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Rivista Novembre_21

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La Toscana nuova - Anno 4 - Numero 10 - Novembre 2021 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074


Emozioni visive

a cura di Marco Gabbuggiani

Un mito di uomo

Testo e foto di Marco Gabbuggiani

Con il MotoGP di Valencia del 14 di novembre 2021 Valentino

Rossi chiuderà la sua dorata epoca di pilota motociclistico.

Credo che mai uno sportivo abbia avuto tanti ammiratori come

lui. Oltre a fotografarlo varie volte durante le gare del Mugello,

sono anche stato a Tavullia a soffrirne la sconfitta che incoronò

Lorenzo campione del mondo nell’agosto 2015 grazie

alla sciagurata antisportività di Marquez. Un’esperienza vissuta

nella bolgia di un paese dove tutto è giallo e dove l’amore

per questo personaggio si sente nell’aria come il profumo della

piadina che pervade le strade del luogo. E allora non potevo

non rendere omaggio ad uno straordinario campione che ha

unito il mondo attorno a sé come nessuno ha mai fatto in altri

sport. Un personaggio che ha colorato di giallo i circuiti di tutto

il mondo persino nel momento in cui non era più all’apice della

sua carriera, come quando, cadendo al primo giro al Mugello

nel 2013, venne costretto a scendere dal camper a suon di acclamazioni

per salire sul podio ed essere applaudito come se

fosse stato lui il vincitore. Queste mie tre foto vogliono essere

quindi un omaggio al grande personaggio e alla sua strepitosa

carriera: un panning ravvicinato scattato poco dopo la San

Donato al Mugello; il suo pubblico che festeggia sotto il podio

dove lui purtroppo non c’è; la cordialità e la simpatia mostrata

verso di me che alla domanda “stretto il casco, eh Vale?”, mi

sento rispondere in dialetto romagnolo “socc’mel se è stretto!”.

Un personaggio che mezzo mondo vorrebbe emulare nella

sua semplicità che fin dall’inizio lo ha visto scrivere accanto

alla chiusura della tuta quel “WLF” che penso ormai sia noto a

tutti. Grazie Vale, ci mancherai!

marco.gabbuggiani@gmail.com

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NOVEMBRE 2021

I QUADRI del mese

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Al Castello di Conversano la retrospettiva omaggio al maestro Luca Alinari

Vizi e virtù della vita in spiaggia nella mostra di Martin Parr a Livorno

Peter Henry Emerson, teorico della “realtà” in fotografia

Luigi Mariani, scultore e artigiano nel segno della tradizione

Il potere della verità nel nuovo romanzo di Maurizio Chinaglia

Piero Crivellari, pittore della complessità del vivere contemporaneo

Curiosità fiorentine: festa della “mortesecca”, l’antica versione di Halloween

Marcellina Ruocco, attrice con la passione “frizzante” per la recitazione

La rappresentazione dell’infinito nelle opere di Maria Paola Spadolini

Il cinema a casa: Si alza il vento, il sogno ad occhi aperti di Hayao Miyazaki

Annalisa Cestelli: riscoprire la natura con l’arte

Eventi in Toscana: a Palazzo Vecchio la Giornata in ricordo delle Vittime della strada

Dimensione salute: una boccata di aria fresca per ritrovare il benessere

Psicologia oggi: le relazioni dipendenti, volto patologico dell’altruismo

I consigli del nutrizionista: dieta mediterranea, patrimonio da riscoprire

Archeologia: il mondo antico in un bicchiere di vino

Luca Panarisi, artista classico e contemporaneo

Gianluigi Balsebre: dalla parola al segno attraverso il colore

Pittura e poesia, espressioni dell’anima per Silvana Fedi

L’armonia delle forme naturali nella pittura di Varren

La voce dei poeti: le liriche di Isabella Cipriani

Il percorso artistico di Mario Bettazzi tra onirismo e concretezza

Tutela dell’ingegno: lo scooter Piaggio copiato dalla Peugeot

Alla scoperta dei territori del mondo con il Movimento Life Beyond Tourism

Mario Aniello: l’anima della natura, la natura dell’anima

I giganti dell’arte: David di Donatello, simbolo della genialità italiana

Paola Parri, pittrice del femminile consapevole e libero da pregiudizi

L’avvocato risponde: violenza di genere, un reato in crescita

Ristorante Cafaggi, un angolo di storia e architettura a Firenze

Concerto in salotto: Gabriel Tacchino, esecutore di talento

La dirompenza del colore nella mostra di Wilma Mangani allo Spazio San Marco

Percorsi d’arte: i musei di San Gimignano, tra vestigia etrusche e arte contemporanea

Elena Galli, pittrice all’insegna dell’ottimismo

Marta Zuccaletti: l’arte di ridare vita agli oggetti

Al Centro Acustico Toscano i rimedi per curare la perdita dell’udito

I’ Bacco Toscano, “tempio” del gusto alle porte di Montespertoli

La personale di Daniela Sangiorgi al Terme Beach Resort di Ravenna

Storia delle religioni: le beatitudini, cammino di elevazione dello spirito

Percorsi trekking in Toscana: arte, natura e benessere in Maremma

Dario Dainelli, da giocatore a dirigente sempre con la viola nel cuore

Di-segni astrologici: Scorpione, segno della sensitività e della percezione profonda

Toscana a tavola: la ricetta di un piatto perfetto per la mezza stagione

Eccellenze in Cina: il XIV Piano Quinquennale, un’opportunità per le aziende italiane

Autunno sul lago con le strutture di B&B Hotels Italia

Intervista a Alberto Lupetti, il guru dello champagne francese

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Periodico di attualità, arte e cultura

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Filippo Cianfanelli

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Marco Gabbuggiani

Simone Lapini (ADVphoto)

Carlo Midollini

Martin Parr

Elena Maria Petrini

Silvano Silvia

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Atelier

Giuliacarla

Atelier

Cecchi Giuliacarla

Cecchi

Alta Moda

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Concorso Internazionale

Giuliacarla cecchi

13 novembre 2021 - ore 18.00

Giardino dell’Orticoltura, Tepidarium

Ingresso solo su invito confermato e con Green Pass

Presentazione degli outfit dei TOP TEN

il Sistema Copernicano

ultima, inedita, collezione di Pola Cecchi per

GIULIACARLA CECCHI

La serata si concluderà in atelier

con un Convivio Rinascimentale



A cura di

Viktoria Charkina

Incontri con

l’arte

Luca Alinari

Al Castello di Conversano una retrospettiva per omaggiare

uno dei più enigmatici artisti del Novecento italiano

di Viktoria Charkina

Dal 29 ottobre 2021 al 6 gennaio 2022 il Castello di

Conversano ospita la mostra Luca Alinari / Nuove

visioni dall’immaginario colorato, organizzata dal

curatore Donato Mastropasqua e dalla Fondazione D'Arti,

con la collaborazione del Comune di Conversano e della

Pro Loco Conversano, e grazie al supporto dell’Archivio

Alinari. Quest’ultimo è gestito dalla famiglia del maestro,

dalla moglie Ivana e dal figlio Filippo, che hanno prestato

per l’esposizione la maggior parte delle opere che illustrano

come l’artista fiorentino sia sempre stato attento alla diversificazione

dell’uso di materiali, curioso di stili e generi

inediti e stimolato da tecniche pittoriche originali. Dalla continua

sperimentazione e dalle sfide contro se stesso emerge

come Alinari abbia vissuto il suo percorso artistico con

un’assoluta creatività, probabilmente dovuta anche alla voluta

assenza di un’istruzione accademica in ambito pittorico.

Così la raccolta spazia dall’inizio della carriera negli anni

Settanta con le opere pop, attraversa la rappresentazione

delle figure umane ricche di concetti filosofici, si rivolge verso

i paesaggi onirici e infine sfocia nell’ultimo periodo in cui

il maestro si orientò verso l’arte più astratta ed essenziale.

Oltre ad un occhio attento del curatore, che ha individuato i

dipinti capaci di evidenziare la variegata e complessa personalità

del pittore, è molto significativo anche il luogo in

cui si svolge la mostra che sottolinea come l’arte continui

a vivere dopo la scomparsa di un artista, arrivando anche a

Corea (rivisitata), (2015), tecnica mista su tela, cm 80x80, collezione privata

Luca Alinari nello studio con l'opera Corea del 2016 circa

realizzare i suoi sogni incompiuti. Quanto sarebbe stata apprezzata

da Alinari una mostra retrospettiva nella sua amata

Conversano, dove si recava non solo per le esposizioni artistiche

ma anche per gli incontri di amicizia che ricordava

sempre con una vena nostalgica e calorosa! Come quell’ultimo

incontro, in compagnia di discussioni e pensieri sull’arte,

in cui il maestro accennò il suo desiderio di esporre nuovamente

nel comune pugliese. L’ultimo saluto al luogo caro,

espresso tramite i quadri – da sempre il mezzo di comunicazione

prediletto dall’artista –, non avvenne nel momento

pianificato. Prima di concludere l’organizzazione della mostra,

Luca Alinari si spense, ma, grazie all’impegno di persone

vicine, il suo desiderio si è trasformato in realtà con un

progetto definito e valente di riaprire il suo dialogo artistico

nel cuore della cultura pugliese. I dipinti, da sempre contraddistinti

da una continua sperimentazione non soltanto nelle

forme e nei mezzi ma anche nei contenuti, evidenziano l’impossibilità

di racchiudere Alinari all’interno di una corrente

specifica. Tale caratteristica si rispecchia nella scelta di presentarne

l’opera in una mostra retrospettiva, che svela i dubbi,

le proteste, il senso d’incomprensione ma anche i sogni,

la speranza e la spiritualità di uno dei più enigmatici pittori

del Novecento italiano, le cui opere, con delicata pazienza,

ci invitano ad ascoltare il loro racconto.

LUCA ALINARI

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I grandi della

fotografia

A cura di

Maria Grazia Dainelli

Martin Parr

Fino al 12 dicembre ai Granai di Villa Mimbelli a Livorno gli scatti del celebre fotografo

inglese raccontano con ironia vizi e virtù della vita in spiaggia

di Serafino Fasulo / foto Martin Parr

Èoccorsa tenacia per non rinunciare a questo evento

minacciato dalla pandemia, ma alla fine la Fondazione

Carlo Laviosa ed il Comune di Livorno ce l’hanno

fatta. Riconosciuto come uno dei più grandi fotografi contemporanei,

Martin Parr (classe 1952) propone uno sguardo

per niente omologato di un mondo estremamente omologato.

Da oltre quarant’anni scandaglia fotograficamente le trasformazioni

sociali dell’Inghilterra, suo paese natale, fino ad

estendere il proprio sguardo sul globalizzato Pianeta Terra.

Testimone delle fratture socio-culturali dell’epoca thatcheriana,

dello sviluppo del turismo di massa, dell’avvento del cibo

industriale, dell’omologazione dei comportamenti e degli stili

di vita, Martin Parr racconta con sguardo critico, con ironia

sferzante, senza mai porsi al di sopra di un sistema ma denunciandone

le debolezze delle quali lui stesso è partecipe.

E forse, proprio in questo suo sentirsi partecipe di un mondo

la cui cruda rappresentazione rasenta il sarcasmo ed il

grottesco, sta la chiave del successo di critica, di pubblico

e commerciale. Lui stesso ha spesso posato come soggetto

dei suoi scatti non risparmiandosi un’autoironia che negli

Autoportraits lo colloca come icona al centro di composizioni

vicine ad un gusto nazional-popolare che spesso incontriamo

nelle case, soprattutto in quelle degli anziani, dove il

souvenir è proposto in un mélange che accosta oggetti di disparata

provenienza: ricordi familiari, oggetti da bancarelle,

icone religiose provenienti dai mercati di luoghi sacri, omaggi

floreali e, inevitabilmente, fotografie. Dagli anni Novanta

Parr fa parte della prestigiosa agenzia Magnum, fondata nel

1947 da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour,

per citare alcuni dei prestigiosi nomi

che si associarono per difendere i diritti

dei fotografi. L’agenzia conosciuta per

il taglio documentaristico, rappresentato

da generazioni di grandi fotografi

in scatti di un rigoroso bianco e nero,

potrebbe sembrare una casa poco adeguata

ad un autore che ha fatto del colore

saturo, dell’uso del flash in pieno

giorno e del digitale gli strumenti della

sua cifra stilistica. La contraddizione

è solo apparente poiché Martin Parr

è il testimone di una società che si trova

a proprio agio nell’artefatto, nei cibi

che sembrano di plastica, nelle tinte innaturali.

È il reporter di un mondo che

ha sostituito la rappresentazione al paesaggio,

i sogni al concreto, che esalta

il sintetico e che si appresta a respira-

Spain, Benidorm (1997)

Great Britain, Eastboume (1995-1999)

8

MARTIN PARR


re aria confezionata. Parr, testimone

del suo tempo, si iscrive a pieno

titolo nella tradizione della fotografia

documentaria, con uno scarto,

spesso assente anche nei grandi

fotoreporter del passato, che lo

pone come osservatore e osservato,

dietro e davanti all’obiettivo.

Apocalittico e integrato, giudice e

imputato, coglie le debolezze della

contemporaneità ma ravvisa

anche i pregi dell’evoluzione scientifica,

annaffiando il tutto con una

dose di humor carico di pietas che

scaturisce dal sentirsi parte di un

“Truman show” al quale partecipa

divertito e inorridito. I soggetti trattati

non raccontano teatri di guerra,

né flussi migratori né catastrofi naturali,

soggetti cari a reporter che Belgium, Knokke (2001)

si muovono tra fotografia testimoniale

e autoriale. Parr è il cronista di una visione in cui

l’elemento quotidiano mette in relazione le classi sociali, il

triviale che accomuna i ceti e che si esalta nell’utilizzo del

tempo libero con i cliché che il consumismo impone, segni di

un’umanità ammantata di orpelli spesso volgari, ridicoli, un’umanità

che crea la caricatura di se stessa e che si libera nella

nudità estiva su spiagge che ancor prima degli abiti spogliano

del pudore. Life’s a beach, la vita come spiaggia esplode

l’estate quando i corpi si sgangherano in posizioni impensabili

in interni o in orari lavorativi. La “vita in mutande” ammette

le bizzarrie, svela i segreti taciuti dagli abiti e li trasforma

in ostentazione e posture che si arricchiscono di addobbi:

cappelli, occhiali, bandane, pareo, trucco, bibite colorate e

quant’altro permetta di concepire il tempo libero come momento

di perdita del controllo e della misura. Se la fotografia

si può intendere come specchio della realtà, la mostra Life’s a

Beach trova in Livorno una tessera mancante o meglio un’immagine

mancante. È in estate che lo spirito “anarchico” della

nostra città si esalta. Più volte ho osservato la traslazione

che il corpo di noi livornesi assume nei mesi estivi: il bacino

si sposta in avanti di circa 15°, i piedi si aprono “10’ alle

2” e si trascinano in quella che è la camminata da scoglio o

meglio da cemento, da stabilimento balneare. L’incontro tra

la fotografia di Martin Parr e Livorno può essere origine di

sinapsi scoppiettanti poiché raramente, quella che per molti

mesi all’anno diventa una città spiaggia, nel pur variegato

excursus delle “Martin’s beach”, contiene al tempo stesso la

capacità di porsi e di guardarsi, di essere in scena e in platea,

di essere testo e critica, attori e spettatori in un doppio ruolo

dal quale scaturisce una dose di autoironia rara da riscontrarsi

ad altre latitudini. L’ironia di chi sa bene che la vita è una

“bitch”. I livornesi sono un po’ tutti Martin Parr.

Great Britain, Kent Margate (1986)

MARTIN PARR

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Spunti di critica

fotografica

A cura di

Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli

Peter Henry Emerson

Teorico della “realtà” in fotografia

di Nicola Crisci

Nato a Cuba nel 1856 da madre britannica e padre

americano, Peter Henry Emerson è stato l’ideatore

della teoria estetica chiamata “fotografia naturalistica”.

Formatosi come medico, acquistò la sua prima macchina

fotografica nel 1882 e trascorse gli anni successivi

conducendo uno studio antropologico sui contadini e sui

pescatori dell’East Anglia. Queste fotografie, pubblicate in

libri come Life and Landscape on the Norfolk Broads (1886)

e Pictures of East Anglian Life (1888), sono una preziosa

documentazione della vita rurale inglese alla fine del XIX

secolo. Dal 1885 espose le sue opere e vinse numerosi premi.

Convinto che la fotografia fosse un mezzo di espressione

artistica superiore a tutti gli altri media grafici in bianco

e nero perché riproduce la luce, i toni e le trame della natura

con una fedeltà senza pari, si iscrisse al Linked Ring,

creato da Henry Peach Robinson proprio per difendere e

diffondere la fotografia come forma d’arte attraverso il movimento

del Pittorialismo. Ma proprio in contrapposizione

alle metodologie pittorialiste, che imitavano i dipinti di

genere sentimentale, nel suo manuale Naturalistic Photography

del 1889, Emerson delineò il sistema estetico della

cosiddetta “fotografia naturalistica” ovvero un tipo di foto-

River Blyth (1888)

Confessions (1887)

Gathering Waterlilies (1885)

grafia diretta e semplice, con persone reali

inquadrate nel loro ambiente di vita e non

modelli in costume posti davanti a fondali

falsi o altre formule predeterminate. Nonostante

questo libro fosse molto convincente,

nel 1891 il fotografo britannico pubblicò

un altro opuscolo, The Death of Naturalistic

Photography, in cui ritrattò le proprie opinioni

sulla fotografia. Le sue teorie iniziali

si rivelarono comunque influenti per la fotografia

del XX secolo, fissando i presupposti

di quella che sarebbe poi diventata

la Straight Photography. Emerson, deceduto

nel 1936, è stato anche uno scopritore

di talenti come Alfred Stieglitz, che divenne

famoso anche grazie ad un premio da

lui assegnatogli nell’ambito di un concorso,

e Julia Margaret Cameron, sulla quale

ha scritto un libro.

