei farmaci
sono temi di respiro internazionale
con profonde ricadute
sulla sicurezza delle persone,
è necessaria non solo un’ar-
Le buone pratiche di produzione sono un requisito normativo
che una gestione accorta della comunicazione aziendale può
trasformare in un vantaggio sulla concorrenza
monizzazione globale degli
sforzi normativi ma anche il
mutuo riconoscimento delle
iniziative unilaterali. Anche
dal punto di vista delle GMP,
leggi e principi sono fondamentalmente
simili fra Europa
e Stati Uniti, pur caratterizzate
da alcune peculiarità nei
dettagli che arricchiscono le
rispettive linee guida.
Il substrato regolatorio europeo
alla base delle GMP è
costituito dalle due direttive
2001/83/EC e 2001/94/EC e
dall’EudraLex volume 4 della
Commissione Europea. Le disposizioni
sono state recepite
in Italia con il Decreto Legislativo
n. 219/2006.
Monica Torriani
“
The holder of a
manufacturing
authorization shall at least
be obliged: […]
(f) to comply with the
principles and guidelines
of good manufacturing
practice for medicinal
products and to use as
starting materials only
active substances which
have been manufactured
in accordance with the
detailed guidelines on good
manufacturing practice for
starting materials
EU Directive 2001/83/EC, art. 47
GMP: OBBLIGO O
OPPORTUNITÀ?
La conformità alle GMP è un
requisito previsto dalla legge
per le aziende farmaceutiche
e per tutti i produttori di beni
health related, che vengono
regolarmente ispezionati dal
regolatore per la verifica degli
adempimenti.
Sappiamo quanto il sentimento
comune viri al negativo per
effetto di parole come “obbligo”,
come rapidamente si sintonizzi
sulla frequenza della
necessità piuttosto che della
virtù. Ma potremmo rovesciare
la prospettiva provando con
una una chiave di lettura alternativa?
Il cambio di paradigma sulle
GMP coincide con l’introduzione
del concetto di Quality by
design (QdB), che riconosce la
qualità del prodotto non tanto
come un attributo del risultato
finale del processo produttivo,
ma piuttosto come il risultato
della sua verifica continua. Un
principio che si avvale di metodologie
statistiche, analitiche e
di risk management per la progettazione,
lo sviluppo e la produzione
di farmaci aderenti a
standard sempre più raffinati.
L’implementazione delle linee
guida ICH-Q8 (Pharmaceutical
development), Q9 (Quality risk
management), Q10 (Pharmaceutical
quality system) e Q11
(Development and manufacture
of drug substances) ha rivoluzionato
il concetto di qualità
nel pharma, imprimendo a
processi e procedure il rinnovamento
necessario a renderli
coerenti con il grado di innovazione
raggiunto nel frattempo
da scienza e tecnologia.
Una qualità migliore, dunque,
a vantaggio della robustezza
del processo, della minore incidenza
di difetti nei lotti e di
costi di produzione inferiori.
LA QUALITÀ
COME
RISULTATO DI
UN EQUILIBRIO
SINERGICO
Più nel dettaglio, come viene
codificata la qualità nella produzione
del farmaco?
Non è solo una questione di
sicurezza ed efficacia, benché
questi aspetti siano imprescindibili
per un prodotto che
determina un così ampio impatto
sulla salute.
Il concetto di qualità ha a che
vedere con molti altri parametri,
come la disponibilità del
farmaco, la sua idoneità per
l’uso e il rispetto dei requisiti
normativi. Inoltre, ce lo insegna
il QbD, non è circoscritto
al risultato finale, ma è l’effetto
dell’intero processo produttivo.
Esiste, poi, la nozione di qualità
percepita, definita dalla
valutazione finale dell’utente,
sempre più informato e attento
alla salute e abituato ad
attingere a un mercato esteso.
Oggi il pharma deve soddisfare
aspettative di innovazione
di gran lunga superiori al passato,
oltre a fare i conti con le
esigenze di sostenibilità, sia
economica che ambientale.
Ci si muove quindi su un affilato
crinale, in equilibrio fra
soddisfazione delle attese di
cambiamento e necessità di
contenimento dei costi. Fra la
strutturale inerzia dell’industria
dei farmaci e la spinta
a massimizzare dinamismo e
flessibilità.
In questo senso, le normative
che integrano le trasformazioni
sociali e tecnologiche
dei nostri tempi devono essere
viste come un’opportunità
(impegnativa) di crescita e di
creazione di valore.
OCCUPARSI
DEGLI IMPIANTI
SIGNIFICA
PREOCCUPARSI
DELLA
REPUTAZIONE
La manutenzione delle apparecchiature,
vitale per assicurare
all’intero impianto produttivo
condizioni di sicurezza
e corretto funzionamento, ha
dunque un ruolo fondamentale
nel mantenimento della
reputation di un’azienda, in
particolare se farmaceutica.
Non è difficile immaginare l’effetto
prodotto sull’immagine
di un brand dalla diffusione di
notizie sull’inefficienza di un
impianto o su un incidente occorso
durante una fase della
fabbricazione di un medicinale.
La scarsa aderenza alle GMP,
il continuo ricorso alla riparazione
reattiva, l’assenza di
una manutenzione strutturata
comportano inevitabilmente
amplificazione dei costi, perdita
della capacità produttiva,
riduzione della qualità del prodotto,
ma anche, specialmente
a seguito di reclami o di un ritiro
del farmaco dal mercato,
un danno reputazionale potenzialmente
fatale per un’azienda.
Le ripercussioni del caso nitrosammine
sono un tema attuale
che continua ad assorbire
sforzi notevoli in termini di reputation
management.
QUALITÀ: UN
CONCETTO
PER NULLA
SCONTATO
stema qualità sia documentato
in ogni sua parte, conosciuto
e condiviso da tutti i livelli del
personale, che comprenda la
struttura organizzativa, le procedure,
i processi, le risorse
adeguate, le azioni e le attività
correlate alla qualità del prodotto.
Qualunque deviazione
dagli standard deve essere documentata
e giustificata.
“
The manufacturer
shall establish and
implement an effective
pharmaceutical quality
assurance system,
involving the active
participation of the
management and
personnel of the different
departments
EU Directive 2003/94/EC,
art. 6
Esportando una buona parte
della loro produzione nel mercato
statunitense, le aziende
italiane sono regolarmente
sottoposte alle severe ispezioni
di FDA. Una garanzia di
qualità, quindi, per la nostra
industria. Che non può beneficiare
dei medesimi standard
nell’importazione dei principi
attivi, per la maggior parte acquistati
da Cina e India, Paesi
dove l’osservanza alle GMP
non viene sempre verificata e
le ispezioni da parte di organismi
internazionali riconosciuti
non sono sistematiche (vedi
anche articolo a pag.56).
