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Making Life numero 1

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MAKING LIFE | Gennaio 2021 | Numero Uno

PHARMA REPUTATION

PharmaFuture & Health


MAKING LIFE | Gennaio 2021

MAKING LIFE | Gennaio 2021 | Numero Uno

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nell’healthcare

e ne governa il cambiamento



Comunicare la scienza,

cosa NON

fare per

migliorare

MAKING LIFE | Gennaio 2021

la Reputation

INDICE

Pharma Novel

Commenti

CSR

Focus

Caterina Lucchini

Marketing Youngers’ e comunicazione

feedback

Produzione

Pharmatelling

Riflessioni di un

manager del pharma

8

Covid-19 e industria

farmaceutica,

opportunità e sfide

Reputation, una

questione di fiducia

12

14

Potere e responsabilità

Ridefinire il contenuto

La CSR nell’industria

farmaceutica

Certificare l’impatto

sociale

16

18

22

28

Oltre la qualità

Covid & Pharma

reputation

Pharma in Italia,

fiducia con riserva

Youngers’ feedback

32

36

38

40

01 02 03 04 05 07

Corporate reputation

e imprese

Paradigmi della

divulgazione scientifica

Scienza e reputation

Il fattore biotech

DM e Trasparenza

42

46

48

50

52

06

Relazioni pericolose

GMP qualità e valore

aggiunto

Etica dei trial clinici

Integratori sostenibili

e competitivi

56

60

62

66

Il“sense of purpose”

del mondo pharma

Lockdown e reputation

Un percorso di

responsabilità

Health&biotech

accelerator

Test rapido Covid-19

72

74

76

78

80



MAKING LIFE | Gennaio 2021

L’inizio

di una

nuova era

All’alba del 2021 è terribilmente affascinante dar vita a un’iniziativa

editoriale importante come la nascita di una nuova rivista

– che esplode poi nel suo universo di comunicazione digitale

– in un mondo che in qualche modo è costretto a fare i conti con

se stesso e a ripartire da zero. Perché il presente è molto veloce

e il futuro è accelerato da una pandemia non ancora sconfitta.

Un essere biologicamente microscopico e invisibile all’occhio

umano ha prodotto nel chiasso dell’emergenza sanitaria un riassetto

dell’ordine mondiale, e ancora non è finita. Il coronavirus

ci consegna un mondo al tempo stesso più largo e più stretto, un

pianeta contemporaneamente più piccolo e più grande. E il virus

non è stato che la miccia per dar fuoco alle polveri di una crisi

che salutiamo come l’inizio di una nuova era, che ci piaccia o no.

Eccolo qua, il cambiamento: si impone con forza, non si fa scegliere

ma ci sceglie e ci forza a modificare la nostra rotta di abitudini

inveterate e sonnolenti pigrizie. Basta, occorre cambiare:

pensare in un modo nuovo la realtà, metterla finalmente in sintonia

con le aspettative e le esigenze della persona.

Occorre pensare un nuovo futuro.

Per la verità, i mesi dell’emergenza sanitaria hanno prodotto

una grande quantità di futuro, almeno a livello di previsioni e

analisi. Ora tocca trasformare le lezioni apprese in progetti. Ma

la creatività richiesta per pensare e gestire nuovi modelli nasce

dall’incontro di competenze, culture e profili diversi, e il gruppo

di lavoro che ha dato vita a questo progetto editoriale – un gruppo

composto da ricercatori e giornalisti, donne e uomini di marketing

e di scienza, capitani coraggiosi di aziende che navigano

per acque sconosciute e profonde - ha chiesto fin da subito ai più

giovani di salire a bordo: perché sono i millenials a possedere

il nocciolo duro e il vero segreto del nuovo modo di pensare la

realtà, che è la condivisione. I giovani più talentuosi condividono

volentieri conoscenze e competenze, cercano sempre feedback,

non amano organigrammi e gerarchie: sono loro i padroni del

nuovo linguaggio digitale, spetta a loro comprendere che cosa

manca, individuarlo e mettersi in cammino. E spetta a noi, meno

giovani, accompagnare la crescita di persone nuove, dotate di

visione creativa e di strumenti manageriali adatti a superare le

zavorre del passato. Perché nessuno ce la fa da solo.

Le aziende destinate a vivere e a crescere hanno a loro volta

preso coscienza delle ricadute nel sociale della propria attività,

del proprio essere sempre componenti – preziose e fondamentali

– di un sistema più complesso, parti di una collettività unita

dalle medesime esigenze di sviluppo e di sostenibilità. Per le

imprese ovviamente questo non significa venire meno alla propria

ontologica mission di creare ricchezza, ma semplicemente

farlo in modo più moderno, nella consapevolezza del rapporto di

osmosi tra i risultati aziendali e il bene pubblico. Tutto questo in

un quadro di crescente e doverosa sensibilità verso i temi della

sostenibilità ambientale, economica e sociale, nonché di attenzione

ai paradigmi dell’economia circolare.

Su questo si costruisce la reputazione aziendale, che è oggi una

risorsa di valore inestimabile con un impatto rilevante sul business

aziendale. Making Life -Pharmafuture & Health avrà per

ogni uscita un fil rouge, che condurrà il lettore attraverso un

percorso di crescita: e questo primo numero è dedicato proprio

alla Corporate Reputation. I criteri di valutazione più utilizzati

per determinarne peso e qualità sono l’innovazione, la responsabilità

sociale, la gestione del personale e della clientela, la

trasparenza della gestione economica, l’impatto sull’ambiente,

l’eticità della mission, la sicurezza generale dell’azienda.

Anche per le imprese del settore farmaceutico, che stanno vivendo

un trend evolutivo tumultuoso e rapido, la Corporate Reputation

costituisce un asset in grado di creare e mantenere

posizioni di vantaggio competitivo. In quest’area si evidenziano

in modo particolare gli investimenti in ricerca e innovazione, la

riduzione degli inquinanti, l’utilizzo di energie rinnovabili.

Fondamentale l’attenzione alla compliance del paziente come

aderenza alla terapia fuori dal contesto ospedaliero: oggi è chiaro

il ruolo chiave dei pazienti per la diffusione di informazioni di

qualità sulle terapie innovative e l’accesso alla cura; per questo,

le aziende devono far proprio il concetto che per la costruzione

della propria reputazione è indispensabile la capacità di saper

sfruttare efficacemente le enormi potenzialità di social e digital

media e tutte le opportunità offerte dal web.

Vale per le imprese come per tutti noi l’impegno a ripensare le

catene globali del valore, in ottica di accorciamento e di circolarità,

per non rischiare che la solidarietà invocata oggi in risposta

alla crisi si esaurisca con la fine dell’emergenza; e il nostro

modesto ma tenace contributo sarà quello di ricordare sempre

la vitalità del nesso fra tutela dei diritti individuali e sostenibilità

economica.

6 7



MAKING LIFE | Gennaio 2021

PHARMA

NOVEL

Mario Addis

8 9



MAKING LIFE | Gennaio 2021

10 11



MAKING LIFE | Gennaio 2021

COVID-19 E INDUSTRIA

FARMACEUTICA,

OPPORTUNITÀ E SFIDE

Gabriele Costantino

È docente ordinario di Chimica farmaceutica e tossicologica,

e direttore del Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del

Farmaco dell’Università di Parma.

Gabriele.costantino@unipr.it

L’emersione del betacoronavirus denominato

SARS-CoV2 e l’emergenza indotta dalla diffusione

dell’infezione e della malattia sistemica a essa

associata hanno, in tempi rapidissimi, modificato le

priorità e le riflessioni di larghi strati della società.

Per diverse generazioni, soprattutto le più giovani,

l’idea di una malattia trasmissibile da uomo a uomo,

per via respiratoria, è stato qualcosa di assolutamente

inatteso. E forse ancora più inatteso, soprattutto

per le generazioni cui appartiene chi scrive, il fatto

che improvvisamente ci siamo trovati di fronte alla

constatazione che non esistono farmaci per trattare

una condizione estremamente diffusa e diffondibile!

Queste riflessioni portano a una serie di

questioni che sono molto dibattute in questi

giorni e che riguardano non solo i rapporti

tra individui ma anche i rapporti che a

livello di società abbiamo con i farmaci.

L’industria farmaceutica rappresenta

una componente importante - e sovente

anticiclica - per le economie dei Paesi

sviluppati, ma anche un driver insostituibile

di progresso e di innovazione. Da

questo punto di vista, è indispensabile

un’operazione culturale che faccia

sedimentare il più possibile nell’opinione

pubblica l’idea che il farmaco (e chi, dalle

università all’industria, mette energia e

rischio di impresa nella sua ideazione

e sviluppo) non è un bene di largo

consumo ma una vera e propria opera di

ingegno e di inventività. Detto questo, le

vicissitudini (iniziali?) di questa pandemia

hanno fatto emergere anche dinamiche

che dovrebbero esser attentamente

considerate nell’ottica di un aumento della

reputazione, sociale ed economica, della

filiera del farmaceutico.

Due aspetti sono particolarmente

significativi, da questo punto di vista.

Il primo riguarda il fatto – ovvio per gli

addetti ai lavori ma forse meno per

l’opinione pubblica – che i nuovi farmaci

di oggi derivano da ricerche e, soprattutto,

investimenti di 10-15 anni fa. La capacità

di prevedere scenari (e mercati, e bisogni)

a tale distanza è indice di enorme

lungimiranza, e non è possibile quindi

biasimare nessuno se ci troviamo oggi

in una grave carenza di farmaci contro

malattie infettive e trasmissibili. Questo

vale per le infezioni virali, ma lo stesso

discorso può esser fatto per le resistenze

batteriche, le infezioni fungine sistemiche,

le malattie parassitarie. Oggi sappiamo

che la crescita demografica, le migrazioni,

la sempre maggiore contiguità tra uomo

e animali da allevamento renderanno

sempre più probabile l’emersione di

nuove malattie zoonotiche, trasmissibili

e favoriranno sempre più la selezione di

geni di resistenza a farmaci. L’industria

farmaceutica ha iniziato oggi un percorso

di ricerca e di sviluppo (basato su approcci

di systems biology, knowledge-based,

riposizionamento, screening) che forse

non servirà ad avere un nuovo farmaco

per il Covid-19 prima del vaccino o di

altri interventi non farmacologici, ma che

sicuramente fornirà la base di conoscenza

e di materiale con cui affrontare le

inevitabili crisi dei prossimi decenni,

esattamente come l’industria e il mondo

della ricerca si sono trovati pronti negli

scorsi anni ad affrontare le malattie

oncologiche e non trasmissibili.

Il public engagement è fondamentale nello

stabilire se questa sfida sarà coronata o

meno dal successo, ma non v’è dubbio

che ci dovrà esser supporto a livello

governativo – nazionale e sovranazionale

– nel finanziare e nel dirigere anche

con interventi top-down la ricerca e lo

sviluppo in aree terapeutiche sinora

trascurate. Ma allo stesso modo l’industria

farmaceutica dovrà mettere in gioco la

sua reputazione come attività a forte

ruolo sociale e di progresso, non avendo

timore di investire in aree e progetti a forte

rischio e, apparentemente, a minor ritorno

economico.

La saldatura tra mondo farmaceutico

(industria, università, enti di ricerca) e

società civile dovrà avvenire su questi temi

e dovrà accadere alla svelta per riuscire ad

aver impatto per i prossimi decenni.

L’epidemia da SARS-Cov2 ha però messo

in luce anche un altro aspetto su cui

vale la pena riflettere, di ordine diverso

(e apparentemente meno significativo)

rispetto a quello precedente, ma

probabilmente di analoga se non peggiore

conseguenza. Sin dall’inizio della pandemia

- che evidentemente è stata ed è fenomeno

globale - si è osservato il fenomeno dello

shortage di farmaci, neppure direttamente

coinvolti nella gestione della pandemia

stessa. Questa è una dinamica oramai ben

conosciuta in economia, relativamente

all’impatto di crisi sistemiche (come

possiamo a ben diritto definire Covid-19)

sulle filiere di produzione e distribuzione di

prodotti sia di largo consumo che a elevato

valore aggiunto. Nel caso dei farmaci e

delle materie prime per la loro produzione,

le dinamiche produttive e di distribuzione

sono fortemente globalizzate (o, per dirla

dalla nostra prospettiva, delocalizzate) e i

volumi vengono stimati con largo anticipo.

Qualora venga richiesta, improvvisamente

e su larga scala, una riconversione della

produzione verso determinati principi

attivi o formulazioni, si possono generare

interruzioni sulla catena, con ripercussioni

importanti sulla disponibilità al banco.

Un esempio di ciò è facilmente desumibile

osservando i report di AIFA che, nel

primo semestre 2020, ha evidenziato

la carenza di numerosi principi attivi,

sia per blocco di approvvigionamento o

fabbricazione, sia per eccessiva domanda

(il lettore potrà trovare informazioni su

come l’Agenzia italiana ha affrontato la

crisi all’indirizzo: https://www.aifa.gov.

it/web/guest/-/carenze-di-farmacied-emergenza-covid-19).

L’esperienza

accumulata in questi mesi suggerisce

quindi la necessità che gli Stati sovrani,

attraverso le proprie agenzie di regolazione

e di controllo, esercitino non solo azione

di vigilanza e allerta, ma anche di

programmazione a lungo termine delle

disponibilità. A tale riguardo potrebbe

essere utile osservare che per gran

parte delle malattie non trasmissibili (ad

esempio malattie del metabolismo, tumori,

malattie cardiovascolari) è estremamente

improbabile assistere a una improvvisa

e massiva richiesta di una particolare

classe di farmaci, in quanto le dinamiche

di cambio di prevalenza su scala geotemporale

medio-alta richiedono tempi

molto lunghi. Viceversa, e l’esperienza

Covid19 è qui a insegnarcelo, le malattie

trasmissibili possono causare impennate

improvvise nella richiesta di particolari

farmaci, che dovrebbero sempre esser

disponibili. Ad esempio, il fatto che un

certo antibiotico abbia una domanda

costantemente bassa, non vuol dire che

non ce ne possa essere improvvisamente

un bisogno insostenibile su scala mondiale.

Il lettore potrà ricordare ad esempio il caso

dell’uso terroristico dell’antrace, che ha

causato uno shortage improvviso di un

normale antibatterico, appartenente alla

classe dei fluorochinoloni.

È necessario quindi che le aziende

produttrici, ma anche le agenzie nazionali,

riprendano un ruolo non solo burocratico

ma di analisi e previsione scientifica,

identificando con anticipo possibili

evoluzioni pandemiche che, soprattutto

di origine zoonotica, saranno sempre più

frequenti.

12 13



MAKING LIFE | Gennaio 2021

Reputation, una questione di fiducia

LA FIDUCIA NELLE

PERSONE, O NELLE

AZIENDE, HA

UNA FUNZIONE

FONDAMENTALE

PERCHÉ CI PERMETTE

DI RIDURRE LA

COMPLESSITÀ.

GUADAGNARLA, PERÒ,

NON È FACILE MENTRE È

FACILISSIMO PERDERLA

Nel funzionamento dei sistemi

sociali – spiegano i sociologi

– un fattore fondamentale è

rappresentato dalla fiducia dei

cittadini nella capacità di un

sistema o di una istituzione

di agire coerentemente

con quanto ci si aspetta da

loro. La reputazione delle

organizzazioni dipende

proprio dal livello di fiducia

che sono riuscite a creare

con le loro azioni. Da questo

punto di vista, l’emergenza

sanitaria legata a Covid-19

ha seriamente messo alla

prova questa capacità, come

ci spiega Antonio Maturo,

docente di Sociologia della

salute presso l’Università di

Bologna.

COSA C’ENTRA

LA SOCIOLOGIA

CON LA

CORPORATE

REPUTATION?

La sociologia si occupa, tra le

varie cose, di come vengono

costruite le rappresentazioni

sociali, le convinzioni collettive

e le credenze. Dunque,

essendo la reputazione

un insieme di credenze e

valutazioni che gli individui

formulano su altri individui

o su organizzazioni, ecco

che c’entra la sociologia. La

reputazione è una costruzione

sociale che rende possibile

la fiducia. E la fiducia svolge

una funzione importantissima

nella nostra vita: ci permette

di ridurre la complessità.

Noi risparmiamo un sacco

di tempo perché abbiamo

fiducia. Abbiamo fiducia che il

barista ci serva il cappuccino

quando lo chiediamo, che i

professori insegnino bene, che

il tramviere non sia ubriaco.

Se noi sospettassimo di tutto

e tutti saremmo paralizzati.

Uno potrebbe dire: ma come

possiamo avere fiducia di

gente che non conosciamo?

Dalle credenziali e dalla

reputazione. Se un professore

ha preso un dottorato a

Harvard abbiamo maggiore

fiducia nelle sue competenze

rispetto a uno che lo ha

preso in una università

sconosciuta. Non andiamo a

controllare il suo curriculum

o a intervistare i suoi colleghi

per verificare che sia bravo: il

fatto che abbia un dottorato a

Harvard riduce la complessità.

Dunque, la reputazione di

un’organizzazione – sia essa

università o azienda – fa sì

che noi, come consumatori,

abbiamo fiducia nei suoi

“prodotti”. Attenzione però:

la fiducia è difficile da

guadagnare ed è facilissima

da perdere. Si costruisce

con la perseveranza e nel

tempo, ma la si può perdere

per un episodio o per una

mela marcia. E il sistema

dei media amplifica le brutte

notizie. Non ha senso che un

giornale scriva che anche

oggi l’azienda ha pagato i suoi

dipendenti (che talvolta non è

semplice) ma sono guai seri

se l’azienda scivola su una

buccia di banana come una

pubblicità troppo irriverente

verso un particolare gruppo

sociale o un suo manager

che in un’intervista parla a

sproposito. Errori deplorevoli

che però non hanno nulla a

che fare col prodotto.

CHI HA

PERSO LA

REPUTAZIONE

OGGI E CHI L’HA

GUADAGNATA?

La sanità lombarda

certamente non ha dato

grande prova, per motivi

organizzativi e non

professionali. Ma in generale

quasi tutta la sanità italiana

– e non solo – ha traballato.

Fa eccezione il Veneto che,

sempre per motivi storici

e organizzativi, durante

il Covid ha retto. Di qui il

consenso stellare di cui

gode Zaia. Un discorso a

parte meritano i virologi che

in molti casi sono divenute

quello che i massmediologi

chiamano “celebrity”. Virologi

e altri specialisti sono

stati interpellati in modo

parossistico dalle televisioni

e dai canali digitali. In tal

senso, si è concessa loro

enorme fiducia. Il problema

è che interpellati sugli stessi

argomenti dicono cose

diversissime. E da fuori uno

pensa: ma come è possibile

che gli scienziati non abbiano

una visione oggettiva? Ma il

problema è che la scienza non

è oggettiva: è fatta di ipotesi,

teorie e approcci differenti.

È assolutamente normale

che gli scienziati facciano

ragionamenti differenti e

conflittuali. La scienza evolve

proprio così. Tuttavia, a livello

mediatico, questa eterogeneità

non paga. I media vogliono

semplificare.

E IL SETTORE

PHARMA IN

CHE POSIZIONE

SI TROVA

RISPETTO A

FIDUCIA E

REPUTAZIONE?

In una posizione eccellente.

La politica ha lasciato a

desiderare rispetto alla

gestione del Covid-19,

sebbene, a mio avviso, sia una

fatica abnorme gestire una

pandemia! Comunque, tutti

hanno qualche motivo per

essere scontenti.

Chi per motivi sanitari, chi

per motivi economici, chi per

motivi organizzativi in senso

stretto (pensiamo ai genitori di

studenti e scolari). La Politica

ha delegato alla Scienza.

Ma come abbiamo visto, in

termini di opinione pubblica,

gli scienziati non sono stati

capiti. Il loro pensiero è troppo

complesso per i media, è

notiziabile solo a prezzo di

radicali semplificazioni.

In questo contesto, il Pharma

sta emergendo come big

player perché il vaccino

salverà milioni di vite. Le

aziende farmaceutiche stanno

lavorando a ritmi infernali,

in alleanza con prestigiose

università. Ci sono aspettative

altissime e finora la

comunicazione è stata molto

efficace. è stata enfatizzata,

giustamente, la dimensione

della ricerca, a discapito di

quella commerciale. Su un

piano diverso, più locale,

andrebbe dato un credito alle

farmacie, che in molti casi si

sono poste su una dimensione

molto simpatetica con i

cittadini. Le farmacie sono

state boe in un mare agitato

per molte persone.

Per tornare alla corporate

reputation, mi sembra che il

Pharma potrà tra poco vantare

un ruolo quasi pubblico

e istituzionale per il suo

contributo nella pandemia,

mettendo tra parentesi

l’aspetto commerciale.

Antonio Maturo

Docente di Sociologia della salute

presso l’Università di Bologna e

la Brown University, e direttore

del Centro di studi avanzati su

umanizzazione delle cure e salute

sociale (Università di Bologna).

14 15



MAKING LIFE | Gennaio 2021

POTERE E

RESPONSABILITÀ

COME È CAMBIATO NEL TEMPO IL RAPPORTO FRA

MONDO DEGLI AFFARI E SOCIETÀ, DALLA GRANDE

DEPRESSIONE ALLA RESPONSABILITÀ DI IMPRESA

Giorgio Lorenzo Colombo

Direttore Scientifico, CEFAT - Centro di Economia e valutazione del Farmaco e

delle Tecnologie sanitarie, https://cefat.unipv.it/ Dip.to di Scienze del Farmaco,

Università degli Studi di Pavia

L’impresa è un sistema economico

e sociale complesso, la cui rilevanza

sociale cresce in rapporto alle ricadute

sul contesto in cui opera e quella

economica è legata alla ricchezza

creata con la sua attività. Questo

sistema economico si pone al centro

di una serie di rapporti con differenti

gruppi sociali, rispetto ai quali attiva

relazioni di scambio di informazioni

e di rappresentanza. Questi gruppi

finiscono per costituire dei veri e propri

interlocutori dell’impresa o portatori

di interesse e vengono chiamati

anche stakeholder e sono coloro

che influenzano e sono influenzati

dall’attività dell’impresa stessa.