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The Old Order and the New (1885)

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PETER HENRY EMERSON


Ritratti

d’artista

Luigi Mariani

Scultore e artigiano nel segno della tradizione della

terracotta dell'Impruneta

di Maria Grazia Dainelli / foto Carlo Midollini

La lavorazione della terracotta dell’Impruneta risale

agli Etruschi. Durante il Rinascimento molti artisti

la utilizzarono per realizzare le loro opere, come ad

esempio Filippo Brunelleschi, che se ne avvalse per costruire

la cupola della cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze, e

i Della Robbia, che realizzarono opere incredibili grazie alla lavorazione

di questo materiale pregiato. Una grande e secolare

tradizione nella quale si colloca l’attività di Luigi Mariani, scultore

e artigiano imprunetino che nell’antica fornace M.I.T.A.L.,

di proprietà della sua famiglia, realizza manufatti di alto pregio

sia per l’arredamento che per il giardinaggio con una linea

classica ed elegante adatta ai più svariati contesti. Grazie alla

sua fantasia, all’abilità e all’originale vena artistica, Luigi ha

contribuito a valorizzare questa nobile e antica lavorazione,

eseguendo anche sculture come il monumento in cotto L’uomo

e il sogno dedicato all’artista suo amico Giuliano Ghelli per

omaggiarne la memoria dopo la scomparsa. Situata nel comune

di San Casciano, in una rotatoria tra viale Corsini e via Cassia,

l’opera, inaugurata nel 2017 alla presenza delle istituzioni

locali, celebra l’uomo e l’artista Ghelli attraverso i simboli del

suo immaginario pittorico e il richiamo alla forza creatrice della

fantasia. Ancora prima, nel 2015, in occasione della visita

di Papa Francesco a Firenze, Luigi ha donato al pontefice una

statua di San Francesco da lui ideata e realizzata con la sensibilità

che lo contraddistingue. Il progetto che più lo ha appassionato

e coinvolto negli anni è stato il presepe in terracotta

con figure a grandezza naturale eseguito su richiesta di don

Luigi Oropallo per la basilica di Santa Maria all’Impruneta e

donato dall’artista al santuario mariano. Tra tutti i personaggi,

Mariani ha posto particolare attenzione al volto della Madonna,

per il quale si è ispirato alla figura della madre scomparsa.

Il presepe di Luigi Mariani in Piazza del Duomo a Firenze

Un busto ritratto della moglie Rossana

Il pastore realizzato sulla base di un autoritratto dello scultore

In seguito alla pubblicazione dell’opera sui biglietti per i festeggiamenti

del sessantesimo anniversario di sacerdozio di

don Vasco Bianchini, il presepe ha riscosso numerosi apprezzamenti

da parte della curia fiorentina, tanto che il cardinal

Betori ha chiesto all’artista di realizzarne un altro da esporre

sul sagrato della cattedrale fiorentina. Insieme alla Sacra Famiglia,

Luigi ha eseguito anche il bue e l’asinello, aggiungendo

ad ogni Natale un nuovo personaggio, inclusa la figura di

una pastorella con le sembianze della moglie dell’artista, Rossana,

per ricordarla dopo la sua improvvisa scomparsa. «Ho

avuto questa intuizione – afferma lo scultore – spinto dalla

sofferenza per la perdita di mia moglie; quelli

che la conoscevano hanno subito notato la somiglianza

della pastorella con il suo volto. Non

è stato solo un omaggio a lei ma anche un regalo

a me stesso. La creazione dell’opera è iniziata

subito dopo la sua scomparsa ed è durata molti

mesi poiché avevo sempre qualcosa da ritoccare

essendo molto difficile plasmare il volto della

persona amata con l’argilla ed essere soddisfatto

del risultato. Il sorriso splendente di Rossana

adesso illumina piazza Duomo a Firenze, pronto

a scaldare il cuore di chiunque incroci il suo

sguardo». E proprio per sottolineare ancora di

più il legame con l’amata congiunta, da quest’anno

Luigi aggiungerà al presepe un pastore modellato

sulla base di un suo autoritratto: un modo

in più per stare vicino alla sua Rossana.

LUIGI MARIANI

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Cinzia Pistolesi

L'automa

www.cinziapistolesi.com


I libri del

mese

L’ultima maschera

Il nuovo romanzo di Maurizio Chinaglia

sul potere della verità

di Serena Gelli

Maurizio Chinaglia

S’intitola L’ultima maschera il nuovo romanzo dello

scrittore certaldese Maurizio Chinaglia, pubblicato

nel 2021 dalla Società Editrice Fiorentina. È una

sequenza di sette storie raccontate da altrettante donne

che si confrontano e si confidano con Giovanni, capace di

ascoltare e di aiutarle a gettare, una dopo l’altra, le loro maschere.

Giovanni è un uomo empatico e amorevole capace

di suscitare in queste donne riflessioni e risposte interiori.

Cosa non facile per lui: è pur

sempre un uomo. «L’ultima maschera

– spiega l’autore – nasce

dalla mia necessità di capire se

c’è un momento di verità e quindi

se si riesce davvero a essere

sinceri con noi stessi». Si tratta

del secondo romanzo di Chinaglia,

autore, già circa otto anni

fa, de La scelta, in cui, come

suggerisce il titolo, descrive la

scelta non facile di un brillante

professore cinquantenne di vivere

una travolgente passione per

Paola, una donna più giovane di

lui. Nella scelta del protagonista

influisce anche la figura di Giulia,

una monaca di clausura sua

guida spirituale, proprio come

Beata Giulia della Rena probabilmente

lo fu nel Trecento per

l’autore del Decamerone Giovanni

Boccaccio. Chinaglia ha poi

pubblicato il romanzo L’amore

non basta, dove racconta l’esistenza

di molti tipi di amore: tra

moglie e marito, tra due amanti,

tra madre e figlio, tra due amici.

In cantiere ha ancora molti progetti,

alcuni interrotti a causa

della pandemia, come lui stesso

spiega: «Spero di riprendere

a pieno regime le presentazioni

de L’ultima maschera che ho dovuto

sospendere nei lunghi mesi

del lockdown. E poi vorrei ancora

continuare a scrivere per trasportare

il lettore sull’onda delle

mie emozioni».

L’ULTIMA MASCHERA

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Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Piero Crivellari

Racconti sulla complessità del vivere contemporaneo

di Daniela Pronestì

Dipingere il mondo contemporaneo procedendo per

astrazioni, ovvero per “estrapolazioni” di frammenti

– dinamiche sociali, gesti e rituali – che insieme

compongono come tessere di un mosaico l’odierno paesaggio

antropico. È così che Piero Crivellari pratica l’astrazione

pur rimanendo un artista figurativo. Nel suo caso, infatti, il

processo astrattivo consiste nel rilevamento delle convenzioni

alla base dell’esperienza percettiva, e quindi del modo

in cui linee, forme e colori orientano lo sguardo nell’interpretazione

della realtà. Un’operazione concettuale tradotta

in immagini caratterizzate da campiture piatte, mancanza

di profondità prospettica e contorni marcati, con l’intento

manifesto di far vivere gli elementi visivi legandoli alla superficie

del quadro, all’immediata percepibilità della griglia

entro la quale persone e cose appaiono incastonate. Un effetto

ottenuto semplificando al massimo il rapporto tra figura

e sfondo, quest’ultimo concepito come una lastra che

se da un lato accentua il risalto grafico dei soggetti rappresentati,

dall’altro sembra esserne la matrice. La scelta di un

fondale nero suggerisce infatti l’idea di uno spazio mentale

dal quale affiorano scampoli di realtà interiorizzata, vi-

Shopper (2020), acrilico su tela, cm 80x60

sioni acquisite nel profondo e restituite all’esterno soltanto

dopo averne estratto i valori estetico-simbolici. Insieme alla

fascinazione verso una pittura che strizza l’occhio all’astrazione

facendo leva sull’ambiguità di figure inquadrate

Discussione (2021), acrilico su tela, cm 60x80

Al mercato (2021), acrilico su tela, cm 80x60

14 PIERO CRIVELLARI


La banda musicale (2021), olio su cartoncino, cm 67x85

Gemelle al mare (2021), acrilico su tela, cm 50x50

in un contesto per niente naturalistico, si avverte

la volontà dell’artista di segnalare la presenza

nel quadro di significati che eccedono gli

scampoli di realtà raffigurati, offrendosi come

indizi di verità nascoste dietro la ritualità del

vivere quotidiano. Decontestualizzare il soggetto

ed inserirlo entro una schema compositivo

semplificato – poche linee a racchiudere

il volto, zone colorate al posto del tradizionale

chiaroscuro, piani sovrapposti anziché proiettati

in profondità – corrisponde, per quanto

riguarda il contenuto, a svuotare il campo visivo

dalle sovrastrutture che regolano la cultura

dell’immagine nella società contemporanea, richiamando

così la nostra attenzione su particolari

altrimenti destinati a perdersi nel caos

degli stimoli percettivi di cui fruiamo costantemente.

In questo modo, lo sguardo è messo

nella condizione di cogliere aspetti che, all’apparenza

secondari, assumono invece un forte

valore espressivo, come tutto ciò che riguarda,

ad esempio, il linguaggio dei gesti nelle relazioni

umane, i canali di comunicazione o viceversa

le situazioni di incomunicabilità che spesso

accompagnano i ritmi della vita moderna. Nella

folla senza volto che popola il paesaggio urbano,

Crivellari individua gruppi di persone intente

a svolgere semplici azioni quotidiane: turisti

seduti su di una panchina, donne al mercato,

artisti di strada, viaggiatori in metropolitana.

Quella che emerge, in tutti questi casi, non è

l’individualità della singola persona, e quindi il

modo di stare al mondo di ciascuno, ma la necessità

di allinearsi ad una condizione esistenziale

imposta dall’esterno, dai riti collettivi, dal

tran-tran giornaliero del lavoro, dei consumi,

dello svago. In altre parole, mettere in secondo

piano sogni, desideri e bisogni identitari per

farsi assorbire dal flusso incessante del mondo

globalizzato. Ecco perché in questi dipinti

si vedono figure umane e non individui, sagome

di persone anziché persone vere e proprie, ad

indicare, appunto, l’annichilimento dell’identità

nel conformismo del vivere contemporaneo.

Eppure, persino in uno scenario così poco confortante,

sopravvivono ritagli di bellezza: nella

trama fiorita di un vestito, nei colori abbaglianti

di un oggetto, nella grazia di un gesto femminile.

Pochi ma significativi dettagli chiamati ad

incarnare una speranza per il mondo nascosta

nel cuore autentico di un’opera d’arte.

www.pierocrivellari.it

Piero Crivellari

Le opere di Piero Crivellari sono in vendita sul sito

della galleria Artistikamente di Pistoia

www.artistikamente.net

PIERO CRIVELLARI

15


Paolo Pastacaldi, Il cigno (2018), olio su tela, cm 40x60

Paolo

Pastacaldi

e

Antonella

Nannicini

Antonella Nannicini, Ninfa (2021), grès smaltato e vetro, altezza cm 50

Pittura e scultura in dialogo

Paolo Pastacaldi

+ 39 339 3461307

Arcantarte

+ 39 320 2251213

www.antonellanannicini.it

Antonella Nannicini, Panta Rei (2021), grès smaltato e vetro, altezza cm 35

Paolo Pastacaldi, Albero intrecciato (2019), olio su tela, cm 50x60


A cura di

Luciano e Ricciardo Artusi

Curiosità storiche

fiorentine

Festa della “mortesecca”

L’antica versione italiana di Halloween

di Luciano e Ricciardo Artusi

Al giorno d’oggi grandi e piccini usano “festeggiare” il

31 ottobre una ricorrenza “tutta americana” dal nome

Halloween animata da una zucca simboleggiante un

teschio, folletti, streghe e morti viventi. Una festa abbondantemente

preceduta da quella della nostra campagna, rimasta

in auge fino alla metà del secolo scorso, con la protagonista in

ambo i casi di una zucca arrangiata a teschio. I ragazzi per realizzare

la “mortesecca” prendevano una grossa zucca gialla e,

dopo averla vuotata sapientemente con un cucchiaio, incidevano

le fessure del naso e degli occhi, cercando di realizzarli

il più possibilmente malvagi, facendo la bocca con denti aguzzi

per renderle più spaventose, trasformazioni che teneva a lungo

occupati i giovani “scultori”. Ad opera conclusa vi mettevano

all’interno un lumino di cera che veniva acceso; poi, chiudendo

porte e finestre e ottenuta piena oscurità, potevano giudicare

se il teschio aveva raggiunto veramente l’effetto spettrale desiderato.

Dopo la cena, tutte le mortesecche venivano portate

sulla strada maestra dai ragazzi, con una sorta di processione

formata dai grandicelli ma anche da quelli più piccoli, dove

le zucche venivano sistemate in bella vista fra i cipressi, fuori

dell’orto, in giardino, su muretti o sui davanzali delle abitazioni

e, tanto per rendere la scena più macabra possibile, improvvisavano

anche strani rumori di catene, ululati e grida per spaventarsi

a vicenda. Ovviamente la paura in genere era quella

provocata sui più piccoli e sulle bambine, vittime preferite degli

scherzi; era uso cantare anche una filastrocca scaccia-paura

Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo

dall’incerto significato: «Morte Secca rimbombona, ha impegnato

anche la corona!». Risate fresche e piene di felicità fanciullesca

fino a tarda notte, poi tutti a letto sotto le lenzuola che

la brace dello scaldino appeso al trabiccolo aveva reso caldissime

e accoglienti. Dopo i timori e le chiassose risate della notte,

al mattino, quando i crinali dei poggi erano dipinti di rosa,

lo spettacolo dei teschi protagonisti delle tenebre era divenuto

dimesso e malinconico, poiché le zucche annerite dal fumo

dei lumini e un po’ cotte dal calore della tremolante fiammella

si erano afflosciate e raggrinzite su sé stesse, mostrando palesemente

che la “morte” era stata beffeggiata e il divertimento

terminato. Questo, in sintesi, lo spassoso gioco dei ragazzi,

ma la fiammella accesa nella zucca della mortesecca, quale festa

sentita dalla buona gente adulta, aveva l’arcano significato

di indicare ai morti la strada delle case che avevano abitato in

vita, dove avrebbero trovato, vicino al focolare, del cibo e del vino

per accoglierli. Infatti, secondo la tradizione, in quella notte

le anime dei defunti sarebbero tornate sulla terra a voler continuare

il dialogo fra chi ancora respirava e chi vagava in forma

d’anima. La festività della “mortesecca” approdò anche a Firenze

ma non diffusamente come nelle campagne, poiché in città

era molto più radicato l’uso di festeggiare la ricorrenza dei due

giorni dopo: Ognissanti e la Festa dei defunti. Non a caso i festeggiamenti

del 31 ottobre e del 2 novembre andavano di pari

passo con un appuntamento fondamentale per il calendario

agricolo: la semina del grano. Il grano, per garantire la sua fertilità,

lo si seminava possibilmente il giorno dedicato ai defunti,

ovvero il 2 novembre. Tanto il grano appena seminato e i morti

avevano in comune due cose molto importanti: la terra che li

accoglieva e la speranza di nascere e rinascere. Con la semina

il chicco doveva attraversare il gelido inverno prima di germogliare,

per cui si ricorreva all’aiuto dei morti affinché vigilassero

su di esso. In cambio, i vivi facevano visita alle tombe lasciandovi

un fiore e un lumino. In questa altalena di sacro e profano

siamo arrivati ad oggi, dimenticando quasi del tutto la nostrana

origine di quella antica usanza aggregativa di grandi e piccini,

ma ciò non toglie che il ricordo ne tramandi la memoria.

FESTA DELLA “MORTESECCA”

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Dal teatro al

sipario

A cura di

Doretta Boretti

Marcellina Ruocco

Dal teatro al cinema, il percorso di un’artista con la passione

“frizzante” per la recitazione

di Doretta Boretti / foto courtesy Marcellina Ruocco

Ci troviamo in compagnia di un’artista nella cui persona

convivono la cultura pugliese da parte di padre,

quella slava da parte di madre e quella toscana

perché nata e vissuta a Firenze, con una breve ma importante

parentesi di vita a Trieste. Le sue esperienze artistiche

sono molteplici: teatro, cinema, radiofonia, scrittura e

insegnamento. Molto versatile nei generi, dal drammatico

al brillante, tendenzialmente comico, Marcellina Ruocco ha

avuto numerosi rapporti professionali con registi anche di

fama internazionale. Quando la incontri sembra proprio una

“prima donna”, ma poi, parlandoci, appare una persona disponibile,

molto socievole e, come lei stessa si definisce,

una persona “tragicomica”.

Marcellina Ruocco è il nome vero. Hai mai sentito l’esigenza

di modificarlo per l’attività artistica?

No, non mi è mai interessato modificare il mio nome. Perché

poi lo avrei dovuto fare? Non andavo mica a rubare.

Sei stata diretta da molti registi. Ce n’è qualcuno che ricordi

con piacere?

Quando lavoravo in Rai, ricordo Umberto Benedetto, un regista

che si era formato alla vecchia scuola e che chiedeva

il massimo, ma dava anche molto. Nel teatro, penso a

Nino Mangano, brillante, simpatico e bravo regista. Nel cinema,

a Mario Monicelli, di cui rimpiango la grande capacità

registica e l’inaspettata tenerezza paterna nei miei

confronti. E poi Franco Zeffirelli, grande maestro che aveva

la non comune capacità di spiegare all’attore cosa volesse

da lui. Ho un ricordo personale di Zeffirelli: con mio

In questa e nelle altre foto Marcellina Ruocco in vari momenti della sua carriera

grande stupore e soddisfazione, durante la lavorazione a

Firenze del suo film Un tè con Mussolini, dopo aver girato

una scena importante e difficile, mi si avvicinò e mi disse:

«Sei davvero brava!».

Hai iniziato a lavorare nel cinema in età matura. Come mai

non lo hai fatto prima?

Perché per diversi anni ho vissuto con passione e con gioia

il lavoro di fare “la mamma”.

So che sei anche pedagogista. È vero che se si soffre per

amore o per altre cause, il recitare aiuta?

Moltissimo. Ci sono mille perché. Uno fra tutti: nella finzione

scenica, l’attore può “raccontare” il dolore anche attingendo

dal proprio dolore, che non sempre si ha il coraggio

di palesare agli altri.

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MARCELLINA RUOCCO


Quando un artista diventa adulto conserva il desiderio di recitare

parti giovanili o con il tempo passa?

Quando un artista diventa “adulto”, con le esperienze umane

di una persona adulta, a volte pensa che in un ruolo giovanile

avrebbe tanto di più da dare. Ma il teatro non è per chi lo fa

ma per chi lo vede, e il pubblico vuole una Giulietta giovane e

una Medea matura. Se tu attrice ami veramente il teatro, comprendi

che stai sulla scena in funzione del pubblico. A volte ho

pensato che con l’esperienza di vita che ho adesso sarei una

meravigliosa Giulietta… Ma questi sono

fatti miei.

Si può vivere di “rendita di applausi”

oppure è un bacino, quello, che si

svuota e che ha bisogno di essere riempito?

Qualche volta mi manca il palcoscenico.

Questo periodo di pandemia,

poi, è stato un momento molto difficile

per noi artisti. Ma per me non è

una tragedia. Aprendo la porta di casa

ci sono delle felicità nel creato che

ti illuminano l’anima: un abbraccio,

un bacio, il sorgere del sole al mattino,

l’essere diventata nonna, proprio

in questo momento. Se voi sapeste

quanto teatro ho desiderio di fare al

mio nipotino...

Numerosi artisti continuano a recitare

fino ad età avanzata. Tu hai,

davanti a te, diversi anni da donare

al pubblico che ti ama. Viste le riaperture

del mese di ottobre, immagino

sia tornata in te quella voglia

frizzante di recitare. E se sì, che

cosa hai in programma per i prossimi

mesi?