Questa criticità, che nasce
dall’impossibilità attuale
dell’implementazione globale
di regole armonizzate, è un
forte limite per la garanzia di
qualità dei prodotti e certamente
un fattore che invita a
lavorare sul regolatorio internazionale
e a ripensare le logiche
dell’importazione.
60 61
MAKING LIFE | Gennaio 2021
ETICA
DELLE
SPERIMENTAZIONI
CLINICHE
Gaia Leonardi
PER SUPERARE LE
DIFFIDENZE DEI
CONSUMATORI NEI
CONFRONTI DEI TRIAL
CLINICI È NECESSARIO
RENDERE COMPLETAMENTE
ACCESSIBILI AL PUBBLICO LE
METODOLOGIE UTILIZZATE E
TUTTI I RISULTATI OTTENUTI.
MA LE PERPLESSITÀ SULLE
DISTORSIONI CONNESSE
ALLE PUBBLICAZIONI
SCIENTIFICHE APRONO
ULTERIORI INTERROGATIVI
Di trasparenza e studi clinici si parla da anni. Tuttavia è
innegabile che alla pandemia di COVID-19 va riconosciuto il
“merito” di aver diffuso il termine “trasparenza” accoppiato al
termine “ricerca clinica” molto e molto velocemente. Sputnik, il
vaccino russo tanto criticato, ne è un esempio. Ad argomentare
dibattiti sulla trasparenza ed etica delle ricerche cliniche non è
solo la comunità scientifica, ne parlano infatti anche le persone
non addette al settore, ognuno crea la propria opinione e,
come purtroppo troppo spesso accade quando si toccano temi
medici e scientifici, si crea un grande caos. Michele De Luca,
direttore del Centro di medicina rigenerativa “Stefano Ferrari”
dell’Università di Modena e Reggio Emilia, e Gilberto Corbellini,
epistemiologo, hanno commentato il tema in un articolo a loro
firma dal titolo “Vaccini e trasparenza: una questione malposta”.
Il loro invito, in sintesi, è di tornare a credere all’operato delle
agenzie che valutano i dati prodotti dagli studi clinici e presentati
per la richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio.
«Il sistema di controllo della qualità dei vaccini, messo in
piedi negli anni, oggi è diventato ipersensibile verso i rischi e
affermare, per esempio, che non ci si farà vaccinare finché non
saranno pubblicati i dati riguardanti il vaccino significa incorrere
in almeno due errori. Il primo – scrivono i due medici e scienziati
– è pensare che informazioni che compaiono sulle pubblicazioni
scientifiche, vagliate dai revisori, siano più affidabili di quelle
controllate e analizzate dagli scienziati e tecnici delle agenzie
che approvano i farmaci e quindi anche i vaccini. Il secondo
errore è una forma di autoinganno per cui chi esprime riserve
ritiene di essere in grado di apprezzare e giudicare informazioni
e situazioni molto complesse, di cui non è competente e
che di norma sono valutate da equipe di esperti altamente
specializzati».
62 63
MAKING LIFE | Gennaio 2021
UNIVERSITÀ POCO TRASPARENTI
I CINQUE PILASTRI DELLA
TRASPARENZA NEI TRIAL
Stando a quanto pubblicato nel 2019 da un rapporto congiunto
pubblicato da TranspariMED, BUKO Pharma-Kampagne, Test
Aankoop e Health Action International, l’83% degli studi clinici
(778) condotti dalle 30 migliori università europee di ricerca
medica violano le norme europee sulla trasparenza. Sembra
infatti che sebbene dal 2014 le università europee debbano
rendere pubblici i risultati di tutte le loro sperimentazioni
cliniche al fine di salvaguardare gli interessi dei pazienti e dei
contribuenti, i tassi di segnalazione riportati nel rapporto siano
solo del 7%. Le sole promosse tra le investigate, con oltre l’80%
dei risultati pubblicati, sono la University of Oxford, la University
College London, e il King’s College London. Per le altre, invece,
i dati sono molto meno incoraggianti. Le università francesi,
norvegesi, svedesi e italiane indagate hanno pubblicato un solo
studio e anche le altre 13 rimanenti hanno mostrato tassi di
rendicontazione compresi tra il 2% e il 33%.
Una maggiore trasparenza dei trial clinici ha vantaggi
indiscutibili: migliora gli outcome dei pazienti, permette una
migliore allocazione delle limitate risorse destinate alla ricerca
biomedica e all’assistenza sanitaria e facilita, accelerandolo, lo
sviluppo di nuove terapie.
Per GIMBE, la mancata trasparenza dei trial clinici può
aumentare il rischio di influenze indebite, manipolazione dei
dati e distorsione delle evidenze. Inoltre, visto che le autorità
regolatorie hanno un ruolo molto limitato nel processo di
reporting e pubblicazione, tale fenomeno ostacola i progressi
TRASPARENZA DEI TRIAL CLINICI
della medicina e gli obiettivi di salute pubblica e, nei casi più
gravi, apre le porte a condotte fraudolente e corruzione.
GIMBE propone un modello per migliorare la trasparenza degli
studi clinici basato su cinque pilastri.
I BIAS NEGLI STUDI CLINICI
Nell’ambito delle pubblicazioni scientifiche (vedi anche articolo a pag. 46)
vi sono due importanti fenomeni che portano a sovrastimare i benefici e
minimizzare i rischi: reporting bias e la distorsione delle evidenze.
REGISTRAZIONE
REPORT DEI
RISULTATI
PRINCIPALI
REPORT
INTEGRALE
PUBBLICAZIONE
CONDIVISIONE
DEI DATI
INDIVIDUALI DEI
PARTECIPANTI
1
UN DATO NEGATIVO NON TIRA – IL REPORT BIAS
La tendenza comune, sebbene sull’argomento si sia molto discusso,
è quella di pubblicare dati positivi e omettere quelli negativi. Questo
fenomeno, noto come reporting bias consegue a diversi fattori:
gli interessi dell’industria
gli interessi degli editori
gli interessi dei ricercatori
Registrare tutti i
trial clinici prima
del loro avvio
Rendere pubblici i
risultati principali
dei trial clinici
entro 12 mesi dal
completamento
Divulgare in
maniera proattiva i
risultati dettagliati
dei trial clinici
Pubblicare i
risultati dei trial
clinici
Condividere in maniera
efficace e attenta i
dati individuali dei
partecipanti ai trial
clinici
Figura 1. Modello proposto per la trasparenza dei trial clinici. Fonte GIMBE 2019
1
REGISTRAZIONE: tutti i trial clinici devono essere registrati su un registro di trial approvato dall’Oms, prima
dell’arruolamento del primo partecipante. La registrazione prospettica di un trial è un obbligo etico universale nella
ricerca clinica dal 2008. Tuttavia, uno studio del 2017 su 860 trial clinici ha rilevato che 556 non erano stati registrati e altri
157 erano stati registrati solo retrospettivamente. Meno del 19% dei trial valutati era stato registrato prospetticamente.