STAKEHOLDER

PRIMARI E

SECONDARI

Ma esistono due differenti livelli di

stakeholder: i primari, senza la cui

continua partecipazione l’impresa

non è in grado di sopravvivere

come organizzazione funzionante;

e i secondari, che comprendono il

folto gruppo di coloro che non sono

essenziali per la sopravvivenza

dell’azienda ma che esercitano

un’influenza indiretta su di essa.

Grazie all’identificazione di tutti gli

attori partecipanti all’impresa, a partire

dalla metà del XX secolo cresce nelle

imprese la consapevolezza che i

destinatari ultimi dei propri messaggi

non sono solo i clienti, ma una più

ampia varietà di soggetti con i quali è

necessario costruire rapporti stabili e

non solo di natura economica.

Questa nuova visione dell’impresa,

nel periodo successivo alla Grande

Depressione del 1920, nasce anche in

risposta a due questioni in particolare:

il rischio dato dalla crescente

tendenza al controllo sociale e alla

socializzazione di importanti quote di

mercato, e all’esigenza di trovare nuove

forme di legittimazione sociale della

propria professione da parte dei grandi

imprenditori. Queste problematiche

ebbero in risposta la dimostrazione

che l’impresa rappresenta l’istituzione

più idonea a servire la società e la

rappresentazione degli uomini d’affari

come professionisti capaci di esprimere

interessi e obiettivi non più individuali

ma sociali.

NASCITA DELLA CSR

Viene così a emergere l’idea che potere

e responsabilità sono indissolubilmente

legati fra loro in ogni ambito della vita

umana e pertanto anche nelle relazioni

fra mondo degli affari e società.

Inizia con queste premesse a emergere

il concetto di Responsabilità sociale

d’impresa (CSR, dall’inglese Corporate

social responsibility). Negli anni ’70

la CSR è ancora considerata un costo

aggiuntivo, ma necessario in quanto

dovere dell’impresa nei confronti della

società e, grazie alla presa di coscienza

di questi concetti, le imprese iniziano ad

adottare alcune pratiche per migliorare

la propria gestione e per differenziarsi

rispetto ai competitori sulla base

delle richieste che gli giungono dagli

stakeholder, ma il loro obiettivo ultimo

rimane ancora il profitto.

Se precedentemente l’attenzione era

incentrata sulla definizione di CSR, negli

anni ’90 invece inizia a crescere

l’interesse per la rendicontazione

socio-ambientale, o meglio

sull’esigenza da parte delle imprese di

render conto del proprio operato

attraverso strumenti che consentano

loro di rappresentare ai propri

interlocutori le azioni intraprese.

Metodo utilizzato per tutelare e

migliorare l’immagine aziendale e

d’altra parte per informare gli

interlocutori esterni rispetto all’attività

aziendale e alle sue risorse. A seguito di

queste esigenze si sviluppano standard

di rendicontazione sia a livello

internazionale che nazionale. Negli anni

più recenti, al concetto di CSR si è

affiancato quello di “sostenibilità”,

introdotto per la prima volta nel 1987

dal Rapporto Brutland delle Nazioni

Unite, definito come “uno sviluppo che

soddisfa i bisogni del presente senza

compromettere la possibilità delle

generazioni future di soddisfare i propri

bisogni“.

16 17



MAKING LIFE | Gennaio 2021

(RI) DEFINIRE

IL CONTENUTO

Simone Montonati

produzione di valore a lungo

termine e la trasparenza verso

azionisti e consumatori.

In questo contesto, dotarsi

di una strategia per la

responsabilità sociale

d’impresa (CSR) non è

semplicemente una buona

idea, ma può rivelarsi uno

strumento fondamentale per

emergere in un’arena sempre

più competitiva. Un approccio

strategico nei confronti di

questo tema può portare

benefici in termini di gestione

del rischio, riduzione dei costi,

accesso al capitale, relazioni

con i clienti, gestione delle

risorse umane e capacità

di innovazione. Anche gli

stakeholder, inclusi gli

investitori, impiegano sempre

di più i parametri sociali

e ambientali per valutare

l’appetibilità di un’impresa.

E il settore farmaceutico non

fa eccezione, come ci spiega

Valeria Brambilla, Partner

italian Life sciences and Health

care leader di Deloitte Italia.

soprattutto le loro principali

esigenze anche attraverso

il loro coinvolgimento

(“stakeholder engagement”).

Ogni azienda, infatti, svolge

attività e ruoli sociali differenti.

Una farmaceutica italiana

potrebbe includere stakeholder

differenti rispetto a una grande

multinazionale “big pharma”,

in funzione del radicamento

o meno territoriale che le

stesse hanno nel nostro Paese.

In altri casi, vi sono aziende

del settore che producono

prodotti potenzialmente

impattanti sull’ambiente,

quindi si dovranno occupare

66 %

maggiormente di questo

aspetto; ci sono poi elementi

peculiari, come la privacy.

In definitiva, si tratta di allargare

l’approccio seguito finora, che

privilegiava il punto di vista

degli azionisti. Scelta del tutto

legittima e in qualche modo

doverosa dato che lo scopo

di ogni società è comunque

quello di esercitare un’attività

economica e produrre utili.

Ora però la sensibilità dei

cittadini sta cambiando e le

aziende farmaceutiche sono

disponibili ad adeguarsi:

diventa così fondamentale

aderire a framework legali e

sociali del business e utilizzare

i programmi CSR per distribuire

vantaggi a tutti gli stakeholder.

Come devono adeguarsi le

aziende farmaceutiche?

Il mondo farmaceutico per sua

natura ha sempre investito

principalmente nella leadership

di prodotto, perché lì risiede il

suo core business: realizzare

prodotti eccellenti, in termini

di efficacia e sicurezza. Questo

ha attratto gran parte delle

risorse e delle attenzioni

aziendali, compresa la

delle società

italiane attua un

Tradizionalmente

legate alla

leadership di

prodotto, le aziende

farmaceutiche

devono ora offrire

una definizione

più ampia del loro

valore, identificando

con precisione i

propri stakeholder

e le loro specifiche

esigenze

Valeria Brambilla - Deloitte Italia

Ad agosto 2019, la Business

Roundtable, un gruppo

costituito da 181 Ceo di

grandi società americane, ha

sancito un nuovo standard

per la gestione delle imprese

sostenendo che l’obiettivo

principale di un’azienda non è

più solo il valore per l’azionista.

D’ora in poi devono diventare

prioritari anche i dipendenti,

il rispetto delle diversità, la

promozione dell’inclusione, la

creazione di valore per i clienti,

la costruzione di relazioni

etiche con i fornitori, la tutela

ambientale, il sostegno delle

– e alle – comunità, oltre alla

Cosa distingue le attività di

CSR nei settori farmaceutico e

biomedicale?

La CSR nel settore delle

scienze della vita è diversa

da quella di altri settori in

quanto la popolazione ha

aspettative molto elevate sul

suo ruolo sociale: l’idea che

la medicina debba superare il

concetto di semplice “bene” ha

guadagnato popolarità negli

ambienti economici e pubblici.

La medicina salva la vita delle

persone ed è una necessità,

non un semplice bisogno.

La definizione delle strategie

in termini di CSR, comunque,

dovrebbe avvenire a livello di

singola azienda e non seguire

un percorso generalizzato.

Ogni impresa deve individuare

con precisione non solo i

propri specifici stakeholder –

attraverso un processo definito

appunto “identificazione

degli stakeholder” - ma

percorso di stakeholder

Stakeholder engagement

finalizzato all’aggiornamento

dell’analisi di materialità

Presente

Non presente

Esplicitazione degli

stakeholder coinvolti

engagement

34 % 41 % 40%

60 %

66 % 59 %

5% 50 %

67 %

Fonte: Osservatorio nazionale sulla rendicontazione non finanziaria, 2°rapporto, 2019

95 % 50 % 33 %

18 19



MAKING LIFE | Gennaio 2021

19 % nel 2017 26 % Presenza di piani di sostenibilità

Fonte: Osservatorio nazionale sulla rendicontazione non finanziaria, 2°rapporto, 2019

20 % Appartenenti al settore non finanziario

6 % Appartenenti al settore finanziario

74 % Nessun piano di sostenibilità dichiarato

rendicontazione di sostenibilità

definiti dalla Global Reporting

Initiative (GRI) che forniscono un

framework fondamentale ma

ancora generico. Servono ora

indicatori specifici e affidabili

come avviene per le valutazioni

finanziarie.

Un impulso importante è stato

fornito dalle istituzioni...

Certamente le Direttive

2013/34/UE e 2014/95/UE,

introducendo nuovi obblighi

sulla comunicazione di

informazioni di carattere non

finanziario per le aziende di

grandi dimensioni, hanno

accelerato il processo.

In Italia un salto di qualità

si è avuto con il D.Lgs.

254/2016, che ha introdotto

nell’ordinamento Italiano

l’obbligo per gli enti di interesse

pubblico di grandi dimensioni

di redigere e pubblicare una

“Dichiarazione di carattere non

finanziario”.

Un ulteriore importante passo è

stato compiuto dalle istituzioni

finanziarie – a iniziare dalla

Banca Centrale Europea – che

stanno progressivamente

introducendo parametri

non finanziari, legati alle

performance sociali e

ambientali nei loro processi

di attribuzione dei rating per

la concessione del credito.

Questo ha indotto anche i fondi

di investimento a prendere in

considerazione questi aspetti

per selezionare le società

su cui investire. Per questo

sono nati molti servizi che

forniscono dati e analisi sulle

attività di CSR delle aziende,

esattamente come avviene per

le informazioni finanziarie. È

evidente che se tutto il mercato

dà valore anche economico a

questi fattori non finanziari,

le società saranno ancor più

indotte ad affrontarli.

Resta comunque da vedere se

(e quando) queste informazioni

diventeranno accessibili anche

ai consumatori come già

avviene per i bilanci. Siamo solo

all’inizio di un percorso ancora

in gran parte da percorrere.

In questo contesto, qual è il

valore delle certificazioni?

Le certificazioni sicuramente

aiutano, se non altro perché il

giudizio di un ente indipendente

fornisce garanzie agli

osservatori e agli investitori.

Vale il principio che si applica

per il bilancio: non certificarlo

equivale a dichiarare una non

disponibilità a sottoporsi a un

controllo esterno. Non a caso

il decreto sulle società quotate

non si è limitato a introdurre

una rendicontazione non

finanziaria ma ha imposto alle

aziende di certificarla.

Il processo di certificazione

può essere utile anche per

individuare e sistemare

eventuali lacune o, viceversa,

rilevare punti di eccellenza che

possono essere valorizzati nella

comunicazione verso i terzi.

Presenza

di piani di

sostenibilità

Nel 2018, il 26% delle società analizzate

dall’Osservatorio nazionale sulla rendicontazione

non finanziaria ha inserito nell’elaborazione del

proprio bilancio aziendale anche obiettivi qualiquantitativi

dedicati in modo specifico alle

tematiche di sostenibilità, una percentuale in

crescita rispetto all’anno precedente, quando

meno di un’azienda su cinque aveva provveduto.

Circa i due terzi di queste hanno integrato un

piano di sostenibilità all’interno del proprio

piano industriale, una quota superiore di 12

punti percentuali rispetto al 2017.

In generale, le aziende di maggiori dimensioni si

dimostrano più mature nella gestione della

responsabilità sociale di impresa e l’ambito

della sostenibilità non fa eccezione. Il 66%

delle società appartenenti al FTSE MIB

(il più significativo indice azionario della

Borsa italiana) ha infatti definito un piano

di sostenibilità (erano il 53% nel 2017). Di

queste, il 90% lo ha collegato al proprio piano

industriale.

comunicazione. Coerentemente

con la leadership di prodotto,

la strategia è stata quella di

rivolgersi ai medici (e non ai

pazienti), maggiormente in

grado di apprezzare il valore

del prodotto. La CSR impone

ora una definizione più ampia

del valore, e le strategie devono

cambiare di conseguenza,

compresa la comunicazione.

Da qualche anno la leadership

si sta spostando dal prodotto

al valore, un concetto ben

più esteso, che per essere

definito richiede la capacità

di individuare e coinvolgere

i propri stakeholder e loro

esigenze.

A che punto sono le aziende

riguardo alla CSR?

È un tema estremamente

attuale, a tutti i livelli e in tutti

i settori e le aziende si stanno

progressivamente adattando.

Un’analisi del Nasdaq Center

for corporate governance ha

evidenziato che le aziende

pongono maggiore enfasi sulla

divulgazione di informazioni

e metriche “che esulano

dall’ambito finanziario” e il

91% di esse ha pubblicato un

rapporto di sostenibilità.

“L’Osservatorio nazionale

sulla rendicontazione

non finanziaria” - una

collaborazione tra Deloitte e lo

Sda Bocconi – ha analizzato

197 società italiane soggette

all’applicazione del D.Lgs.

254/2016 mettendo in luce

una emergente sensibilità

aziendale verso obiettivi non

finanziari e un maggior livello di

stakeholder engagement.

Al momento le società di

maggiori dimensioni mostrano

un impegno più intenso sui temi

di responsabilità sociale, ma

questo è anche dovuto al fatto

che queste attività richiedono

ingenti investimenti, non solo in

termini monetari ma anche di

risorse, di formazione ecc.

Si tratta peraltro di aree di

studio non ancora consolidate,

con una metodologia standard

sottoposta a continua

trasformazione. Gli analisti

stanno lavorando, anche in

collaborazione con le istituzioni

europee, per definire regole

condivise, indici, algoritmi

decisionali. Al momento, però,

sono stati fissati soprattutto

dei principi, come quelli

indicati nelle linee guida per la

2018

2017

86 /197 SDGs citati nella DNS

società citano i

Sustainable

Development Goals

(SDGs) all’interno

della propria DNF

44 %

56 %

SDGs non citati nella DNS

41 /194 SDGs collegati agli obiettivi futuri

società citano i

Sustainable

Development Goals

(SDGs) all’interno

della propria DNF

21 %

79 %

Fonte: Osservatorio nazionale sulla rendicontazione non finanziaria, 2°rapporto, 2019

Disclosure degli SDG

SDGs non citati nella DNS

Sebbene in un anno sia più che raddoppiata la percentuale di aziende che citano gli SDG (gli Obiettivi di sviluppo

sostenibile fissati dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite) nella propria Dichiarazione non finanziaria (dal 21%

del 2017 al 44% nel 2018), crolla la quota di società che li collegano a obiettivi futuri (dal 76% al 36%).

20 21



MAKING LIFE | Gennaio 2021

La responsabilità sociale

nell’industria farmaceutica

Il mondo delle industrie

farmaceutiche, vista la natura

stessa della sua tipologia

di impresa, non poteva non

sposare un nuovo modo di

fare impresa socialmente

responsabile. Così che,

molte aziende hanno deciso

di spostare il focus della

loro attenzione dal classico

concetto di “farmaco” a quello

più globale di “paziente”,

risultante di una naturale

conseguenza dell’impegno

più vasto che le industrie

farmaceutiche vogliono

assumere. Nel settore

farmaceutico, in relazione

alla responsabilità sociale,

si evidenziano due tendenze

differenti nell’adottare ed

implementare le politiche di

CSR:

Una più incentrata sul ruolo

e l’identità dell’azienda quale

attore economico, dove la CSR

possiede un ruolo tendenzialmente

collaterale rispetto alle sue attività

primarie e dalla quale discendono politiche tese

in maggior modo a massimizzare l’immagine

positiva dell’azienda, quindi ad aumentarne la

reputazione e il controllo degli impatti sociali

della propria attività.

1 2

Una più incentrata sul ruolo e

l’identità dell’azienda quale attore

sociale, dove invece la CSR possiede

un ruolo centrale rispetto alle sue

attività primarie e dalla quale conseguono

politiche tese in maggior modo a creare sviluppo

sociale inteso anche come condizione necessaria

allo sviluppo dell’azienda.

Il mondo farmaceutico moderno ha preso coscienza del fatto che non può

esimersi dall’impegno nel progresso sociale, dall’agire concretamente per lo

sviluppo economico della società e dalla cura dell’ambiente

Giorgio Lorenzo Colombo

Direttore Scientifico, CEFAT - Centro di Economia e valutazione del Farmaco e delle Tecnologie sanitarie,

https://cefat.unipv.it/ Dip.to di Scienze del Farmaco, Università degli Studi di Pavia

DIVERSE

DECLINAZIONI

DELLA CSR

In base a questa distinzione

è possibile verificare che le

imprese che prediligono un

approccio sociale pongono

una particolare attenzione alle

seguenti caratteristiche date

alla CSR:

• primato dello sviluppo

sostenibile rispetto

allo sviluppo

economico dell’azienda

• creazione di valore

aggiunto per sé e la

società

• essere parte integrante

della cultura di impresa

e del modo di operare

• generare opportunità

per l’azienda in termini

di conoscenza e

innovazione

• sviluppo sociale quale

condizione dello

sviluppo dell’azienda

• ascolto dei bisogni

della società

• rifiuto di proporre

principi generali

di CSR

• integrazione della CSR

nella attività ordinarie

dell’impresa

22 23



MAKING LIFE | Gennaio 2021

Nelle aziende che seguono

un approccio più economico,

la CSR è contraddistinta dai

seguenti caratteri:

LE POLITICHE DI

RESPONSABILITÀ

SOCIALE

In generale le politiche di

responsabilità sociale adottate

dall’industria farmaceutica,

possono essere ricondotte in

quattro grandi categorie dei

programmi di CSR:

• ricerca del consenso

alle proprie attività

• gestione delle

implicazioni etiche

delle proprie attività

economiche

e produttive

• rispetto delle leggi

• gestione dell’impatto

sociale delle proprie

attività in particolare

nei confronti dei clienti

e dei beneficiari dei

prodotti

• generico impegno

sociale e contributo

alla comunità senza

dichiarazioni degli

obbiettivi e delle scelte

di fondo che ne guidano

l’azione

• restituzione alla società

del proprio successo

economico

• rispetto di tavole di

valori

1 2 3 4

Politiche

ambientali:

orientate a

minimizzare o eliminare gli

impatti ambientali delle

proprie attività produttive

e di ricerca medica e di

laboratorio.

Politiche sociali:

ampio numero

di interventi che

vanno dalla solidarietà al

mecenatismo.

Politiche della

salute: possono

essere attività di

aiuto ai soggetti più deboli

con difficoltà nell’accedere

a farmaci e/o cure oppure

divulgazione di cultura

della salute presso il largo

pubblico.

Politiche

interne all’azienda:

politiche rivolte al

personale ed al contesto

imprenditoriale in generale,

è diretto inoltre agli ambiti

che influiscono anche sulla

reputazione dell’azienda.

Nell’ambito di queste

politiche è collocabile

anche l’attività di ricerca e

formazione rivolte al campo

medico- farmacologico.

Questa distinzione è

presente, forse in modo

inconsapevole, anche nei

siti web delle aziende;

quando la Responsabilità

sociale d’impresa (CSR) è

• direttamente dalla

home page

Al contrario, nei siti delle

aziende in cui la CSR occupa

un posto collaterale o

periferico nel quadro delle

politiche imprenditoriali,

le informazioni riguardanti

parte integrante del nucleo

dell’azienda i contenuti

che la riguardano possono

essere reperiti:

• in sezioni autonome

molto corpose che

hanno uno status logico

pari a sezioni dedicate

alla produzione e al

marketing

ciò non sono raggiungibili

direttamente dalla home

page e sono inserite in settori

specifici quali:

• attraverso richiami

specifici, all’interno di

altre sezioni del sito

IL CODICE

DEONTOLOGICO DI

FARMINDUSTRIA

Come in tutti i settori, anche

nel mondo farmaceutico,

come si è potuto notare anche

dalla diversità dei dati raccolti

dagli studi, non vi è una

regolamentazione istituzionale

della Responsabilità sociale

d’impresa, essendo intesa

come comportamento

adottabile in modo volontario

dagli imprenditori per

permettere che esso venga

accettato con maggior

consenso e implementato

nelle proprie politiche con

grande efficacia. Ma in

Italia, Farmindustria, ossia

l’Associazione delle imprese

del farmaco si è dotata di

un Codice deontologico

che, oltre ad assicurare un

comportamento corretto tra le

industrie, regolamenta anche i

rapporti tra industrie e mondo

scientifico e sanitario. Questo

codice, come in altri contesti

internazionali, permette di

regolamentare: l’informazione

scientifica diretta; congressi,

convegni e riunioni scientifiche;

i rapporti dell’industria con

il mondo sanitario e con le

associazioni dei pazienti.

Tutti elementi fortemente

toccati dalla responsabilità

sociale di queste industrie.

Una loro regolamentazione

permette quindi di meglio

specificare i limiti entro cui le

industrie possono agire senza

sconfinare in comportamenti

eticamente irresponsabili.