Intanto un libro, scritto a due mani,

del quale adesso non voglio svelare

niente. Poi sto preparandomi per una

lettura scenica, nel Salone dei Cinquecento

in Palazzo Vecchio, domenica

21 novembre alle ore 10, e successivamente

prenderò parte ad un progetto

per i settecento anni dalla morte di

Dante. Quindi, sì, come vedi, ho ancora

quella voglia “frizzante” di recitare.

MARCELLINA RUOCCO

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Maria Paola Spadolini

Dissonanze, olio su tela, cm 50x50

Equilibrio, olio su tela, cm 50x70

Sul filo dell'acqua, olio su tela, cm 50x70

Profondo rosso, olio su tela, cm 50x50

mariapaola.s@alice.it


Ritratti

d’artista

Maria Paola Spadolini

Una rappresentazione silenziosa e meditata dell’infinito

di Jacopo Chiostri

C’è nella pittura di Maria Paola Spadolini, artista fiorentina,

una rappresentazione silenziosa e meditata dell’infinito

che si riverbera in paesaggi, creature, profusione

di luce e piccoli oggetti che sono i suoi soggetti: mondi che tutti

noi abbiamo intorno, per lo più senza curarcene o accorgercene

e che, nei dipinti della Spadolini, assumono un ruolo ed una

significazione pari all’infinitamente grande, con uguale dignità,

pur senza modificarne la sostanza. Come a dire che l’universo,

che rimane un’immensa domanda, è attorno a noi e dentro

di noi se sappiamo vedere, concetto che quest’artista ci ricorda

per tramite della sua pittura. Nata a Firenze, dove vive, Maria

Paola Spadolini ha lavorato come grafica pubblicitaria con importanti

agenzie nazionali. Con la pittura ha un rapporto piuttosto

recente intrapreso dopo aver frequentato corsi di disegno

animato, modellato, acquerello, disegno e pittura a olio e con

gli insegnamenti ricevuti nello studio del pittore Nazareno Malinconi.

I suoi primi lavori erano marine e in genere paesaggi,

con un occhio di riguardo a quella forma essenziale di vita che

sono gli alberi, poi piccoli animali – esseri che la vita la rappresentano

– i fiori, che riuniscono forma e colore ma anche

raccontano, simbolicamente, di stati d’animo, e infine un guazzabuglio

di oggetti, vasi, strumenti musicali, pupazzi, libri, soprattutto

libri, assemblati assieme in un sapiente gioco di pesi

e contrappesi in una composizione minuziosa che sembra dover

mutare da un momento all’altro e che invece, sorprendentemente,

trasmette l’impressione di un ordine immoto, magari

inconsueto e inedito, ma pur sempre tale. Davanti ai nostri occhi

vecchi oggetti, a noi familiari, riprendono vigore, tornano a

vivere, a far sentire la loro voce. I libri sono a volte aperti con le

pagine come mosse da un soffio di vento, ci sono fogli che cadono,

oggetti posti in un equilibrio apparentemente instabile ed

è come se l’artista avesse fermato il tempo, lo avesse cristallizzato

prima che riprendesse il suo scorrere naturale. E questo

ha una sua logica, perché quello della Spadolini, in fondo, è un

racconto per immagini che passano lente davanti ai nostri occhi,

affiorando indifferentemente dal libro della memoria e dalla

vita contemporanea. Non è, infatti, un’operazione nostalgica,

neppure melanconica, è anzi un lavoro vitale che guarda avanti.

Del resto la stessa artista tiene a sottolineare che i suoi sfondi,

abbastanza scuri, non sono neri bensì blu, una colorazione

elegante piuttosto che cupa. Ed è ancora lei a spiegare che si

possono immaginare e costruire mondi fantastici con oggetti e

scenari reali. Dal punto di vista pittorico, le opere della Spadolini

hanno il sapore della precisione miniaturistica. Siamo, con

tutta evidenza, nel campo del figurativo, anche se, a dispetto di

un’istintiva e approssimativa lettura, non in quello del realismo.

Perché in ogni tocco di pennello più che una riproduzione rigida

del soggetto si avverte la traduzione di un sentimento e di

uno stato d’animo, quindi di un’immagine non visibile. C’è una

ricerca attenta e di gran livello tecnico dei particolari; la composizione

è studiata minuziosamente nella disposizione dei soggetti

che animano la scena – sia che si tratti di nature morte

che di paesaggi – e nella resa prospettica e ottica; i colori sono

sì fedeli all’originale – un pianoforte ha i tasti bianchi e neri, un

violino il colore del legno – ma i mazzi di fiori ci parlano anche

della capacità di assemblarli della pittrice in modo da ottenere

il massimo risalto emotivo. Numerose le esposizioni nel carnet

della Spadolini; queste le personali: 2011, Finestra sulla natura,

Centro Civico di Bolgheri, Livorno; 2013, Luci, ombre e trasparenze,

Gadarte, Firenze; 2014, La donna nell’arte, Hotel Residence

Esplanade, Viareggio; 2018, Particolari e altro, Centro Civico

di Bolgheri; 2018, L’ora dei balocchi, Gadarte, Firenze.

Bianco metafisico, olio su tela, cm 50x50

Incontri, olio su tela, cm 40x40

MARIA PAOLA SPADOLINI

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Il cinema

a casa

A cura di

Lorenzo Borghini

Si alza il vento

Il fantastico sogno ad occhi aperti di Hayao Miyazaki

di Lorenzo Borghini

Un sogno. È con questo che si apre Si alza il vento, ultima

fatica di Hayao Miyazaki. Jiro Horikoshi sogna

di arrampicarsi su un tetto, sogna di scalarlo pezzo

dopo pezzo per raggiungere un aeroplano di sua invenzione.

Sale a bordo e parte. Inizia a volare nel cielo sfiorando campi

come farebbe una spada sguainata. Il buio della notte si

squarcia improvvisamente al suo passaggio, tutto si colora

di magico con le splendide note di Joe Hisaishi fino a quando

viene abbattuto da un enorme nave volante. Il ragazzo si

sveglia e capisce cosa vuole diventare: un progettista di aerei.

Tutta la storia è un delicato sogno ad occhi aperti, una

favola dolce ma anche triste, che parla di amore e di mor-

te trasportandoci, come sempre, in quel mondo che Miyazaki

ha creato con cura abituandoci a sognare di volta in volta

come succedeva nei giorni della nostra infanzia. I sogni del

protagonista si alternano alla vita reale, a quella vita vissuta

che gli fa incontrare negli anni dell'università – durante

lo spaventoso terremoto del 1922 – una ragazza apparsa e

scomparsa come in un sogno, una ragazza che ritroverà dopo

diversi anni malata di tubercolosi. Il maestro giapponese

ci consegna un'opera matura raggiungendo un livello artistico

mai visto prima in nessun film di animazione. I paesaggi

che costruisce intorno ai protagonisti sono poesia per immagini,

partendo dall'alto dei cieli fino a scendere in picchiata

su campi, case e fiumi. Le tavole

di Si alza il vento starebbero bene al

Louvre in compagnia di qualche pittore

impressionista perché sono quanto

di più bello e simile si sia visto in terra

animata. I nostri occhi vengono rapiti

da una sinfonia di colori pastello che

ci trasmette una pace dei sensi degna

di una meditazione su una montagna

tibetana. Miyazaki con il suo pennello

intinge di amore i nostri cuori, trasportandoci

in un mondo diverso da

quelli creati in precedenza, perché

meno fantastico, ma sicuramente forte

e denso di significati. Vediamo tutto

il suo amore per la vita (e per gli

aerei) mescolato a quei sogni ad occhi

aperti condensato nella bellissima

citazione di Paul Valéry: «Le vent se

lève… il faut tenter de vivre». Il vento

che ci spinge forte verso il raggiungimento

dei nostri obiettivi, il vento che

ci scompiglia i capelli nelle giornate

invernali, il vento che trasporta sogni,

ricordi e rimpianti facendoci sentire

vivi giorno dopo giorno. Leggere che

questo sarebbe stato l'ultimo film di

Miyazaki è stato come ricevere un pugno

al cuore, perché per me i film del

maestro sono stati come un'ancora a

cui aggrapparsi nei momenti tristi della

vita, sono riusciti a farmi scollegare

dal reale per quelle ore che speravo

non finissero mai; e allora sì, lo posso

dire: Miyazaki per me è stato come

un amico, un amico che non vorrei

perdere mai.

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SI ALZA IL VENTO


Ritratti

d’artista

Annalisa Cestelli

Riscoprire la natura con l’arte

di Jacopo Chiostri

Fiducia nella natura (2018), terracotta, ottone brunito, legno, cm 29x41x56

Autodefinirsi “artista del cavolo”, come ha scritto sulla

propria brochure, può sembrare una provocazione:

nel caso di Annalisa Cestelli, talentuosa artista,

laureata in Arte e Scultura all’Accademia di Firenze, non è

niente di tutto ciò. La sua autodefinizione, infatti, fa riferimento

al cavolo vero, quello romanesco per la precisione,

che nel linguaggio della sua produzione artistica, come vedremo,

diviene punto d’incontro tra scienza, in particolare

matematica, e purezza della natura declinata in arte. Questa

giovane e promettente artista porta avanti un discorso

concettuale che traduce in opere – manufatti, sculture, gioielli

e installazioni – realizzate con una pluralità di materiali:

bronzo, argento 925, fusione a cera persa, alabastro, marmo,

marmo giallo di Siena e ottone. Il principio (e il proposito)

cui fa riferimento la Cestelli è di legare l’arte a valori

etici, farne cioè – come del resto è stato fin dai tempi del

Rinascimento – un’arma potente per educare, perché la conoscenza

non è un fatto privato dello scibile scientifico, ma

anche l’arte ne è fonte. «Quando studiavo all’accademia –

spiega la Cestelli – mi sono appassionata alla teoria di Goethe

che affermava che arte e scienza nascono da un’unica

fonte». Gli elementi primari su cui si fonda il suo lavoro sono

quelli della triade platonica – bene, sapienza e bello – in

stretta connessione con la natura, perché – ci ricorda – sono

le forze della natura che creano arte. Non per nulla, l’altro

punto cardine della sua poetica sono le interazioni tra prodotti

naturali e matematica, a conferma della stretta relazione

tra quello che crea la natura e ideazioni dovute all’uomo.

Nelle opere della Cestelli compaiono elementi vegetali nei

quali si rintracciano proporzioni matematiche, la sequenza

di Fibonacci, la sezione aurea, la spirale aurea; su tutti il cavolo

romanesco di cui abbiamo detto, esempio conosciuto

di frattale (oggetto geometrico dotato di omotetia interna:

si ripete nella sua forma allo stesso modo su scale diverse)

che personifica il punto d’incontro tra scienza e arte ed

è un’espressione formale di perfezione assoluta. Da qui il ni-

ckname della Cestelli, e anche il titolo (ironico e dissacratore)

della sua prima esposizione Mostra del cavolo tenutasi

a San Casciano Val di Pesa, dove ha dimostrato che anche

l’utilizzo di un modesto elemento vegetale, come appunto il

cavolo romanesco, può arrivare al cuore dell’arte. Per meglio

capire questa complessa artista possiamo proporre un

ricordo, significativo del suo percorso: Arte e Natura nella

Val di Pesa, con opere installate lungo la pista ciclopedonale

da Bargino a Calzaiolo. Tre le opere: Allegoria della Pesa

(terracotta), LiberiAlberi (corde di juta a pigmenti naturali

e olio di lino), Pan e Siringa (terracotta). Allegoria della Pesa

è una donna sinuosa e fertile (come il luogo adiacente),

in apparenza timida ma, come dimostra il suo volto, invece

determinata e autonoma; in LiberAlberi le corde che avvolgono

gli alberi sono fatte di juta naturale, biodegradabile e

riciclabile. L’imprigionamento evoca dolore, ma le fibre, col

tempo, cadranno e lasceranno libero l’albero. Pan e Siringa,

invece, fa riferimento alle Metamorfosi di Ovidio, che l’artista

considera una sorta di Bibbia da cui trarre continuamente

ispirazione. Oggi la Cestelli allarga ancor più il suo

orizzonte in direzione di un’arte militante e sensibile

alle grandi tematiche sociali. Attualmente,

sta lavorando infatti ad un progetto ispirato a

Zapatos rojos (scarpette rosse) di Elina Chauvet,

arte pubblica che punta il dito contro l’omertà

nei confronti della violenza sulle donne. Cestelli

ha inoltre esposto al Museo Ghelli di San Casciano,

presentata dall’eno-artista Elisabetta Rogai,

alla Fortezza di Montalcino e alla XII edizione di

Florence Biennale.

Giumella (2019), dittico, specchi, ottone brunito,

fusione a cera persa, terracotta, cm 50x50x20

Una fase di lavorazione dell'opera Giumella

annalisaceste@gmail.com

ANNALISA CESTELLI

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Eventi in

Toscana

Il 21 novembre a Palazzo Vecchio la celebrazione

della Giornata Nazionale e Mondiale in ricordo

delle Vittime della strada

Ne parliamo con l’avvocato Chiara Riccitelli

di Doretta Boretti / foto courtesy Lorenzo Borghini

La settimana che si concluderà con il 21 novembre, terza

domenica del mese, sarà dedicata alle vittime della

strada. A Firenze, la sede fiorentina della AIFVS ha

organizzato una serie di eventi con inizio giovedì 18 novembre.

Ce ne parla l’avvocato della sede fiorentina della AIFVS

Chiara Riccitelli.

Avvocato, prima di tutto: perché ricordare?

Noi della AIFVS crediamo, più di ogni altra cosa, nella prevenzione

degli incidenti stradali e il ricordo ha una funzione sia

pedagogica che psicologica. Ricordare, quindi, educa e forma,

per cui previene.

Il progetto della AIFVS fiorentina prevede quest’anno diversi

eventi. Ce ne può parlare?

Il 18 novembre alle ore 10, nel tea-room restaurant della Fondazione

Zeffirelli, ci sarà l’inaugurazione della mostra degli artisti

Riccardo Salusti e Stefania Silvari. Quest’anno il tema della

manifestazione è Una luce nel buio del dolore e anche la mostra

risponde a questa tematica. Il progetto avrà il suo compimento

domenica 21 novembre nel Salone dei Cinquecento in

Palazzo Vecchio alle ore 10. La Famiglia del Gonfalone darà

inizio, con le clarine, allo svolgimento della manifestazione

che da pochi anni lo Stato italiano ha riconosciuto come Giornata

Nazionale del ricordo delle Vittime della strada la terza

domenica di novembre, tramutandola anche in legge il 29 dicembre

del 2017, mentre nel mondo lo era già dal 2005. Dopo

l’ingresso della Famiglia del Gonfalone verrà letto il canto funebre

Nell’anima del dolore con intermezzi musicali del maestro

Luciano Manara. Lo interpreteranno gli artisti Alessandro

Calonaci, Valentina Cerini, Ornella Grassi, Zeno Renzi e Valeria

Vitti, i giovanissimi artisti Emma Bongi, Matteo Sguanci, i

bimbi Anna e Gaia Bricoli, Lorenzo e Rebecca Longinotti. Come

coreografia al canto funebre saranno esposte due opere

del maestro Antonio Manzi. Sarà presente anche il coro della

Polizia Municipale. Al termine della lettura del canto funebre,

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RICORDO DELLE VITTIME DELLA STRADA


il coro della Polizia Municipale canterà l'inno d'Italia. Successivamente,

il presidente del Consiglio comunale Luca Milani

farà gli onori di "palazzo" e parleranno l'Onorevole Rosa Maria

Di Giorgi e il presidente europeo della FEVR Filippo Randi.

Successivamente verrà proiettato il trailer del docufilm Strade

interrotte del regista Lorenzo Borghini, al quale andrà il premio

della AIFVS e della FEVR in ricordo di tutte le vittime della strada.

Il docufilm sarà visibile integralmente, al pomeriggio, in

una sala cinematografica fiorentina. Verranno inoltre premiati

la Fondazione Angeli del Bello, a cui la sede fiorentina della

AIFVS consegnerà un premio in denaro, l’artista Carlo Terzo,

al quale andrà il Premio Ponte Vecchio dell’associazione Toscana

Cultura, mentre all’artista Andrea Tirinnanzi verrà consegnato

il medaglione della Picchiani e Barlacchi in ricordo di

Elisabetta e Mariachiara Casini. Le digisculture di Andrea Tirinnanzi

orneranno la scalinata per raggiungere il Salone dei

Cinquecento e saranno visibili fino alle ore 14 della domenica

21 novembre. Infine, radio RVS donerà una targa agli artisti

Riccardo Salusti e Stefania Silvari che hanno inaugurato il progetto.

L’intera cerimonia sarà presentata da Piero La Greca.

Una curiosità: perché nel canto funebre c’è la presenza dei

bambini e degli adolescenti?

Perché nonostante la pandemia, gli incidenti stradali sono ancora

la prima causa di morte nel mondo nella fascia di età

di questi ragazzi. È una piaga sociale che ha proporzioni gigantesche.

Anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha

scritto: «Ogni anno troppi italiani perdono la vita in incidenti

stradali». È bene quindi che le persone sappiano e che i bambini

vengano tutelati dalla famiglia, dalla scuola e da tutti noi,

perché sono il futuro dell’umanità.

Avvocato Chiara Riccitelli

Via Guido Monaco 9 - Firenze

chiarariccitelli@hotmail.it

RICORDO DELLE VITTIME DELLA STRADA

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Dimensione

salute

A cura di

Stefano Grifoni

Una boccata di aria fresca per

vivere in salute

di Stefano Grifoni

Il corretto ricambio dell’aria negli ambienti è fondamentale

per vivere in salute e benessere. Arieggiare

i locali di inverno è una pratica spesso sottovalutata

e non seguita con regolarità. Quando si è malati aprire

le finestre per cambiare l’aria riduce la possibilità di contagiare

chi vive con noi e chi viene a trovarci. Infatti se ci

ammaliamo di influenza nelle stanze di casa le particelle

del virus sono presenti con una concentrazione media di

quindicimila per metro cubo di aria. Far entrare aria fresca

dentro gli ambienti dove viviamo o dove lavoriamo abbassa

e talvolta dimezza la concentrazione del virus in pochi

minuti. Uno starnuto spara nell’ambiente fino a quarantamila

particelle di saliva a più di 160 km/h con una gittata

che raggiunge i dieci metri di distanza mentre per un colpo

di tosse sono circa tremila particelle a 80 km/h. In presenza

di starnuti e tosse i virus potrebbero rimanere sospesi

per aria. Tenere ben areate le stanze d’inverno potrebbe

prevenire il contagio da virus.

Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso

dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi

e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale

della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione

per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico

dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.

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ARIA FRESCA


A cura di

Emanuela Muriana

Psicologia

oggi

Le relazioni dipendenti

Quando l’altruismo diventa patologico

di Emanuela Muriana

Se si poetesse prevedere tutto il male che può nascere

dal bene che crediamo di fare!» scrive Luigi

Pirandello nel suo libro Sei personaggi in cerca

«di autore. L’altruismo sembra così ovvio e la nostra cultura

occidentale ne sembra così compenetrata, che pare un’eresia

suggerire possa avere anche un lato oscuro. La qualità

emergente di questa ricerca è proprio l’eccesso di altruismo

con le sue conseguenze problematiche o schiettamente patologiche.