2
LA DISTORSIONE DELLE EVIDENZE
Le forme distorsive sono diverse e includono:
lo spin (alterazione della verità)
la manipolazione statistica
la pubblicazione selettiva di risultati parziali
la manipolazione completa dei dati
2
3
4
REPORT DEI PRINCIPALI RISULTATI: i report dei risultati principali di tutti i trial clinici devono essere pubblicati nei registri
in cui sono stati inizialmente registrati entro 12 mesi dal loro completamento.
REPORT INTEGRALE: tutte le informazioni rilevanti per interpretare i risultati di un trial dovrebbero essere divulgate in
maniera proattiva e rese disponibili alla comunità scientifica. Queste informazioni includono il protocollo originale del trial,
il piano predefinito di analisi statistiche, i Case report form e i Clinical study report.
PUBBLICAZIONE DEL TRIAL: i risultati di tutti i trial clinici devono essere pubblicati su una rivista scientifica o resi
gratuitamente disponibili in idonei registri o database di trial (preferibilmente in entrambe le forme).
5
CONDIVISIONE DEI DATI DEI PARTECIPANTI: devono essere stabiliti quadri normativi, regole, politiche e leggi che
consentano una condivisione efficace e attenta dei dati individuali dei partecipanti.
64 65
MAKING LIFE | Gennaio 2021
Integratori
+ sostenibili
+ competitivi
Gaia Leonardi
CRESCE ANCHE NELL’INDUSTRIA DEGLI INTEGRATORI
LA CONSAPEVOLEZZA CHE LA CRESCITA
DEL BUSINESS PASSA NECESSARIAMENTE
DALL’ADOZIONE DI PRATICHE DI SOSTENIBILITÀ
AMBIENTALE E SOCIALE
Adottare pratiche di sostenibilità
ambientale per la crescita del business
rappresenta oggi una necessità e una
sfida di primaria importanza per tutte
le aziende. Il settore degli integratori
alimentari non fa eccezione. Negli
ultimi anni, infatti, si è verificata una
convergenza interessante e sempre
più evidente tra sostenibilità e
competitività: in altre parole, essere
sostenibili vuol dire anche essere
più competitivi sia agli occhi delle
istituzioni, viste le risorse pubbliche
a disposizione, sia agli occhi dei
consumatori. Nove cittadini su dieci,
a livello globale, auspicano di vivere
in un mondo più sostenibile ed equo
nel post-Covid 19, e il 72% si aspetta
una trasformazione nel proprio stile di
vita, piuttosto che un ritorno al passato
(survey pubblicata dal Word economic
forum e realizzata da Ipsos).
UN’EQUAZIONE A TRE
FATTORI
Quali siano le azioni e l’impegno,
nell’ambito della sostenibilità, richiesti
alle imprese per poter diventare
protagonisti di una economia circolare
che possa creare un circolo virtuoso tra
le aziende, i suoi dipendenti, le persone
e l’ambiente, lo ha egregiamente
illustrato Valentina De Marchi, docente
di Economia e gestione delle imprese
presso il Dipartimento di economia e
management dell’Università degli studi
di Padova e presidente di Gronen (Group
for research on organizations and the
natural environment), in occasione
di un evento promosso sul tema da
FederSalus.
Quando si parla di sostenibilità, ci
sono tre dimensioni a volte in tensione
tra loro ma che devono viaggiare in
parallelo e, auspicabilmente, rimanere
in equilibrio: la dimensione economico–
finanziaria, quella sociale e quelle
ambientale.
«La sostenibilità – ha spiegato De
Marchi – rappresenta un’opportunità
di crescita chiaramente mediata
dall’innovazione, per permettere
la quale servono sia competenze
gestionali che professionali».
Sovrautilizzo delle risorse, uso non
virtuoso delle stesse e crescita costante
della popolazione mondiale. La sfida da
vincere a fronte di una popolazione in
crescita e di un costante impoverimento
delle risorse del pianeta – troppo
sfruttate e male – è quella di creare
un’economia sostenibile che, secondo
De Marchi: «Vorrebbe proporsi come
possibile soluzione alla ricerca di
approcci innovativi per invertire la rotta
e normalizzare il modello, andando a
esplorare come usare meglio le risorse
e creare cicli virtuosi negli ecosistemi».
66
67
MAKING LIFE | Gennaio 2021
COME RENDERE
SOSTENIBILE
UN’AZIENDA?
LA CIRCOLARITÀ
De Marchi ha messo a fuoco
due obiettivi: il primo riguarda
l’ascolto delle esigenze dei diversi
stakeholder esterni all’impresa, in
modo sistemico; il secondo prevede
la revisione del modello produttivo,
che dovrebbe passare da un percorso
lineare a uno circolare. Se nel modello
ECONOMIA
LINEARE
lineare, nato negli anni ‘70, le materie
prime sono percepite come infinte,
in quello circolare si cerca invece
di ridurre al minimo il loro utilizzo,
guidati dal concetto del riuso delle
risorse per tutta la loro vita utile.
«Questo modello – ha sottolineato De
Marchi – richiede un ripensamento
della progettazione e della modalità
con cui sono distribuiti i prodotti, “la
geografia” della distribuzione, come
sono utilizzati e raccolti per ridurre al
minino la quantità di sprechi e rifiuti».
ESSERE CIRCOLARI
PAGA?
Sulla base dei risultati ottenuti da
un’indagine condotta dall’Università
di Padova su 55 imprese italiane
che applicano modelli circolari, la
risposta è sì! E non solo in termini
economici o reputazionali, ma anche in
termini di aumento della motivazione
del personale (grafico a fianco). La
ricerca evidenzia come l’investimento
tecnologico (in 4.0) sia strettamente
legato all’implementazione di
percorsi circolari. Ciò che è emerso,
infatti, è che l’economia circolare
si sviluppa utilizzando modelli di
business, tecnologie e competenze
legate all’industria 4.0. Le tecnologie
possono sostenere in modo positivo
l’economia circolare in particolare
nella capacità di avere maggiore
conoscenza (misurazione, tracciabilità) e
monitoraggio sui processi e sui prodotti.