L’informazione scientifica

diretta comprende:

• il bilancio

di esercizio

• le relazioni

internazionali

• le attività delle

fondazioni

• gli eventi e la

comunicazione

pubblicitaria ed

istituzionale

• l’informazione verbale

diretta al medico

• il materiale

informativo

• il materiale

promozionale

• l’aggiornamento

professionale e

la collaborazione

scientifica

• la pubblicità su

giornali e riviste

24 25



LINKEDIN / FACEBOOK / TWITTER / INSTAGRAM / YOUTUBE

I rapporti dell’industria con il

mondo scientifico e sanitario

e con le associazioni dei

pazienti comprendono invece:

• le consulenze

scientifiche e le

borse di studio

• i rapporti con le

società scientifiche

• le sperimentazioni e le

indagini connesse

ai farmaci

• i siti internet

• i rapporti tra le aziende

farmaceutiche

e le associazioni dei

pazienti

Tutti questi elementi

all’interno del Codice

deontologico trovano precisa e

meticolosa regolamentazione,

atta a garantire l’eticità dei

comportamenti delle industrie

farmaceutiche facenti parte di

Farmindustria e permettendo

in questo modo alle aziende

presenti sul territorio italiano

di lavorare in modo etico e

socialmente responsabile.

Ma la Responsabilità Sociale

d’Impresa dichiarata da

molte aziende farmaceutiche

come metodo di condotta

delle proprie imprese è

sempre rispettata? Le società

farmaceutiche conducono

tutti il loro rapporti secondo i

principi di questa teoria? Ne

parlano i codici di condotta

delle industrie farmaceutiche

e ora sempre più spesso

anche le associazioni di

pazienti: i finanziamenti che

le industrie dirigono ai gruppi

di tutela dei pazienti e dei

consumatori vanno dichiarati

e resi pubblici, sia da chi

elargisce sia da chi riceve,

in nome della trasparenza e

della tutela dei cittadini. La

strada sembra ancora lunga

su tutti e due i fronti. Il rischio,

nel mondo farmaceutico, per

la natura di questo settore

strategico e dei rapporti che

intrattiene necessariamente

con il mondo scientifico dei

decisori pubblici e dei pazienti,

che dietro la responsabilità

sociale dichiarata, si potrebbe

celare una irresponsabilità

sociale nei i rapporti con i

medici e associazioni dei

pazienti, celata dietro false

spoglie di responsabilità

sociale e di grande umanità.

L’IMPATTO DI

COVID-19

The Best ingredients for a better life

Nella fase attuale di incertezza

dovuta al Covid-19, le aziende

farmaceutiche sembrano

aver risposto alle attese

dei cittadini, assicurando

continuità produttiva, accesso

alle cure e fornendo il proprio

sostegno al sistema sanitario.

Il percorso delle aziende

farmaceutiche nel rapporto con

l’opinione pubblica è pertanto

in continua evoluzione (vedi

articolo a pag.36). Negli anni

recenti, le imprese del settore

si sono poste l’obiettivo di

“farsi conoscere”, di raccontare

chi sono e cosa fanno, anche

per superare vecchi pregiudizi.

Nel tempo hanno poi cercato

di mettere in rilievo il loro

ruolo nella società. Oggi,

al tempo del Covid-19, le

aziende farmaceutiche hanno

avuto un ruolo sul piano

informativo riguardo al virus,

attirando maggiormente le

persone a visitare i propri

siti internet o a seguire i

loro canali social, in modo

propositivo e supportando

una “buona” comunicazione

scientifica presso la classe

medica e i pazienti/caregiver.

Non è però più sufficiente

raccontarsi in base a cosa si

vende; oggi bisogna informare

le persone su cosa fanno

le aziende farmaceutiche a

supporto della società. Ancora

oggi, queste tematiche di

responsabilità sociale vengono

raccontate meno rispetto

a tematiche aziendali o di

prodotto; il cambiamento in

questo caso deve avvenire

sviluppando attività aziendali

in cui la responsabilità sociale

d’impresa (CSR) diventi

parte integrante del nucleo

strategico dell’azienda,

con l’elaborazione di una

vera e propria strategia

che veda il coinvolgimento

dell’organizzazione a tutti i

livelli.

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MAKING LIFE | Gennaio 2021

Certificare

l'impatto

sociale

28

In un clima di crescente sfiducia nei

confronti delle aziende, è necessario

fornire ai consumatori strumenti per

distinguere le iniziative concrete dalle

operazioni di facciata. B corp analizza e

certifica le attività sociali e ambientali

delle imprese

Simone Montonati

La fiducia dei consumatori nelle aziende continua a ridursi.

Secondo un recente sondaggio, in Italia l’81% della popolazione

ritiene che negli ultimi anni sia diventato più difficile potersi

fidare delle imprese e dei loro prodotti. Una sensazione

condivisa con il resto del mondo: percentuali analoghe si

registrano in Francia, Germania, Usa, Medio Oriente, India e

Australia (unica eccezione la Cina con il 55%). I consumatori

diventano particolarmente sospettosi di fronte alle iniziative di

responsabilità sociale, dato che in passato prodotti o campagne

presentate come modelli di attenzione alla comunità o

all’ambiente si sono rivelati clamorosi bluff.

GREEN WASHING

Basti pensare allo scandalo Volkswagen, la quale, mentre

presentava il suo nuovo motore eco-compatibile (con tanto di

sito dedicato e lancio promozionale in grande stile) diffondeva

dati falsificati sulle emissioni. Già in precedenza la fiducia dei

consumatori era stata messa alla prova da scelte aziendali

quanto meno incoerenti. Philip Morris, ad esempio, nel 1999

spese 100 milioni di dollari per promuovere una campagna

sociale da 75 milioni sollevando profondi dubbi sui reali

obiettivi dell’iniziativa. Anche la campagna per la Coca-Cola Life,

presentata in una confezione verde e riciclabile che le conferiva

un’aura naturale ed ecologica, venne aspramente criticata dato

che in realtà la bevanda conteneva la bellezza di 17 grammi di

zucchero a porzione.

Non stupisce dunque che, secondo diverse ricerche scientifiche,

i rapporti aziendali sulle attività di CSR vengano considerati poco

credibili. La sensazione dei consumatori è che le aziende non

presentino un quadro completo e realistico delle loro attività ma

selezionino solo alcuni elementi particolarmente convincenti

(una pratica definita “cherry picking”). Come spiega una recente

review scientifica, questa percezione ha messo in discussione la

fiducia degli stakeholder creando un gap di credibilità tra loro e

le aziende in tema di rendicontazione della CSR.

B3.600

Aziende

150

Settori

74

Paesi

Corporation

29



MAKING LIFE | Gennaio 2021

UN SISTEMA DI GARANZIA

Un aiuto ai consumatori per poter distinguere attività in buona

fede da comportamenti scorretti arriva da B Corp, un sistema

che certifica le performance sociali e ambientali delle imprese.

Ottenere la certificazione è tutt’altro che semplice (vedi box nella

pagina accanto). Finora, più di 140.000 aziende di 74 Paesi si

sono misurate con questo protocollo e solo 3.790 hanno ottenuto

la certificazione.

Il concetto di B corp, comunque, si spinge oltre la mera verifica

delle attività sociali di un’impresa e introduce l’idea che

un’azienda possa porsi obiettivi diversi dal semplice profitto.

In alcuni stati Usa, ad esempio, esiste una vera e propria

forma societaria, la B corporation (B sta per benefit), attribuita

alle imprese che, mentre cercano di creare utile, si pongono

l’obiettivo di realizzare contemporaneamente un impatto positivo

per la società e l’ambiente.

Si tratta di un principio tutt’altro che scontato. Nel 1919 Henry

Ford fu condannato dalla suprema corte del Michigan a ritornare

sui suoi passi dopo che aveva deciso di tagliare i prezzi delle

auto e aumentare i salari dei lavoratori. Tale decisione, spiegò

il giudice, non è accettabile perché “un’azienda deve operare

principalmente nell’interesse della massimizzazione del profitto

dei suoi azionisti”. Una soluzione contro gli interessi degli

azionisti era da ritenersi illegale, anche se portatrice di benefici

alla comunità.

Dobbiamo tornare a una

società che non dia a una classe

di stakeholder un vantaggio

sproporzionato sugli altri.

Bill Clinton

ex presidente degli Stati Uniti

UN NUOVO RUOLO PER LE IMPRESE

Ora le idee sul ruolo dell’azienda nella società stanno mutando

e l’85% dei cittadini pensa che anche il mondo imprenditoriale

abbia responsabilità nel migliorare la loro vita. Nella strategia

aziendale, inoltre, il concetto di portatori di interesse

(stakeholder) sta sostituendo quello di azionisti (shareholder).

Anche gli analisti finanziari sostengono la necessità di questo

cambiamento. Robert J. Shiller, premio Nobelper l’economia

nel 2013, ha previsto che le B corporation “avranno risultati

economici migliori di tutte le altre”.

In Italia, con legge di stabilità del 2016, è stato introdotto uno

status giuridico – le società benefit – analogo a quello delle B

Corporation americane. Si tratta della prima nazione al mondo

a introdurre questa forma (negli Usa lo status è valido solo in

34 stati e non esiste una normativa federale). Anche le società

che riescono a ottenere le certificazioni sono in aumento, segno

che a mutare è anche l’approccio con cui le imprese vengono

gestite. Tra queste vi sono nomi noti come Patagonia, Danone,

Ben & Jerry’s (che fattura oltre un miliardo di dollari) ma anche

moltissime piccole realtà.

Spero che tra cinque, dieci

anni, ci guarderemo indietro

e diremo che le B-corp sono

state l’inizio della rivoluzione.

Il paradigma esistente

non funziona più:

questo è il futuro.

Yvon Chouinard

fondatore di Patagonia

Da 0 a 200

La certificazione si basa sul calcolo di un indice, denominato

Benefit impact assessment (o B impact assesment), che

non si limita ad analizzare un prodotto o un servizio, ma

misura la performance sociale e ambientale complessiva

dell’azienda. L’impatto viene misurato su una scala da

0 a 200 punti e per ottenere la certificazione è necessario

superare la soglia degli 80 punti. Per usare le parole di Eric

Ezechieli, fondatore di Nativa (parte attiva nell’introduzione

della legge sulle Società Benefit in Italia): «Sopra gli 80 punti

un’azienda è rigenerativa, restituisce al mondo più valore

di quanto ne prende, sotto gli 80 punti è estrattiva, sottrae

valore alla comunità».

Le aree prese in considerazione per la valutazione dell’indice

sono cinque: governance, lavoratori, comunità, ambiente e

clienti, ognuna delle quali contiene alcune voci specifiche,

personalizzate in base alle dimensioni, al settore e all’area

geografica in cui opera l’azienda. I punteggi nelle singole

voci sono pubblici, così come i risultati degli anni precedenti.

In questo modo, ognuno può farsi un’idea dei punti di forza

e delle criticità di una specifica impresa. “La Certificazione

B Corp – spiegano gli stessi ideatori – non si limita a

dimostrare dove la vostra azienda eccelle ora, ma vi impegna

a considerare l’impatto a lungo termine sugli stakeholder,

integrandolo nella struttura legale della vostra azienda”.

A livello globale l’85% dei cittadini pensa che anche il

mondo imprenditoriale abbia responsabilità nel migliorare

la loro vita. Quanto i governi.

85 %

Mondo imprenditoriale

Governi

86 %

Fonte: Eric Ezechieli, “La Benefit Corporation e lo scopo del business”.

30 31



MAKING LIFE | Gennaio 2021

OLTRE LA QUALITÀ

Percezione globale dei pazienti

La reputazione generale dell’azienda farmaceutica è positiva per il 46% degli

intervistati ma ci sono alcune zone d’ombra come la trasparenza e i prezzi.

Paradossalmente, i giovani hanno più fiducia degli adulti e degli anziani

Caterina Lucchini

Sebbene l’industria del farmaco

abbia un ruolo chiave nel progresso

della salute e delle condizioni di vita

dell’umanità, ha anche accumulato

ricchezza e questo è probabilmente

uno dei principali motivi per cui risulta,

da sempre, tra i settori più criticati da

governi, media e opinione pubblica.

Di conseguenza, la fiducia e

l’apprezzamento del pubblico verso

il settore tendono a essere limitati in

molti Paesi, posizionando il settore

farmaceutico al 12 imo posto di una

classifica condotta da Caliber, ben al di

sotto di altre aree come quella del food

e dei software, ad esempio. Due report

di recente pubblicazione, condotti

rispettivamente da Research&Market

e Caliber, ci offrono una fotografia

eterogenea della percezione delle

persone e lanciano alcuni spunti

interessanti per le aziende.

PHARMA INDUSTRY

AL PRIMO POSTO

Il report dal titolo “Corporate reputation

of pharma in 2019 - The global patient

perspective” di Research&Market

è ormai alla sua nona edizione. Tra

nove settori sanitari presi in analisi,

i 1.850 gruppi di pazienti intervistati

posizionano al primo posto, in termini

di reputazione aziendale, l’industria del

farmaco. Un atteggiamento di fiducia

nel complesso positivo. In particolare,

una fiducia che sembra crescere

rispetto al 2018 e che non è mai stata

– a quanto riporta il documento – alta

quanto l’ultimo anno (figura 1).

I DRIVER DELLA

REPUTATION

Se da un lato i gruppi di pazienti

intervistati nel 2019 reputano in

miglioramento il comportamento

delle aziende sui temi per loro

importanti (prodotti di qualità,

sicurezza, innovazione), dall’altro la

trasparenza, le giuste politiche di prezzo

e l’arruolamento dei pazienti nella

ricerca clinica sono invece aree su cui

gli intervistati non esprimono commenti

particolarmente positivi (figura 2).

Per la prima volta, in questa edizione,

è stata chiesta un’opinione sul tema

dell’accesso ai farmaci. Solo il 26% ha

dichiarato che il settore è “eccellente” o

“buono” nel garantire a tutti pazienti la

possibilità di curarsi. Tuttavia, i risultati

delle risposte variano molto da un Paese

all’altro, passando dal 65% di risposte

positive dei pazienti serbi all’8% di quelle

nei Paesi Bassi. Tra i nostri connazionali,

solo il 22% degli intervistati ha reputato

positivamente l’impegno dell’industria

farmaceutica in questo ambito.

Per quanto riguarda le aziende che

godono di miglior reputation, ViiV

Healtcare, Roche/Genentech e AbbVie

guadagnano rispettivamente il primo,

secondo e terzo posto nel report di

Research&Market.

45

%

46

%

60%

42

%

43

%

41

%

50%

40%

39

%

38

%

30%

34

%

35

%

20%

10%

0%

2011

2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019

Qualità

Sicurezza

Innovazione

Accesso ai farmaci

Trasparenza

Arruolamento

studi clinici

Giuste politiche

di prezzo

Figura 1. Eccellente o buona considerazione della reputazione dell’azienda pharma dal 2011 al 2019 (Fonte: Corporate reputation of pharma in 2019 - The global patient perspective – Research&Market)

Figura 2. I driver della reputation (Fonte: Corporate reputation of pharma in 2019 - The global patient perspective – Research&Market)

32 33



PERTINENZA VS

INNOVAZIONE

Altri dati sulla percezione del paziente

arrivano da un’ulteriore indagine

condotta tra la fine del 2019 e gli inizi

del 2020 su oltre 13mila intervistati

unici di 95 Paesi. Si tratta dello studio

“Global Pharma Study 2020”, condotto

da Caliber. Come mostra la figura 3,

tra i diversi fattori che alimentano la

reputazione aziendale, la “pertinenza”

(in inglese “relevance”, che misura

la facilità dei pazienti a relazionarsi

con ciò che le aziende farmaceutiche

rappresentano) ottiene le prime

posizioni, mentre l’innovazione

arriva ultima. Questo dato merita

una riflessione, in particolare da

parte delle aziende del farmaco, che,

contrariamente a quanto emerge

dall’opinione dei consumatori, puntano

enormemente sull’innovazione, che di

norma ricopre un ruolo centrale nel

settore commerciale.

Di contro, la pertinenza ha un valore

percepito molto elevato: per alcuni

paesi tra cui Brasile, Italia, Paesi Bassi,

Svizzera, Stati Uniti e Russia è il più

importante driver della reputazione.

MAKING LIFE | Gennaio 2021 | Numero Uno

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Relevance

Authenticity

Offering

Differentiation

Inspiration

Leadership

13,6 %

12,9 %

12,8 %

12,6 %

12,1 %

11,0 %

14,0 %

PharmaFuture & Health

PHARMA REPUTATION

PER INFORMAZIONI SCRIVI A

abbonamenti@makinglife.it

Innovation

10,9 %

Figura 3. La relevance ha più valore per i pazienti rispetto all’innovazione (Fonte: Global Pharma Study 2020 – Caliber)

IL PARADOSSO

DELL’ETÀ

Secondo l’indagine, la fiducia da

parte degli intervistati diminuisce

all’aumentare dell’età. Un effetto

paradosso, se si pensa che il maggior

bisogno delle case farmaceutiche è

proprio nella popolazione di età più

avanzata (figura 4).

69,3

%

70,8

%

66,9

%

64,0 64,0 64,1

% % %

è la community dell’innovazione

nell’healthcare

e ne governa il cambiamento

Figura 4. Fiducia delle aziende del farmaco nelle

diverse generazioni (Fonte: Global Pharma Study 2020 – Caliber)

Generation Z Generation X Baby Boomers

Generation Y

(Millennials)

Generation

Jones

Silent

Generation

34



MAKING LIFE | Gennaio 2021

COVID &

PHARMA

REPUTATION

È DAVVERO CAMBIATA

L’OPINIONE DEI

CONSUMATORI NEI

CONFRONTI DEL

MONDO PHARMA DOPO

L’EMERGENZA SANITARIA?

Daniele Martinelli

Fin dall’inizio della pandemia si è molto discusso di quali ripercussioni potrà avere l’emergenza sulla

percezione dei consumatori nei confronti dell’industria farmaceutica ma con il passare del tempo appare

chiaro che probabilmente non esiste una risposta univoca.

Sebbene inizialmente l’impatto sulla reputazione del settore pharma sembrasse positivo, alcune distinzioni

tra le diverse aziende sono emerse fin dalle prime rilevazioni. Ad agosto, uno studio di FutureBrand aveva

rilevato un complessivo miglioramento della percezione dei cittadini per le big pharma ma se da un lato vi

erano aziende come Roche e AstraZeneca che scalavano le classifiche globali della reputation, altre, come

Gilead, perdevano progressivamente terreno. Gli autori della ricerca spiegavano queste differenze sulla base

di una miglior risposta individuale all’emergenza da parte di alcune aziende, che avrebbe fruttato loro le

migliori performance reputazionali.

DIFFERENZE

GEOGRAFICHE

Secondo lo studio pubblicato da Caliber a settembre

(vedi anche articolo a pag.32), la pandemia in realtà

ha avuto un effetto netto nullo sull’opinione pubblica

del pharma: a livello globale il Trust&Like Score

del settore (l’indice che misura il livello di fiducia)

è sostanzialmente rimasto inalterato passando dal

67,5 pre-covid a 67,4. Esistono, però, significative

differenze tra le aree geografiche.

In alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, la reputazione

delle big pharma ha registrato un’impennata

(indice da 69 a 77) mentre in altre zone, come la

Scandinavia, ha subito un tracollo (in Norvegia, ad

esempio, ha perso 6,4 punti). Non sembra, peraltro,

che i risultati siano correlati al modo in cui i governi

hanno gestito la crisi: Stati Uniti e Brasile hanno

entrambi sofferto molto ma mostrano impatti

opposti (-3,9 per il Brasile). Analogamente, Norvegia

e Polonia hanno arginato precocemente il contagio,

ma con effetti inversi sulla reputazione (in Polonia

+3,9). Inoltre, spiega il rapporto, non pare esserci

alcuna correlazione tra l’impatto reputazionale

e il sistema sanitario del Paese o la fiducia delle

persone nello Stato.

CHI SALE, CHI SCENDE

A livello globale, comunque, si registrano sensibili

differenze anche tra le singole aziende (figura 1).

Spiegare perché alcune società – come Novo

Nordisk e Teva – abbiano migliorato la propria

reputazione mentre altre – come Bayer, AbbVie

e J&J – sperimentavano una reazione contraria

è senz’altro complesso ma vi è un elemento

particolarmente interessante che emerge dalla

ricerca ed è legato alla notorietà dell’azienda.

Lo studio, infatti, ha rilevato una correlazione

inversa tra la “familiarità” del marchio e il

punteggio dell’indice di fiducia. Come mostrato

dalla figura 2, le aziende più conosciute sono

anche quelle che registrano i più bassi livelli

di Truts&Like. Il rapporto afferma che questo

elemento era presente anche prima della

pandemia, ma sembra che l’emergenza abbia

intensificato il fenomeno accentuando la

polarizzazione della reputazione tra le big pharma.

FIDUCIA & GRADIMENTO

2.8

NOVO NORDISK

0.7

ROCHE

1.0

ASTRAZENECA

0.6

PFIZER

FIGURA 1 - Variazione nella reputazione dopo Covid-19

(Fonte: Global Pharma Study 2020, Caliber

76%

74%

72%

70%

68%

66%

64%

62%

TAKEDA

PHARMA

60%

0% 10%

NOVO NORDISK

MERCK

ABBVIE

(MSD)

& COTEVA

SANOFI

ASTRAZENECA

NOVARTIS

GLAXOSMITHKLINE (GSK)

Figura 2 - Llivello di fiducia in base alla notorietà del marchio

Fonte: Global Pharma Study 2020, Caliber

2.0

TEVA

ROCHE

SANOFI

NOVARTIS

BAYER

1.2

-0.1

-2.8

PFIZER

-2.5

ABBVIE

-0.3

LILLY

1.7

MERCK

-2.2

TAKEDA

BAYER

-0.9

GSK

J&J (JOHNSON&JOHNSON)

20% 30% 40% 50% 60% 70%

FAMILIARITÀ

36 37



MAKING LIFE | Gennaio 2021

Pharma

industry

in Italia,

fiducia con

riserva

Secondo un recente sondaggio, le associazioni italiane di pazienti

apprezzano la qualità dei prodotti farmaceutici ma sono critiche

riguardo alla trasparenza e alle politiche commerciali delle aziende

REPUTAZIONE IN

AUMENTO

Nel 2019, il 59% degli intervistati ha

descritto la reputazione aziendale

dell’industria del pharma come

“eccellente” o “buona”, una percentuale

in aumento rispetto al 56% del 2018.