Spesso identità fragili, dotate di scarsa autostima,

utilizzano modalità relazionali improntate a un eccesso

di altruismo, con la “finalità egoistica” – spesso inconsapevole

–, di evitare la critica, il giudizio, il rifiuto, pur di garantirsi

accettazione, stima, affetto. Il bisogno prepotente di

essere riconosciuto, amato e identificato induce l’altruista

patologico a costruire una relazione di dipendenza morbosa

con coloro che inonda della propria disponibilità (partner,

con conseguenze talora tragiche, ma anche “altri” specifici

o generici). L’esito è nocivo, e spesso in modo severo, per

se stesso e talora per chi è il destinatario di tanta “generosità”.

L’altruismo patologico diventa un linguaggio comune

che può esprimersi con diversi “copioni”, ognuno con le

sue caratterizzazioni, specificità e peculiarità discriminanti.

Il temine copione fa riferimento alla sceneggiatura teatrale

e cinematografica, in cui l’azione è già nota prima di essere

messa in scena. Gli individui imparano attraverso esperienze

ripetute ad utilizzare le loro aspettative per costruire

copioni che rendono le cose più facili da fare sul piano cognitivo

o più sicure a livello di relazioni interpersonali. La loro

ripetizione, sostenuta appunto dalla funzionalità, li porta

a strutturarsi come “meccanismi automatici” che diventano

i mediatori delle relazioni tra sé, gli altri e il mondo. I copioni

però possono, ad un certo punto, non funzionare più: l’automatismo

non si adatta a situazioni diverse da quelle nelle

quali aveva funzionato, o non si adatta a situazioni che cambiano

e mutano nel loro opposto. Ciò nonostante continuano

ad essere utilizzati, in base alla convinzione implicita che, se

hanno funzionato nel passato, funzioneranno anche nel presente.

È come se diventasse usuale indossare lo stesso abito

per ogni occasione, indipendentemente dal contesto: un

vestito da sera anche per fare la spesa al mercato la mattina.

I copioni relazionali che se portati all’eccesso possono

portare alla dipendenza sono: la prostituzione relazionale

(mai deludere gli altri), la salvazione (io ti salverò) e il legame

indispensabile (se io ti amo, tu non puoi non amarmi). Il

lettore potrà scoprire facilmente come le migliori intenzioni

e l’eccesso di disponibilità possano trasformarsi in sofferenze

severe e trovare soluzioni terapeutiche. Il libro, frutto

di una ricerca clinica, è stato scritto in collaborazione con la

mia cara ed esimia collega Tiziana Verbitz e sarà in uscita in

tutte le librerie e store online da novembre.

Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve

Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.

È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso

le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato

tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.

È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.

Studio di Terapia Breve Strategica

Viale Mazzini 16, Firenze

+ 39 055 242642 - 574344

emanuela.muriana@virgilio.it

RELAZIONI DIPENDENTI

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Marco Maccioni

Le • verità • del • volto

Gianluca, olio su tela, cm 25x45

drgianlucamaccioni@katamail.com


A cura di

Silvia Ciani

I consigli del

nutrizionista

Dieta mediterranea

Un patrimonio di buone abitudini da riscoprire

di Silvia Ciani

Gli ultimi dati epidemiologici portano a stimare che 4

adulti su 10 siano in eccesso ponderale: 3 in sovrappeso

e 1 obeso. Sorge allora spontanea la domanda:

gli italiani conoscono la dieta mediterranea? Ma facciamo

un passo indietro per capire l’importanza che questa dieta

ha acquisito nel tempo. Negli anni Cinquanta, lo scienziato

e biologo statunitense Ancel Keys (1904-2004), grazie ai

suoi prolungati soggiorni nel Salento, è stato il primo ad intuire

come l’alimentazione mediterranea tipica delle comunità

agricole del Meridione costituisse un fattore di prevenzione

nei confronti delle patologie cardiovascolari. Keys in particolare

osservò che nel Sud Italia vi era un’incidenza decisamente

più bassa delle malattie del benessere rispetto a

quanto si registrava fra i ceti più ricchi degli USA. Nonostante

il consumo di grassi fra la popolazione americana e quella

italiana fosse molto simile in termini di quantità, quest’ultima

risentiva in maniera minore della diffusione delle patologie

cardiovascolari. Per avvalorare le proprie ipotesi, Keys

dette avvio al monumentale Seven Countries Study (Studio

delle Sette Nazioni), un imponente programma di ricerca epidemiologico

che coinvolse 12.000 persone

di età compresa fra i 40 e i 59

anni di sette nazioni differenti (Stati

Uniti, Giappone, Italia, Grecia, Jugoslavia,

Olanda, Finlandia). Riscontrò così

che paesi come Italia, Grecia, Jugoslavia

e, fuori dal contesto europeo, Giappone

erano accomunati dalle stesse

abitudini alimentari, caratterizzate dal

consumo prevalente di grassi monoinsaturi

(tra cui gli omega 3 ricavati dai

pesci), cereali, frutta e verdura e, al

tempo stesso, da un ridotto consumo

di grassi saturi e proteine animali. Lo

scienziato descrive in questi termini il

modello nutrizionale da lui fatto oggetto

di studio: «Minestrone fatto in casa,

pasta di tutte le varietà, con salsa di

pomodoro e una spolverata di Parmi-

giano, solo occasionalmente arricchita con qualche pezzetto

di carne o servita con un piccolo pesce del luogo, fagioli

e maccheroni, tanto pane, mai tolto dal forno più di qualche

ora prima di essere mangiato e senza nulla con cui spalmarlo,

grandi quantità di verdure fresche spruzzate con olio d’oliva,

una modesta porzione di carne o pesce forse un paio

di volte alla settimana e sempre frutta fresca per dessert».

Moltissimi sono stati poi gli studi scientifici a sostegno della

salubrità di questo stile alimentare, tanto che nel novembre

2010, la dieta mediterranea è stata riconosciuta dall’UNE-

SCO Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Purtroppo

stiamo osservando un graduale scostamento da

questo stile alimentare che va di pari passo con il peggioramento

dello stato di salute della popolazione. Dobbiamo

quindi davvero tornare indietro, riappropriarci di sane e vecchie

abitudini, imparare di nuovo a cucinare e a scegliere cibi

con criteri diversi e più ecosostenibili di quelli attuali. Chiediamoci

dunque: quante volte i legumi e i cereali in chicco

sono presenti nella nostra tavola? Quante volte invece i prodotti

raffinati, conservati e lavorati?

Biologa Nutrizionista e specialista in

Scienza dell’alimentazione, si occupa

di prevenzione e cura del sovrappeso

e dell’obesità in adulti e bambini attraverso

l’educazione al corretto comportamento alimentare,

la Dieta Mediterranea, l’attuazione di

percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo

e personal trainer.

Studi e contatti:

artEnutrizione - Via Leopoldo Pellas

14 d - Firenze / + 39 339 7183595

Blue Clinic - Via Guglielmo Giusiani 4 -

Bagno a Ripoli (FI) / + 39 055 6510678

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Barsanti 24 - Prato / + 39 0574 548911

www.nutrizionistafirenze.com

silvia_ciani@hotmail.com

DIETA MEDITERRANEA

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Quando tutto

ebbe inizio…

A cura di

Francesco Bandini

Il mondo antico in un bicchiere di vino

di Francesco Bandini

Nella Grecia classica il vino era l’imprescindibile

fulcro attorno al quale ruotava il simposio, quella

bevuta collettiva in cui si rafforzavano i vincoli

di amicizia, si intrecciavano discorsi, si corteggiavano ragazzi

e cortigiane. Era soprattutto la prima coppa di vino

bevuta a divenire l’emblema di un vero e proprio rito di passaggio

verso l’età adulta ed era con la levità di un brindisi

che veniva offerta la conoscenza di una visione originale

e vivida della straordinaria cultura di quel popolo. Fino dai

tempi della formazione delle prime Città-Stato della civiltà

greca, intorno all’VIII-VII secolo a. C., gli appartenenti

all’aristocrazia avevano preso l’abitudine di unirsi in gruppi

contraddistinti da comuni interessi, orientamenti politici

o da esperienze comuni. Tali incontri, chiamati eterìe,

assumevano il simposio come momento privilegiato per

rafforzare la loro “philìa-amicizia”; tra una coppa di vino

e l’altra, discutevano degli argomenti più disparati. Quando

i Greci si ritrovarono per “bere insieme” e festeggiare la

morte di Cleopatra, lo fecero pronunciando la celebre frase

nunc est bibendum, alludendo naturalmente al vino. Dopo

che il sole era tramontato e la servitù, prima impegnata

a servire la cena, era intenta a spazzare il pavimento per

ripulirlo dei resti del cibo, il padrone di casa e i suoi amici,

dopo essersi lavati le mani con l’acqua attinta dalle brocche

e dopo aver incoronato il capo con ghirlande di edera

e di vite, le piante care a Dioniso, il dio del vino, si intrattenevano

in conversazioni fino a notte fonda, coccolati dalla

musica di una lira o di un flauto doppio, continuando a

bere vino per tutto il simposio, che era innanzitutto un rito,

di natura insieme religiosa e sociale, con un preciso codice

di comportamento che aveva inizio con un brindisi alle

divinità. I simposiasti sceglievano a sorteggio un capo

simposiarca che stabiliva la proporzione della somministrazione

di acqua e vino, perché il vino, per i Greci e i Romani,

si beveva solo diluito con le prescritte parti di acqua

nel cratere, il contenitore dove il vino veniva versato tramite

una caraffa con beccuccio chiamata oinochoé, nelle

singole coppe di solito a due manici. Il simposio prendeva

avvio con un sorso di vino puro che poi veniva bevuto solo

annacquato. Dal cratere veniva versato in coppe di fogge

differenti; le più tipiche erano le kylikes e kantharoi. I

Romani accolsero di buon grado l’abitudine di cenare alla

greca sdraiati sui triclini, iniziando a passare le loro serate

nel convivium, la variante romana del simposio greco,

nel quale erano ammesse non solo le cortigiane ma anche

le mogli. Plauto e Cicerone ricorrono spesso all’immagine

della donna adagiata accanto all’uomo che l’ha portata

al convivio. Il reclinare insieme ha chiare allusioni di tipo

erotico ed è a partire da allora che reclinare diventa sinonimo

di trasgressione sessuale.

I bevitori di vino (III secolo a. C.), affresco, Tomba del tuffatore, Paestum

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MONDO ANTICO


Ritratti

d’artista

Luca Panarisi

Artista classico e contemporaneo

di Jacopo Chiostri

Quella di Luca Panarisi è una pittura figurativa nella

quale si avverte l’intento, riuscito, di unire la

rappresentazione oggettiva del soggetto con una

sua traduzione sulla tela ove emerga, netto, il suo

sguardo sul mondo e le sue emozioni, queste ultime esplicitate

con il segno, la composizione, il cromatismo e il punto

di osservazione. Del resto, lo stesso Panarisi spiega: «Il

cardine del mio lavoro è il disegno, sono opere figurative

nelle quali cerco di non essere iperrealista, tantomeno fotografico».

Un proposito percepibile che, sebbene necessiti

di attenzione nell’osservazione, risulta acquisito. Se

mai ci sarà in pittura una definizione condivisa del termine

“classico” e “moderno”, il lavoro di Panarisi, ammesso

e non concesso che all’artista questo interessi, entrerà a

pieno titolo nella schiera delle opere capaci di coniugare

classicità a modernità. Siamo in un momento storico

in cui si manifesta una ribellione, non più silente, al concetto

che la modernità non possa essere quella classica

o comunque riferibile a impressionismo, espressionismo

e “ismi” vari. Questo, che non è un ritorno al passato ma

una rivoluzione alla rovescia, si deve ai tanti artisti, come

Panarisi, che hanno tenuto saldamente in mano il timone

della propria rotta senza addentrarsi in scorciatoie legate

alle tendenze del momento e, non raramente, riuscendo a

rappresentare quello che non vediamo senza distorcere la

riproduzione del mondo nel quale ci troviamo a vivere. Di

sé, Panarisi racconta che fin da bambino aveva una predilezione

per il disegno. Si è poi diplomato al Liceo artistico

Leon Battista Alberti e in seguito ha frequentato corsi di

perfezionamento in pittura ad olio alla scuola Calamandrei

– docente il professor Bugatti – e a Fiesole nello studio di

Valerio Mirannalti. Le sue opere abbracciano a 360 gradi

la declinazione della pittura figurativa, fiumi, nature morte,

la neve su Firenze, Lucky, un bel quattro zampe bianco

e nero, preso in un momento di ferma in attesa di correre

libero in un prato verde. Dal punto di vista pittorico, gli

oli di Panarisi trasmettono anzitutto una sensazione di armonia;

sono immagini silenti, ricche di dettagli, studiate

nel disegno – anima del suo operare, come ci diceva e come

abbiamo scritto – con una colorazione matura, dove i

singoli toni appaiono coerenti negli accostamenti, ricchi

di sfumature che ne esaltano la natura e mai invadenti. Il

dettaglio è curato, non accennato neppure nella paesaggistica

che diviene complessa quando il punto di ripresa

è distante; c’è un attento studio degli elementi prospettici

che si traduce in una visione naturale, ben organizzata.

E questo della naturalezza con cui si entra in questi dipinti,

è forse la caratteristica più evidente della poetica di

Panarisi. Lo sguardo dell’osservatore è accompagnato e

istradato dalle linee guida presenti nel soggetto riprodotto

e il punto di osservazione è scelto in modo da essere il

più spontaneo e onnicomprensivo possibile degli elementi

presenti. Tra le opere recenti di Panarisi segnaliamo un

dipinto che raffigura due donne, mamma e figlia, davanti a

uno specchio, a rappresentare una certa vanità femminile,

controllata e proposta amichevolmente, poi un rifacimento

della testa del David di Fabio Viale vista a Pietrasanta,

dove era esposta nel giugno dello scorso anno: un David

tatuato, a simboleggiare un inedito sconvolgimento degli

equilibri estetici.

doriangrayhb@gmail.com

Luca Panarisi

Remember David, olio su tavola, cm 110x70

LUCA PANARISI

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Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Gianluigi Balsebre

Dalla parola al segno attraverso il colore

di Daniela Pronestì

Tra le conquiste dell’arte astratto-informale vi è certamente

quella di aver affrancato segno e colore dai

vincoli della realtà oggettiva per farli confluire in un

linguaggio in cui le ragioni della pittura prendono il sopravvento

sul concetto di rappresentazione. Se è vero, infatti,

che l’arte astratta sottrae le proprietà figurative e spaziali

del dipinto per rivelare un’essenza non-rappresentativa, è

altrettanto vero che la mancanza di un soggetto convoglia

l’attenzione sulla superficie della tela, sulla “concretezza” di

segni e colori che, distribuiti sul piano, compongono insieme

un codice del tutto simile ad una scrittura. Le opere di

Gianluigi Balsebre compiono un passo ulteriore coniugando

la pittura astratto-gestuale con il rapporto tra parola e immagine

caratteristico della poesia visiva, alla quale si legano

le prime esperienze di quest’artista avviate già negli anni

Settanta. L’adesione ai criteri concettuali e compositivi dello

storico movimento incarnato a Firenze dal Gruppo 70 ha

consentito a Balsebre di sperimentare le potenzialità espressivo-formali

dell’elemento verbale e, partendo da queste, di

giungere nel tempo alla codificazione di un linguaggio in cui

la parola acquista valore in quanto segno grafico-cromatico

– da qui la definizione delle ultime opere con il termine Cromografia

– che occupa la superficie del dipinto talvolta saturandone

e quasi eccedendone lo spazio, ad indicare una

forma che si espande astrattamente anche oltre il campo visivo,

talaltra invece sdoppiandosi, sovrapponendosi o ancora

dividendosi in macchie e grumi di colore che, pur trovandosi

sullo stesso piano, suggeriscono, a guardarli, la presenza di

un’illusoria profondità entro la quale questi elementi si distribuiscono

in maniera apparentemente casuale. Osservando

meglio queste “scritture del colore” si comprende infatti co-

me l’artista abbia saputo raggiungere un equilibrio, e tramite

questo anche una sintesi, tra gli aspetti compositivi della

scrittura, alla quale compete l’ordine logico di parole accostate

secondo un preciso significato, e il flusso di segni – risultato

di un automatismo gestuale – che esprimono l’atto

creativo nel suo spontaneo divenire. Entrambi questi fattori

confluiscono in quello che potremmo definire un “linguaggio-grafia”,

ovvero un codice fatto di segni in cui convivono

il gesto, la parola e l’idea stessa del dipingere scrivendo. È

il colore, senz’altro, a facilitare questo passaggio, inducendo

una vera e propria deflagrazione dell’elemento grafico,

che rompe la bidimensionalità della superficie generando a

livello percettivo la sensazione di uno spazio dotato di profondità,

e quindi di un primo piano occupato da caratteri sovradimensionati

e di uno sfondo nel quale le parole-segno

si moltiplicano e si legano formando una tessitura replicata

idealmente all’infinito. La parola diventa quindi un pattern

che, ripetuto più volte con un ritmo cadenzato ed armonico,

lascia pensare alla ritualità di un gesto antico quanto l’uomo,

ai segni incisi sulle pareti delle caverne dai nostri lontani

progenitori e a quelli dipinti dagli odierni street artist sui

muri delle città. Non meno importante, poi, è la ritualità del

fare artistico, che in Balsebre si configura come un legame

mai interrotto con un’idea di pittura in cui la componente gestuale

offre uno spunto conoscitivo e di riflessione sulla possibilità

di arrivare, proprio attraverso la fusione di segno e

colore, ad un linguaggio primario che veda l’universale convivere

con il particolare, l’uno con il molteplice, l’ordine con

il caos. L’intenzione pare essere quella di avvalersi della parola

come pura forma attraverso la quale indagare il rapporto

tra superficie e profondità, tra separazione e aggregazione

Cromografia (2021), acrilici su carta, cm 35x50

Cromografia (2021), acrilici su carta, cm 50x70

32

GIANLUIGI BALSEBRE


Cromografia (2021), acrilici su carta, cm 50x70

degli elementi visivi, tra l’unità concettuale e percettiva della

singola opera e la continuità che lega ogni opera all’altra

in un’unica e coerente sequenza narrativa. Quella di Balsebre

dunque è una pittura degli “sconfinamenti”, oltre i valori semantici

del segno verbale, oltre i margini del supporto, oltre

le divisioni tra generi pittorici. Ma soprattutto oltre qualunque

limitazione alla creatività di un artista che, fin dai propri

Cromografia (2021), acrilici su carta, cm 50x70

esordi, ha scelto di essere un battitore libero.