Migliorata reputazione
aziendale
87,6
Riposizionamento brand
(differenziazione)
68,8
Migliorata motivazione personale/
cultura d’impresa
68,8
Aumentata varietà prodotti/
servizi offerti
66,6
Entrata in nuovi mercati
Aumentata quota di mercato
Riduzione dei costi
Struttura dei costi più stabile
Allineamento con la
concorrenza
Agevolazione al credito
I BENEFICI OTTENUTI (%)
48,9
46,8
44,7
36,2
12,8
8,5
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90
Materie
prime
Produzione Distribuzione Consumo
Rifiuti
«Le aziende possono iniziare
ponendosi alcune domande guida,
per trasformare le proprie attività
ed essere più sostenibili».
Valentina De Marchi
COSA FARE IN PRATICA
Da dove viene la materia prima utilizzata?
Che fine farà? Come sarà usato e smaltito il prodotto?
Quanto scarto ci sarà?
ECONOMIA
CIRCOLARE
Progettazione
Come arriverà al consumatore?
Come viene realizzato il componente che uso, con componenti chimici?
Come crea valore?
Come posso offrire nuovi servizi piuttosto che nuovi prodotti?”
Riciclaggio
Materie prime
Rifiuti
residui
Raccolta
Produzione,
rifabbricazione
Distribuzione
Consumo, uso,
riutilizzo, riparazione
INVESTIRE IN
ATTIVITÀ DI
MARKETING
Dal punto di vista manageriale, infine,
emerge come l’investimento nelle
attività di marketing e commerciali
sia parte essenziale e prioritaria
per l’adozione di qualsiasi modello
di business “circolare”. Come si
legge nelle conclusioni della survey
prodotta dall’Università di Padova,
infatti, il marketing in questo contesto
si configura come uno strumento
necessario per colmare il gap tra
finalità di accrescimento del valore
del prodotto e reale capacità del
mercato (consumatori) di riconoscere
il maggior valore connesso a processi
di innovazione (di prodotto e processo).
Tali investimenti sono essenziali per
ripensare il modo di consumare e
fare impresa e per dare un impulso
al processo di transizione verso
un’economia circolare.
SOSTENIBILITÀ, UNA STRATEGIA AZIENDALE
Per giovare alle aziende e
all’occupazione, la sostenibilità deve
diventare una strategia aziendale:
pianificata e progettata: il ritorno
economico degli investimenti è a
medio termine
in grado di ideare nuovi processi
e nuovi modelli di business
con ricerca attiva di risorse
misurabile: in questo senso, sono
molto utili le certificazioni, anche
interne alle stesse aziende
68 69
MAKING LIFE | Gennaio 2021
PRODUCTION
Pharma Telling & Industry
MAKING LIFE | Gennaio 2021
IL“SENSE OF PURPOSE”
DELL’ECOSISTEMA
FARMACEUTICO
Teresa Minero
È Ceo e fondatore di LifeBee - Digitalizing Life Sciences, ed è
parte dei 15 che, attraverso l’International board of directors,
guidano ISPE, la più grande associazione globale no profit per
i professionisti del farmaceutico: industria, indotto, agenzie
regolatorie e accademia.
Il settore farmaceutico e quello delle Scienze della Vita,
con il suo multiforme indotto, stanno attraversando
una delle fasi di trasformazione più radicale e
complessa, ma di certo affascinante, che abbiano mai
vissuto.
Come base di ogni considerazione
sul momento che stiamo vivendo, mi
piace premettere ancora una volta ciò
che mi avrete già sentito dire, ma che
ritengo fondamentale per ogni donna
o uomo che lavora per le Scienze della
Vita e per il suo ecosistema. Se è vero
che ognuno di noi è un consumatore,
è altrettanto vero che il fruitore finale
della “nostra” catena del valore è
invece un paziente, che spesso non
può scegliere, ma ha necessità per il
proprio benessere, e ancora di più per
la propria salute, di un farmaco o di un
dispositivo medico sicuro ed efficace,
nei tempi giusti e, non dimentichiamolo,
a costi sostenibili.
A differenza di altri settori industriali,
perciò, noi tutti nella filiera dobbiamo
tenere conto di regole e linee guida,
la cui applicazione è controllata dalle
agenzie del farmaco, che in ogni
regione e Paese del mondo sorvegliano,
con ampi spazi di armonizzazione, i
nostri stabilimenti, i nostri prodotti e i
nostri servizi.
Dai fornitori di materie prime a quelli di
macchine e servizi per la produzione e
la distribuzione, il tutto a piena garanzia
della salute del paziente.
Un concetto, quello di avere un paziente
alla fine della nostra catena logistica,
che può sembrare banale e di facciata,
ma che sono convinta invece dia a
ogni nostra attività un valore etico,
un “sense of purpose” come dicono
gli anglosassoni, che ci differenzia da
tutti gli altri settori e ci fa percepire
un senso di appartenenza e una
responsabilità importante e unica.
Ci ricordano gli analisti che entro sei
anni i millenial saranno il 50% della
forza lavoro e che sarà sempre più
difficile attrarre giovani con talenti
multidisciplinari, che saranno sempre
più necessari: un po’ scienziati e un po’
ingegneri con un ampio set di soft skill.
Mi sento però di darvi una buona
notizia: sempre secondo gli stessi
analisti, per i millenial. flessibilità e
“sense of purpose” sono determinanti
per scegliere il lavoro della vita.
Ho l’ambizione di credere che a loro, ai
giovani che ci sceglieranno come “casa
professionale” proprio perché abbiamo
un “sense of purpose” unico, daremo in
mano le leve del cambiamento, in atto
da tempo ma oggi obbligato a causa
dell’emergenza pandemica globale.
Un cambiamento che va e deve andare
costantemente verso la ricerca di un
incessante miglioramento: di prodotti,
processi, servizi e informazioni.
Nei prodotti vediamo un sempre
più marcato spostamento verso la
personalizzazione, verso il biologico,
il biotecnologico e le terapie avanzate
(ATMP) grazie alle terapie geniche,
cellulari e tissutali. Un orizzonte del
tutto nuovo, di certo complesso, ma
nel quale si apriranno – solo per chi
sarà capace di vederle – nuove e grandi
prospettive professionali e di offerta.
Sempre sul fronte prodotti, è senza
dubbio un cambiamento epocale l’arrivo
delle terapie digitali, note come DTX (o
Digital therapeutics), di fatto “app” per
la cura di una malattia (già approvate
ad esempio per diabete e broncopatie)
con il software a coprire il ruolo del
vero e proprio principio attivo, qualcosa
di inimmaginabile anche solo una
manciata di anni fa. Anche qui grandi
opportunità, in particolare per un Paese
come il nostro, con scolarità e creatività
uniche.