Agli occhi delle associazioni italiane,

il punto di forza delle farmaceutiche

risiede soprattutto nella qualità dei

prodotti, giudicata positivamente dalla

metà del campione. Per quanto positivo,

questo dato risulta sensibilmente

in calo rispetto al 61% dell’anno

precedente. Nonostante la disposizione

complessivamente positiva, i

pazienti nel nostro Paese mostrano

preoccupazione per le politiche di

prezzo dei farmaci e per i livelli di

trasparenza del settore. Le politiche

sull’equità dei prezzi, ad esempio,

vengono ritenute eccellenti o buone

solo dall’8% dei gruppi intervistati

e la trasparenza delle politiche di

prezzo raccoglie un misero 13% (una

valutazione condivisa dai pazienti

di tutto il mondo: la media tra tutte

le 1.850 organizzazioni intervistate

globalmente è del 14%). Anche in

tema di accesso ai farmaci, i risultati

non sono incoraggianti: in Italia solo

il 22% dei gruppi apprezza l’operato

dell’industria (nel mondo sono il 26%).

UN CATTIVO

RAPPORTO CON LE

ASSOCIAZIONI

Deludente anche il rapporto con le

associazioni di pazienti, giudicato

eccellente o buono solo dal 29% delle

organizzazioni (a livello globale questa

percentuale sale al 42%). Secondo

i ricercatori, il rapporto tra aziende

e associazioni di pazienti in Italia

potrebbe essersi deteriorato durante

le fasi di negoziazione sui prezzi dei

farmaci: “Indubbiamente – afferma

il report – il pensiero dei gruppi di

pazienti è stato influenzato dal fatto

che i temi del prezzo dei farmaci e

della trasparenza hanno dominato il

panorama farmaceutico italiano per

tutto il 2019”.

Per quanto riguarda le singole aziende,

Roche gode della miglior reputazione

assoluta tra le 74 associazioni di

pazienti che conoscono il marchio, e si

posiziona al secondo posto per le 33

organizzazioni che hanno collaborato

con la multinazionale svizzera.

Complessivamente, Novo Nordisk si

classifica al secondo posto e Pfizer

al terzo. Pfizer si è anche classificata

al primo posto assoluto tra le 22

associazioni italiane che la hanno avuta

come partner.

Caterina Lucchini

LA

RICERCA

La considerazione dei pazienti italiani

per le aziende farmaceutiche è

migliore rispetto a quella negli altri

Paesi. Tuttavia, questo risultato si deve

soprattutto alla valutazione positiva

della qualità dei prodotti farmaceutici

mentre i giudizi sull’etica aziendale

risultano decisamente poco lusinghieri.

Lo rivela un’indagine pubblicata da

Research&Markets e intitolata: “The

corporate reputation of pharma in 2019

- The patient perspective - Italy Edition”.

Giudizi

Positivi

VALUTAZIONE POSITIVA DELLA REPUTAZIONE

DELL’INDUSTRIA DEL PHARMA

2018 56 %

VALUTAZIONE POSITIVA DELLA TRASPARENZA DEI

PREZZI SULLA QUALITÀ DEI PRODOTTI FARMACEUTICI

2019 50 %

2018 65 %

100

GRUPPI DI PAZIENTI

IN

ITALIA

GRUPPI DI PAZIENTI CHE

HANNO LAVORATO PER

ALMENO 1 PHARMA

65 % NOV

2019

IL

PERIODO

GEN

2020

Reputazione

Negativa

2019 59 % 8 %

VALUTAZIONE POSITIVA DELLE

POLITICHE DI EQUITÀ DEI PREZZI:

VALUTAZIONE POSITIVA DELLA

TRASPARENZA DEI PREZZI:

13 %

38

VALUTAZIONE POSITIVA IN TEMA

DI ACCESSO AI FARMACI:

22 %



MAKING LIFE | Gennaio 2021

YOUNGERS’ FEEDBACK

PHARMA E

GIOVANI

Bene, ma non

benissimo

Quale percezione

hanno i giovani

della reputation

delle aziende

farmaceutiche?

I risultati della

survey condotta

sui social da

MakingLife in

collaborazione

con Farmaceutica

Younger

In tema di reputazione delle

aziende farmaceutiche, un

interessante sondaggio è

stato condotto da MakingLIfe

in collaborazione con

Farmaceutica Younger,

piattaforma italiana dedicata

a giovani laureati in discipline

scientifiche che vogliono

reperire informazioni per

comprendere regole e

meccanismi del settore

farmaceutico. Con l’idea

di valutare la percezione

dei lavoratori più giovani,

la piattaforma ha lanciato

una survey tra i suoi social

follower. Pur non avendo

la pretesa di riprodurre un

campione statisticamente

rappresentativo, l’indagine

risulta ugualmente stimolante,

perché la maggior parte delle

risposte è stata fornita da

giovani tra i 26 e i 35 anni

che lavorano in un’azienda

farmaceutica.

QUANTO LE AZIENDE

FARMACEUTICHE

SONO ATTENTE ALLA

RESPONSABILITÀ

SOCIALE?

La prima informazione

che emerge è un generale

apprezzamento per il livello

di responsabilità sociale

mostrato dalle farmaceutiche.

Gli intervistati hanno valutato

questo aspetto con un

punteggio medio di 3,5 (su una

scala da 1 a 5) con oltre la metà

del campione che ha fornito

una valutazione positiva. In

particolare, l’8,6% ha attribuito

il massimo punteggio. La stessa

percentuale ha risposto con

giudizio negativo (“1” o “2”)

mentre il 38,6% ha valutato con

un “3” le performance sociali

dell’industria.

Percezione del livello di

responsabilità sociale

delle aziende pharma

QUALE INFLUENZA

HA IL MANIFESTO

ETICO DI UN’AZIENDA

SULLE SCELTE

PROFESSIONALI?

Si tratta di dati da non

trascurare, perché i giovani

sono particolarmente attenti

all’approccio delle aziende

sui temi sociali e ambientali

e questo fattore influenza

significativamente anche le

loro scelte professionali, come

conferma lo stesso sondaggio.

Il 42,9% degli intervistati, infatti,

attribuisce importanza 4 o 5 al

manifesto etico aziendale per

selezionare il proprio posto di

lavoro.

Influenza del manifesto

etico delle aziende sulle

scelte professionali

DURANTE UN

COLLOQUIO O IN

FASE DI ASSUNZIONE

TI È STATA SPIEGATA

IN MANIERA

ESAUSTIVA L’ETICA

AZIENDALE?

Questa esigenza non pare

essere pienamente recepita

dalle imprese, dato che quasi

l’80% dei giovani intervistati

lamenta di non aver ricevuto

spiegazioni esaustive sul

codice etico dell’azienda

durante il colloquio di

selezione.

I pochi cui è stata illustrata

la politica sociale sono

rimasti positivamente colpiti

soprattutto dal livello di

trasparenza (indicato in quasi

il 43% dei casi).

Seguono, a pari merito,

l’attenzione all’utilizzatore

finale, il rispetto per i

dipendenti, l’ambiente, la

sostenibilità e la categoria

“qualsiasi decisione, anche

la più piccola, deve sempre

essere presa in ottica di

preservare e garantire la

sicurezza del paziente”.

Riguardo agli aspetti etici

maggiormente penalizzati

dalle aziende, gli intervistati

si sono dimostrati meno

unanimi, indicando quasi

in egual misura tre diversi

fattori: “gestione del

personale”, “pratiche di

marketing”, “trasparenza

e cooperazione con altre

aziende farmaceutiche”.

Solamente l’ultima risposta

ha ottenuto una leggera

preferenza, raccogliendo il

40% delle scelte.

Aziende che illustrano

il proprio codice etico in

fase di assunzione

40 Silvia Vernotico

41



MAKING LIFE | Gennaio 2021

Il ruolo chiave della

Corporate Reputation

per le imprese

Micaela Terzi

Coltivare la reputazione delle organizzazioni diventa cruciale in un

momento come questo, di incertezza, sfide imprenditoriali e forte

competizione tra i talenti

RE

PU

TA €

TION

Micaela Terzi è una Business Coach che collabora con Accademia

della Felicità, società di coaching e formazione che aiuta aziende,

singoli professionisti e privati a realizzarsi e a esprimere

pienamente il proprio valore.

info@accademiafelicita.it

La corporate reputation è considerata

sempre più una risorsa di valore

per le aziende, e i membri dei board

sono consapevoli del loro ruolo

di responsabilità nel garantire la

reputazione e lo sviluppo del business.

Lo ha affermato Micho Spring,

presidente global corporate practice

di Weber Shandwick, che ha realizzato

la ricerca “The state of corporate

reputation in 2020: everything matters

now”.

La ricerca, condotta online raccogliendo

i pareri di oltre 2.200 dirigenti di grandi

società che operano in 22 mercati

differenti, ha rilevato che la corporate

reputation per i manager arriva a

coprire il 63% del valore di mercato di

un’azienda.

Saper soddisfare le aspettative dei

propri stakeholder nel tempo diventa

quindi un asset fondamentale, non

solo per le grandi multinazionali, ma

per chiunque faccia business, in tutti i

settori.

Secondo la ricerca di Weber

Shandwick la reputation è influenzata

da un insieme di diversi fattori, tutti

di impatto simile. Questo significa che

non è possibile focalizzarsi o dare

priorità soltanto ad alcuni di essi, ma

è necessario lavorare alla reputazione

dell’azienda in maniera complessiva.

Tutto influisce sul “giudizio” dei

consumatori: la qualità – non solo dei

prodotti ma anche dei dipendenti – la

cultura aziendale, la performance

finanziaria, i valori trasmessi

attraverso le strategie di marketing e

comunicazione, la qualità del Ceo ecc.

(% global executives rate

8-10 on 10-point scale)

Quality of products or services

FATTORI CHE CONTRIBUISCONO

ALLA REPUTAZIONE AZIENDALE

Quality of employees

Quality of customer service

Safety of product services

Respect for customer or employee privacy

Product or service innovation

Industry leadership

Financial performance

Value for the cost or price of products or services

Ethics and values

Technological advancement

Corporate culture

Corporate purpose

Quality of Ceo or Chair

Training and support for employees

Marketing and communications

Quality of senior leadershipother than Ceo or Chair

Diversity and inclusion of the workplace

Community relations

Governance

Environmental responsability

Global presence

Philanthropy or charity support

63%

63%

61%

60%

60%

59%

59%

59%

58%

58%

57%

57%

57%

56%

56%

55%

55%

54%

54%

53%

51%

50%

48%

Fonte: The state of corporate reputation in 2020: everything matters now

42 43



MAKING LIFE | Gennaio 2021

IL RAPPORTO CON IL

CLIENTE IN 7 STEP

È proprio il Ceo che gioca un ruolo

cruciale nella corporate reputation:

otto manager su dieci in tutto il mondo

affermano infatti che è importante che

queste figure comunichino apertamente

i valori della società in modo che ci sia

un riconoscimento positivo di tutta la

struttura. Questo significa che la cura

della reputazione non può più essere

relegata solo ai responsabili marketing

o comunicazione, ma è un affare che

coinvolge tutti coloro che fanno parte di

un’organizzazione.

Sempre più si parla di personal

branding, della logica, cioè, con cui

una persona crea e trasferisce a un

pubblico specifico la sua promessa

di valore. In azienda il valore viene

trasmesso dalle persone che ci

lavorano, la cui immagine può essere

un importante fattore di competitività.

Il personal branding consente

all’azienda di attirare le opportunità

più in linea con i suoi valori, agendo

per valorizzare i punti di maggiore

efficienza ed efficacia. Oggi infatti non

basta essere conosciuti per far sì che

i propri prodotti o servizi vengano

acquistati. È sempre più importante

lavorare sulla reputazione delle

persone che lavorano in azienda, per

far sì che i consumatori ne capiscano

il vero valore, anche rispetto ai

competitor. Il rapporto cliente/azienda

deve essere costantemente nutrito, per

far sì che vengano attraversati tutti gli

stadi che lo compongono:

Il pubblico ti

1 riconosce

Ha chiaro perché sei utile e

3 comprende il tuo valore

5

Ti sceglie

Ti consiglia ad

7 altri e parla

bene di te

Sa esattamente

che cosa fai 2

Percepisce il tuo

posizionamento e ti considera

come una delle possibili

opzioni

Ti rimane

fedele

4

6

Ogni business deve puntare ad

attraversare tutti questi stadi e non

fermarsi solamente alla vendita. I

clienti che vengono fidelizzati hanno

infatti un grandissimo valore, anche dal

punto di vista economico. Si calcola che

acquisire nuovi clienti costi all’azienda

cinque volte di più che fidelizzare quelli

che hanno già comprato una volta.

Inoltre, il passaparola fa risparmiare

moltissimo a livello di marketing e

comunicazione: in pratica, una buona

reputazione contribuisce a ridurre i

costi e massimizzare i guadagni, perché

spinge le persone a fare marketing al

posto dell’azienda.

EMPLOYER

BRANDING

All’interno delle attività che

contribuiscono alla corporate

reputation, il Ceo branding ricopre un

ruolo di estremo valore. Serve infatti

a veicolare al pubblico temi, valori

e competenze, in maniera chiara,

costante e coerente con gli obiettivi

aziendali. Quando il Ceo o le altre

persone chiave dell’azienda sono

identificabili in modo inequivocabile,

Un terzo degli

executive attribuisce

alla reputazione

dell’azienda oltre

il 75% del suo

valore di mercato

uno dei principali benefici è anche

l’employer branding. L’impresa è

cioè in grado di attrarre le persone

“giuste”, che condividono i valori

dell’organizzazione e quindi sono già

ampiamente ingaggiati, senza che sia

necessario investire ulteriormente in

questa attività.

Per la corporate reputation la

comunicazione dei valori aziendali

è fondamentale. Chiarire e poi

realizzare la propria mission, vision

e i propri valori, che sono considerati

driver principali di reputazione per il

marketing e la comunicazione.

Le organizzazioni possono rafforzare la

propria reputazione e avere un impatto

positivo partendo dalla comprensione

delle aspettative del pubblico e dal suo

coinvolgimento attivo.

INGAGGIARE I

CONSUMATORI

Con l’avvento del digitale i consumatori

hanno avuto la possibilità di entrare

ancora più in stretto contatto con i

brand e hanno sviluppato la tendenza

ad acquistare prodotti e servizi che

PERCENTUALE DEL VALORE DI MERCATO

ATTRIBUITO ALLA REPUTAZIONE DELL’AZIENDA

IL 76

PERCENTO

Non so

0%-25%

26%-49%

50%-75%

76%+

in qualche modo sentono di aver

contribuito a sviluppare. Le recensioni,

i feedback, i sondaggi, la condivisione

sui canali social diventano uno degli

strumenti chiave di cui dispongono le

aziende per entrare in contatto con

il pubblico di riferimento facendolo

sentire coinvolto nello sviluppo di

un prodotto e un servizio, che poi

diventa più facile vendere. Il marketing

e la comunicazione, quindi, non si

possono più limitare a raccontare

i benefici e le caratteristiche di

un articolo, ma devono pensare

a come ingaggiare i consumatori

raccontandone la storia e l’evoluzione,

permettendo così una maggiore

consapevolezza e condivisione dei

valori guida dell’azienda. A maggior

ragione – afferma Leslie Gaines-

Ross, chief reputation strategist di

Weber Shandwick – in un periodo

caratterizzato da incertezza, sfide

imprenditoriali, trasformazione digitale

velocissima e competition forte tra

talenti, in cui la reputazione è una

risorsa competitiva irrinunciabile:

«Coltivare strategicamente e

mantenere una solida reputazione, sia

internamente che esternamente, deve

essere una priorità assoluta per quasi

tutte le aziende».

14 %

33 % 6

12 %

10 %

31 %

Fonte: The state of corporate reputation in 2020: everything matters now

Fonte: The state of corporate reputation in 2020: everything matters now

44 45



MAKING LIFE | Gennaio 2021

I nuovi paradigmi

per l’informazione scientifica

Etica, integrità, valore dell’eccellenza: i paletti per una

comunicazione corretta riguardano anche il modo di

utilizzare la scienza

Caterina Lucchini

Una volta si parlava del

prodotto, delle sue qualità,

dei punti di forza. Oggi gli

approcci comunicazionali,

in tutti gli ambiti e anche in

quello medico-farmaceutico,

sono stati stravolti. Si tende

a parlare sempre meno

dell’oggetto in sé, che ha perso

la sua centralità nel processo

comunicativo: si racconta

piuttosto una esperienza,

si porta il consumatore ad

abbracciare la percezione

globale dell’azienda, i suoi

valori, la sua integrità,

l’etica che muove le scelte

strategiche. I consumatori

vogliono sapere chi sei, cosa

pensi, guardano alla tua

reputazione, per l’appunto,

prima ancora di capire cosa

hai da offrire. Questo vale

per tutti i settori, e quello

farmaceutico non può fingere

che questi cambiamenti di

espressione non tocchino

anche l’ambito della salute,

a maggior ragione in

questo momento storico.

La pandemia di Covid-19,

infatti, ha probabilmente

accelerato questo processo,

e sta già obbligando le

aziende a fare un passo

indietro per osservare con

umiltà quanto sta accadendo

e avere l’intelligenza di

capire quali passi compiere

per il futuro. La reputation

è sempre più importante in

ambito comunicativo ma non

si costruisce in un giorno.

Ci vuole tempo, costanza,

deve basarsi su un processo

analitico che porti a capire i

bisogni della società senza

avere l’arroganza di credere

di saperli già. Non essere

pronti a osservare, mettersi

in discussione e cambiare

ove opportuno, significherà

probabilmente essere tagliati

fuori. Anche nell’utilizzo

della letteratura scientifica

a sostegno delle proprie

campagne.

SCIENZA ED

ETICA DELLA

COMUNICAZIONE

L’editoria scientifica

rappresenta l’insieme delle

pubblicazioni che raccolgono

i risultati della ricerca

accademica e non solo. Si

tratta, come è stato anche

ricordato sulle colonne del

Sole 24 Ore, di “edizioni

fondamentali per contribuire

allo sviluppo stesso della

ricerca, attraverso il

confronto tra studiosi, ma

che sempre più devono

avere il compito di aprire la

ricerca verso la società”. Chi

si occupa di divulgazione

scientifica avrebbe il compito

di comprendere e digerire

le informazioni presenti

nell’editoria scientifica,

spesso dedicata a persone

esperte del settore, e

renderla comprensibile a

tutti. Attualmente però – si

legge nell’introduzione della

pubblicazione «L’etica della

comunicazione scientifica”,

a firma di Antonio Addis

(membro della Commissione

tecnico-scientifica dell’Agenzia

italiana del farmaco e della

Commissione regionale

del farmaco della Regione

Lazio) e Luca De Fiore

(Direttore generale de Il

Pensiero Scientifico Editore)

- la comunicazione soffre

numerosi problemi sia per

questioni legate alla cattiva

ricerca (la ricerca non

etica, la fabbricazione e la

falsificazione di dati, il conflitto

di interessi, la rendicontazione

incompleta, l’alterazione della

verità e il plagio) sia per i limiti

di un sistema accademico

che non premia la qualità dei

contenuti». Secondo gli autori,

è necessaria un’inversione

di rotta che potrebbe essere

basata su cinque principali

cambiamenti (vedi infografica).

Ai valori quali l’integrità,

la trasparenza e l’etica

spetterebbe pilotare i processi

comunicativi.

La comunicazione in ambito

biomedico e lo studio

delle criticità etiche a essa

collegate dovrebbero avere

un ruolo centrale nel percorso

di formazione e nel lavoro

di chi fa ricerca e chi opera

in medicina a qualsiasi

livello, dai ricercatori nelle

università, agli editori, alle

agenzie di comunicazione

che supportano l’industria,

all’industria stessa, alle

istituzioni, agli operatori

1

STABILIRE

POCHE REGOLE CHE

POSSANO ESSERE

REALMENTE SEGUITE

“Il codice deontologico di

Farmindustria sottolinea

l’importanza della trasparenza

e impegna le imprese a

tutelare la propria credibilità,

non ammettendo affermazioni

esagerate, asserzioni

universali e iperboliche, e

confronti non dimostrabili

e privi di una evidente base

oggettiva. Tuttavia non

mancano sia negli studi sia

nel marketing termini quali

breakthrough, game-changer,

miracle”

sanitari.