Le opere di Gianluigi Balsebre sono in vendita sul sito della

galleria Artistikamente di Pistoia

www.artistikamente.net

gianluigi.balsebre@gmail.com

Cromografia (2021), acrilici su carta, cm 50x70

GIANLUIGI BALSEBRE

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Ritratti

d’artista

Silvana Fedi

Pittura e poesia: evocative

espressioni dellʼanima

di Rosanna Bari

Animata dalla passione per la pittura e la poesia, Silvana

Fedi nasce a Fucecchio e vive, sin dallʼinfanzia,

nella campagna circostante, dove impara ad amare

la natura, la quiete e il paesaggio. La sua casa, a due passi

dallʼOasi del Padule, scrigno di colori e di infinite sfumature,

è luogo ideale per esprimere i propri sentimenti attraverso

la pittura: il paesaggio, quindi, non poteva che essere il

suo soggetto preferito. Attratta dai colori e dai contrasti di

una natura che non è mai uguale, che cambia continuamente

in un susseguirsi di identità nuove e irripetibili ad ogni

nuovo mutare del tempo, dove il continuo cambiamento, alla

fine, diventa la costante giornaliera, alla pari del perenne

turbinio dellʼanimo. Attraverso lʼarte, quindi, riesce ad esternare

liberamente e a dare un volto alla propria personalità.

Con la poesia, sinonimo di immediatezza, utile mezzo

per uno sfogo interiore, per placare lʼanimo quando, al culmine,

pervaso da forti tensioni, sente il bisogno di traboccare

per trasmettere agli altri ciò che sta elaborando, in un

intricato gioco di emozioni e sentimenti tessuto in un particolare

istante. Con la pittura, invece, la traduzione delle

emozioni in immagini è più lenta, si ha il tempo di meditare

sul soggetto, per poi destinare lʼimmagine ad un tempo infinito.

Il colore quindi come mezzo dʼespressione, utilizzato

in una brillante cromia associata a vividi contrasti, dove la

malinconia del grigio si accosta alla gaiezza di un rosa acceso,

capaci di svelare con forza lʼinteriorità dellʼartista che

man mano prende corpo sulla tela. Premiata nelle edizioni

2018 e 2019 del Premio Letterario Internazionale “Massa

città fiabesca di mare e di marmo”. Ha pubblicato le sue

poesie nelle collane Luci Sparse (2020) ed Emozioni (2021)

per Pagine Editore. Costantemente ispirata dai luoghi a cui

Silvana Fedi scrive una poesia

è molto legata, impressi con vigore nella sua mente e descritti

nei suoi dipinti, e che rappresentano quel legame indissolubile

che ha profondamente influenzato la sua natura

e reso forte la sua anima.

fedisilvana@hotmail.com

Caro amico

Caro amico

solo dolci parole

potrei trovare

per raccontare

quello che avviene nel nostro incontrarci;

nel nostro vivere

questi momenti di vita abbracciati

nei nostri incerti passi di danza.

Incerti come il tempo che viviamo,

incerti come il futuro che vogliamo,

ma questi momenti che la solitudine

allontana

ci daranno la forza per vivere

una piccola gioia di vita ritrovata.

(Da Luci sparse)

1. Barchini del Padule, olio su tela 30x40 2. Alba a Cigoli, olio su tela, cm 70x50 3. Incontro d'amore, olio su tela, cm 50x35

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SILVANA FEDI


Ritratti

d’artista

Varren

Dalle forme naturali all’armonia in pittura

di Mario Bizzoccoli

Qualificare Adelco Cesari, in arte Varren, soltanto come

pittore può essere per molti aspetti limitativo. La

sua esperienza artistica inizia nella prima giovinezza,

quando, costretto anche dai tempi in cui si è trovato a

vivere (anni Cinquanta, dopo la guerra e quindi in epoca di piena

ricostruzione), ha dovuto ingegnarsi prestissimo col lavoro

che gli ha permesso di acquisire una manualità incredibile.

I suoi esordi artistici partono da un’istintiva adesione al parafigurativo,

ponendosi cioè “in mezzo al guado”, tra l’onirico e

il costruttivo; scoprendo, innanzitutto, come linguaggi diversi,

prendendone prima coscienza e poi studiandoli attentamente,

possano sposarsi senza problemi. Ed ecco quello che è il suo

imprinting: un geometrismo sostanziale che si sviluppa sulle

lezioni dirette di Klee e Kandinsky, corroborato dal visionario

ambiente surrealista di Dalì, pur senza esserne un epigono.

Varren si pone di fronte ai grandi contemporanei dell’arte come

il musicista che, in un primo tempo, ristrumenta la sinfonia

dei maestri, poi, a sua volta, compone e crea un suo stile,

variegato e connotativo al tempo stesso. In Varren sono forti

gli elementi naturali (foglie, uova, prati, etc.) e artificiali (impalcature

architettoniche, condotti e tunnel, città geometriche,

etc.), sino ad arrivare ad un altro dei suoi fondamenti vitali,

la musica, percepita essenzialmente come arte astratta che

si concretizza nella scrittura e nell’evocazione emotiva. Quindi,

spirali vorticose che sospingono figure geometriche pure

(Varren predilige il triangolo, in tutte le sue flessioni, e il cerchio,

perfezione assoluta), linee parallele libere ma sempre

ben definite e azioni naturali incrociate. La natura, in Varren,

è un elemento basilare: sfondo, dettaglio, individuazione metaforica

fanno già di questo elemento pittorico un’opera a sé

stante. Su questa scena, agisce l’ulteriore processo metaforico

dei soggetti “vivi”: i triangoli e i cerchi che si muovono in

sviluppi quasi filmici o fotografici, le strutture presentate prima

come soliste nel contesto generale, poi come sintesi e conduzione

armonica dell’opera. In tutto ciò, soprattutto nelle ultime

opere, compare la farfalla, geometria cromatica, effimera

eppure viva, presentata nel suo splendore assoluto e terminale,

sempre in volo disteso, sempre in primo piano e dettagliata,

esplosiva nei colori ma, al tempo stesso, destinata all’ago

feroce e selettivo del collezionista. Eccola bellissima, grande,

accesa, forse diretta alle geometrie coinvolte e sconvolte, forse

in fuga da un mondo che violenta e uccide la natura, per uccidere

se stesso. Ecco la grande diffusione dei colori sulle sue

ali che si replicano nei diversi elementi naturali ed artificiali

dell’opera, perché Varren impiega colori “crudi”, con la tecnica

dello smalto ad acqua. La farfalla, però, può essere a sua

volta violentata: in certe opere appare scissa, o meglio, un’ala,

pur rimanendo nella perfetta posizione di volo, è staccata,

quasi che un bisturi crudele l’abbia colpita (Varren proviene

da una lunga militanza nel comparto sanitario). Ma la farfalla,

anche mutilata, continua il suo volo, spesso avvicinandosi

ai pentagrammi verticali che, frequentemente, concludono

l’opera dell’artista, e non cade schiacciata dalle forme geometriche,

in cui dobbiamo riconoscere molte parafrasi umane. E

questo mondo, questo melodramma artistico, corredato da geometrie

in rilievo ligneo, sorgono da uno sfondo completamente

nero, non dal buio ma dalla conoscenza, dunque, come nel

Medioevo le figure dei santi che emergevano dall’oro dell’eternità.

Dunque, le farfalle di Varren vengono eternizzate dall’allegoria

vitale, anche con la tecnica personalissima dell’artista

che inserisce le proprie opere in

cornici che non sono cornici ma

autentiche opere connotative, il

vero accompagnamento dell’opera

centrale; mai rigidamente

inquadrate come da tradizione,

ma sagomate, quasi a definizione

araldica, veri stemmi-targhe di

una visione forte, convinta. Varren

non raffigura l’uomo nella sua

prospettiva ritrattistica o anatomica,

lo presenta con la tecnica

della convinzione intima, ad un

tempo materiale e spirituale, in

un gesto continuamente evolutivo

e sorprendente.

Geometria scomposta, cm 40x50

Farfalla - Distruggiamo la natura, cm 40x62

www.artistidibottega.it

www.arteitaliana.org/varren

VARREN

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La voce

dei poeti

Le liriche di Isabella Cipriani

di Isabella Cipriani

cade questa esistenza

pezzo a pezzo

si squama

in trasparenza

falciata in serafica lama

schizza lontana

e ritorna alla terra

mi offro all'ala che manca

e resto in tiepida attesa

come la terra sotto la neve

come una resa

Padre

benedici anche me

che possa stare

ancora una volta

incastonata tra la valle e il cielo

come un lago bianco zitto

in attesa

di squarcio d'alveo

isabella.cipriani@yahoo.it

Testi tratti dalla silloge àmina, menzione speciale Premio Internazionale di Poesia e Letteratura Kalos 2021

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ISABELLA CIPRIANI


Ritratti

d’artista

Mario Bettazzi

Un itinerario artistico tra onirismo e concretezza

di Assunta Fiorini

Cariatide (2021), olio su tavola, cm 100x120

L’artista si dispone ad un dialogo ammirato con la

realtà, con forme nitide e colori luminosi che alimentano

una rigorosa geometria compositiva pervasa

di oniriche e visionarie associazioni. L’atmosfera

onirica è filtrata da un intreccio di echi surrealisti e metafisici

rielaborati in chiave intima che restituiscono suggestive

narrazioni con una ricca palette cromatica: dai toni scuri

agli squarci di luminosità intensa, dai colori tenui a quelli

vividi e ai caldi squillanti, sempre molto tirati e levigati.

Quello di Mario Bettazzi è un percorso creativo tra onirismo

e concretezza, tra composizioni sempre più articolate

e complesse, tra figure misteriose che si compenetrano

con lo sfondo fatto di cieli leggeri e liberi e che abitano un

microcosmo atemporale ricreato dall’immaginario dell’artista,

con notazioni naturalistiche e architettoniche, stratificazioni

di iconografie e simboli sospesi tra figurazione e

astrazione, visibile e invisibile. Questi dipinti invogliano ad

immaginare una storia, ad individuare un

significato esplicito, ma sulla spiegazione

narrativa o razionale vince l’atmosfera del

quadro, la sensazione che emana dal dipinto,

il climax, la gradazione ascendente

da un concetto ad un altro, quasi a creare

un effetto di progressione che potenzia

l’espressività discorsiva, con l’accostamento

di elementi in apparenza estranei,

ma in realtà ricollegabili all’intera trama.

L’espressione pittorica si fonde con la vita

in un racconto fluido da cui emergono

sogni e ricordi, luoghi visitati o narrati, architetture

e figure impresse nella mente,

in una sorta di viaggio dentro di sé, dentro

l’uomo, che illumina i motivi delle sue

composizioni e i modi di rappresentarli

nella pratica quotidiana del disegno e della

pittura, dove oggetti d’uso comune, figure

ed esseri animati e non assumono

una valenza simbolica da cui trarre ispirazione

onirica. Il suo metodo di lavoro

è un ripercorrere le cose o le sensazioni,

un cercare di descriverle, un abbandonarsi

al flusso della rêverie, un ragionare per

immagini dove le figure si intrecciano ed

emergono da una precisione descrittiva

fatta di tecnica, vivida di colori e risultato

di un’osservazione costante, e tutte legate

da un fil rouge: la rielaborazione mentale

puntuale e personale della realtà declinata

in una salda unità di esternazioni pittoriche

e in una ricerca tesa ad analizzare e valorizzare il

rapporto luce-spazio. Più che proporre una propria visione

sul mondo, Bettazzi osserva, scompone e riassembla pezzi

di realtà esistenti, confondendo verità e finzione, realtà

e sogno, quasi a sollecitare il pubblico a costruire nuovi significati

e relazioni. Le architetture trovano la perfezione

formale nel racconto di spazi interni ed esterni ben delineati

in prospettive e in volumi costellati di oggetti feticcio

ed identitari come l’uovo quale metafora di un principio originario,

di una casa primordiale. Realizza muri, cippi, colonne,

installazioni minimaliste che non precludono mai la

possibilità di vedere gli squarci di cielo e di mare, le vallate,

il sole o la luna; nastri, corde e fili rossi, poi, sembrano voler

legare insieme, abbracciare, risanare e riunire metaforicamente

ferite, divisioni, confini, spaccature e distanze.

mario.bettazzi@virgilio.it

MARIO BETTAZZI

37


La tutela

dell’ingegno

A cura di

Aldo Fittante

Peugeot copia lo scooter Piaggio

a tre ruote

A deciderlo è una sentenza del Tribunale di Milano

di Aldo Fittante / foto courtesy ufficio stampa Piaggio

Ènotizia di appena qualche settimana fa la condanna

della multinazionale Peugeot per aver copiato lo

scooter a tre ruote della Piaggio. L’azienda toscana

ideatrice della Vespa – lo scooter più famoso al mondo, vera

e propria icona del Made in Italy – ha vinto una causa per

contraffazione di brevetto che aveva intentato contro il colosso

francese. La Peugeot Motocycles è stata ritenuta responsabile,

in particolare, del plagio del modello MP3 della

Piaggio. La recente decisione – quasi contemporanea alla

pressoché identica pronuncia d’oltralpe emessa dal Tribunal

Judiciaire di Parigi – è del Tribunale ordinario di Milano.

I giudici meneghini, in particolare, con pronuncia non

ancora definitiva – è bene precisarlo – hanno ritenuto che

il modello Metropolis del colosso francese integri una contraffazione

del brevetto europeo sulla tecnologia dello scooter

a tre ruote richiesto e concesso all’azienda toscana. Ad

oltre cinque anni dall’inizio della bagarre giudiziaria intentata

da Piaggio, i giudici – sia pure con decisione soggetta

ad appello e pertanto tuttora passibile di revisione – hanno

ritenuto lo scooter francese in violazione della invenzione

brevettata dall’azienda di Pontedera, in particolare per

quanto riguarda la tecnologia che consente al veicolo a tre

ruote oggetto di contesa di inclinarsi lateralmente come

una moto tradizionale. La Piaggio non è nuova ad iniziative

giudiziarie adottate a tutela delle proprie innovazioni tecnologiche

e delle numerose ed importanti privative industriali

ed intellettuali richieste ed ottenute dalla società toscana

presso gli uffici brevettuali di tutto il mondo. È di qualche

anno fa la storica decisione della Sezione Specializzata in

materia di Impresa del Tribunale di Torino che ha addirittura

riconosciuto la iconica Vespa del gruppo industriale toscano

come vera e propria opera d’arte tutelabile attraverso il

diritto d’autore. La Vespa Piaggio – hanno affermato i giudici

torinesi nel 2017 – assurge ad opera del design industriale

dotata di un notevole carattere creativo e di uno spiccato

valore artistico, tali da garantirle in particolare l’accesso

alla protezione autorale, in considerazione del fatto che “i

plurimi ed eccezionali riconoscimenti da parte di numerosi

ed importanti istituzioni culturali, che annoverano la Vespa

tra le espressioni più rilevanti del design, confermano il

38

SCOOTER PIAGGIO


suo carattere creativo ed il valore artistico. Ed infatti il carattere

creativo ed il valore artistico di un’opera di design

vengono evidenziati e debbono essere valutati alla stregua

del riconoscimento collettivo di mercato e degli ambienti

artistici, considerando il successo di critica, il conferimento

di premi, la presenza nei musei, la partecipazione a mostre,

la diffusione di pubblicazioni sulle riviste”. Nel caso

deciso dai giudici del foro di Torino, Piaggio aveva reagito

alla copiatura del proprio mitico e celeberrimo scooter da

parte di un’azienda cinese. A distanza di qualche anno anche

il Tribunale di Milano ha risposto positivamente alla domanda

di tutela giudiziaria dei diritti di proprietà industriale

con i quali Piaggio – da sempre – porta avanti una politica

di valorizzazione e protezione giuridica del frutto dei propri

investimenti in ricerca e innovazione. La recentissima pronuncia

del Tribunale di Milano segna un’altra importantissima

vittoria per l’azienda di Pontedera: i giudici meneghini

hanno infatti inibito a Peugeot Motocycles l’importazione,

l’esportazione, la commercializzazione e la pubblicizzazione

anche attraverso Internet sul territorio italiano del modello

di scooter a tre ruote Metropolis del colosso francese,

stabilendo 6.000,00 euro di penale per ogni veicolo venduto

dopo il termine di 30 giorni dalla comunicazione della sentenza.

I giudici del foro milanese hanno inoltre statuito che

Peugeot Motocycles deve ritirare dal commercio nel nostro

paese tutti gli esemplari del proprio scooter a tre ruote in

contraffazione entro 90 giorni dalla decisione. In caso di

mancata ottemperanza di tale ordine giudiziale di ritiro dei

motocicli contraffatti nel termine fissato, la

pronuncia giudiziaria in commento ha previsto

anche un’ulteriore penale di 10.000,00 euro

per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione di

tale ordine. Si tratta di un altro risultato molto

importante per il Gruppo Piaggio, da sempre

particolarmente attento ad investire in ricerca

e innovazione, valorizzando e tutelando giuridicamente

con altrettante privative industriali

il proprio qualificato patrimonio di idee. È

ragionevole prevedere comunque che la contesa

con la multinazionale francese – dato

il rilievo in termini economici ma anche mediatico

e d’immagine che la controversia ha

inevitabilmente assunto – possa non essere

definitivamente conclusa, restando al momento

aperta la possibilità per Peugeot di sottoporre

a gravame la decisione del Tribunale di

Milano al fine di ottenerne in appello una revisione

a sé favorevole.

Avvocato, docente di Diritto della Proprietà Industriale

all’Università degli Studi di Firenze e giornalista pubblicista

iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, Aldo

Fittante è promotore di molti convegni e autore di numerose pubblicazioni

scientifiche, articoli in riviste prestigiose, saggi e monografie

in materia di Diritto Industriale e d’Autore.

www.studiolegalefittante.it

SCOOTER PIAGGIO

39


Movimento

Life Beyond Tourism

Travel To Dialogue

The World in Florence, alla scoperta dei

territori del mondo riuniti a Firenze

Palazzo Medici Riccardi ospiterà la mostra fotografica delle

espressioni culturali del mondo

di Stefania Macrì

L’edizione 2021 del Festival Internazionale

delle espressioni culturali

del mondo The World in Florence è la

prima di cinque edizioni che mirano a:

• favorire l’interpretazione e la comunicazione

delle tipiche espressioni culturali dei luoghi,

• promuovere la consapevolezza culturale

delle comunità locali,

• valorizzare l’attrattività internazionale dei

siti trasformando il turismo in ospitalità per

l’inclusione, la solidarietà e il dialogo interculturale.

La città di Firenze, con la sua storia e la sua

eredità umanistica, diventa il luogo ideale

dove le giovani generazioni di studenti interessati

a viaggio e patrimonio, amministrazioni

locali e ONG possono condividere e

offrire una visione autentica e interiorizzata

del proprio luogo di nascita, fatta di poster

fotografici, video e informazioni extra di realtà

aumentata fruibili grazie alla tecnologia

NFC. Guideranno il potenziale visitatore a godere

dell’anima e dei sapori di luoghi che la

pandemia ancora ci impedisce di vivere; i loro

occhi, cuori e anime ci portano ad andare

ben oltre un’escursione turistica, ci portano a

cogliere lo spirito dei loro luoghi.