Nella filiera, oltre ai riflessi immediati
dell’arrivo dei prodotti innovativi
(si pensi alla necessità di catena
del freddo per molti di questi), la
sostanziale ristrutturazione è resa
ormai necessaria dalla pandemia,
che ha messo in luce il rischio di
carenza di produzioni locali di principi
attivi, farmaci e dispositivi medici
e la necessità di picchi di esigenze
produttive non previsti. Parlando di
pandemia e di regolatorio, sembra
persino superfluo citare la impellente
necessità di accelerazione nella ricerca,
sviluppo e approvazione di vaccini e
farmaci, fermo restando il rigore del
controllo a tutela e garanzia della salute
dei pazienti.
E ancora un altro cambiamento,
pure epocale: il focus sempre più
sull’informazione, con un 4.0 che
si è allargato a tutte le nostre
organizzazioni. Siamo partiti qualche
anno fa dal rinnovo delle macchine
produttive, anche grazie a un illuminato
piano di incentivi, e siamo oggi alla
“integrazione orizzontale” delle
informazioni su tutta la catena logistica
e a quella “verticale” dal sensore sulle
linee produttive sino alle agenzie
regolatorie. Il 4.0 e la digitalizzazione
non sono una moda, e non sono mera
tecnologia.
Chi fa materie prime e prodotti
condivide oggi con i clienti nel cloud
dati critici di qualità dei lotti, tempi
previsti di consegna e molto altro.
Chi fa impianti vende un intero
servizio, invece di una macchina (è la
servitizzazione): procura la macchina,
ma raccoglie anche i dati di efficienza
con dispositivi IoT, fa manutenzione da
remoto grazie alla realtà aumentata,
applica l’intelligenza artificiale per
analisi predittive. In modo analogo,
mutatis mutandis, chi produce medical
device o parti di esso.
Da ultimo, ma determinante, il ruolo
della digitalizzazione e della cultura,
prima ancora della tecnologia, 4.0.
Si pensi al “Manifesto 2030 per la
leadership italiana nell’industria
manifatturiera farmaceutica innovationdriven”,
presentato al Senato nel
settembre 2019 e partecipato anche
da aziende come Dompé e Sanofi.
Identifica, tra i tre obiettivi strategici
per il mantenimento della posizione
di primato raggiunta negli ultimi
anni dall’Italia, la creazione di un hub
industriale farmaceutico 4.0, e la
“digitalizzazione” unita a “persone/
competenze” tra le due aree di
intervento a sostegno di tale strategia.
In altre parole, e in termini riconosciuti
da tutti gli analisti e da tutti i settori
industriali, dobbiamo attivare con
convinzione una digital & cultural
transformation per guidare e sostenere
una business transformation che ci
renda più competitivi sui mercati globali
e ci abiliti ad affrontare le nuove sfide
che un mondo in continuo e pressante
cambiamento ci impone.
Nel nostro settore con un valore in più,
quello etico, appunto.
Ho avuto recentemente l’onore di
essere moderatrice in un bel dibattito
organizzato da ISPE Europa tra
rappresentanti di autorità regolatorie,
tra cui US, UK, Consiglio europeo,
WHO, Russia e Spagna incentrato sulla
visione delle Agenzie sugli impatti del
Covid-19. Non posso citare tutta la
ricchezza e la chiarezza del dibattito,
ma posso estrarne uno dei molti
spunti: usiamo bene le informazioni
che già abbiamo, creiamone di nuove
e analizziamole bene grazie alle
nuove tecnologie, e semplicemente
comunichiamo e collaboriamo, non
lavoriamo a silos, ma tutti insieme:
industria, indotto, accademia e autorità
regolatorie.
E torno all’inizio: tutto ciò nell’interesse
dei tanti pazienti che stanno alla
fine della nostra catena del valore
e che stanno aspettando il farmaco
o il dispositivo efficace, sicuro, al
momento giusto e al prezzo giusto.
E nell’interesse delle tante donne e
uomini, giovani e meno giovani ma con
tanta esperienza, che con passione
lavorano in Italia nel nostro comparto
e sentono ogni giorno questo “sense of
purpose” che li accomuna.
Questo qualcosa ci ha fatto andare
lontano e, se ci crediamo, ci sosterrà
ancora.
72 73
MAKING LIFE | Gennaio 2021
COMPETENZE
AL SERVIZIO
DELL’EMERGENZA
Il laboratorio applicativo food a
Nerviano non si è fermato durante
il lockdown e l’esperienza dei
lavoratori è stata messa al servizio
dell’emergenza, portando alla
formulazione di gel per le mani
“premium” efficaci, pratici e delicati.
SMARTWORKING
Faravelli ha implementato lo smart working per tutte le funzioni in grado di
operare con questa modalità. Ha inoltre deciso di raccontare tra il serio e il faceto
l’esperienza di 20 collaboratori. La relativa campagna #faravelliinsmartworking
ha dato origine a un video in cui ognuno ha dato il suo punto di vista.
formulazione di gel per le mani “premium” efficaci, pratici e delicati.
La reputation
secondo
Giusto
Faravelli
COMUNICAZIONE
CON GLI
STAKEHOLDER
L’azienda si è attivata
immediatamente comunicando le
proprie intenzioni agli stakeholder,
attraverso notizie aggiornate sul
proprio sito.
Scansiona per vedere il video
Vincitrice del Best
Managed Companies
Award 2020, ecco le
iniziative promosse
dall’azienda durante il
lockdown
Caterina Lucchini
Capacità organizzativa, strategia e
performance. Sono questi caratteri
distintivi che hanno permesso a
Giusto Faravelli SpA di concorrere e
essere tra i vincitori del premio Best
managed companies award 2020.
L’iniziativa, giunta alla sua terza
edizione e promossa da Deloitte, si è
basata sulla valutazione delle aziende
italiane in base a sei criteri: Strategia,
Competenze e Innovazione, Corporate
Social Responsibility, Impegno e
Cultura Aziendale, Governance e
Misurazione delle Performance,
Internazionalizzazione.
Cinquantanove aziende italiane, tra
cui Giusto Faravelli SpA, si sono
aggiudicate il premio nel 2020.
«La soddisfazione è grande! Essere tra
le realtà premiate a livello nazionale
è un risultato a cui ambivamo, ma
che sapevamo non essere facile da
raggiungere». Secondo Luca Benati,
Ceo di Faravelli: «Il merito di questo
riconoscimento va a tutti i nostri
collaboratori e al lavoro svolto sempre
con grande impegno e dedizione. Credo
possiamo essere tutti orgogliosi».
Un importante traguardo che concima
la reputation di questa azienda. Un
obiettivo che si raggiunge – continua
Benati – grazie alla capacità di saper
mettere a fuoco le caratteristiche
che rendono un’azienda eccellente,
ma anche di riuscire a cogliere i
punti su cui occorre impegnarsi
maggiormente in futuro per migliorare
sempre di più. «La reputazione
per noi – sottolinea Benati - è fatta
di “promesse mantenute” ed è un
concetto di fondamentale importanza
in quanto precede l’inizio di qualsiasi
rapporto commerciale e professionale
costituendone presupposto essenziale».