Inoltre, suggeriscono gli autori

nelle conclusioni dell’articolo,

sarebbe opportuno far

riaffiorare i principi proposti

da Alessandro Liberati,

medico prematuramente

pioniere delle sintesi delle

evidenze:

una comunicazione

onesta deve rendere

accessibili i risultati

della ricerca a chi deve

prendere decisioni che

riguardano la propria

salute

2

MIGLIORARE LA

QUALITÀ

DELL’INFORMAZIONE

SCIENTIFICA

“Le pubblicazioni sui

periodici editi dai predatory

publisher non dovrebbero

essere considerate utili ai fini

concorsuali e un database

pubblico che indicizzi queste

riviste potrebbe orientare le

istituzioni e i ricercatori”

3

ACCETTARE E

INCENTIVARE UN

CONFRONTO APERTO

“L’invito dovrebbe però

essere interpretato come

un maggior coinvolgimento

delle istituzioni nella

comunicazione”

i ricercatori devono

impegnarsi in studi che

promettano vantaggi

ai cittadini e non siano

unicamente utili alla

propria carriera o

all’industria

prima di aprire nuovi

fronti di ricerca è

opportuno esaurire le

potenzialità delle ricerche

già avviate

4

CONSENTIRE AI

CITTADINI DI POTER

ESPRIMERE E FAR VALERE LE

PROPRIE ESIGENZE

“Cambiare la prospettiva

– dall’informazione

unidirezionale alla

comunicazione

multidirezionale – prevede che

tutti i portatori di interesse

accettino di misurarsi con la

produzione di conoscenze,

diventando co-costruttori

della comunicazione. È

compito delle istituzioni

creare una cultura della

comunicazione nelle

organizzazioni, nei luoghi di

cura, dagli spazi cittadini alle

aree interne meno frequentate

e colpevolmente dimenticate.

Rispettando le differenze,

promuovendo la health

literacy, dando continuità al

dialogo: sperimentando le

opportunità offerte anche alla

comunicazione dal digitale e

dall’intelligenza artificiale”

la definizione delle

priorità della ricerca

dev’essere un processo

trasparente e condiviso

le “migliori evidenze”

(best evidence) sono

quelle ottenute con

metodologie di studio

più rigorose e quelle più

rilevanti per i cittadini e i

malati

5

TRASFORMARE

L’INCERTEZZA DA LIMITE A

VALORE

“Dal dubbio scaturiscono

nuovi interrogativi oggetto di

studio e, volendo coinvolgere

sempre di più i cittadini nella

determinazione dell’agenda,

è indispensabile presentare

la Medicina – salute e

malattia – come un ambito in

costante divenire, oggetto di

un’instancabile riflessione e

di un confronto il più aperto

possibile”

CINQUE PROPOSTE PER

IL CAMBIAMENTO

46 47



Comunicare la scienza

MAKING LIFE | Gennaio 2021

cosa NON

fare per

migliorare

la Reputation

Caterina Lucchini

LE NUMEROSE APPARIZIONI

MEDIATICHE DEI VIROLOGI

ITALIANI NELL’ULTIMO

ANNO NON HANNO GIOVATO

ALLA REPUTATION DELLA

COMUNITÀ SCIENTIFICA

A dicembre scorso Reputation

Science, società italiana che analizza

dati usando modelli matematici per

fornire e implementare strategie di

comunicazione, ha valutato l’impatto

comunicativo delle dichiarazioni

rilasciate dai virologi italiani che negli

ultimi dieci mesi si sono espressi

sulle misure anti-Covid adottate dal

governo e, in generale, sulla pandemia.

È stata una notizia che ha avuto forte

eco ed è stata ripresa da numerose

fonti: agenzie stampa, giornali, siti di

news, radio e tv. La società ha da subito

commentato che l’intento dello studio

è stato quello di indagare l’effetto

della comunicazione scientifica sulla

popolazione in un momento storico così

particolare, e non di creare “classifiche”

di esperti o giudicarne l’operato.

Sebbene non sempre la notizia sia

stata presentata evidenziando questo

come obiettivo primario, il valore dei

dati presentati è invece di grande

importanza per comprendere l’effetto

della comunicazione sulla Reputation del

mondo scientifico. Lo studio si è basato

su due indicatori: l’indice di allerta, e cioè

l’orientamento prevalente di ciascun

esperto rispetto al grado di rigidità delle

misure di contenimento da adottare, e

il grado di coerenza tra le varie opinioni

espresse nel tempo da ciascuno.

TROPPE

INFORMAZIONI

POSSONO

CONFONDERE?

La società ha esaminato centinaia di

dichiarazioni pubbliche di scienziati e

medici dal 1 febbraio al 20 novembre,

selezionandone oltre 120 con un

impatto mediatico significativo, che

hanno generato oltre 70mila contenuti

online tra web e social network.

Ebbene, i principali risultati dell’analisi

hanno fatto emergere un volume di

contenuti estremamente rilevante; basti

pensare che, secondo lo studio, durante

i 10 mesi presi in esame, ogni giorno,

le esternazioni degli esperti hanno

generato circa 234 contenuti sul web;

allo stesso tempo, ogni dichiarazione

ha generato in media 586 contenuti

online in totale. «Questo eccesso di voci

continue, sovrapposte e contrapposte

ha sortito l’effetto di disorientare

ulteriormente. È chiaro che si tratta di

una situazione inedita, però chiunque

parli deve tenere conto degli effetti

che le sue parole possono sortire»,

ha dichiarato in merito Auro Palomba,

presidente della società di analisi.

L’IMPORTANZA DI

MESSAGGI COERENTI

Oltre ad aver registrato una mole

elevata di informazioni, Reputation

Science ha anche rilevato un doppio

livello di incoerenza nelle dichiarazioni

rilasciate: molti esperti hanno infatti

cambiato approccio nei vari mesi e,

in generale, si è assistito a una forte

divergenza tra le opinioni riguardo alla

gravità della pandemia e alla severità

delle misure di contenimento. Questo

potrebbe aver confuso ulteriormente i

cittadini.

«Quando si decide di parlare in pubblico

bisogna occuparsi del messaggio che

viene trasmesso, non solo di quello che

si vorrebbe dire – rimarca Palomba

– La nostra ricerca dimostra su base

scientifica che alcuni esperti hanno

avuto un’enorme esposizione ma hanno

portato messaggi incoerenti. Questo

ha generato un senso di smarrimento

nell’opinione pubblica che può aver

condotto buona parte della popolazione

a una generalizzata sfiducia verso la

scienza», aggiunge il presidente di

Reputation Science. Stiamo vivendo

un momento di forte incertezza, e ora

più che mai è necessario comprendere

in modo chiaro i meccanismi della

comunicazione, il peso che singole

parole e messaggi più articolati

possono avere sulla percezione e

sui livelli di ansia delle persone, già

sottoposte a forti pressioni dal contesto

attuale. «Purtroppo – denuncia –

un effetto negativo di questo trend

riguarda il fatto che rischia di ledere

l’importanza delle misure e dei

comportamenti fondamentali per

limitare la pandemia».

48 49



MAKING LIFE | Gennaio 2021

LE BIOTECH

SALVERANNO IL MONDO

Monica Torriani

Al centro dello

sviluppo del

vaccino che potrebbe

scrivere la storia,

le biotecnologie

sono sempre più

decisive, con la forza

di uno strumento

inoppugnabile: la

scienza, motore di

trasparenza anche

nella comunicazione

Maria Luisa Nolli, cofounder e Ceo di NCNbio

e membro del board di Assobiotec

Le biotecnologie abbracciano

settori vasti e complessi,

comportano interazioni con il

Dna e sono coinvolte in ambiti

che si prestano al dibattito,

anche etico, e alla polemica.

«Gli Ogm hanno rivoluzionato

l’agrofood».

Esordisce così, nella nostra

conversazione, Maria Luisa

Nolli, cofounder e Ceo di

NCNbio e membro del board di

Assobiotec, partendo proprio

dal tema più spinoso, che

da anni tiene banco in molti

consessi e che continua a

essere uno dei nodi irrisolti

dei nostri contraddittori tempi.

«Quella rivoluzione è stata,

in parte, non compresa, ma

oggi abbiamo una carta in più:

quella di tecnologie sempre più

raffinate, del gene editing, che

possono migliorare sempre

di più la nostra agricoltura e

rendersi più comprensibili dal

grande pubblico.

In passato è stato commesso

un errore di comunicazione

proprio verso il fruitore dei

prodotti delle biotecnologie,

oggi al centro delle iniziative

delle associazioni di impresa e

scientifiche.

Siamo orientati verso un

approccio che fa leva sulla

presenza intrinseca della

scienza nelle biotecnologie, che

devono comunicare ai cittadini

costantemente e nella maniera

più appropriata, per evitare che

passino messaggi ascientifici,

superficiali e deleteri».

Che tipo di relazione lega

la reputation aziendale

costruita attraverso strategie

di comunicazione e quella

che esprime il sentiment dei

cittadini, che usano chiavi di

lettura diverse?

Oggi la scienza è nei discorsi di

tutti, anche perché attraversa

tutti i settori delle biotecnologie,

in primis quello della salute,

che ci vede oggi alle prese con

questa pandemia. Proprio la

scienza garantisce la relazione

fra questi due aspetti.

Da un lato abbiamo la

comunicazione aziendale, ad

esempio quella che è stata

prodotta dalle aziende che

hanno sviluppato i vaccini per

Covid-19, e dall’altro si trova la

comunicazione rivolta verso il

pubblico, che spiega perché i

vaccini sono sicuri.

E cioè perché, malgrado

la notevole accelerazione

impressa al loro sviluppo, sono

supportati da una scienza

d’eccellenza e da un regolatorio

che sorveglia tutto il percorso

dello sviluppo.

Ecco, il link è la scienza.

È possibile incentivare

il dibattito scientifico

minimizzando la confusione

che ne deriva?

I referenti della comunicazione

nei confronti della comunità,

non solo scientifica, ma sociale

nel suo complesso, dovrebbero

avere una visione comune.

Molto spesso, invece, si assiste

a un certo protagonismo

individuale, che non è positivo ai

fini della trasparenza. L’analisi

individualistica bypassa il

confronto, che rappresenta

un momento cardine per la

scienza, perché evita che si

imbocchino percorsi inefficaci.

Alla conclusione dei tavoli

più o meno formali, dovrebbe

emergere una visione univoca

e non le singole individualità.

Vede, noi siamo per natura un

Paese di forti individualità che

hanno bisogno di un fil rouge

che le unisca.

In futuro avremo sempre più

bisogno della collaborazione

dei cittadini con le

biotecnologie. Le aziende

possono facilitare questa

transizione?

In primis, occupandosi

delle malattie infettive, che

negli ultimi anni sono state

trascurate nelle pipeline dei

grandi progetti aziendali.

Poi, continuando a impegnarsi

nella comunicazione, perché

su questo versante l’asticella

continua ad alzarsi. Guardi

la situazione attuale: siamo

nel mezzo di una pandemia,

afflitti da problemi ambientali

di portata enorme. In questo

contesto, la sfida è quella di

comunicare l’impatto positivo

del biotech sulla società, in

termini di miglioramento

della qualità degli alimenti,

dell’ambiente e della salute,

associato a una sicurezza

sempre maggiore.

Non a caso, fra gli obiettivi di

questi ultimi anni di EuropaBio,

nella quale io rappresento

Assobiotec, c’è anche il

miglioramento della percezione

del biotech nella società.

E questo tema è uno degli

obiettivi della settimana

europea delle biotecnologie

che, promossa da Assobiotec,

viene organizzata ogni anno in

tutti i Paesi europei. Anche in

questo, la soluzione è puntare

sulla scienza, per i farmaci,

così come per l’alimentazione e

l’ambiente.

Genenta Science ha dichiarato

il suo interesse per un

contesto più internazionale. È

ora di un salto di qualità per le

biotech italiane?

Sicuramente Genenta,

supportata da tutto il gruppo di

ricerca che fa capo al professor

Naldini, è una candidata a

questo salto. Storicamente, se

lei osserva, questi salti sono

sempre quantici. Fra il 2013 e il

2014 abbiamo avuto importanti

merging e quotazioni in Borsa

di aziende che operavano nello

sviluppo di small molecules

scoperte con processi biotech

e quindi considerate in questo

settore. Oggi si parla di un

salto quantico per aziende

che fanno gene therapy

che, insieme alle Car-T e

all’immunoterapia dei tumori,

sta arrivando sul mercato non

solo con i grandi nomi, ma

anche con aziende di recente

costituzione che derivano da

costole dell’accademia. Genenta

è una di queste, tanto che

ha dichiarato pubblicamente

che, con la riorganizzazione

del management, punta alla

quotazione al Nasdaq.

Poi ci sono entità di eccellenza

di ricerca e sviluppo uniche

nel genere, come il gruppo

del professor Franco Locatelli

all’Ospedale Bambino Gesù, che

sta ottenendo grandi successi

nella costruzione di nuovi vettori

Car-T per un’immunoterapia

sempre più sicura. Un esempio

straordinario, un modello per

l’evoluzione del progetto di

ricerca dall’idea iniziale fino al

letto del paziente.

Sono molti gli elementi

accademici di ricerca e

sviluppo che potrebbero dare

vita a spin off di successo…

Come per l’hub del San

Raffaele, da cui è nata Genenta,

sono parecchie le realtà che

potrebbero diventare aziende.

Queste realtà sono eccellenze,

ma a macchia di leopardo in

Italia: come emerge da una

survey che stiamo conducendo

in NCNbio, le imprese biotech

da noi sono eccellenti in qualità,

meno in numerosità. Ma non mi

sento di criticare quest’ultimo

aspetto, perché il livello di

qualità è davvero molto elevato.

Il coinvolgimento diretto

del nostro territorio può

contribuire al controllo della

vaccine hesitancy?

Qui torniamo al concetto di

percezione. In Europa, ma

soprattutto in Italia, abbiamo

un ente regolatorio severo

in maniera direttamente

proporzionale alla qualità dei

farmaci che si vogliono mettere

prima in sperimentazione

clinica e poi in commercio.

Oggi c’è una tale sicurezza nel

controllo di qualità dei prodotti

che escono dalle officine che

è veramente impensabile e

sarebbe poco appropriato

dire che non sono sicuri.

Naturalmente, come per tutti

i farmaci, possono esserci

degli effetti indesiderati, ma

anche sul loro contenimento

c’è grande impegno e

responsabilità, sia da parte

delle aziende che del regolatore

Dobbiamo continuamente

comunicare questo aspetto.

D’altra parte, se il nostro

sistema sanitario è ritenuto da

tutti uno dei migliori al mondo,

è anche per la sicurezza che

garantisce a tutta la filiera.

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MAKING LIFE | Gennaio 2021

DAL 2021, PER PROMUOVERE UN SISTEMA

ETICO E RESPONSABILE, LE AZIENDE

ASSOCIATE A CONFINDUSTRIA DISPOSITIVI

MEDICI DOVRANNO RENDERE PUBBLICI

I CONTRIBUTI EROGATI IN FAVORE

DI PROFESSIONISTI DELLA SALUTE,

ORGANIZZAZIONI SANITARIE, PROVIDER E

CURATORI DI CONVEGNI

Paola Arosio

Era il 2001 quando in Toscana esplose la tangentopoli delle

cardiochirurgie. Un’azienda del settore piazzava le proprie

forniture a suon di mazzette, elargendo a cardiochirurghi e

specialisti rianimatori bustarelle tra i 20 e i 100 milioni di lire

all’anno. L’inchiesta si concluse con una sfilza di patteggiamenti

e di condanne.

Nel 2008 fu la volta delle protesi ortopediche, con le imprese

produttrici che erano solite favorire i propri prodotti offrendo ai

medici viaggi all’estero, telefonini, computer, televisori.

Nel 2012 a entrare nel mirino fu la chirurgia plastica: un illustre

professore utilizzava le protesi mammarie di un determinato

produttore in cambio di apparizioni televisive, convegni, docenze

ai corsi.

Gli esempi potrebbero continuare, ricostruendo un quadro, tanto

preciso quanto poco edificante, delle forniture di dispositivi alle

strutture sanitarie.

Proprio per contrastare la corruzione in questo settore,

Confindustria dispositivi medici ha riservato alla trasparenza

uno specifico provvedimento, all’interno del proprio codice etico,

approvato nel 2018 e di prossima attuazione. Dal 1° gennaio

2021 le aziende associate dovranno, infatti, pubblicare sul

proprio sito web tutti i trasferimenti economici avvenuti nel

2020 ed effettuati nei confronti di professionisti della salute

(come medici, infermieri, personale di laboratorio, tecnici),

organizzazioni sanitarie (ospedali, uffici acquisti centralizzati,

cliniche, farmacie, laboratori, istituti di ricerca, associazioni di

pazienti), provider e organizzatori di convegni.

L’obiettivo del nostro lavoro è

ricostruire la fiducia tra il mondo

dei produttori, gli operatori

sanitari e la politica, facendo

della trasparenza uno degli

asset strategici per

le imprese del settore

Laura Ressa, direttore Affari legali e compliance

di Confindustria dispositivi medici.

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MAKING LIFE | Gennaio 2021

PUBBLICARE

ANCHE DONAZIONI

E BORSE DI

STUDIO

SOBRIETÀ E INTEGRITÀ

Nel dettaglio, per quanto riguarda i professionisti devono essere

pubblicate le spese di partecipazione ad attività formative,

educazionali, promozionali sui prodotti organizzate dalle aziende

di dispositivi e i corrispettivi per consulenze e prestazioni

professionali, incluse le attività di speaker. I dati possono essere

resi noti in forma sia aggregata che individuale (in quest’ultimo

caso occorre, però, il consenso dell’interessato). Per quanto

concerne le organizzazioni sanitarie, occorre rendere pubblici,

in forma individuale e senza consenso, il finanziamento di

eventi formativi; i corrispettivi per consulenze e prestazioni

professionali, comprese le spese di viaggio e ospitalità; le

donazioni a favore delle strutture stesse. Altri dati da pubblicare,

in forma aggregata, sono le spese per le attività di ricerca e

per le borse di studio. Non è, invece, obbligatorio palesare i

contributi per materiali promozionali, pasti, bevande, campioni di

prodotto. Le aziende produttrici dovranno mettere in rete anche

una nota riepilogativa del metodo utilizzato per predisporre i

dati, con informazioni riguardanti Iva, valuta, aspetti fiscali. Tutte

le informazioni dovranno rimanere online per almeno tre anni.

ANALOGIE E

DIFFERENZE

Il nuovo provvedimento sulla trasparenza

aggiunge un ulteriore tassello al codice etico di

Confindustria dispositivi medici, un documento

che ha segnato l’avvio di un nuovo paradigma

incentrato su correttezza e responsabilità.

Già nel gennaio 2019 sono, infatti, entrati in

vigore altri due aspetti del codice. Il primo

concerne la sobrietà e riguarda i requisiti

organizzativi degli eventi di formazione, ovvero

congressi, corsi, seminari, workshop. Vanno

evitati, in particolare, alberghi a cinque stelle

(esclusi quelli in convenzione), località turistiche

di mare o di montagna in alta stagione, viaggi in

prima classe, attività ricreative, accompagnatori

e prolungamento delle trasferte a carico

dell’organizzazione. Per verificare, attraverso un

controllo preventivo, il rispetto delle disposizioni

è stato introdotto il “Sistema di valutazione delle

conferenze”.

Il secondo aspetto del codice concerne, invece,

l’integrità e riguarda la sponsorizzazione

indiretta. In pratica, il produttore può dare

il proprio contributo per la formazione degli

operatori, senza però intervenire nella scelta

del programma scientifico, dei relatori e dei

professionisti che ne beneficiano.

A monitorare in generale l’applicazione del

codice è un’apposita Commissione di controllo,

che supervisiona anche l’operato del “Sistema di

valutazione delle conferenze”.

REGISTRO PUBBLICO

SANITÀ TRASPARENTE

SUNSHINE ACT IN ATTESA

DI APPROVAZIONE

Parallelamente al provvedimento sulla

trasparenza, si è sviluppato il disegno di legge

numero 491 (il cosiddetto Sunshine Act),

approvato dalla Camera e in attesa del via libera

da parte del Senato, che mira a garantire il

“diritto alla conoscenza” dei rapporti economici

che intercorrono tra i produttori e gli operatori

della salute o le organizzazioni sanitarie. In

particolare, la norma propone di istituire, entro

sei mesi dalla sua entrata in vigore, il registro

pubblico “Sanità trasparente” sul sito web del

ministero della Salute, nel quale le imprese

dovranno segnalare le erogazioni in denaro o

in beni e servizi. L’obbligo di comunicazione

scatta per un valore unitario maggiore di 50

euro o superiore a 500 euro all’anno nel caso

dei professionisti della salute e per un valore

unitario maggiore di 500 euro o superiore a

2.500 euro annui nel caso delle organizzazioni

sanitarie. Per chi non rispetta le regole sono

previste sanzioni che vanno da 1.000 a 100mila

euro.

Anche il governo vorrebbe introdurre alcuni provvedimenti simili

alle disposizioni sulla trasparenza varate da Confindustria, ma

con qualche differenza. Per esempio, nel caso del disegno di

legge del governo, la categoria dei professionisti include anche

i componenti delle commissioni giudicatrici nelle procedure di

affidamento dei contratti pubblici; il consenso alla pubblicazione

non deve essere esplicitamente richiesto, perché si intende

prestato nel momento stesso in cui vengono versati i contributi;

le comunicazioni vanno effettuate ogni sei mesi; possono

essere pubblicate anche informazioni riguardanti parenti fino al

secondo grado e conviventi di un professionista.