L’idea del Festival

Gli eventi che hanno caratterizzato gli ultimi

due anni delle nostre vite dimostrano

che l’equilibrio del mondo, sia ambientale

che sociale, economico e relazionale è fragile.

Dobbiamo tornare nel bel mezzo del lockdown

pandemico quando per la prima volta

abbiamo deciso di creare qualcosa in grado

di viaggiare per il mondo durante un periodo di impossibilità

di muoversi da casa, per continuare il dialogo interculturale

e la valorizzazione delle espressioni culturali. Nonostante

fossimo nel pieno dell’isolamento pensavamo a cosa fare,

mossi dal desiderio di ritorno alla normalità, consapevoli

che si sarebbe trattato di una sfida importante, considerando

un quadro internazionale di grande difficoltà. Con la

collaborazione della Fondazione Romualdo Del Bianco e del

Centro Studi e incontri internazionali, abbiamo avviato un

primo progetto per il coinvolgimento delle università e delle

istituzioni di formazione della rete Life Beyond Tourism a cui

abbiamo dato un nome evocativo, pieno di voglia di vivere e

di ritorno a una situazione di normalità: Back to Life - Revitalisation

of Places post Covid-19. Questo, a sua volta, ha da-

40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE


to il via alla creazione della rete internazionale Infopoint Life

Beyond Tourism che oggi conta trentasei centri di diffusione

LBT in diciassette paesi del mondo (Azerbaijan, Georgia,

Giappone, India, Italia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Kosovo, Lettonia,

Lituania, Marocco, Polonia, Regno Unito, Repubblica

Ceca, Russia, Slovacchia, Taiwan) e tanti altri se ne stanno

attivando. Contestualmente abbiamo pensato a come poter

contribuire alla valorizzazione e comunicazione dell’autenticità

dei territori, anch’essi in forte difficoltà. Grazie al modello

Life Beyond Tourism abbiamo scelto come tema quello

del dialogo per immagini, partendo dal racconto della città

di Firenze in una mostra internazionale interattiva e itinerante:

Florence in the World. La mostra ha iniziato a viaggiare

all’interno della rete internazionale infopoint LBT ponendo

le basi di un programma più alto che si è tradotto in un progetto

di marketing territoriale circolare a livello internazionale

Florence in the World - The World in Florence, con una

programmazione quinquennale (2021-2025) di attività che

già sta coinvolgendo molti degli attori presenti sui territori:

pubbliche amministrazioni, enti territoriali, istituzioni formative,

musei, fondazioni culturali, gruppi di giovani studenti,

abitanti dei luoghi.

Da Florence in the World a The World in Florence:

due fasi dello stesso programma

Partendo dalla narrazione della città di Firenze, con Florence

in the World, l’osservatore viene introdotto alla conoscenza

guidata del luogo attraverso la presentazione di dettagli e di

espressioni culturali con una sua espansione online e possibilità

di interazione sul portale www.lifebeyondtourism.org

attraverso la tecnologia NFC (la comunicazione di prossimità

- Near Field Communication). In questo modo tutto il

mondo può conoscere Firenze e la Toscana con gli occhi del

residente. L’esposizione della mostra nei vari Infopoint LBT

ha contribuito a diffondere, in termini pratici, quale sia una

delle applicazioni possibili del modello Life Beyond Tourism

nel racconto dei territori e coinvolgere i viaggiatori in un

viaggio dei valori etico e sostenibile. Da qui, grazie al coinvolgimento

delle istituzioni formative e culturali e a quello

degli enti locali, nasce la seconda fase del programma, quella

del ritorno: The World in Florence. I territori si presentano

a Firenze nella loro interezza, con i loro saperi e il loro “saper

fare”, i prodotti, i paesaggi e le curiosità, utilizzando il dialogo

con le immagini tramite tecnologia NFC. The World in Florence

sposta dunque la narrazione territoriale a un livello

superiore, trasformando la mostra e i contenuti NFC in uno

strumento di marketing territoriale. Ma il programma continuerà

a crescere nel quinquennio 2021-2025 arricchendosi

di nuovi contenuti, nuovi territori, nuove narrazioni culturali

per la valorizzazione e la comunicazione delle espressioni

culturali del mondo. Anche The World in Florence partirà nel

mondo per partecipare agli eventi più importanti nel settore

del viaggio, per ritornare ancora a Firenze nell’arco del quinquennio

e mostrarsi più vario e interculturale che mai per

arrivare a coinvolgere cento paesi ciascuno con i propri territori,

nell’edizione 2025.

I territori come meta di viaggiatori consapevoli

Tutto questo si traduce in un contributo concreto per la ripresa

economica dei territori che potranno così presentarsi

in modo non canonico e attrarre quindi viaggiatori consapevoli,

in grado di apprezzare i prodotti a km0 che i vari luoghi

propongono e i pezzi unici dell’artigianato artistico, che

visitano i piccoli musei e possono diventare stimolo per altri

viaggiatori, superando così il concetto del turista “mordi

e fuggi” e divenendo sempre più residenti temporanei, con

un conseguente auspicato aumento di soggiorno medio. Durante

la due giorni fiorentina i visitatori potranno accedere

gratuitamente alla mostra internazionale dei territori e vivere

direttamente l’esperienza NFC, viaggiando nel mondo

in maniera virtuale, alla scoperta delle peculiarità degli oltre

trenta territori in esposizione, italiani e internazionali: Azerbaijan,

Cina, Georgia, Giappone, India, Italia, Kosovo, Lituania,

Polonia, Repubblica Ceca, Russia, Slovacchia, Taiwan.

Chi volesse partecipare anche al convegno può collegarsi al

sito www.lifebeyondtourism.org per scoprire le modalità di

partecipazione e iscriversi. Il convegno sarà fruibile sia in

presenza che virtualmente.

Per maggiori informazioni scrivere a info@lifebeyondtourism.org

Life Beyond Tourism partecipa al Festival delle Città Narranti (Maratea)

Le attività del Movimento LBT-TTD continuano e si arricchiscono

di un programma formativo specifico per

lo sviluppo di una comunicazione efficace nei territori,

all’insegna della individuazione e valorizzazione delle espressioni

culturali che ciascuno custodisce. In questo contesto, il

28 ottobre abbiamo partecipato al Festival delle Città Narranti

di Maratea, organizzato dalla Fondazione Francesco Saverio

Nitti e durante il quale Barbara Castellano, referente marketing

per il Movimento LBT-TTD, ha tenuto un breve ma intenso

corso di formazione sul modello Life Beyond Tourism con la

partecipazione di un’audience composta prevalentemente da

rappresentanti istituzionali locali e delle regioni limitrofe, oltre

che referenti di enti di promozione territoriali.

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE 41


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Mario Aniello

L’anima della natura, la natura dell’anima

di Daniela Pronestì

Dal punto di vista etimologico, la parola “atmosfera”

indica un involucro di particelle aeree (dal greco

atmòs “vapore”) tutt’intorno ad un corpo celeste

(sfaira “sfera”). Un’immagine che spiega perché quando

parliamo ad esempio dell’atmosfera di un determinato luogo,

intendiamo riferirci a qualcosa di impalpabile ed etereo

che non vediamo ma la cui presenza permea il contesto in

cui ci troviamo influenzando il nostro modo di percepirlo.

Nelle opere di Mario Aniello, protagoniste di una recente

mostra personale alla galleria Gadarte a Firenze, l’atmosfera

è appunto una presenza che abita il paesaggio naturale,

creando all’interno della scena una magica sospensione

tra visibile e invisibile, corporeo ed incorporeo. In questo

caso, l’attenta resa pittorica del vero, basata su di un solido

impianto compositivo e sulla scrupolosa restituzione

dei dettagli, nulla toglie all’intensità dell’emozione che

ha guidato la mano dell’artista e che trasforma il dipinto

in qualcosa di vivo e palpitante capace di interloquire con

l’osservatore. Quello che viene a crearsi è un dialogo intimo

e profondo tra gli elementi del paesaggio – l’orizzonte

con il primo piano, la terra con il cielo, la luce diurna con

l’ombra della sera –, che sfumano l’uno nell’altro, fino quasi

a diventare un tutt’uno. L’atmosfera di un luogo – sembra

dire Aniello – è una forza che svela le segrete corrispondenze

tra le cose, un sentimento che le accomuna e che risuona

nell’interiorità di chi le osserva. Molto ovviamente

dipende dalla capacità di chi guarda di riconoscere questo

segreto, di sentirlo vivere nelle forme della natura, proprio

42

MARIO ANIELLO


come fa l’artista che, con straordinario spirito di osservazione,

riesce a leggere il paesaggio, a decifrarne i simboli

e a trasporli sulla tela in un raffinato gioco di rimandi. Così,

la volta celeste che domina la scena lasciando ai margini

pochi lembi di terra comunica il senso di una bellezza irresistibile

e maestosa, al cui cospetto qualunque altra cosa

s’inchina, come fa l’uomo ogni volta che, alzando gli occhi

al cielo, in quella vastità luminosa cerca una speranza, una

via di fuga o il volto divino. Allo stesso modo, i raggi del

sole che, passando attraverso una coltre di nubi, illuminano

un cipresso ferito dalle intemperie, possono interpretarsi

come un segno di rinascita, una possibilità di guarigione,

un guardare con rinnovata fiducia alla vita mentre il resto

del paesaggio intorno giace impietrito nell’ombra. Le estremità

di una siepe dipinta in primo piano si protendono verso

il cielo come braccia alzate di chi cerca aiuto o chiede

di essere ascoltato; il grande albero che domina la vallata

dall’alto della collina esprime l’atteggiamento fiero di chi

sente un forte attaccamento alla propria terra. A volte lo

stesso soggetto viene rappresentato in condizioni di luce

diverse, e allora anche l’atmosfera cambia: il cielo si apre

o si fa cupo, le nuvole si addensano minacciose o si sparpagliano

portate in qua e in là dal vento, il paesaggio si veste

di verdi brillanti o si colora di toni smorzati con ombre

assenti o indistinte. In questo continuo divenire di stati luminosi,

di nuvole mai uguali a sé stesse, di cieli ora limpidi

ora carichi di presagi di un’imminente tempesta, la natura

diventa specchio delle atmosfere altrettanto mutevoli che

abitano l’animo dell’artista e, in senso più generale, l’animo

umano. Rimarcando la relazione tra l’universale e il particolare,

tra il movimento della vita in natura e il dinamismo

interno all’esistenza dell’uomo, la pittura di Aniello invita a

riscoprire il senso di totalità che lega l’individuo alla realtà

che lo circonda, l’indissolubile unità del singolo con il tutto.

Dipingere diventa così un modo per conoscere sé stessi

in rapporto alla natura, per far vibrare all’unisono lo “sguardo-anima”

dell’artista con l’anima del mondo. Un messaggio

mediato da una cifra pittorica forte e vigorosa, libera e

potente, che porta dentro tutta la capacità tecnica e la sensibilità

di un artista-poeta, raffinato cesellatore di immagini

senza tempo.

Mario Aniello

+ 39 334 1833358

MARIO ANIELLO

43


I giganti

dell’arte

A cura di

Matteo Pierozzi

Il David di Donatello

Il giovane eroe simbolo della genialità

artistica italiana nel mondo

di Matteo Pierozzi

L’artista che ha realizzato la famosa scultura in bronzo

del David è Donato di Niccolò di Bardi, meglio conosciuto

come Donatello. Nato a fine Trecento, è stato uno degli

artisti più importanti del Rinascimento che con il David ha

realizzato la prima scultura di un nudo maschile a tuttotondo a

grandezza naturale. La sua posizione è basata sul chiasma, ma

in realtà l’arcuarsi del corpo, anche per lo sbilanciamento generato

dalla presenza della testa di Golia sotto un piede di David,

sembra più seguire la preferenza dell’arte gotica per le posizioni

flesse e sinuose. L’opera risulta quindi un’inedita mescolanza

tra scelte stilistiche gotiche e rinascimentali, proprio per questo

si presenta come una delle opere più ricercate ed eleganti di Donatello,

che qui ottiene una bellezza che spesso, nelle altre sue

opere, sacrifica alla tragicità. Ideata per essere posizionata su di

un piedistallo in modo da poterla osservare girandoci intorno, la

scultura del David è stata realizzata nel 1440 su commissione di

Cosimo I de’ Medici per celebrare la battaglia di Anghiari, che vide

Firenze vincere su Milano. L’opera dunque ha un significato

politico e per questo venne scelto come soggetto l’eroe biblico

David, che ebbe la meglio sul gigante Golia. La statua rappresenta

un giovinetto che tiene chiusa nella mano sinistra la pietra con

la quale ha appena colpito Golia, mentre la mano destra cinge la

spada. Ai suoi piedi giace la testa decapitata del gigante. Il David

è nudo e senza armatura perché la sua unica protezione proviene

direttamente da Dio; il suo atteggiamento è spavaldo come

di chi è consapevole di aver realizzato una grande impresa. Originariamente

era impreziosito da numerosi dettagli dorati come

il pomo della spada, le foglie del cappello, le palmette dei calzari,

le ali dell’elmo di Golia e aveva i capelli biondo oro, come tramandato

dai testi sacri. Qualche anno prima, nel 1409, Donatello

aveva già realizzato un David, ma in marmo. Le due sculture sono

molto diverse: il primo David somigliava infatti più ad un nobile

gentiluomo che al valoroso eroe della Bibbia. Tuttavia, alcuni

dettagli presenti nel David in bronzo e le tante differenze con la

scultura in marmo di trent’anni prima hanno fatto sollevare il dubbio

agli studiosi che quello che conosciamo come David in realtà

sia Mercurio. Il particolare copricapo adornato da foglie d’alloro,

la spada e la pietra strette nelle mani, la testa tagliata riversa ai

suoi piedi, sono dettagli che possono

richiamare un’altra storia: l’uccisione

da parte di Mercurio di Argo Panoptes

su ordine di Giove, che desiderava liberare

la ninfa Io di cui era follemente

innamorato. Il David è sempre stato a

Firenze ma ha cambiato spesso casa.

Originariamente era collocato presso

Palazzo Medici e dai documenti sappiamo

certamente che la scultura si

trovava lì nel 1469, durante le nozze

di Lorenzo il Magnifico con Clarice Or-

David di Donatello (1440 circa), bronzo dorato, Museo del Bargello, Firenze

sini. Nel 1495 venne trasferito a Palazzo Vecchio, dopo che i Medici

furono cacciati, diventando così il simbolo della libertà di

Firenze. Successivamente, la statua fu mossa molte volte ed in

vari palazzi, finché entrò nella Galleria degli Uffizi nel 1777. Nella

seconda metà del Novecento entrò a far parte definitivamente

delle collezioni del Museo Nazionale del Bargello, dove è tutt’oggi

esposta al pubblico. In poche, rare occasioni, la scultura ha lasciato

Firenze per farsi ammirare nel mondo, contribuendo così

a diffondere la conoscenza dell’arte italiana e ad alimentando il

mito della sua grandezza: nel 1930, con la trasferta alla Royal

Academy of Arts di Londra per la mostra dedicata all’eccellenza

artistica italiana (Exhibition of Italian art: 1200–1900) o per l’Expo

1967 di Montreal, quando il David fu protagonista assoluto del

padiglione italiano in un allestimento appositamente realizzato

da Carlo Scarpa. Nel 1887, in occasione dei cinquecento anni dalla

nascita di Donatello, la Sala delle Udienze del Palazzo del Bargello

venne trasformata in un grande salone espositivo dedicato

al maestro. Il successo fu tale che da quel momento lo stesso

magnifico salone venne intitolato all’artista. Oggi il giovane eroe

di Donatello che sconfigge Golia, emblema della genialità, della

creatività e della perfezione stilistica italiana, dà anche il nome al

più importante riconoscimento del cinema italiano.

44

IL DAVID DI DONATELLO


Ritratti

d’artista

Paola Parri

Un universo femminile consapevole e libero da pregiudizi

di Jacopo Chiostri

Donne che ci guardano dall’alto in basso con enormi

orecchini a forma di cerchio – il cerchio senza

inizio e senza fine simboleggia eternità e infinito

ma anche completezza –, donne che ballano armoniose,

donne maliziose, perfino trasgressive, che esibiscono,

non senza una certa alterigia, la loro femminilità, ma anche

un’anziana con una pezzuola rossa sui capelli bianchi:

la pittura di Paola Parri è un racconto al femminile con protagonista

l’eterno femminino, quello che Goethe nel suo

Faust dice ci farà salire in cielo. Quindi non le peculiarità

femminili contingenti, ma la donna nella sua essenza immutabile.

Paola Parri, pittrice fiorentina, complice i tempi

bui della pandemia e la quarantena, da non molto ha ripreso

in mano i pennelli ed ha riacceso una passione che nella

sua storia risale alla fanciullezza, periodo da lei trascorso

nella campagna delle colline attorno Firenze dove si è manifestata

l’altra sua passione per l’ambiente e gli animali,

concretizzatasi con gli studi di Agraria. La vena artistica

era riaffiorata nella storia della Parri in età adulta, rivolta

inizialmente alla lavorazione dell’argilla. Due i passaggi

cruciali di quel periodo: la frequentazione della bottega

del ceramista Luciano Landi e lo studio della decorazione

pittorica della ceramica, prima sotto la guida di Antonio

Abussi, poi presso la prestigiosa e storica manifattura Richard

Ginori. «Il lavoro sulla ceramica – racconta l’artista

– ha il fascino della materia ruvida che viene plasmata e

che prende forma e dell’alchimia dell’azione degli altri elementi:

l’acqua e il fuoco». La Parri si segnalò in questa fase

per un’intensa ricerca sui materiali e sulle tecniche, e il

lavoro le valse la partecipazione a mostre collettive e a diverse

personali. Ne ricordiamo alcune: Progetto formativo

Terra a Sesto Fiorentino (2008), le personali Hypnose a Firenze

(2009) e Terracqua alla torre del porto dell’Isola di

Capraia (2010). Tornando alla pittura, le sue donne sono

figure altere, non sprezzanti ma consapevoli. Non una sfida

(che sarebbe una contraddizione), bensì una serie di affermazioni.

Un attacco ai luoghi comuni e alla narrazione,

stantia, che ancora incombe sull’universo femminile. Così

l’anziana, con la sua pezzuola rossa, lo scialle bianco sulle

spalle e seduta su una sedia, non è rappresentata col volto

rugoso assunto ormai a icona di questo tipo di figura, ma

è raffigurata di profilo con in grembo una rivista e ai piedi

delle calzature moderne, tanto simili alle famose sneakers.