Nella pratica, cosa significa questo?
Abbiamo raccolto e raccontato
le iniziative di Faravelli durante il
lockdown della scorsa primavera, per
capire in che modo un’azienda premiata
per le sue eccellenze, abbia deciso di
muoversi in un momento storico così
delicato.
CAMPAGNA #COSAFARAI?
Scansiona per
vedere il video
Utilizzando il format della clip e del fumetto e accompagnati da una colonna
sonora scanzonata, i FARAvelliani, i collaboratori di Faravelli, hanno raccontato i
loro piccoli grandi progetti post Covid. Lo scopo di questa campagna è stato quello di
proporre una prospettiva positiva e un elogio alla normalità.
CAMPAGNA DI
FUNDRAISING
Fai come Faravelli, sii virale contro
il virus: dona anche tu!” con
questo claim l’azienda ha scelto di
raccogliere l’invito della Regione
Lombardia lanciato a marzo
2020 sostenendo e partecipando
all’azione virale di raccolta fondi a
favore di strutture sanitarie, medici,
infermieri e tutto il personale in
prima linea nella lotta al Covid-19
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MAKING LIFE | Gennaio 2021
Un percorso di
responsabilità
Maria Pina Rossi
GIÀ DA ALCUNI ANNI
IMA HA INIZIATO IL
SUO PERCORSO VERSO
UN POSIZIONAMENTO
DI RESPONSABILITÀ
SOCIALE A SOSTEGNO
DELLA COMPETITIVITÀ
D’IMPRESA.
Maria Pina Rossi si occupa di CSR e
Corporate Communications a IMA S.p.A.
IN CONTATTO COSTANTE CON
I PRODUTTORI NELL’AMBITO
ALIMENTARE, FARMACEUTICO,
COSMETICO E NUTRACEUTICO,
IMA NE RECEPISCE LE NECESSITÀ
PRODUTTIVE CON L’OBIETTIVO DI
AUMENTARE LA QUALITÀ DELLA
PRODUZIONE RIDUCENDONE I COSTI
NEL RISPETTO DELLE NORME LOCALI
E INTERNAZIONALI, DELLA SICUREZZA
E DELL’AMBIENTE.
Nella pianificazione delle proprie
strategie, IMA tiene conto delle
implicazioni economiche, sociali
e ambientali del suo operato, con
l’obiettivo di garantire l’equilibrio tra
competitività, sostenibilità ambientale
e responsabilità sociale d’impresa.
Alla base della propria politica di
sostenibilità, IMA considera gli Obiettivi
di sviluppo sostenibile dell’ONU (SDGs)
individuando quelli più rilevanti rispetto
alla propria catena del valore, alle
esigenze espresse dai propri clienti e
dai mercati di sbocco – soprattutto in
termini di caratteristiche di sostenibilità
che sempre più deve avere il packaging
del futuro – e alle partnership locali e
globali.
NEL
2012
IMA redige annualmente la Dichiarazione
consolidata di carattere non finanziario (DNF)
dove vengono rendicontati, e poi certificati da
una società di revisione esterna, dati
e informazioni di natura ambientale, sociale
ed economica.
Negli ultimi anni, IMA ha scelto di posizionarsi
sempre di più come azienda sostenibile,
integrando nella definizione della strategia
aziendale e nella declinazione delle proprie
politiche, gli interessi degli stakeholder e gli
impatti ambientali, economici e sociali delle
proprie attività.
NELL'OTTOBRE
2019
IMA ha formalizzato il suo impegno con
l’adesione ad associazioni e organizzazioni
che operano per la diffusione della
Sostenibilità di impresa come “Impronta
Etica” e “Save Food” e ha pubblicato il suo
primo Profilo di sostenibilità. L’adesione, lo
stesso anno, al Supply chain program di CDP
(già Carbon disclosure program) e dal 2014
a oggi al Climate change program di CDP
rappresentano un ulteriore sviluppo nella
rendicontazione delle sue emissioni dirette
e indirette e nel suo impegno verso una loro
costante e graduale riduzione.
DAL
2017
è stata organizzata la prima edizione del
Workshop Multistakeholder al quale hanno
partecipato rappresentanti qualificati di
imprese, enti, istituzioni, associazioni e mondo
accademico. Attraverso questa iniziativa,
IMA ha rafforzato le attività di dialogo con
tutti quei soggetti con cui interagisce
direttamente o indirettamente,
confrontandosi sulle proprie linee di
indirizzo strategico nell’ambito della
sostenibilità e raccogliendo spunti e
suggerimenti.
I progetti
La crescente attenzione per le
tematiche di sostenibilità ambientale
nel mondo ha portato allo sviluppo
di molteplici progetti e iniziative
all’interno del Gruppo. Nell’industria
delle macchine per il processo e il
packaging, le azioni indirizzate alla
sostenibilità mirano a progettare
soluzioni innovative in grado di ridurre
il consumo di risorse nel corso della
produzione.
PACKAGING
ECOCOMPATIBILE
Nell’ambito della sua politica
globale per l’ambiente, IMA investe
sull’innovazione sostenibile, adottando
progressivamente soluzioni in grado
di ridurre il fabbisogno energetico e
l’impatto ambientale dei propri prodotti.
In partnership con i clienti, conduce
studi e propone soluzioni per l’utilizzo di
packaging innovativi ed ecocompatibili,
in grado di ridurre la perdita alimentare
e preservare e conservare la freschezza
dei cibi, oppure in grado di diminuire
l’impatto che le componenti plastiche
hanno sull’ambiente e sugli ecosistemi
marini.
RIUSO E RICICLO
IMA promuove progetti, anche in
collaborazione con clienti e istituzioni,
per sensibilizzare all’uso, riuso e riciclo
corretti del packaging, in una logica di
economia circolare e, più in generale,
offre il supporto ad attività tendenti
a migliorare la sinergia tra imprese
e ambiente nelle logiche della green
economy. I progetti sviluppati con clienti
e partner di alto profilo, per lo sviluppo
di imballaggi primari flessibili
eco-sostenibili, sono parte integrante
della strategia di sviluppo sostenibile
di IMA.
NO PLASTIC
Nel 2019 è iniziato il progetto
IMA-Nop (No Plastic). Dopo il via libera
a Strasburgo, da parte del Parlamento
europeo, alla direttiva che limita
l’uso di diversi articoli monouso in
plastica, aumentano le richieste di
nuove macchine automatiche in grado
di ridurre l’impiego della plastica nel
packaging. IMA ha già sviluppato,
in collaborazione con i maggiori
player del mercato, alcune soluzioni
estremamente innovative, anticipando
così le esigenze del mercato di
riferimento.