54 55



RELA

ZIO

NI

PERI

CO

LOSE

LA PRODUZIONE MONDIALE DEI FARMACI DIPENDE IN

LARGA MISURA DALLA FORNITURA DI API DA PARTE

DEI 1.500 STABILIMENTI CINESI. OLTRE ALL’AZZARDO

GEOSTRATEGICO CHE QUESTO VINCOLO COMPORTA,

ESISTONO SERI RISCHI PER LA REPUTAZIONE DELLE

AZIENDE FARMACEUTICHE

Monica Torriani

”Quando controlli le forniture di farmaci, controlli il mondo” è il suggestivo mantra di Rosemary

Gibson, Senior advisor dell’Hastings Center e coautrice del libro “China RX - Exposing the risks of

America’s dependence on China for medicine”. Una frase suggestiva, che la Gibson non ha avuto

timore di ripetere davanti al Congresso, in un’audizione che si è tenuta lo scorso luglio.

E che esprime il sentiment che serpeggia nell’ambiente.

Del resto, gli analisti elaborano forecast brillanti per la farmaceutica del prossimo futuro. In questo

scenario, il mercato globale degli API raggiungerà i 245 miliardi di dollari entro il 2024, 63 in

più rispetto al 2019. Un Cagr nel periodo considerato (6,1%) mantenuto da un lato frizzante dal costante

incremento dell’incidenza delle malattie croniche, della richiesta di farmaci biotecnologici

e dell’uso dei generici, e dall’altro frenato dai costi significativamente minori di questi ultimi e dai

tagli alle debordanti spese associate alla sanità pubblica.

Questi numeri sono comunque subordinati al soddisfacimento della domanda globale di API nel

rispetto di standard di qualità elevati e di opportuni requisiti di sostenibilità ambientale. Tutti fattori

che concorrono alla costruzione (o alla distruzione) della reputation delle aziende coinvolte.

DIPENDENZA

RISCHIOSA

1QUALITÀ

Una delle principali preoccupazioni è legata alle

pratiche di produzione impiegate dai fornitori

asiatici. Le recenti rilevazioni di medicinali

provenienti dalla Cina contaminati con

nitrosammine e condroitinsolfato ipersolfatato

hanno accresciuto i timori in quest’ambito.

2AMBIENTE

Una produzione concentrata in pochi luoghi specifici

– particolarmente se i requisiti ambientali sono

permissivi – crea il rischio di elevate concentrazioni di

residui tossici con impatto sulle comunità biologiche e

potenziale sviluppo di resistenza ai farmaci. Nel 2007, la

concentrazione di ciprofloxacina nel polo produttivo di

Patancheru era un milione di volte quella delle acque di

scarico municipali.

3TRASPARENZA

MAKING LIFE | Gennaio 2021

Affidarsi massivamente a fornitori delocalizzati

che rispondono a criteri normativi diversi da quelli

europei o americani comporta seri rischi in termini di

qualità, impatto ambientale, sicurezza e trattamento

dei lavoratori. Incidenti o irregolarità rilevate presso

uno degli stabilimenti che producono farmaci o

API possono avere gravi ripercussioni anche sulla

reputazione delle aziende farmaceutiche.

Come rilevato dal pharmaceutical committee della

Commissione europea, un altro punto preoccupante

è il fatto che in molti casi i MAH non hanno un

sufficiente accesso alle informazioni sui processi di

produzione e controllo, in quanto tali informazioni

sono considerate commercialmente riservate dai

produttori di API.

4TRATTAMENTO DEI LAVORATORI

I diritti umani e le condizioni di lavoro sono tra le

questioni più controverse in tema di rapporti con la

Cina. Negli anni, diverse organizzazioni internazionali

hanno documentato violazioni riguardanti salario

minimo, orario di lavoro, requisiti ambientali, e azioni

inappropriate sui dipendenti da parte dei datori di

lavoro.

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57



MAKING LIFE | Gennaio 2021

POTENZIARE LA

PRODUZIONE

SENZA RIDURRE

LA QUALITÀ

NO API,

NO FARMACI

Rendere la produzione di API scalabile

per fare fronte alle fluttuanti esigenze

del contesto sanitario globale richiede

una profonda conoscenza del process

design su cui intervenire. Inoltre, il

potenziamento produttivo giova alla

reputazione della company solo se

salvaguarda gli standard di qualità.

Per questo sarebbe importante poter

tracciare lungo tutta la filiera non solo

il prodotto finito, ma anche i suoi singoli

elementi costitutivi.

In Europa, è il MAH ad avere l’obbligo

di presentare la QP Declaration, che

attesta la conformità degli attivi alle

GMP e la conoscenza dettagliata della

supply chain. Al produttore spetta

la responsabilità di discutere con il

fornitore di API dei requisiti necessari

per raggiungere i livelli di qualità

imposti.

ALCUNI INCIDENTI NEGLI

STABILIMENTI PHARMA IN CINA

Lo stesso non avviene nei Paesi asiatici,

dove può accadere che i siti produttivi

non corrispondano a quelli dichiarati,

che alcuni step della produzione siano

subappaltati senza autorizzazione

o che le GMP non siano pienamente

rispettate.

Da questo punto di vista, la completa

digitalizzazione della filiera, ad esempio

mediante tecnologie blockchain,

consentirebbe una tracciabilità analoga

a quella dei farmaci finiti.

Nell’aria da anni, il tema della sicurezza

dei principi attivi è esploso nel giugno

2018, quando è stata rintracciata la

presenza di residui di nitrosammine nei

sartani.

Queste impurezze, che si possono

formare in seguito all’utilizzo di

determinati solventi, reagenti e

starting material o di apparecchiature

contaminate, sono classificate come

2019 Esplosione in una linea di produzione di

glutammina di Shenhua Pharma: un morto

e otto feriti.

2018 Vaccino nocivo contro l’idrofobia di

Changsheng Pharma: 15 arresti e vaccini

invenduti.

2017 Confiscati 252.600 falsi vaccini DPT di

Changsheng Pharma.

2016 Vaccino nocivo prodotto da una fabbrica

illegale e distribuito in 10 province cinesi.

2014 Farmaci contraffatti per il trattamento del

diabete nella Provincia di Henan.

2013 Decesso di sette neonati associato a un

vaccino nocivo di Kangtai Pharma.

probabili agenti cancerogeni per l’uomo.

Ema ha pubblicato tre paper con le

indicazioni dirette alle aziende per

una gestione efficace del problema,

che impongono ai titolari di AIC

adempimenti ai fini di scongiurare il

rischio di contaminazioni.

Tuttavia, il caso delle nitrosammine ha

richiamato l’attenzione sulla necessità

di una valutazione chimica degli API

durante il processo produttivo e di un

continuo aggiornamento sul fronte

regolatorio.

Aspetti che si ripercuotono sui piani di

approvvigionamento di materie prime

e sul process design delle aziende,

ma che è fondamentale considerare

per prevenire il danno reputazionale:

per quanto riguarda le nitrosamine, le

industrie coinvolte stanno valutando

l’ipotesi di citare in giudizio i produttori

di API.

DIMENSIONE DEL

MERCATO GLOBALE

DEGLI

API

$ 164,20

miliardi

L’ottenimento delle sostanze attive

dipende strettamente dal reperimento

degli starting material, per i quali la

Cina, forte dei suoi quasi 1.500 impianti

produttivi (sui 3.350 circa presenti a

livello mondiale) detiene il primato

produttivo. Tuttavia, in un contesto

nel quale la tutela della reputazione

aziendale confligge con la continuità

nelle forniture, l’impossibilità di

acquisire materie prime e intermedi che

soddisfino i requisiti necessari genera

interruzioni nella supply chain. Questa è,

insieme all’aumento della domanda, una

delle ragioni principali alla base degli

shortage che negli ultimi mesi hanno

agitato le acque già turbolente della

gestione dell’emergenza sanitaria.

Il ministro delle Finanze francese Bruno

Lemaire, solitamente compassato,

ha commentato con parole dure la

condizione della nostra industria

farmaceutica, invitando a rivedere il

concetto stesso di globalizzazione e

descrivendo l’eccessiva dipendenza

$ 261,28

miliardi

europea dalla Cina come “irresponsabile

e irragionevole”. Del resto, a fine gennaio,

quando ancora la COVID-19 non aveva

assunto le proporzioni della pandemia e

le difficoltà di reperimento cominciavano

già a balenare, anche oltreoceano

l’atteggiamento non era più rilassato, se

Ed Silverman pubblicava su Stat News

un pezzo dal minaccioso titolo “Ora è il

momento di preoccuparsi”.

L’affrancamento da questa dipendenza

è un processo la cui complessità

deve essere ancora compresa

completamente. L’India, definita da

molti “la farmacia del mondo”, si affida

alla Cina per l’approvvigionamento di

API, starting material e intermedi di

produzione. E tutti i suoi tentativi di

emancipazione sono miseramente falliti,

perché se i costi di manodopera sono

paragonabili nei due Paesi, la scala della

produzione cinese è irraggiungibile:

è questo a mantenere significativo il

differenziale dei prezzi per gli API

UNA PRODUZIONE

SOSTENIBILE FIN

DALLE PRIME FASI

Malgrado le preoccupazioni globali

in materia di protezione ambientale

connesse all’industria chimicofarmaceutica,

la vivace attenzione

dei media, e la nuova sensibilità della

cittadinanza rispetto a queste tematiche

– che hanno un deciso impatto sulla

reputazione delle aziende – non esiste a

oggi una regolamentazione specifica del

rilascio di sostanze nell’ambiente.

Non sono, per esempio, disponibili

informazioni sull’impatto ambientale

degli API, i requisiti da monitorare

sono insufficienti e non esistono limiti

specifici alle emissioni dagli impianti

produttivi.

In alcuni Paesi non esiste neppure

l’obbligo di dichiarare i disastri

ambientali.

Poiché la produzione sia degli attivi

che dei prodotti finiti è concentrata in

aree geografiche precise, le emissioni

inquinanti raggiungono in queste zone

concentrazioni allarmanti, tossiche

di per sé e, nel caso in cui si tratti

di antibiotici, attive nel contribuire

al fenomeno globale dell’antibiotico

resistenza.

La questione ambientale ha spinto il

governo cinese a innalzare gli standard

di produzione, imponendo adempimenti

più stringenti che hanno reso

economicamente insostenibile l’attività

per molte aziende.

Dobbiamo

guardare ai

farmaci come

siamo abituati

a guardare ad armi

di importanza

strategica

Andrew Badrot,

CEO di C-squared Pharma

Fra il 2016 e il 2018 circa 150 fabbriche

di API sono fallite, con ripercussioni

dirompenti sulla supply chain.

L’introduzione della tassa ambientale,

che risale al 2018, porterà a un gettito

complessivo preveniente dall’industria

dei principi attivi cinese pari a circa 50

miliardi di yuan (qualcosa come 7,68

miliardi di dollari) ogni anno.

L’incertezza regolatoria, la riduzione del

numero di impianti e l’aumento dei costi

della produzione sono destinati a ridurre

il peso della Cina nelle forniture mondiali

di API: siamo pronti a farcene carico?

Fonte: Does CSR Influence Firm Performance Indicators? Evidence from Chinese Pharmaceutical Enterprises, 2019

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MAKING LIFE | Gennaio 2021

Nel lungo e complesso percorso

che conduce dal principio

attivo al farmaco, le GMP

(Good manufacturing practices)

rappresentano un riferimento

per ogni fase della produzione,

un insieme di norme

che regolano i processi e le

attrezzature nell’ottica di assicurare

al prodotto gli standard

di qualità appropriati.

Le GMP descrivono i processi

validati, i requisiti della formazione

del personale impiegato

nella produzione dei farmaci,

le procedure di pulizia e sanitizzazione,

le caratteristiche

dei locali e delle attrezzature,

la gestione dei reclami e dei ri-

La conformità alle GMP impone

che l’intero complesso del sichiami

dei prodotti dal mercato,

nonché le verifiche periodiche

da effettuare per ottenere

un prodotto compatibile con

gli elevati standard di qualità

richiesti nel farmaceutico.

Tradizionalmente, offrono la

garanzia della compliance del

medicinale in termini di qualità

per non lasciare spazio alla

possibilità di un errore che

comprometta, direttamente o

indirettamente, la salute del

paziente.

Poiché la regolamentazione

e la produzione dei farmaci

sono temi di respiro internazionale

con profonde ricadute

sulla sicurezza delle persone,

è necessaria non solo un’ar-

Le buone pratiche di produzione sono un requisito normativo

che una gestione accorta della comunicazione aziendale può

trasformare in un vantaggio sulla concorrenza

monizzazione globale degli

sforzi normativi ma anche il

mutuo riconoscimento delle

iniziative unilaterali. Anche

dal punto di vista delle GMP,

leggi e principi sono fondamentalmente

simili fra Europa

e Stati Uniti, pur caratterizzate

da alcune peculiarità nei

dettagli che arricchiscono le

rispettive linee guida.

Il substrato regolatorio europeo

alla base delle GMP è

costituito dalle due direttive

2001/83/EC e 2001/94/EC e

dall’EudraLex volume 4 della

Commissione Europea. Le disposizioni

sono state recepite

in Italia con il Decreto Legislativo

n. 219/2006.

Monica Torriani

The holder of a

manufacturing

authorization shall at least

be obliged: […]

(f) to comply with the

principles and guidelines

of good manufacturing

practice for medicinal

products and to use as

starting materials only

active substances which

have been manufactured

in accordance with the

detailed guidelines on good

manufacturing practice for

starting materials

EU Directive 2001/83/EC, art. 47

GMP: OBBLIGO O

OPPORTUNITÀ?

La conformità alle GMP è un

requisito previsto dalla legge

per le aziende farmaceutiche

e per tutti i produttori di beni

health related, che vengono

regolarmente ispezionati dal

regolatore per la verifica degli

adempimenti.

Sappiamo quanto il sentimento

comune viri al negativo per

effetto di parole come “obbligo”,

come rapidamente si sintonizzi

sulla frequenza della

necessità piuttosto che della

virtù. Ma potremmo rovesciare

la prospettiva provando con

una una chiave di lettura alternativa?

Il cambio di paradigma sulle

GMP coincide con l’introduzione

del concetto di Quality by

design (QdB), che riconosce la

qualità del prodotto non tanto

come un attributo del risultato

finale del processo produttivo,

ma piuttosto come il risultato

della sua verifica continua. Un

principio che si avvale di metodologie

statistiche, analitiche e

di risk management per la progettazione,

lo sviluppo e la produzione

di farmaci aderenti a

standard sempre più raffinati.

L’implementazione delle linee

guida ICH-Q8 (Pharmaceutical

development), Q9 (Quality risk

management), Q10 (Pharmaceutical

quality system) e Q11

(Development and manufacture

of drug substances) ha rivoluzionato

il concetto di qualità

nel pharma, imprimendo a

processi e procedure il rinnovamento

necessario a renderli

coerenti con il grado di innovazione

raggiunto nel frattempo

da scienza e tecnologia.

Una qualità migliore, dunque,

a vantaggio della robustezza

del processo, della minore incidenza

di difetti nei lotti e di

costi di produzione inferiori.

LA QUALITÀ

COME

RISULTATO DI

UN EQUILIBRIO

SINERGICO

Più nel dettaglio, come viene

codificata la qualità nella produzione

del farmaco?

Non è solo una questione di

sicurezza ed efficacia, benché

questi aspetti siano imprescindibili

per un prodotto che

determina un così ampio impatto

sulla salute.

Il concetto di qualità ha a che

vedere con molti altri parametri,

come la disponibilità del

farmaco, la sua idoneità per

l’uso e il rispetto dei requisiti

normativi. Inoltre, ce lo insegna

il QbD, non è circoscritto

al risultato finale, ma è l’effetto

dell’intero processo produttivo.

Esiste, poi, la nozione di qualità

percepita, definita dalla

valutazione finale dell’utente,

sempre più informato e attento

alla salute e abituato ad

attingere a un mercato esteso.

Oggi il pharma deve soddisfare

aspettative di innovazione

di gran lunga superiori al passato,

oltre a fare i conti con le

esigenze di sostenibilità, sia

economica che ambientale.

Ci si muove quindi su un affilato

crinale, in equilibrio fra

soddisfazione delle attese di

cambiamento e necessità di

contenimento dei costi. Fra la

strutturale inerzia dell’industria

dei farmaci e la spinta

a massimizzare dinamismo e

flessibilità.

In questo senso, le normative

che integrano le trasformazioni

sociali e tecnologiche

dei nostri tempi devono essere

viste come un’opportunità

(impegnativa) di crescita e di

creazione di valore.

OCCUPARSI

DEGLI IMPIANTI

SIGNIFICA

PREOCCUPARSI

DELLA

REPUTAZIONE

La manutenzione delle apparecchiature,

vitale per assicurare

all’intero impianto produttivo

condizioni di sicurezza

e corretto funzionamento, ha

dunque un ruolo fondamentale

nel mantenimento della

reputation di un’azienda, in

particolare se farmaceutica.

Non è difficile immaginare l’effetto

prodotto sull’immagine

di un brand dalla diffusione di

notizie sull’inefficienza di un

impianto o su un incidente occorso

durante una fase della

fabbricazione di un medicinale.

La scarsa aderenza alle GMP,

il continuo ricorso alla riparazione

reattiva, l’assenza di

una manutenzione strutturata

comportano inevitabilmente

amplificazione dei costi, perdita

della capacità produttiva,

riduzione della qualità del prodotto,

ma anche, specialmente

a seguito di reclami o di un ritiro

del farmaco dal mercato,

un danno reputazionale potenzialmente

fatale per un’azienda.

Le ripercussioni del caso nitrosammine

sono un tema attuale

che continua ad assorbire

sforzi notevoli in termini di reputation

management.

QUALITÀ: UN

CONCETTO

PER NULLA

SCONTATO

stema qualità sia documentato

in ogni sua parte, conosciuto

e condiviso da tutti i livelli del

personale, che comprenda la

struttura organizzativa, le procedure,

i processi, le risorse

adeguate, le azioni e le attività

correlate alla qualità del prodotto.

Qualunque deviazione

dagli standard deve essere documentata

e giustificata.

The manufacturer

shall establish and

implement an effective

pharmaceutical quality

assurance system,

involving the active

participation of the

management and

personnel of the different

departments

EU Directive 2003/94/EC,

art. 6

Esportando una buona parte

della loro produzione nel mercato

statunitense, le aziende

italiane sono regolarmente

sottoposte alle severe ispezioni

di FDA. Una garanzia di

qualità, quindi, per la nostra

industria. Che non può beneficiare

dei medesimi standard

nell’importazione dei principi

attivi, per la maggior parte acquistati

da Cina e India, Paesi

dove l’osservanza alle GMP

non viene sempre verificata e

le ispezioni da parte di organismi

internazionali riconosciuti

non sono sistematiche (vedi

anche articolo a pag.56).

Questa criticità, che nasce

dall’impossibilità attuale

dell’implementazione globale

di regole armonizzate, è un

forte limite per la garanzia di

qualità dei prodotti e certamente

un fattore che invita a

lavorare sul regolatorio internazionale

e a ripensare le logiche

dell’importazione.

60 61



MAKING LIFE | Gennaio 2021

ETICA

DELLE

SPERIMENTAZIONI

CLINICHE

Gaia Leonardi

PER SUPERARE LE

DIFFIDENZE DEI

CONSUMATORI NEI

CONFRONTI DEI TRIAL

CLINICI È NECESSARIO

RENDERE COMPLETAMENTE

ACCESSIBILI AL PUBBLICO LE

METODOLOGIE UTILIZZATE E

TUTTI I RISULTATI OTTENUTI.

MA LE PERPLESSITÀ SULLE

DISTORSIONI CONNESSE

ALLE PUBBLICAZIONI

SCIENTIFICHE APRONO

ULTERIORI INTERROGATIVI

Di trasparenza e studi clinici si parla da anni. Tuttavia è

innegabile che alla pandemia di COVID-19 va riconosciuto il

“merito” di aver diffuso il termine “trasparenza” accoppiato al

termine “ricerca clinica” molto e molto velocemente. Sputnik, il

vaccino russo tanto criticato, ne è un esempio. Ad argomentare

dibattiti sulla trasparenza ed etica delle ricerche cliniche non è

solo la comunità scientifica, ne parlano infatti anche le persone

non addette al settore, ognuno crea la propria opinione e,

come purtroppo troppo spesso accade quando si toccano temi

medici e scientifici, si crea un grande caos. Michele De Luca,

direttore del Centro di medicina rigenerativa “Stefano Ferrari”

dell’Università di Modena e Reggio Emilia, e Gilberto Corbellini,

epistemiologo, hanno commentato il tema in un articolo a loro

firma dal titolo “Vaccini e trasparenza: una questione malposta”.

Il loro invito, in sintesi, è di tornare a credere all’operato delle

agenzie che valutano i dati prodotti dagli studi clinici e presentati

per la richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio.

«Il sistema di controllo della qualità dei vaccini, messo in

piedi negli anni, oggi è diventato ipersensibile verso i rischi e

affermare, per esempio, che non ci si farà vaccinare finché non

saranno pubblicati i dati riguardanti il vaccino significa incorrere

in almeno due errori. Il primo – scrivono i due medici e scienziati

– è pensare che informazioni che compaiono sulle pubblicazioni

scientifiche, vagliate dai revisori, siano più affidabili di quelle

controllate e analizzate dagli scienziati e tecnici delle agenzie

che approvano i farmaci e quindi anche i vaccini. Il secondo

errore è una forma di autoinganno per cui chi esprime riserve

ritiene di essere in grado di apprezzare e giudicare informazioni

e situazioni molto complesse, di cui non è competente e

che di norma sono valutate da equipe di esperti altamente

specializzati».