La rappresentazione è ricca di simbologie e la donna

torna a essere la divinità, quella che nell’antichità era rappresenta

soltanto al femminile. Dal punto di vista pittorico,

il segno è sicuro, i colori sono a volte cupi, altre affiancati

e sgargianti a comporre un insieme che dovrebbe apparire

disordinato e invece trasmette armonia ed equilibrio nella

composizione cromatica e non solo. Su tutto domina la capacità

di idealizzare le posture, di cristallizzare il gesto e

il movimento dei soggetti; il risultato emerge senza strepiti.

Anzi. La lettura per l’osservatore risulta immediata, l’intenzione

dell’autrice ci arriva subito col suo significato, e vi

rintracciamo senso di libertà espressiva mediato però dal

rigore verso il mondo che rappresenta. La pittura della Parri

si avvale di tecniche miste: acrilico, olio, terre. Con queste

sperimenta, un punto fermo del suo lavoro in continuo

aggiornamento, giacché l’artista sembra piuttosto restia

ad accettare di essere identificata con uno stile riconoscibile.

Molte le partecipazioni a esposizioni di pittura soprattutto

recenti, tra il 2020 e il 2021: Galleria IAC, ART ART

Impruneta, Artisti in San Domenico a Prato, Filo rosso - Mostra

di opere diffuse a Firenze, New Orizon alla Rosso Tiziano

Art Accademy, Rassegna di Arte Contemporanea nel

chiostro di Santa Maria dei Pazzi a Firenze, Artisti a Pietrasanta

e Contemporanea allo Spazio Espositivo San Marco.

maill@paolaparri.com

Io guardo avanti, tecnica mista (terre, matite, olio), cm 50x70

PAOLA PARRI

45


Quadrupedante putrem cursu quatit ungula campum (tratto dal XI libro dell’Eneide), olio su tela

Alessandro Lombardi

Cavalli in corsa come note sul pentagramma

alex.lombardi2016@icloud.com

L’opera è stata donata dall’artista al celebre autore Mogol che qui vediamo in foto con il quadro


A cura di

Alessandra Cirri

L’avvocato

risponde

La violenza di genere, un reato in crescita

di Alessandra Cirri

Il 25 novembre di ogni anno si celebra la giornata mondiale

della violenza contro le donne. Il termine “femminicidio”

è un neologismo che può essere fatto risalire agli

anni Novanta per qualificare gli omicidi basati sul genere che

vedono come vittima la donna “in quanto donna”. I dati ISTAT

confermano che in Italia le forme di violenza contro le donne

sono in continua crescita. In generale, le donne tra i 16 e 70

anni hanno subito nel corso della loro vita una qualche forma

di violenza fisica o di violenza sessuale da parte di uomini, sia

estranei che partner o conoscenti, amici, parenti e colleghi di

lavoro. Le donne subiscono minacce (12,3%), sono spintonate

o strattonate (11,5%), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni

e morsi (7,3%). Altre volte sono colpite con oggetti che possono

fare male (6,1%). Meno frequenti le forme più gravi come il

tentato strangolamento, l’ustione, il soffocamento e la minaccia

o l’uso d’armi. Tra le violenze sessuali le più diffuse sono

le molestie fisiche, cioè l’essere toccate o abbracciate o baciate

contro la propria volontà (15,6%), i rapporti indesiderati

vissuti come violenze (4,7%), gli stupri (3%) e i tentati stupri

(3,5%). Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner,

parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7%

dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici.

Anche le violenze fisiche (come schiaffi, calci, pugni e morsi)

sono per la maggior parte opera dei partner o degli ex. Gli sconosciuti

sono autori soprattutto di molestie sessuali (76,8%

fra tutte le violenze commesse da sconosciuti). Da un’inchiesta

del Ministero della Giustizia il femminicidio rappresenta

un vero e proprio massacro a considerarne i numeri: circa

150 casi all’anno in Italia (157 nel 2012, 179 nel 2013, 152 nel

2014, 141 nel 2015, 145 nel 2016) per un totale di 600 omicidi

in quattro anni. Significa che in Italia ogni due giorni viene

uccisa una donna. Nel mondo se ne contano migliaia. Il femminicidio

rappresenta una parte preponderante degli omicidi

di donne, con la caratteristica della maturazione in ambito fa-

miliare o all’interno di relazioni sentimentali poco stabili. L’ordinamento

italiano non prevede il femminicidio come ipotesi

di reato autonoma bensì come un’aggravante. La legge contro

il femminicidio fu varata dal Parlamento nel 2013 e modificata

con la legge n. 69 del 2019 che ha introdotto il c.d.

“codice rosso” che nel codice penale introduce nuovi quattro

delitti: il delitto di deformazione dell’aspetto della persona

mediante lesioni permanenti al viso (nuovo art. 583-quinquies

c.p.); la diffusione illecita di immagini o video sessualmente

espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (inserito

nell’art. 612-ter c.p. dopo il delitto di stalking); il delitto

di costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis c.p.);

il delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento

dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi

frequentati dalla persona offesa (art. 387-bis). Per quanto riguarda

la procedura penale, l’intento era quello di velocizzare

il procedimento penale per i delitti di violenza domestica e

di genere, accelerando l’adozione di provvedimenti di protezione

delle vittime. A tale fine la Legge n. 69/2019 prevede,

a fronte di notizie di reato relative a delitti di violenza domestica

e di genere, che la polizia giudiziaria riferisca immediatamente

al pubblico ministero, anche in forma orale, e che il

pubblico ministero, entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia

di reato, assuma informazioni dalla persona offesa o da chi

ha denunciato i fatti di reato. Nella pratica, purtroppo, questa

celerità di intervento sia delle forze dell’ordine che della magistratura

non si sono propriamente realizzate. Le donne uccise

avevano quasi tutte denunciato più volte i delitti subiti, senza

ricevere la dovuta protezione né l’applicazione di misure rapide

contro l’autore del reato. Dopo un anno dall’entrata in vigore

del c.d. “codice rosso”, nel 2020, il presidente della Corte di

Cassazione ha rilevato l’incremento di reati spia, quali i maltrattamenti

in famiglia, lo stalking e le altre violenze sulle donne,

ritenendolo un indice della crescita del fenomeno.

Laureata nel 1979 in Giurisprudenza presso l’Università

di Firenze, Alessandra Cirri svolge la professione

di avvocato da trent’anni. È specializzata in diritto

di famiglia e minori, con competenze in diritto civile. Cassazionista

dal 2006.

Studio legale Alessandra Cirri

Via Masaccio, 19 / 50136 Firenze

+ 39 055 0164466

avvalecirri@gmail.com

alessandra.cirri@firenze.pecavvocati.it

VIOLENZA DI GENERE

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Attività storiche

in Toscana

Ristorante Cafaggi

Un angolo di storia e architettura in via Guelfa a Firenze

di Andrea Cafaggi

Anticamente, quando il Mugnone scorreva ancora per

via San Gallo e via dei Ginori, là dove Boccaccio situa

la dimora del mitico Calandrino, dal torrente si

dipartiva il fosso detto Macinante, le cui acque fornivano

forza motrice ad un molino e defluivano poi ad alimentare il

fossato della Fortezza da Basso alla Porta Faenza. Il nome

del Canto alla Macine è tutt’oggi conservato dalla storica

farmacia all’angolo di via Guelfa con via dei Ginori. Fino

all’ultima guerra mondiale due grosse macine di pietra erano

presenti sul sagrato dell’attuale chiesa evangelica delimitato

da un cordolo. Il fosso Macinante venne poi interrato

quando il Mugnone fu deviato oltre le mura della terza cerchia,

e al suo posto venne realizzato il tracciato di una nuova

strada, l’attuale via Guelfa, che nel primo tratto (da via

Cavour) prese appunto il nome di via del Canto alla Macine,

“quae (...) protenditur per Cafadium canonice Flor. Versus

(…) Portam Mugnonis de Campo Corbolini” (Davidsohn). Il

Cafadium, cioè Cafaggio, è un altro fra i numerosi terreni urbani

entro le mura appartenenti ad enti ecclesiastici. L’alveo

interrato fornì terreno da costruzione, ma una grossa falda

acquifera permane tutt’oggi nel sottosuolo: in quasi tutte le

cantine del circondario è presente un pozzo, peraltro ovviamente

inutilizzabile come acqua potabile. Accanto all’abitazione

della nostra famiglia, posta al numero 19, esisteva un

vetusto fabbricato risalente al XVI secolo, costruito dall’Ospedale

degli Innocenti per ospitare le “malmaritate”. Era

poi stato acquistato dai miei, che lo chiamavano la Casina,

che ne utilizzavano i fondi come magazzino. Nel 1958 la nostra

famiglia decise di abbatterlo, in quanto strutturalmente

fatiscente, privo di efficienti impianti igienici negli appartamenti

e infestato dagli acari portati dai piccioni che nidificavano

nel sottotetto. I lavori, su progetto degli architetti

Raffaele Martelli e Luciano Fabbri, furono eseguiti dall’impresa

edile del geometra Renzo Cafaggi, fratello e socio di

Giancarlo, nostro padre. Per abbattere l’edificio fu necessario

il permesso delle Belle Arti, e l’operazione poté essere

compiuta soltanto puntellando con grosse travi di legno gli

edifici limitrofi via via che procedeva la demolizione, per poi

costruire in appoggio il nuovo edificio moderno in cemento

armato la cui struttura fu calcolata dall’ingegnere Nofri. Furono

eseguiti quindi gli scavi per le fondazioni: i plinti dovevano

raggiungere la profondità di sei metri sotto il livello

della cantina. Arrivati al letto interrato dell’antico Fosso Macinante,

ci si accorse che le fondazioni della demolita Casina

erano costituite da oltre quattromila paletti di legno

piantati nella massa di riporto. Furono gettate le fondazioni

e venne realizzata una razionale cantina per ospitare la centrale

termica e gli impianti a servizio del ristorante e dei sovrastanti

appartamenti, poi il piano terreno destinato ad

La Casina delle Malmaritate al n. 21 (1959)

ospitare la sala grande del ristorante. Per questa sala da

pranzo l’architetto Moravio Martini concepì gli spazi interni

e l’arredamento, come felice connubio di materiali e di colori,

gli stessi del Rinascimento fiorentino: bianco delle pareti,

rosso dei rivestimenti in ceramica, grigio del pavimento. Disegnò

il passa-pranzi a vista sulla cucina, creando una notevole

armonia e continuità di linee fra il cristallo zigrinato

sovrastante la plafoniera del passavivande e la porta di comunicazione

fra la sala e la cucina, anch’essa in cristallo zigrinato,

ottenuta mediante un pannello in legno a fungere da

raccordo e richiamo stilistico alla boiserie. La realizzazione

fu affidata alla ditta Giusti di Prato. Ma cedo la parola direttamente

all’architetto Martini: «Renzo Cafaggi, un mio compagno

di scuola divenuto importante impresario edile, nei

primi anni Sessanta aveva ricostruito un immobile situato in

via Guelfa di proprietà della sua famiglia. Il piano terra era

destinato ad ingrandire i locali della loro ottima trattoria. Mi

48

RISTORANTE CAFAGGI


contattò per chiedermi un progetto

di arredamento; ero un giovane architetto

con idee molto moderne e

così cominciai a pensare a un arredamento

che fosse innovativo e funzionale

per un pubblico esercizio. In

quegli anni ero il tecnico della ditta

artigiana Arredamenti di Prato che

lavorava nell’arredamento di negozi

e locali, e con il titolare Bruno Giusti,

uomo di intelligenza sopraffina, onesto

e capace nel suo lavoro, portai

avanti il progetto seguendo i suggerimenti

del mio amico Renzo Cafaggi

e della sua famiglia. Particolare curioso:

mi chiesero di nascondere i

pur inevitabili attaccapanni. Ci riuscii

sistemandoli dietro pannelli di

mogano intervallati da fioriere in

basso e plafoniere in alto. C'erano

anche delle soluzioni, per quel periodo

abbastanza audaci e rivoluzionarie,

per le diverse zone della sala,

concepite per la miglior funzionalità

del servizio e per la facilità di pulizia

e manutenzione dell'ambiente. Una

volta ultimati sottoposi i disegni a

Renzino e a Giancarlo, che ne furono

entusiasti fin da subito, e così li presentai

alla ditta Giusti con la quale

trovarono velocemente un accordo.

Fondamentalmente il mio progetto

si basava su tre o quattro materiali:

acciaio inossidabile, rame battuto,

legno mogano, cemento armato

scalpellinato per i pilastri, che dove-

vano mostrare i sassolini di fiume a facciavista ed erano rivestiti

da legno di noce. Il rivestimento in cotto delle pareti

e dei pavimenti sono toscanissimi, trattandosi della famosa

fabbrica di ceramiche Vicano. Fu grazie ad una straordinaria

convergenza di relazioni, fattori tecnici e contenuti concettuali

che realizzammo tutto questo, un insieme che riuscì

magnificamente, al di là delle nostre stesse aspettative, anche

in virtù della reciproca stima ed amicizia fra me ed i fra-

Sala nuova verso le vetrine di via Guelfa (1962)

Passapranzi e porta di comunicazione (1962)

telli Cafaggi». Furono scelti dall’architetto Martini tavoli e

sedie disegnate da Giovanni Michelucci per Poltronova di

Agliana. Le sedie imbottite avevano sedute in similpelle trapuntate

in nove sezioni quadrate con bottoncini ornamentali

alle intersezioni del quadrato centrale. Lo schienale era

anatomico in legno lamellare piegato a caldo, le gambe i ritti

e tutte le bacchette a sezione quadrata anziché circolare,

rese possibili da una stagionatura dei legni oggi introvabile.

L'oste di fiducia consegna il vino alle famiglie (1934) Famiglia e dipendenti a pranzo (1955)

RISTORANTE CAFAGGI

49


Dopo quarantatré anni di lodevole servizio queste sedie sono

state sostituite (2005) da altre con caratteristiche simili

ma purtroppo non pari data la diversità dei materiali reperibili.

Il 4 novembre 1966 l’alluvione di Firenze sommerse le

cantine e arrivò a 60 cm nelle sale ed in cucina. L’enorme lavoro

di ripulitura dal fango e dalla nafta portati dall’alluvione

fu affrontato con grande eroismo dai miei familiari che in

giorni e notti di duro lavoro riuscirono a salvare l’arredamento

ancora nuovo, grazie anche agli eccellenti legnami adoperati.

Nel 1967 la famiglia decise di rifare l’arredamento della

prima sala, ancora una volta affidandosi a Moravio Martini

ed alla ditta Giusti. Moravio disegnò anche la bussola in acciaio

inox dell’ingresso con l'insegna in lettere scatolari retroilluminate

e il nuovo bancone di esposizione e di servizio

su due fronti che metteva in comunicazione le sale attraverso

il vano ricavato dal sottoscala condominiale, con pensilina

aggettante nella sala d’ingresso. Scegliemmo per questa

sala tavoli e sedie della ditta Planula che aveva raccolto le

idee della Poltronova e realizzato gli studi e i disegni dell’architetto

Ettore Sottsass. Negli anni alcune modifiche, pur

dolorose dal punto di vista estetico, si sono rese inevitabili

per adeguare l’attività alle nuove normative. Nell’insieme le

Angolo destra della sala nuova e mamma Maria che prepara le cestine di frutta (1962)

Verso la cucina con Beppe Giovannetti (1962)

Nonno Settimo e nonna Roma (1950)

modifiche non hanno comunque cancellato la fisionomia

dell’ambiente che resta informato ai criteri dell’Architettura

razionale che trova in Martini uno dei più rappresentativi

esponenti, caratterizzato dalla sobrietà e pulizia di linee finalizzate

alla funzionalità dell’ambiente rispetto alla sua

destinazione ed alla attività lavorativa. Da allora moltissimi

architetti e arredatori italiani e stranieri

ci hanno chiesto il permesso di scattare

foto dei nostri interni, e questo è per

noi motivo di fierezza. Oltretutto, lavorare

in un ambiente razionale e comodo

è stato un piacere anno dopo anno e

per questo ringraziamo ogni giorno il

coraggio dei familiari che ci hanno preceduti,

che coltivavano il futuro perché

avevano un passato. E ringraziamo del

pari, se non di più, l’illuminata lungimiranza

dei nostri architetti, veri umanisti,

i quali nel loro pensiero creativo

seppero coniugare estetica e funzionalità

progettando spazi e ambienti a misura

d’uomo, dove possono conciliarsi

al meglio il nostro lavoro e il benessere

di chi siede ai nostri tavoli per ritrovare

ricordi – e sapori! – piacevoli. Facciamo

nostra questa riflessione di Moravio

Martini: «Sono tornato recentemente

nel ristorante, invitato dai figli di Giancarlo

che ancora mandano avanti il locale

avito, ed ho avuto la soddisfazione

di constatare che la famiglia ha saputo

conservare per sessant’anni l’arredamento

originale in una maniera quasi

perfetta: che io lo abbia disegnato mi

dà tuttora soddisfazione, ma ancora di

più me ne dà pensare che, se le nostre

opere sono figlie del nostro ingegno e

del nostro amore per la vita, la cosa più

bella che ci possa capitare è che qualcuno

le ami e le conservi per tramandarle

a chi verrà… ».

50 RISTORANTE CAFAGGI


A cura di

Giuseppe Fricelli

Concerto in

salotto

Gabriel Tacchinò

Esecutore di talento

di Giuseppe Fricelli / foto courtesy www.gabrieltacchino.com

Gabriel Tacchinò è uno dei più famosi ed importanti

pianisti classici francesi. Nato a Cannes, di origini

italiane, ha studiato al Conservatorio di Parigi con

Jaques Févriere e Margherite Long. Vincitore di importanti

concorsi internazionali, ha tenuto un’infinità di concerti

suonando anche con orchestre dirette da Karajan, Monteaux,

Clytens e Muti. Ha suonato in formazioni cameristiche

con Rampal, Stern, Ciccolini. Molte le sue incisioni discografiche.

Vastissimo il suo repertorio che comprende, fra le

altre cose, tutta l’opera di Poulenc di cui Gabriel è stato l’unico

e vero allievo. Tacchino è stato insegnante al Conservatorio

di Parigi ed oggi tiene corsi di perfezionamento in

varie accademie mondiali. L’ho conosciuto anni fa ed ho anche

avuto modo di suonare con lui a quattro mani in concerto

pagine di Ravel. Sono rimasto conquistato dal suo modo

di porgere la pagina musicale sempre sobria, viva, descrittiva,

poetica. Splendido il suo appoggio fisico sulla tastiera

e ricercata la sua sonorità timbrica. Musicalità, dizione

strumentale, legato, consapevolezza espressiva fanno di

quest’artista uno splendido pianista. È una persona riservata

di grandi sentimenti, di gran cuore, a volte anche timido.

Un vero e caro amico.

Gabriel Tacchino alla Biennale di Firenze durante la consegna del Premio

Lorenzo il Magnifico

Con Jaques Févriere (a destra)

Giovanissimo con Francis Poulenc

Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi

in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e

camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche

di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso

i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.