IMA È LEADER MONDIALE
NELLA PROGETTAZIONE E
PRODUZIONE DI MACCHINE
AUTOMATICHE PER IL PROCESSO
E IL CONFEZIONAMENTO DEI
PRODOTTI FARMACEUTICI,
ALIMENTARI, TÈ E CAFFÈ.
GRAZIE ALL’ALTO PROFILO
TECNOLOGICO E ALLA CAPACITÀ
DI OFFRIRE SOLUZIONI STUDIATE
SU MISURA È IN GRADO DI
RISPONDERE ALLE VARIE
RICHIESTE DELL’INDUSTRIA
FARMACEUTICA ATTRAVERSO LE
SUE TRE DIVISIONI ALTAMENTE
SPECIALIZZATE: IMA ACTIVE
(SOLID DOSE SOLUTIONS), IMA
LIFE (ASEPTIC PROCESSING &
FREEZE DRYING SOLUTIONS), IMA
SAFE (PACKAGING SOLUTIONS).
76 77
AL VIA
L’HEALTH&BIOTECH
ACCELERATOR
MAKING LIFE | Gennaio 2021
DELOITTE LANCIA LO
SCALE-UP PROGRAM DEDICATO
AL FUTURO DELLA SALUTE
E DEL BIOTECH CHE NASCE
DALLA COLLABORAZIONE
TRA I PIÙ IMPORTANTI ATTORI
DELL’ECOSISTEMA. LE FINALISTE
SELEZIONATE LAVORERANNO
INSIEME AI PARTNER DEL
PROGETTO AL FINE DI SVILUPPARE
PROGETTI PILOTA INNOVATIVI PER
POTENZIARE IL CORE BUSINESS O
LANCIARE NUOVE SOLUZIONI SUL
MERCATO
SEI UNA STARTUP O SCALEUP HEALTH & BIOTECH?
L’HEALTH&BIOTECH ACCELERATOR È UN PROGRAMMA INTERNAZIONALE, Scouting italiano e internazionale
MULTI-CORPORATE, BASATO SU PROGETTI PILOTA E FOCALIZZATO
SULL’INDIVIDUARE LE STARTUP/SCALEUP HEALTH & BIOTECH CHE MEGLIO Accelerazione in Italia
RISPONDANO ALLE NECESSITÀ D’INNOVAZIONE DEI CORPORATE PARTNER
DELL’INIZIATIVA. I FINALISTI LAVORERANNO CON I CORPORATE PARTNER PER Programma pilot-driven
SVILUPPARE PROGETTI PILOTA CHE NE POTENZINO IL CORE BUSINESS O CHE
LANCINO NUOVE SOLUZIONI SUL MERCATO.
Business-oriented results
1
Health&BioTech Accelerator è uno dei
programmi annuali di accelerazione
powered by Deloitte Officine
Innovazione con l’obiettivo di reclutare
le migliori startup/scaleup, a livello
nazionale e internazionale, in grado di
rispondere alla disruption generata dai
nuovi trend per trasformare i settori
salute e biotech.
L’obiettivo dell’acceleratore è sviluppare
progetti pilota, integrando le soluzioni
innovative delle startup e scaleup
con competenze e asset dei partner
dell’iniziativa, per potenziare il core
business delle corporate o lanciare
nuove soluzioni sul mercato.
Per raggiungere lo scopo, sarà
fondamentale il ruolo e il supporto di
tutti i player coinvolti, ognuno con una
propria competenza specifica – come
ad esempio quella degli scientific
partner fondamentali per il processo di
trasferimento tecnologico.
Il progetto ha il suo centro in Italia ma
con un raggio d’azione internazionale
che si sviluppa in tre macro-fasi:
CALL4STARTUP Le candidature da
parte di startup/scaleup sono aperte
fino al 21 febbraio 2021. Un roadshow
digitale accompagnerà questa prima
fase e permetterà alle startup/scaleup
più promettenti di incontrare il team
dell’Health&BioTech Accelerator e
valutare se le soluzioni proposte
rispondono alle esigenze delle aziende
partner.
2
Sono invitate a partecipare startup/
scaleup che abbiano soluzioni
innovative riconducibili agli 8 trend
identificati:
• New drugs & Therapies: nuovi
farmaci e terapie per malattie ancora
oggi incurabili.
• Biomarkers & Diagnostic Tools:
marcatori molecolari in grado di
predire o diagnosticare l’insorgenza
della malattia.
• Carriers & Delivery Systems: come
veicolare farmaci al target, attraverso
l’uso di innovativi sistemi biologici.
• Advanced & Digital Diagnostics:
wearable device e dispositivi medici
avanzati.
• Innovative Care Management:
soluzioni innovative per la gestione
del paziente, supportandone
l’ingaggio, l’adesione alla terapia, la
condivisione di dati per una migliore
terapia.
• Telehealth: tecnologie che
permettono di monitorare e assistere
il paziente da “remoto”.
• Healthcare Robotics: robotica a
supporto del paziente e del personale
nella diagnostica e negli interventi.
• Healthy Lifestyle: alimentazione
e stile di vita come supporto a
prevenzione e cura di alcune malattie.
SELEZIONE Da fine febbraio 2021
verranno analizzate le candidature e
selezionate le soluzioni più innovative
grazie anche alle competenze delle
3
aziende, dei centri di ricerca e dei
venture capital che prendono parte al
progetto.
ACCELERAZIONE Da aprile 2021
inizierà invece la fase più intensa del
programma che durerà 15 settimane in
cui le corporate, i partner e le startup/
scaleup selezionate lavoreranno
insieme al fine di sviluppare progetti
pilota che verranno presentati nel
corso del Demo Day, momento finale
di presentazione al pubblico e alla
business innovation community.
A fianco di Deloitte, i corporate partner
MSD Italia e Intesa Sanpaolo RBM
Salute, gli scientific healthcare partner
GVM Care & Research, Humanitas
Research Hospital, Santagostino e Casa
di Cura La Madonnina, gli scientific
research partner Istituto Italiano
di Tecnologia (IIT), Università degli
Studi di Milano e IFOM - Istituto FIRC
di Oncologia Molecolare, gli investor
ed ecosystem partner Italian Angels
for Growth, Digital Magics, Panakès
Partners, SMAU, MakingLife, Notizie.
it, Think e Digital Innovation Days, e il
supporting partner Life Science District.