62 63



MAKING LIFE | Gennaio 2021

UNIVERSITÀ POCO TRASPARENTI

I CINQUE PILASTRI DELLA

TRASPARENZA NEI TRIAL

Stando a quanto pubblicato nel 2019 da un rapporto congiunto

pubblicato da TranspariMED, BUKO Pharma-Kampagne, Test

Aankoop e Health Action International, l’83% degli studi clinici

(778) condotti dalle 30 migliori università europee di ricerca

medica violano le norme europee sulla trasparenza. Sembra

infatti che sebbene dal 2014 le università europee debbano

rendere pubblici i risultati di tutte le loro sperimentazioni

cliniche al fine di salvaguardare gli interessi dei pazienti e dei

contribuenti, i tassi di segnalazione riportati nel rapporto siano

solo del 7%. Le sole promosse tra le investigate, con oltre l’80%

dei risultati pubblicati, sono la University of Oxford, la University

College London, e il King’s College London. Per le altre, invece,

i dati sono molto meno incoraggianti. Le università francesi,

norvegesi, svedesi e italiane indagate hanno pubblicato un solo

studio e anche le altre 13 rimanenti hanno mostrato tassi di

rendicontazione compresi tra il 2% e il 33%.

Una maggiore trasparenza dei trial clinici ha vantaggi

indiscutibili: migliora gli outcome dei pazienti, permette una

migliore allocazione delle limitate risorse destinate alla ricerca

biomedica e all’assistenza sanitaria e facilita, accelerandolo, lo

sviluppo di nuove terapie.

Per GIMBE, la mancata trasparenza dei trial clinici può

aumentare il rischio di influenze indebite, manipolazione dei

dati e distorsione delle evidenze. Inoltre, visto che le autorità

regolatorie hanno un ruolo molto limitato nel processo di

reporting e pubblicazione, tale fenomeno ostacola i progressi

TRASPARENZA DEI TRIAL CLINICI

della medicina e gli obiettivi di salute pubblica e, nei casi più

gravi, apre le porte a condotte fraudolente e corruzione.

GIMBE propone un modello per migliorare la trasparenza degli

studi clinici basato su cinque pilastri.

I BIAS NEGLI STUDI CLINICI

Nell’ambito delle pubblicazioni scientifiche (vedi anche articolo a pag. 46)

vi sono due importanti fenomeni che portano a sovrastimare i benefici e

minimizzare i rischi: reporting bias e la distorsione delle evidenze.

REGISTRAZIONE

REPORT DEI

RISULTATI

PRINCIPALI

REPORT

INTEGRALE

PUBBLICAZIONE

CONDIVISIONE

DEI DATI

INDIVIDUALI DEI

PARTECIPANTI

1

UN DATO NEGATIVO NON TIRA – IL REPORT BIAS

La tendenza comune, sebbene sull’argomento si sia molto discusso,

è quella di pubblicare dati positivi e omettere quelli negativi. Questo

fenomeno, noto come reporting bias consegue a diversi fattori:

gli interessi dell’industria

gli interessi degli editori

gli interessi dei ricercatori

Registrare tutti i

trial clinici prima

del loro avvio

Rendere pubblici i

risultati principali

dei trial clinici

entro 12 mesi dal

completamento

Divulgare in

maniera proattiva i

risultati dettagliati

dei trial clinici

Pubblicare i

risultati dei trial

clinici

Condividere in maniera

efficace e attenta i

dati individuali dei

partecipanti ai trial

clinici

Figura 1. Modello proposto per la trasparenza dei trial clinici. Fonte GIMBE 2019

1

REGISTRAZIONE: tutti i trial clinici devono essere registrati su un registro di trial approvato dall’Oms, prima

dell’arruolamento del primo partecipante. La registrazione prospettica di un trial è un obbligo etico universale nella

ricerca clinica dal 2008. Tuttavia, uno studio del 2017 su 860 trial clinici ha rilevato che 556 non erano stati registrati e altri

157 erano stati registrati solo retrospettivamente. Meno del 19% dei trial valutati era stato registrato prospetticamente.

2

LA DISTORSIONE DELLE EVIDENZE

Le forme distorsive sono diverse e includono:

lo spin (alterazione della verità)

la manipolazione statistica

la pubblicazione selettiva di risultati parziali

la manipolazione completa dei dati

2

3

4

REPORT DEI PRINCIPALI RISULTATI: i report dei risultati principali di tutti i trial clinici devono essere pubblicati nei registri

in cui sono stati inizialmente registrati entro 12 mesi dal loro completamento.

REPORT INTEGRALE: tutte le informazioni rilevanti per interpretare i risultati di un trial dovrebbero essere divulgate in

maniera proattiva e rese disponibili alla comunità scientifica. Queste informazioni includono il protocollo originale del trial,

il piano predefinito di analisi statistiche, i Case report form e i Clinical study report.

PUBBLICAZIONE DEL TRIAL: i risultati di tutti i trial clinici devono essere pubblicati su una rivista scientifica o resi

gratuitamente disponibili in idonei registri o database di trial (preferibilmente in entrambe le forme).

5

CONDIVISIONE DEI DATI DEI PARTECIPANTI: devono essere stabiliti quadri normativi, regole, politiche e leggi che

consentano una condivisione efficace e attenta dei dati individuali dei partecipanti.

64 65



MAKING LIFE | Gennaio 2021

Integratori

+ sostenibili

+ competitivi

Gaia Leonardi

CRESCE ANCHE NELL’INDUSTRIA DEGLI INTEGRATORI

LA CONSAPEVOLEZZA CHE LA CRESCITA

DEL BUSINESS PASSA NECESSARIAMENTE

DALL’ADOZIONE DI PRATICHE DI SOSTENIBILITÀ

AMBIENTALE E SOCIALE

Adottare pratiche di sostenibilità

ambientale per la crescita del business

rappresenta oggi una necessità e una

sfida di primaria importanza per tutte

le aziende. Il settore degli integratori

alimentari non fa eccezione. Negli

ultimi anni, infatti, si è verificata una

convergenza interessante e sempre

più evidente tra sostenibilità e

competitività: in altre parole, essere

sostenibili vuol dire anche essere

più competitivi sia agli occhi delle

istituzioni, viste le risorse pubbliche

a disposizione, sia agli occhi dei

consumatori. Nove cittadini su dieci,

a livello globale, auspicano di vivere

in un mondo più sostenibile ed equo

nel post-Covid 19, e il 72% si aspetta

una trasformazione nel proprio stile di

vita, piuttosto che un ritorno al passato

(survey pubblicata dal Word economic

forum e realizzata da Ipsos).

UN’EQUAZIONE A TRE

FATTORI

Quali siano le azioni e l’impegno,

nell’ambito della sostenibilità, richiesti

alle imprese per poter diventare

protagonisti di una economia circolare

che possa creare un circolo virtuoso tra

le aziende, i suoi dipendenti, le persone

e l’ambiente, lo ha egregiamente

illustrato Valentina De Marchi, docente

di Economia e gestione delle imprese

presso il Dipartimento di economia e

management dell’Università degli studi

di Padova e presidente di Gronen (Group

for research on organizations and the

natural environment), in occasione

di un evento promosso sul tema da

FederSalus.

Quando si parla di sostenibilità, ci

sono tre dimensioni a volte in tensione

tra loro ma che devono viaggiare in

parallelo e, auspicabilmente, rimanere

in equilibrio: la dimensione economico–

finanziaria, quella sociale e quelle

ambientale.

«La sostenibilità – ha spiegato De

Marchi – rappresenta un’opportunità

di crescita chiaramente mediata

dall’innovazione, per permettere

la quale servono sia competenze

gestionali che professionali».

Sovrautilizzo delle risorse, uso non

virtuoso delle stesse e crescita costante

della popolazione mondiale. La sfida da

vincere a fronte di una popolazione in

crescita e di un costante impoverimento

delle risorse del pianeta – troppo

sfruttate e male – è quella di creare

un’economia sostenibile che, secondo

De Marchi: «Vorrebbe proporsi come

possibile soluzione alla ricerca di

approcci innovativi per invertire la rotta

e normalizzare il modello, andando a

esplorare come usare meglio le risorse

e creare cicli virtuosi negli ecosistemi».

66

67



MAKING LIFE | Gennaio 2021

COME RENDERE

SOSTENIBILE

UN’AZIENDA?

LA CIRCOLARITÀ

De Marchi ha messo a fuoco

due obiettivi: il primo riguarda

l’ascolto delle esigenze dei diversi

stakeholder esterni all’impresa, in

modo sistemico; il secondo prevede

la revisione del modello produttivo,

che dovrebbe passare da un percorso

lineare a uno circolare. Se nel modello

ECONOMIA

LINEARE

lineare, nato negli anni ‘70, le materie

prime sono percepite come infinte,

in quello circolare si cerca invece

di ridurre al minimo il loro utilizzo,

guidati dal concetto del riuso delle

risorse per tutta la loro vita utile.

«Questo modello – ha sottolineato De

Marchi – richiede un ripensamento

della progettazione e della modalità

con cui sono distribuiti i prodotti, “la

geografia” della distribuzione, come

sono utilizzati e raccolti per ridurre al

minino la quantità di sprechi e rifiuti».

ESSERE CIRCOLARI

PAGA?

Sulla base dei risultati ottenuti da

un’indagine condotta dall’Università

di Padova su 55 imprese italiane

che applicano modelli circolari, la

risposta è sì! E non solo in termini

economici o reputazionali, ma anche in

termini di aumento della motivazione

del personale (grafico a fianco). La

ricerca evidenzia come l’investimento

tecnologico (in 4.0) sia strettamente

legato all’implementazione di

percorsi circolari. Ciò che è emerso,

infatti, è che l’economia circolare

si sviluppa utilizzando modelli di

business, tecnologie e competenze

legate all’industria 4.0. Le tecnologie

possono sostenere in modo positivo

l’economia circolare in particolare

nella capacità di avere maggiore

conoscenza (misurazione, tracciabilità) e

monitoraggio sui processi e sui prodotti.

Migliorata reputazione

aziendale

87,6

Riposizionamento brand

(differenziazione)

68,8

Migliorata motivazione personale/

cultura d’impresa

68,8

Aumentata varietà prodotti/

servizi offerti

66,6

Entrata in nuovi mercati

Aumentata quota di mercato

Riduzione dei costi

Struttura dei costi più stabile

Allineamento con la

concorrenza

Agevolazione al credito

I BENEFICI OTTENUTI (%)

48,9

46,8

44,7

36,2

12,8

8,5

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

Materie

prime

Produzione Distribuzione Consumo

Rifiuti

«Le aziende possono iniziare

ponendosi alcune domande guida,

per trasformare le proprie attività

ed essere più sostenibili».

Valentina De Marchi

COSA FARE IN PRATICA

Da dove viene la materia prima utilizzata?

Che fine farà? Come sarà usato e smaltito il prodotto?

Quanto scarto ci sarà?

ECONOMIA

CIRCOLARE

Progettazione

Come arriverà al consumatore?

Come viene realizzato il componente che uso, con componenti chimici?

Come crea valore?

Come posso offrire nuovi servizi piuttosto che nuovi prodotti?”

Riciclaggio

Materie prime

Rifiuti

residui

Raccolta

Produzione,

rifabbricazione

Distribuzione

Consumo, uso,

riutilizzo, riparazione

INVESTIRE IN

ATTIVITÀ DI

MARKETING

Dal punto di vista manageriale, infine,

emerge come l’investimento nelle

attività di marketing e commerciali

sia parte essenziale e prioritaria

per l’adozione di qualsiasi modello

di business “circolare”. Come si

legge nelle conclusioni della survey

prodotta dall’Università di Padova,

infatti, il marketing in questo contesto

si configura come uno strumento

necessario per colmare il gap tra

finalità di accrescimento del valore

del prodotto e reale capacità del

mercato (consumatori) di riconoscere

il maggior valore connesso a processi

di innovazione (di prodotto e processo).

Tali investimenti sono essenziali per

ripensare il modo di consumare e

fare impresa e per dare un impulso

al processo di transizione verso

un’economia circolare.

SOSTENIBILITÀ, UNA STRATEGIA AZIENDALE

Per giovare alle aziende e

all’occupazione, la sostenibilità deve

diventare una strategia aziendale:

pianificata e progettata: il ritorno

economico degli investimenti è a

medio termine

in grado di ideare nuovi processi

e nuovi modelli di business

con ricerca attiva di risorse

misurabile: in questo senso, sono

molto utili le certificazioni, anche

interne alle stesse aziende

68 69



MAKING LIFE | Gennaio 2021

PRODUCTION

Pharma Telling & Industry



MAKING LIFE | Gennaio 2021

IL“SENSE OF PURPOSE”

DELL’ECOSISTEMA

FARMACEUTICO

Teresa Minero

È Ceo e fondatore di LifeBee - Digitalizing Life Sciences, ed è

parte dei 15 che, attraverso l’International board of directors,

guidano ISPE, la più grande associazione globale no profit per

i professionisti del farmaceutico: industria, indotto, agenzie

regolatorie e accademia.

Il settore farmaceutico e quello delle Scienze della Vita,

con il suo multiforme indotto, stanno attraversando

una delle fasi di trasformazione più radicale e

complessa, ma di certo affascinante, che abbiano mai

vissuto.

Come base di ogni considerazione

sul momento che stiamo vivendo, mi

piace premettere ancora una volta ciò

che mi avrete già sentito dire, ma che

ritengo fondamentale per ogni donna

o uomo che lavora per le Scienze della

Vita e per il suo ecosistema. Se è vero

che ognuno di noi è un consumatore,

è altrettanto vero che il fruitore finale

della “nostra” catena del valore è

invece un paziente, che spesso non

può scegliere, ma ha necessità per il

proprio benessere, e ancora di più per

la propria salute, di un farmaco o di un

dispositivo medico sicuro ed efficace,

nei tempi giusti e, non dimentichiamolo,

a costi sostenibili.

A differenza di altri settori industriali,

perciò, noi tutti nella filiera dobbiamo

tenere conto di regole e linee guida,

la cui applicazione è controllata dalle

agenzie del farmaco, che in ogni

regione e Paese del mondo sorvegliano,

con ampi spazi di armonizzazione, i

nostri stabilimenti, i nostri prodotti e i

nostri servizi.

Dai fornitori di materie prime a quelli di

macchine e servizi per la produzione e

la distribuzione, il tutto a piena garanzia

della salute del paziente.

Un concetto, quello di avere un paziente

alla fine della nostra catena logistica,

che può sembrare banale e di facciata,

ma che sono convinta invece dia a

ogni nostra attività un valore etico,

un “sense of purpose” come dicono

gli anglosassoni, che ci differenzia da

tutti gli altri settori e ci fa percepire

un senso di appartenenza e una

responsabilità importante e unica.

Ci ricordano gli analisti che entro sei

anni i millenial saranno il 50% della

forza lavoro e che sarà sempre più

difficile attrarre giovani con talenti

multidisciplinari, che saranno sempre

più necessari: un po’ scienziati e un po’

ingegneri con un ampio set di soft skill.

Mi sento però di darvi una buona

notizia: sempre secondo gli stessi

analisti, per i millenial. flessibilità e

“sense of purpose” sono determinanti

per scegliere il lavoro della vita.

Ho l’ambizione di credere che a loro, ai

giovani che ci sceglieranno come “casa

professionale” proprio perché abbiamo

un “sense of purpose” unico, daremo in

mano le leve del cambiamento, in atto

da tempo ma oggi obbligato a causa

dell’emergenza pandemica globale.

Un cambiamento che va e deve andare

costantemente verso la ricerca di un

incessante miglioramento: di prodotti,

processi, servizi e informazioni.

Nei prodotti vediamo un sempre

più marcato spostamento verso la

personalizzazione, verso il biologico,

il biotecnologico e le terapie avanzate

(ATMP) grazie alle terapie geniche,

cellulari e tissutali. Un orizzonte del

tutto nuovo, di certo complesso, ma

nel quale si apriranno – solo per chi

sarà capace di vederle – nuove e grandi

prospettive professionali e di offerta.

Sempre sul fronte prodotti, è senza

dubbio un cambiamento epocale l’arrivo

delle terapie digitali, note come DTX (o

Digital therapeutics), di fatto “app” per

la cura di una malattia (già approvate

ad esempio per diabete e broncopatie)

con il software a coprire il ruolo del

vero e proprio principio attivo, qualcosa

di inimmaginabile anche solo una

manciata di anni fa. Anche qui grandi

opportunità, in particolare per un Paese

come il nostro, con scolarità e creatività

uniche.

Nella filiera, oltre ai riflessi immediati

dell’arrivo dei prodotti innovativi

(si pensi alla necessità di catena

del freddo per molti di questi), la

sostanziale ristrutturazione è resa

ormai necessaria dalla pandemia,

che ha messo in luce il rischio di

carenza di produzioni locali di principi

attivi, farmaci e dispositivi medici

e la necessità di picchi di esigenze

produttive non previsti. Parlando di

pandemia e di regolatorio, sembra

persino superfluo citare la impellente

necessità di accelerazione nella ricerca,

sviluppo e approvazione di vaccini e

farmaci, fermo restando il rigore del

controllo a tutela e garanzia della salute

dei pazienti.

E ancora un altro cambiamento,

pure epocale: il focus sempre più

sull’informazione, con un 4.0 che

si è allargato a tutte le nostre

organizzazioni. Siamo partiti qualche

anno fa dal rinnovo delle macchine

produttive, anche grazie a un illuminato

piano di incentivi, e siamo oggi alla

“integrazione orizzontale” delle

informazioni su tutta la catena logistica

e a quella “verticale” dal sensore sulle

linee produttive sino alle agenzie

regolatorie. Il 4.0 e la digitalizzazione

non sono una moda, e non sono mera

tecnologia.

Chi fa materie prime e prodotti

condivide oggi con i clienti nel cloud

dati critici di qualità dei lotti, tempi

previsti di consegna e molto altro.

Chi fa impianti vende un intero

servizio, invece di una macchina (è la

servitizzazione): procura la macchina,

ma raccoglie anche i dati di efficienza

con dispositivi IoT, fa manutenzione da

remoto grazie alla realtà aumentata,

applica l’intelligenza artificiale per

analisi predittive. In modo analogo,

mutatis mutandis, chi produce medical

device o parti di esso.

Da ultimo, ma determinante, il ruolo

della digitalizzazione e della cultura,

prima ancora della tecnologia, 4.0.

Si pensi al “Manifesto 2030 per la

leadership italiana nell’industria

manifatturiera farmaceutica innovationdriven”,

presentato al Senato nel

settembre 2019 e partecipato anche

da aziende come Dompé e Sanofi.

Identifica, tra i tre obiettivi strategici

per il mantenimento della posizione

di primato raggiunta negli ultimi

anni dall’Italia, la creazione di un hub

industriale farmaceutico 4.0, e la

“digitalizzazione” unita a “persone/

competenze” tra le due aree di

intervento a sostegno di tale strategia.

In altre parole, e in termini riconosciuti

da tutti gli analisti e da tutti i settori

industriali, dobbiamo attivare con

convinzione una digital & cultural

transformation per guidare e sostenere

una business transformation che ci

renda più competitivi sui mercati globali

e ci abiliti ad affrontare le nuove sfide

che un mondo in continuo e pressante

cambiamento ci impone.

Nel nostro settore con un valore in più,

quello etico, appunto.

Ho avuto recentemente l’onore di

essere moderatrice in un bel dibattito

organizzato da ISPE Europa tra

rappresentanti di autorità regolatorie,

tra cui US, UK, Consiglio europeo,

WHO, Russia e Spagna incentrato sulla

visione delle Agenzie sugli impatti del

Covid-19. Non posso citare tutta la

ricchezza e la chiarezza del dibattito,

ma posso estrarne uno dei molti

spunti: usiamo bene le informazioni

che già abbiamo, creiamone di nuove

e analizziamole bene grazie alle

nuove tecnologie, e semplicemente

comunichiamo e collaboriamo, non

lavoriamo a silos, ma tutti insieme:

industria, indotto, accademia e autorità

regolatorie.

E torno all’inizio: tutto ciò nell’interesse

dei tanti pazienti che stanno alla

fine della nostra catena del valore

e che stanno aspettando il farmaco

o il dispositivo efficace, sicuro, al

momento giusto e al prezzo giusto.

E nell’interesse delle tante donne e

uomini, giovani e meno giovani ma con

tanta esperienza, che con passione

lavorano in Italia nel nostro comparto

e sentono ogni giorno questo “sense of

purpose” che li accomuna.

Questo qualcosa ci ha fatto andare

lontano e, se ci crediamo, ci sosterrà

ancora.

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MAKING LIFE | Gennaio 2021

COMPETENZE

AL SERVIZIO

DELL’EMERGENZA

Il laboratorio applicativo food a

Nerviano non si è fermato durante

il lockdown e l’esperienza dei

lavoratori è stata messa al servizio

dell’emergenza, portando alla

formulazione di gel per le mani

“premium” efficaci, pratici e delicati.

SMARTWORKING

Faravelli ha implementato lo smart working per tutte le funzioni in grado di

operare con questa modalità. Ha inoltre deciso di raccontare tra il serio e il faceto

l’esperienza di 20 collaboratori. La relativa campagna #faravelliinsmartworking

ha dato origine a un video in cui ognuno ha dato il suo punto di vista.

formulazione di gel per le mani “premium” efficaci, pratici e delicati.

La reputation

secondo

Giusto

Faravelli

COMUNICAZIONE

CON GLI

STAKEHOLDER

L’azienda si è attivata

immediatamente comunicando le

proprie intenzioni agli stakeholder,

attraverso notizie aggiornate sul

proprio sito.