Per maggiori informazioni
sull’acceleratore:
www.healthbiotechaccelerator.io
PROGETTI PILOTA
CON GRANDI
AZIENDE
Corporate
Investor
DIAGNOSTICA AVANZATA & DIGITALE
CARE MANAGEMENT INNOVATIVO
ROBOTICA PER L’HEALTHCARE
HEALTHY LIFESTYLE
EQUITY
FREE
COSA STIAMO CERCANDO
I VANTAGGI PER TE
NETWORK
D’INVESTITORI
DI SETTORE
APPROCCIO
DELOITTE
TI PRESENTIAMOI NOSTRI PARTNER
Scientific Healthcare
Ecosystem & Media
LA CALL4STARTUP È APERTA
TELEMEDICINA
NUOVI FARMACI & TERAPIE
BIOMARCATORI & TOOL DIAGNOSTICI
CARRIER & SISTEMI DI DRUG DELIVERY
ECOSISTEMA
GLOBALE
Scientific Research
78 healthbiotechaccelerator.io
79
Supporting
HUB
DIFFUSO
MAKING LIFE | Gennaio 2021
Covid-19, un test rapido ad alta resa
“Abbiamo un solo competitor, ed è il virus”
Marc Casper, Ceo di Thermo Fisher Scientific
Thermo Scientific
Amplitude Solution è una
soluzione di diagnostica
molecolare ad alta
automazione in grado di
analizzare fino a 8.000
campioni umani in 24 ore
per rilevare la presenza del
virus SARS-CoV-2
sola in un processo che
dura circa 3 ore e mezza
e può essere monitorato
in tempo reale tramite un
apposito computer. I risultati
vengono automaticamente
trasferiti al software
SampleManager LIMS per la
revisione, autorizzazione e
archiviazione.
della vita e altri laboratori
del mondo industriale,
accademico e governativo.
Possiede numerosi marchi tra
cui Thermo Scientific, Applied
Biosystems, Invitrogen, Fisher
Scientific, Unity Lab Services e
Patheon.
GLI ESPERTI
Diagnosi precoci per tutelare
salute ed economia
Espandere al più presto la platea dei beneficiari dei test, isolare
con rapidità i casi, investire nella prevenzione per ridurre l’impatto
sul sistema sanitario e sull’economia: sono le armi individuate
dagli esperti per contrastare il Covid-19
GOLD
STANDARD
Amplitude Solution si basa
sul sistema di test RT-PCR,
attualmente considerato la
metodologia di riferimento
per questo tipo di diagnosi.
In questo tipo di test l’Rna del
virus viene convertito in Dna
tramite trascrizione inversa e
successivamente amplificato
via PCR (Polymerase chain
reaction), una tecnica
che permette di replicare
rapidamente campioni di Dna
molto piccoli consentendo di
ottenerne quantità sufficienti
per le analisi di laboratorio.
Si tratta di una soluzione che
offre la massima produttività
garantendo nel contempo un
impegno minimo in termini di
tempi gestione, attrezzature e
personale.
UN TEST
ALTAMENTE
SPECIFICO
Per limitare il rischio di falsi
negativi generati da mutazioni
del virus, Amplitude solution
analizza tre regioni di SARS-
CoV-2 con un ridotto rischio
di mutazione (proteine target
orf-1ab, S e N). Si tratta di un
test a elevata sensibilità e con
una specificità del 100% .
Questa tecnologia può
analizzare fino a 376
campioni in una volta
L’AZIENDA
Thermo Fisher Scientific
è una società americana,
quotata al Nasdaq, che fattura
più di 25 miliardi di dollari
all’anno. Fornisce tecnologie
scientifiche, reagenti, materiali
di consumo, software, servizi
per la sanità, le scienze
SCARICA IL MANUALE DI
AMPLITUDE SOLUTION
Molti laboratori di
diagnostica clinica si
basano attualmente
su test molecolari che
impiegano la Polymerase
chain reaction (PCR) per
rilevare l’infezione da
SARS-CoV-2 da campioni
di pazienti, come tamponi
per la gola o il naso.
«Finché non verrà
sviluppato un vaccino,
il nostro approccio
principale sarà quello
di testare e prevenire la
trasmissione del virus. I
test basati sulla PCR sono
vengono considerati
il “gold standard” in
termini di sensibilità e
specificità».
Chaz Langelier
Assistant Professor
UCSF Infectious Disease
division
«Quando inizia
un’epidemia di malattia
trasmissibile, la risposta
ideale è cominciare al
più presto a effettuare
test diagnostici.
Questo porta a una
rapida identificazione
dei casi, a un veloce
trattamento per
queste persone e a un
immediato isolamento
per prevenire la
diffusione.
I test precoci aiutano
anche a identificare
chiunque sia entrato
in contatto con
persone infette, in
modo che anche loro
possano essere trattati
rapidamente».
Eduardo Sanchez
Chief medical officer per
la prevenzione
American Heart
Association
«Per riaprire l’economia
in sicurezza, dicono gli
esperti, gli Stati Uniti
hanno bisogno di circa
20 milioni di test al
giorno.
Spendere, ad esempio,
250 miliardi di dollari
per i test è un piccolo
sforzo rispetto ai
miliardi di dollari che
l’economia sta perdendo
durante la pandemia.
Inoltre, finanziare una
significativa espansione
dei test è indispensabile
per ridurre i rischi
di chi svolge lavori
essenziali. Questo è
sia economicamente
giustificabile che un
imperativo morale».
Zack Cooper
Associate professor
Yale School of Public
Health & Department of
Economics
80 81
MAKING LIFE | Gennaio 2021
NUMERO 1 - GENNAIO 2021
Casa editrice
MakingLife Srl
Piazza della Repubblica, 10
20124 Milano MI
Tel. 02 36525293
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Comitato scientifico
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Hellas Cena
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Giorgio Lorenzo Colombo
Gabriele Costantino
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Daniele Martinelli
Antonio Maturo
Teresa Minero
Maria Pina Rossi
Micaela Terzi
Monica Torriani
Silvia Vernotico
Commerciale Alessia Fellegara | alessia.fellegara@makinglife.it
“ COMUNICA LO
STATO DELL’ARTE
E LE PROSPETTIVE
DI RICERCA E
SVILUPPO
NEI SETTORI
MEDICO,
FARMACEUTICO
E MEDTECH“
“ PROMUOVE E
FAVORISCE I
DECISION
MAKING
PROCESS
PER L’IMMISSIONE
IN COMMERCIO
DI MEDICINALI E
“
DISPOSITIVI MEDICI
“ REALIZZA UN
NETWORK
MULTIDISCIPLINARE
TRA GLI
STAKEHOLDER
DEL COMPARTO
HEALTHCARE“
“
MARKET ACCESS
COMMUNICATION
FAVORISCE ACCESSO,
ADOZIONE E
RICONOSCIMENTO DEL
VALORE DI FARMACI,
INTEGRATORI E DISPOSITIVI
MEDICI, COMPRESE TERAPIE
DIGITALI E PIATTAFORME DI
SUPPORTO AL PAZIENTE“
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