Scansiona per vedere il video

Vincitrice del Best

Managed Companies

Award 2020, ecco le

iniziative promosse

dall’azienda durante il

lockdown

Caterina Lucchini

Capacità organizzativa, strategia e

performance. Sono questi caratteri

distintivi che hanno permesso a

Giusto Faravelli SpA di concorrere e

essere tra i vincitori del premio Best

managed companies award 2020.

L’iniziativa, giunta alla sua terza

edizione e promossa da Deloitte, si è

basata sulla valutazione delle aziende

italiane in base a sei criteri: Strategia,

Competenze e Innovazione, Corporate

Social Responsibility, Impegno e

Cultura Aziendale, Governance e

Misurazione delle Performance,

Internazionalizzazione.

Cinquantanove aziende italiane, tra

cui Giusto Faravelli SpA, si sono

aggiudicate il premio nel 2020.

«La soddisfazione è grande! Essere tra

le realtà premiate a livello nazionale

è un risultato a cui ambivamo, ma

che sapevamo non essere facile da

raggiungere». Secondo Luca Benati,

Ceo di Faravelli: «Il merito di questo

riconoscimento va a tutti i nostri

collaboratori e al lavoro svolto sempre

con grande impegno e dedizione. Credo

possiamo essere tutti orgogliosi».

Un importante traguardo che concima

la reputation di questa azienda. Un

obiettivo che si raggiunge – continua

Benati – grazie alla capacità di saper

mettere a fuoco le caratteristiche

che rendono un’azienda eccellente,

ma anche di riuscire a cogliere i

punti su cui occorre impegnarsi

maggiormente in futuro per migliorare

sempre di più. «La reputazione

per noi – sottolinea Benati - è fatta

di “promesse mantenute” ed è un

concetto di fondamentale importanza

in quanto precede l’inizio di qualsiasi

rapporto commerciale e professionale

costituendone presupposto essenziale».

Nella pratica, cosa significa questo?

Abbiamo raccolto e raccontato

le iniziative di Faravelli durante il

lockdown della scorsa primavera, per

capire in che modo un’azienda premiata

per le sue eccellenze, abbia deciso di

muoversi in un momento storico così

delicato.

CAMPAGNA #COSAFARAI?

Scansiona per

vedere il video

Utilizzando il format della clip e del fumetto e accompagnati da una colonna

sonora scanzonata, i FARAvelliani, i collaboratori di Faravelli, hanno raccontato i

loro piccoli grandi progetti post Covid. Lo scopo di questa campagna è stato quello di

proporre una prospettiva positiva e un elogio alla normalità.

CAMPAGNA DI

FUNDRAISING

Fai come Faravelli, sii virale contro

il virus: dona anche tu!” con

questo claim l’azienda ha scelto di

raccogliere l’invito della Regione

Lombardia lanciato a marzo

2020 sostenendo e partecipando

all’azione virale di raccolta fondi a

favore di strutture sanitarie, medici,

infermieri e tutto il personale in

prima linea nella lotta al Covid-19

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MAKING LIFE | Gennaio 2021

Un percorso di

responsabilità

Maria Pina Rossi

GIÀ DA ALCUNI ANNI

IMA HA INIZIATO IL

SUO PERCORSO VERSO

UN POSIZIONAMENTO

DI RESPONSABILITÀ

SOCIALE A SOSTEGNO

DELLA COMPETITIVITÀ

D’IMPRESA.

Maria Pina Rossi si occupa di CSR e

Corporate Communications a IMA S.p.A.

IN CONTATTO COSTANTE CON

I PRODUTTORI NELL’AMBITO

ALIMENTARE, FARMACEUTICO,

COSMETICO E NUTRACEUTICO,

IMA NE RECEPISCE LE NECESSITÀ

PRODUTTIVE CON L’OBIETTIVO DI

AUMENTARE LA QUALITÀ DELLA

PRODUZIONE RIDUCENDONE I COSTI

NEL RISPETTO DELLE NORME LOCALI

E INTERNAZIONALI, DELLA SICUREZZA

E DELL’AMBIENTE.

Nella pianificazione delle proprie

strategie, IMA tiene conto delle

implicazioni economiche, sociali

e ambientali del suo operato, con

l’obiettivo di garantire l’equilibrio tra

competitività, sostenibilità ambientale

e responsabilità sociale d’impresa.

Alla base della propria politica di

sostenibilità, IMA considera gli Obiettivi

di sviluppo sostenibile dell’ONU (SDGs)

individuando quelli più rilevanti rispetto

alla propria catena del valore, alle

esigenze espresse dai propri clienti e

dai mercati di sbocco – soprattutto in

termini di caratteristiche di sostenibilità

che sempre più deve avere il packaging

del futuro – e alle partnership locali e

globali.

NEL

2012

IMA redige annualmente la Dichiarazione

consolidata di carattere non finanziario (DNF)

dove vengono rendicontati, e poi certificati da

una società di revisione esterna, dati

e informazioni di natura ambientale, sociale

ed economica.

Negli ultimi anni, IMA ha scelto di posizionarsi

sempre di più come azienda sostenibile,

integrando nella definizione della strategia

aziendale e nella declinazione delle proprie

politiche, gli interessi degli stakeholder e gli

impatti ambientali, economici e sociali delle

proprie attività.

NELL'OTTOBRE

2019

IMA ha formalizzato il suo impegno con

l’adesione ad associazioni e organizzazioni

che operano per la diffusione della

Sostenibilità di impresa come “Impronta

Etica” e “Save Food” e ha pubblicato il suo

primo Profilo di sostenibilità. L’adesione, lo

stesso anno, al Supply chain program di CDP

(già Carbon disclosure program) e dal 2014

a oggi al Climate change program di CDP

rappresentano un ulteriore sviluppo nella

rendicontazione delle sue emissioni dirette

e indirette e nel suo impegno verso una loro

costante e graduale riduzione.

DAL

2017

è stata organizzata la prima edizione del

Workshop Multistakeholder al quale hanno

partecipato rappresentanti qualificati di

imprese, enti, istituzioni, associazioni e mondo

accademico. Attraverso questa iniziativa,

IMA ha rafforzato le attività di dialogo con

tutti quei soggetti con cui interagisce

direttamente o indirettamente,

confrontandosi sulle proprie linee di

indirizzo strategico nell’ambito della

sostenibilità e raccogliendo spunti e

suggerimenti.

I progetti

La crescente attenzione per le

tematiche di sostenibilità ambientale

nel mondo ha portato allo sviluppo

di molteplici progetti e iniziative

all’interno del Gruppo. Nell’industria

delle macchine per il processo e il

packaging, le azioni indirizzate alla

sostenibilità mirano a progettare

soluzioni innovative in grado di ridurre

il consumo di risorse nel corso della

produzione.

PACKAGING

ECOCOMPATIBILE

Nell’ambito della sua politica

globale per l’ambiente, IMA investe

sull’innovazione sostenibile, adottando

progressivamente soluzioni in grado

di ridurre il fabbisogno energetico e

l’impatto ambientale dei propri prodotti.

In partnership con i clienti, conduce

studi e propone soluzioni per l’utilizzo di

packaging innovativi ed ecocompatibili,

in grado di ridurre la perdita alimentare

e preservare e conservare la freschezza

dei cibi, oppure in grado di diminuire

l’impatto che le componenti plastiche

hanno sull’ambiente e sugli ecosistemi

marini.

RIUSO E RICICLO

IMA promuove progetti, anche in

collaborazione con clienti e istituzioni,

per sensibilizzare all’uso, riuso e riciclo

corretti del packaging, in una logica di

economia circolare e, più in generale,

offre il supporto ad attività tendenti

a migliorare la sinergia tra imprese

e ambiente nelle logiche della green

economy. I progetti sviluppati con clienti

e partner di alto profilo, per lo sviluppo

di imballaggi primari flessibili

eco-sostenibili, sono parte integrante

della strategia di sviluppo sostenibile

di IMA.

NO PLASTIC

Nel 2019 è iniziato il progetto

IMA-Nop (No Plastic). Dopo il via libera

a Strasburgo, da parte del Parlamento

europeo, alla direttiva che limita

l’uso di diversi articoli monouso in

plastica, aumentano le richieste di

nuove macchine automatiche in grado

di ridurre l’impiego della plastica nel

packaging. IMA ha già sviluppato,

in collaborazione con i maggiori

player del mercato, alcune soluzioni

estremamente innovative, anticipando

così le esigenze del mercato di

riferimento.

IMA È LEADER MONDIALE

NELLA PROGETTAZIONE E

PRODUZIONE DI MACCHINE

AUTOMATICHE PER IL PROCESSO

E IL CONFEZIONAMENTO DEI

PRODOTTI FARMACEUTICI,

ALIMENTARI, TÈ E CAFFÈ.

GRAZIE ALL’ALTO PROFILO

TECNOLOGICO E ALLA CAPACITÀ

DI OFFRIRE SOLUZIONI STUDIATE

SU MISURA È IN GRADO DI

RISPONDERE ALLE VARIE

RICHIESTE DELL’INDUSTRIA

FARMACEUTICA ATTRAVERSO LE

SUE TRE DIVISIONI ALTAMENTE

SPECIALIZZATE: IMA ACTIVE

(SOLID DOSE SOLUTIONS), IMA

LIFE (ASEPTIC PROCESSING &

FREEZE DRYING SOLUTIONS), IMA

SAFE (PACKAGING SOLUTIONS).

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AL VIA

L’HEALTH&BIOTECH

ACCELERATOR

MAKING LIFE | Gennaio 2021

DELOITTE LANCIA LO

SCALE-UP PROGRAM DEDICATO

AL FUTURO DELLA SALUTE

E DEL BIOTECH CHE NASCE

DALLA COLLABORAZIONE

TRA I PIÙ IMPORTANTI ATTORI

DELL’ECOSISTEMA. LE FINALISTE

SELEZIONATE LAVORERANNO

INSIEME AI PARTNER DEL

PROGETTO AL FINE DI SVILUPPARE

PROGETTI PILOTA INNOVATIVI PER

POTENZIARE IL CORE BUSINESS O

LANCIARE NUOVE SOLUZIONI SUL

MERCATO

SEI UNA STARTUP O SCALEUP HEALTH & BIOTECH?

L’HEALTH&BIOTECH ACCELERATOR È UN PROGRAMMA INTERNAZIONALE, Scouting italiano e internazionale

MULTI-CORPORATE, BASATO SU PROGETTI PILOTA E FOCALIZZATO

SULL’INDIVIDUARE LE STARTUP/SCALEUP HEALTH & BIOTECH CHE MEGLIO Accelerazione in Italia

RISPONDANO ALLE NECESSITÀ D’INNOVAZIONE DEI CORPORATE PARTNER

DELL’INIZIATIVA. I FINALISTI LAVORERANNO CON I CORPORATE PARTNER PER Programma pilot-driven

SVILUPPARE PROGETTI PILOTA CHE NE POTENZINO IL CORE BUSINESS O CHE

LANCINO NUOVE SOLUZIONI SUL MERCATO.

Business-oriented results

1

Health&BioTech Accelerator è uno dei

programmi annuali di accelerazione

powered by Deloitte Officine

Innovazione con l’obiettivo di reclutare

le migliori startup/scaleup, a livello

nazionale e internazionale, in grado di

rispondere alla disruption generata dai

nuovi trend per trasformare i settori

salute e biotech.

L’obiettivo dell’acceleratore è sviluppare

progetti pilota, integrando le soluzioni

innovative delle startup e scaleup

con competenze e asset dei partner

dell’iniziativa, per potenziare il core

business delle corporate o lanciare

nuove soluzioni sul mercato.

Per raggiungere lo scopo, sarà

fondamentale il ruolo e il supporto di

tutti i player coinvolti, ognuno con una

propria competenza specifica – come

ad esempio quella degli scientific

partner fondamentali per il processo di

trasferimento tecnologico.

Il progetto ha il suo centro in Italia ma

con un raggio d’azione internazionale

che si sviluppa in tre macro-fasi:

CALL4STARTUP Le candidature da

parte di startup/scaleup sono aperte

fino al 21 febbraio 2021. Un roadshow

digitale accompagnerà questa prima

fase e permetterà alle startup/scaleup

più promettenti di incontrare il team

dell’Health&BioTech Accelerator e

valutare se le soluzioni proposte

rispondono alle esigenze delle aziende

partner.

2

Sono invitate a partecipare startup/

scaleup che abbiano soluzioni

innovative riconducibili agli 8 trend

identificati:

• New drugs & Therapies: nuovi

farmaci e terapie per malattie ancora

oggi incurabili.

• Biomarkers & Diagnostic Tools:

marcatori molecolari in grado di

predire o diagnosticare l’insorgenza

della malattia.

• Carriers & Delivery Systems: come

veicolare farmaci al target, attraverso

l’uso di innovativi sistemi biologici.

• Advanced & Digital Diagnostics:

wearable device e dispositivi medici

avanzati.

• Innovative Care Management:

soluzioni innovative per la gestione

del paziente, supportandone

l’ingaggio, l’adesione alla terapia, la

condivisione di dati per una migliore

terapia.

• Telehealth: tecnologie che

permettono di monitorare e assistere

il paziente da “remoto”.

• Healthcare Robotics: robotica a

supporto del paziente e del personale

nella diagnostica e negli interventi.

• Healthy Lifestyle: alimentazione

e stile di vita come supporto a

prevenzione e cura di alcune malattie.

SELEZIONE Da fine febbraio 2021

verranno analizzate le candidature e

selezionate le soluzioni più innovative

grazie anche alle competenze delle

3

aziende, dei centri di ricerca e dei

venture capital che prendono parte al

progetto.

ACCELERAZIONE Da aprile 2021

inizierà invece la fase più intensa del

programma che durerà 15 settimane in

cui le corporate, i partner e le startup/

scaleup selezionate lavoreranno

insieme al fine di sviluppare progetti

pilota che verranno presentati nel

corso del Demo Day, momento finale

di presentazione al pubblico e alla

business innovation community.

A fianco di Deloitte, i corporate partner

MSD Italia e Intesa Sanpaolo RBM

Salute, gli scientific healthcare partner

GVM Care & Research, Humanitas

Research Hospital, Santagostino e Casa

di Cura La Madonnina, gli scientific

research partner Istituto Italiano

di Tecnologia (IIT), Università degli

Studi di Milano e IFOM - Istituto FIRC

di Oncologia Molecolare, gli investor

ed ecosystem partner Italian Angels

for Growth, Digital Magics, Panakès

Partners, SMAU, MakingLife, Notizie.

it, Think e Digital Innovation Days, e il

supporting partner Life Science District.

Per maggiori informazioni

sull’acceleratore:

www.healthbiotechaccelerator.io

PROGETTI PILOTA

CON GRANDI

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DIAGNOSTICA AVANZATA & DIGITALE

CARE MANAGEMENT INNOVATIVO

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COSA STIAMO CERCANDO

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Scientific Healthcare

Ecosystem & Media

LA CALL4STARTUP È APERTA

TELEMEDICINA

NUOVI FARMACI & TERAPIE

BIOMARCATORI & TOOL DIAGNOSTICI

CARRIER & SISTEMI DI DRUG DELIVERY

ECOSISTEMA

GLOBALE

Scientific Research

78 healthbiotechaccelerator.io

79

Supporting

HUB

DIFFUSO



MAKING LIFE | Gennaio 2021

Covid-19, un test rapido ad alta resa

“Abbiamo un solo competitor, ed è il virus”

Marc Casper, Ceo di Thermo Fisher Scientific

Thermo Scientific

Amplitude Solution è una

soluzione di diagnostica

molecolare ad alta

automazione in grado di

analizzare fino a 8.000

campioni umani in 24 ore

per rilevare la presenza del

virus SARS-CoV-2

sola in un processo che

dura circa 3 ore e mezza

e può essere monitorato

in tempo reale tramite un

apposito computer. I risultati

vengono automaticamente

trasferiti al software

SampleManager LIMS per la

revisione, autorizzazione e

archiviazione.

della vita e altri laboratori

del mondo industriale,

accademico e governativo.

Possiede numerosi marchi tra

cui Thermo Scientific, Applied

Biosystems, Invitrogen, Fisher

Scientific, Unity Lab Services e

Patheon.

GLI ESPERTI

Diagnosi precoci per tutelare

salute ed economia

Espandere al più presto la platea dei beneficiari dei test, isolare

con rapidità i casi, investire nella prevenzione per ridurre l’impatto

sul sistema sanitario e sull’economia: sono le armi individuate

dagli esperti per contrastare il Covid-19

GOLD

STANDARD

Amplitude Solution si basa

sul sistema di test RT-PCR,

attualmente considerato la

metodologia di riferimento

per questo tipo di diagnosi.

In questo tipo di test l’Rna del

virus viene convertito in Dna

tramite trascrizione inversa e

successivamente amplificato

via PCR (Polymerase chain

reaction), una tecnica

che permette di replicare

rapidamente campioni di Dna

molto piccoli consentendo di

ottenerne quantità sufficienti

per le analisi di laboratorio.

Si tratta di una soluzione che

offre la massima produttività

garantendo nel contempo un

impegno minimo in termini di

tempi gestione, attrezzature e

personale.

UN TEST

ALTAMENTE

SPECIFICO

Per limitare il rischio di falsi

negativi generati da mutazioni

del virus, Amplitude solution

analizza tre regioni di SARS-

CoV-2 con un ridotto rischio

di mutazione (proteine target

orf-1ab, S e N). Si tratta di un

test a elevata sensibilità e con

una specificità del 100% .

Questa tecnologia può

analizzare fino a 376

campioni in una volta

L’AZIENDA

Thermo Fisher Scientific

è una società americana,

quotata al Nasdaq, che fattura

più di 25 miliardi di dollari

all’anno. Fornisce tecnologie

scientifiche, reagenti, materiali

di consumo, software, servizi

per la sanità, le scienze

SCARICA IL MANUALE DI

AMPLITUDE SOLUTION

Molti laboratori di

diagnostica clinica si

basano attualmente

su test molecolari che

impiegano la Polymerase

chain reaction (PCR) per

rilevare l’infezione da

SARS-CoV-2 da campioni

di pazienti, come tamponi

per la gola o il naso.

«Finché non verrà

sviluppato un vaccino,

il nostro approccio

principale sarà quello

di testare e prevenire la

trasmissione del virus. I

test basati sulla PCR sono

vengono considerati

il “gold standard” in

termini di sensibilità e

specificità».

Chaz Langelier

Assistant Professor

UCSF Infectious Disease

division

«Quando inizia

un’epidemia di malattia

trasmissibile, la risposta

ideale è cominciare al

più presto a effettuare

test diagnostici.

Questo porta a una

rapida identificazione

dei casi, a un veloce

trattamento per

queste persone e a un

immediato isolamento

per prevenire la

diffusione.

I test precoci aiutano

anche a identificare

chiunque sia entrato

in contatto con

persone infette, in

modo che anche loro

possano essere trattati

rapidamente».

Eduardo Sanchez

Chief medical officer per

la prevenzione

American Heart

Association

«Per riaprire l’economia

in sicurezza, dicono gli

esperti, gli Stati Uniti

hanno bisogno di circa

20 milioni di test al

giorno.

Spendere, ad esempio,

250 miliardi di dollari

per i test è un piccolo

sforzo rispetto ai

miliardi di dollari che

l’economia sta perdendo

durante la pandemia.

Inoltre, finanziare una

significativa espansione

dei test è indispensabile

per ridurre i rischi

di chi svolge lavori

essenziali. Questo è

sia economicamente

giustificabile che un

imperativo morale».

Zack Cooper

Associate professor

Yale School of Public

Health & Department of

Economics

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MAKING LIFE | Gennaio 2021

NUMERO 1 - GENNAIO 2021

Casa editrice

MakingLife Srl

Piazza della Repubblica, 10

20124 Milano MI

Tel. 02 36525293

Direttore responsabile Caterina Lazzarini

Coordinamento redazionale Simone Montonati | simone.montonati@makinglife.com

Comitato scientifico

Valeria Brambilla

Giacomo Bruno

Hellas Cena

Giorgio Lorenzo Colombo

Gabriele Costantino

Stefano Govoni

Teresa Minero

Maria Luisa Nolli

Giuseppe Recchia

Art Director Simone Abbatini

Illustrazioni di Mario Addis

Hanno collaborato

Paola Arosio

Giorgio Lorenzo Colombo

Gabriele Costantino

Gaia Leonardi

Caterina Lucchini

Daniele Martinelli

Antonio Maturo

Teresa Minero

Maria Pina Rossi

Micaela Terzi

Monica Torriani

Silvia Vernotico

Commerciale Alessia Fellegara | alessia.fellegara@makinglife.it

“ COMUNICA LO

STATO DELL’ARTE

E LE PROSPETTIVE

DI RICERCA E

SVILUPPO

NEI SETTORI

MEDICO,

FARMACEUTICO

E MEDTECH“

“ PROMUOVE E

FAVORISCE I

DECISION

MAKING

PROCESS

PER L’IMMISSIONE

IN COMMERCIO

DI MEDICINALI E

DISPOSITIVI MEDICI

“ REALIZZA UN

NETWORK

MULTIDISCIPLINARE

TRA GLI

STAKEHOLDER

DEL COMPARTO

HEALTHCARE“

MARKET ACCESS

COMMUNICATION

FAVORISCE ACCESSO,

ADOZIONE E

RICONOSCIMENTO DEL

VALORE DI FARMACI,

INTEGRATORI E DISPOSITIVI

MEDICI, COMPRESE TERAPIE

DIGITALI E PIATTAFORME DI

SUPPORTO AL PAZIENTE“

Marketing Federico Baviera | federico.baviera@makinglife.it

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dell’innovazione nell’healthcare

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