GABRIEL TACCHINÒ

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Primavera in inverno, olio su tavola, cm 40x50

Composizione floreale, olio su tavola, cm 33x59

Fresca allegria, olio su tela, cm 50x60

Loretta Casalvalli

Colori e forme della natura

In mostra personale allo Spazio Espositivo San Marco

dal 31 ottobre al 10 novembre 2021

loretta.casalvalli@live.it

Iris fiorentina, olio su tavola, cm 40x60 (dipinto eseguito

per il libro Flora e fauna sul colle di Vespignano)

Giaggioli, olio su tavola, cm 30x60

Primo ottobre sul colle di Vespignano (omaggio a Giotto

per i 750 anni dalla nascita), olio su tavola, cm 30x40


Firenze

mostre

Wilma Mangani

La dirompenza del colore nella personale dell’artista fiorentina

allo Spazio Espositivo San Marco

di Jacopo Chiostri

Le opere che Wilma Mangani propone con la personale

presso lo Spazio Espositivo San Marco sono, al

momento, il punto di arrivo di un lungo e coraggioso

percorso artistico. Wilma Mangani ci dice con questi lavori

che lei non si accontenta di dormire sugli allori, che si è

messa in discussione e che, in questo modo, ha fin qui tirato

le somme di tutto il lavoro fatto nei tanti anni di carriera:

sorprendentemente, anche in questa modalità espressiva, rimane

saldamente ancorata al proprio stile che ha traversato

molteplici e feconde stagioni. Pittura, la sua cui, che potremmo

definire “diversamente figurativa”, pittura nella quale si

avverte il gesto quasi liberatorio di un’artista che completa

un percorso che, come lei stessa racconta, è stato senz’altro

complicato. «L’astrattismo – dice – è una meta alla quale volevo

arrivare, che mi fa sentire completamente realizzata, è stato

però un percorso travagliato». Artista di lungo corso, Wilma

Mangani fin da adolescente ha dato ascolto alla propria vena

creativa; ha un passato anche di narratrice, con racconti pubblicati,

a suo tempo, sui rotocalchi, ma la pittura – corroborata

dagli studi al liceo artistico a Firenze – è sempre stata la prima

compagna di vita. La sua storia richiederebbe molto spazio;

condensiamo perciò al massimo. D’altra parte come non

ricordare l’attività di gallerista, a Firenze e a Forte dei Marmi,

le mostre accanto a de Chirico, Guttuso, Sironi, Annigoni,

i molti riconoscimenti ottenuti nel tempo, l’essere conosciuta,

e apprezzata, al di là dei confini nazionali, l’accostamento

riconosciuto da critici illustri al realismo sui generis di Gino

Severini, pittore col quale la accomuna la ricerca costante di

nuovi stimoli e, in ultimo, un percorso, sorprendente, iniziato

con evidenti riferimenti ai valori plastici della pittura tradizionale

classica – sua cifra caratterizzante – e sfociato ora in

una nuova strada, possibile proprio perché a monte ci sono

solide basi. A proposito delle opere in mostra al San Marco

si potrebbe aprire un dibattito sulle differenze tra astrattismo

e informale; la pittura di Wilma Mangani, lo scriviamo in via

convenzionale tra di noi consci che non abbia granché importanza,

è astratta (del resto è il termine che usa anche lei) laddove

mantiene quel substrato intellettuale e spirituale che è

rifiutato in genere dagli informali. Certo il gesto anticonformista,

che fortemente si avverte, farebbe pensare il contrario,

ma c’è nei segni, ricchi di colore, espressività, forza controllata,

di queste opere un’organizzazione razionale che è quella

per cui prima le abbiamo definite “diversamente figurative”.

Sia come sia, quello che leggiamo è l’esplicitarsi dell’interiorità

dell’artista, il suo saltare, con gioia, gli steccati accademici

e la costrizione della forma, verso un nuovo mondo possibile;

una rappresentazione, del tutto credibile, di quello che non vediamo

ma che, qui, diventa riconoscibile. Ci si aspetta

che questo magma di luce e di energia esploda da

un momento all’altro, esca dalla tela e si arrampichi

sul muro dove è appesa l’opera per andare a colorare

e a discutere col mondo circostante e a raccontare

la sua verità che non è meno autentica di quelle

che già conosciamo. La Mangani sposta l’asticella

del possibile con l’invito a esplorare nuove traiettorie

dell’intelletto e ascoltare nuovi suoni: questo è.

Infine, il colore, tratto dirompente nella sua poetica.

Colore che definisce la sintesi emozionale delle opere,

colore sapientemente dosato e accostato nelle

sue declinazioni per esaltare la narrazione, tante sillabe

a comporre un linguaggio viscerale e speculativo

inedito.

+ 39 055 643571

WILMA MANGANI

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Percorsi d’arte

in Toscana

A cura di

Ugo Barlozzetti

I musei di San Gimignano, scrigni di tesori

dagli Etruschi all'arte contemporanea

di Ugo Barlozzetti / foto courtesy ufficio stampa Opera Laboratori

Il Museo archeologico, la Spezieria di Santa Fina e la

Galleria d’arte moderna e contemporanea “Raffaele De

Grada” sono situati presso l’antico monastero di Santa

Chiara a San Gimignano. Il monastero è stato recuperato

tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento. Il Museo archeologico

di San Gimignano conserva testimonianze che

tracciano la storia del territorio dal periodo etrusco arcaico.

L’esposizione è organizzata su due sezioni, una dedicata

nello specifico all’arte etrusca e romana con reperti

provenienti da insediamenti e necropoli dell’area sangimignanese

(tra cui Cellole, Pugiano e La Ripa) dal VII secolo

a. C. al I d. C.. Vi è esposta la più recente scoperta dell’area:

nel 2010 è stata trovata una statua etrusca, alta circa

64 cm, che rappresenta un offerente, del tipo dei bronzetti

allungati di età ellenistica e di alta qualità, simile all’Ombra

della Sera di Volterra. Gli scavi in seguito hanno fatto

emergere una straordinaria area sacra etrusca all’aperto,

frequentata dal III sec. a. C. al II d. C.. L’altra sezione evidenzia

le attività di carattere artigianale quali vetro e ceramica

prodotte da San Gimignano durante il Medioevo.

Nella Spezieria di Santa Fina, annessa nel 1253 allo spedale

omonimo fondato alla metà del Trecento, sono esposti

suppellettili e arredi delle antiche istituzioni sanitarie

della città. L’allestimento propone l’assetto e gli aromi originali

della farmacia, una delle più antiche della Toscana,

con la suddivisione della “cucina”, ossia il laboratorio

dove si preparavano i medicinali, e della “bottega”, dove

venivano posti in vendita

i prodotti. Vasi ceramici

e vitrei di altissimo livello

qualitativo riferibili al periodo

tra il Quattrocento e

il Seicento, contenevano i

medicinali. La visita è organizzata

in modo da effettuare

un percorso che

descrive la storia delle attività

connesse alla produzione

della spezieria.

Sono esposti anche medicinali

antichi, quali l’olio di

scorpioni o la mandragora.

Intitolata a Raffaele De

Grada (1885-1957), pittore

che dopo aver viaggiato

in tutta Europa scelse

San Gimignano come patria

d’elezione, è la Galle-

ria d’arte moderna e contemporanea, ospitata anch’essa

nell’antico monastero di Santa Chiara. Raffaele De Grada

iniziò a frequentare la città nel 1915 in seguito al matrimonio

con Magda Ceccarelli. Sono esposte molte opere che

spiccano sia per la qualità artistica e documentano il legame

che l’artista instaurò con San Gimignano. Inaugurata

nel 2002 a cura di Enrico Crispolti, la collezione riunisce

opere dell’Ottocento toscano e del Novecento. A Niccolò

Cannicci e a Raffaele De Grada sono destinate due salette

monografiche. Vi sono inoltre imponenti tele dalle suggestioni

surreali di Giannetto Fieschi. Il museo conserva

ed espone le opere entrate nella collezione a partire dagli

anni Settanta, con il premio De Grada (tra cui Guttuso,

Sassu, Vacchi) e all’esposizione Grande Adesione (1985)

curata da Andrea del Guercio e dedicata all’arte astratta,

progettuale e alla nuova pittura, e grazie alle iniziative seguenti

che fino agli anni Duemila hanno arricchito di doni

la galleria. Il lascito della collezione Pacchiani incrementa

inoltre la pinacoteca di dipinti italiani fra gli anni Trenta e

Ottanta con opere di artisti come Casorati, Campigli, Carrà,

de Chirico, Sironi, Soffici, Mafai, Morlotti, Adami e altri

grandi maestri. La galleria ha inoltre lo spazio espositivo

più grande della città, all’interno del quale si tengono mostre

temporanee dedicate all’arte dell’Ottocento, del Novecento

e degli artisti contemporanei.

www.sangimignanomusei.it

La Galleria di arte moderna e contemporanea Raffaele De Grada

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PERCORSO A SAN GIMIGNANO


Ritratti

d’artista

Elena Galli

Una pittura all’insegna dell’ottimismo

di Jacopo Chiostri

Il rapporto che la pittrice Elena Galli ha con la sua arte lo si intuisce

da come, in maniera coincisa e disinvolta, descrive il

suo percorso. «All’inizio – racconta – sono partita con lavori

artigianali, poi sono passata a copiare a modo mio opere di grandi

artisti, quindi quadri su commissione, e alla fine ho deciso di

fare quello che mi piace». E quello che piace a Elena Galli è una

pittura all’insegna dell’ottimismo e del colore, quest’ultimo specchio

fedele della vivacità e delle emozioni che trasmette ai suoi

quadri, e con i suoi quadri. Ammesso (e non concesso) che sia

necessario, non è facile stabilire una classificazione convincente

dello stile della Galli; che è più cose assieme. Potrebbe essere

espressionista per la capacità di esaltare emotivamente la realtà

rispetto alla sua percezione oggettiva, ma poi la sua è tutt’altro

che una pittura cupa, anzi. A volte è decorativa, altre vicina al naïf,

ma la definizione – ovviamente ha un’importanza limitata, si fa

per capirsi – più convincente è che si tratta di pittura ricca di simboli,

che diventa tramite per una riflessione, e lo fa grazie a contenuti

di non immediata comprensione perché, istintivamente, si

sarebbe portati a pensare il contrario in ragione della spontaneità

che si avverte nel gesto pittorico e nella, volutamente, essenziale

raffigurazione dei soggetti. Del resto, la stessa Galli spiega

in questi termini la “filosofia” del suo agire artistico: «Di primo acchito,

i miei dipinti possono sembrare semplici, ma dietro ad ogni

quadro c’è sempre una morale. Uso l’arte per esprimermi e i colori

sono le mie emozioni». L’ispirazione viene dalla natura, dagli

animali, ma anche da tematiche di attualità sociale, il tutto

all’insegna di una visione positiva della vita e, come già detto,

Ipnosi, pittura acrilica e sassi su legno, cm 50x60

La mano di Kami, pittura acrilica e sassi su legno, cm 50x60

del colore. I suoi sono colori vivaci, accostati in modo da esaltarsi

vicendevolmente, senza stridere, bensì creando un impatto

visivo cui è difficile restare indifferenti. La libertà creativa domina

su tutto, perché il tentativo è riuscito: Elena Galli ha creato un

suo mondo. Lei decide il taglio degli occhi, le capigliature e le vesti

delle sue figure femminili. Le dipinge così come ha immaginato

la rappresentazione che affida loro, amalgamando memorie e

fantasia. Sono tante, le sue donne: un’egiziana, una giovane con

occhiali alla John Lennon, una giapponese, un’islamica, un’elegante

ragazza con un turbante e una margherita gialla in testa,

una “donna con capello rosso” che richiama alla mente Antonio

Bueno e subito dopo Magritte. Poi ci sono le sue composizioni

floreali che sembrano prendere per mano il visitatore e sussurrargli

che verrà accompagnato a visitare un mondo dove i criteri di

bellezza e armonia gli riserveranno delle sorprese e che deve essere

pronto ad imparare un nuovo linguaggio. Perché l’originalità

è la caratteristica più “appariscente” dell’arte della Galli. Dicevamo

anche della simbologia che è evidente nei dipinti di Elena Galli.

Il messaggio più forte è legato proprio a quelle figure femminili

di cui abbiamo detto. C’è nel suo racconto una naturale consapevolezza

del momento storico che sta attraversando la condizione

femminile. E la donna della Galli è una donna fiera, consapevole,

che guarda alla vita con ottimismo, una donna forte, che la sua

forza non la ostenta: la esprime con lo sguardo e il sorriso, autoironico

ma fermo. Insomma un’artista sui generis, una pittura che

è il prodotto di un’idea. E così è proprio vero, come è stato detto,

che “l’arte rende tangibile la materia di cui sono fatti i sogni”.

isassidinena@gmail.com

+ 39 3397988665

@i_sassi_di_nena

ELENA GALLI

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Ritratti

d’artista

Marzia Zuccaletti

L’arte di ridare vita agli oggetti

di Barbara Santoro

Ho conosciuto Maria Zuccaletti ad una cena fra amici

e siamo entrate subito in sintonia. Abbiamo tanti

interessi in comune ed un amore per le cose belle.

Marzia si diletta ad inventare con estrema facilità e quasi

dal nulla piccole e preziose creazioni, oggetti decorativi

che stanno bene un po’ ovunque. Ha raccolto quasi per caso,

durante passeggiate nel bosco o sulla spiaggia, piccoli

legnetti o ciottoli per lo più inosservati, ma che all’occhio

e al cuore di Marzia hanno parlato. Un giorno, andandola a

trovare a casa sua, sono rimasta impressionata dalla quantità

di ninnoli da lei creati con passione. Avrei portato via

tutto, a tal punto mi piacevano quelle sue creature. Definirla

artista è forse eccessivo, artigiana invece è riduttivo; quel

che è certo, invece, è che ciò che esce dalle sue mani riesce

a soddisfare il gusto di molte persone perché è innato in lei

il senso della forma e del buon gusto. Umile e senza alcuna

altezzosità, ha trovato un passatempo di grande soddisfazione,

e dopo averne realizzata una, nella sua testa già

frulla una nuova idea. Così da quelle mani magiche escono

incredibili opere d’arte formato mignon: la vecchia zeppa di

legno, che teneva ferma la porta, diventa una piccola scenografia,

così come pure il bruschino da bucato, ormai inutilizzabile,

riacquista vita diventando un canneto di fronte

ad una casa. Vecchie cornici, grucce da armadi smembrate,

cassette da frutta e contenitori di vetro riacquistano una loro

realtà diventando paesaggi sospesi, bancarelle del mercato,

casette variegate e piene di vita, con i fiori alla finestra

e le tendine di trina, bucati stesi al sole, graziose facciate di

case di campagna o marine. I vecchi chiodi arrugginiti conquistano

una loro dignità diventando tetti e comignoli. La

vecchia sedia abbandonata, magari trovata davanti al cassonetto,

diventa un oggetto di designer e ti puoi sbizzarrire

a farne una seduta floreale oppure con un pesce appena

pescato. Creatività, fantasia, buon gusto, equilibrio, raffinatezza

e senso della misura fanno di Marzia un’artista fuori

dal comune, che ci incanta e ci diverte, ricordandoci che

in ognuno di noi vive il “fanciullino” di pascoliana memoria

che non dobbiamo mai dimenticare.

Marzia Zuccaletti con alcune sue creazioni

56

MARZIA ZUCCALETTI


Dimensione

salute

L’ipoacusia, ovvero la perdita parziale dell’udito

Ne parliamo con i professionisti del Centro Acustico Toscano

Testo e foto di Carlo Midollini

In un mondo in continua evoluzione il rinnovamento è un’esigenza.

Da questo presupposto parte la filosofia del Centro

Acustico Toscano, una realtà formata da un gruppo di professionisti

sanitari in campo audioprotesico che operano nelle

province di Prato, Firenze e Pistoia. I disturbi uditivi nella nostra

società sono in costante aumento a causa di una popolazione

sempre più anziana e dell’esposizione continua a fonti di rumore

anche nei giovanissimi. Si stima che in Italia attualmente ne

soffrano sette milioni di persone, ovvero circa il 12% della popolazione.

Gli effetti di tali problemi possono causare, a chi ne è

soggetto, una considerevole diminuzione della qualità di vita. Soprattutto

negli anziani una perdita uditiva non trattata può provocare

un maggiore senso di tristezza, paura ed ansia, aumentare

la frequenza degli infortuni dovuti a cadute e renderli maggiormente

soggetti a sviluppare demenza e depressione. «L’ipoacusia

sta diventando un problema sociale ma sfortunatamente è

ancora estremamente sottovalutato – spiega Marco Ranaldi, ingegnere

ed audioprotesista titolare del Centro Acustico Toscano

–; tra l’insorgenza del deficit uditivo e la decisione di ricorrere

ad un apparecchio acustico passano anche dieci anni, mentre è

fondamentale intervenire precocemente, tenuto conto che oggi è

possibile migliorare o risolvere la maggior parte dei deficit uditivi

con un tempestivo riconoscimento del problema ed un precoce

trattamento». Spesso, invece, i soggetti ipoacusici tendono a

negare il problema sia perché lo ritengono erroneamente trascurabile

sia per la paura che, affrontarlo, equivalga ad ammettere

l’avanzare dell’età. Un controllo periodico è indispensabile non

solo per chi è esposto a rumori, chi ha raggiunto la terza età e chi

ha già manifestato problemi uditivi, ma è buona prassi per tutti a

tutte le età. «Fondamentale – continua Marco Ranaldi – è rivolgersi

a professionisti sanitari seri e preparati. Dopo anni di esperienza

ho imparato che uno dei cardini fondamentali nel percorso

riabilitativo audioprotesico è il rapporto di fiducia che si instaura

fra audioprotesista e paziente. Il sanitario deve essere capace

non solo di mettere al servizio del paziente esperienza e capacità

professionali adeguate ma anche di focalizzare tutta l’attenzione

sulle necessità e peculiarità del singolo. Chi entra da noi ha la

certezza di ottenere i prodotti più innovativi presenti sul mercato

e un’assistenza professionale all’avanguardia e di uscire con

la sicurezza di aver fatto la scelta migliore per sé». Infatti, presso

le sedi di Centro Acustico Toscano è stato adottato da anni un

peculiare percorso riabilitativo dove la persona con ipoacusia è

messa al centro. Tutto parte da un colloquio informativo, durante

il quale vengono valutate le difficoltà soggettive nell’ascolto, le

condizioni ambientali e lavorative in cui il soggetto si trova abitualmente,

in quali situazioni è per lui più difficile ascoltare e quali

sono le sue esigenze e necessità. Dopo il colloquio viene analizzata

la storia audiologica passata e sottoposto il paziente ad una

batteria di test, atti a valutare i parametri audiologici attuali in maniera

tale da evidenziare la reale presenza di un deficit uditivo.

La sede fiorentina del Centro Acustico Toscano

La visita con l'audioprotesista

Questo sarà considerato il punto di partenza per lavorare insieme

verso una soluzione, definendo quale tecnologia e tipologia

di apparecchio acustico siano ottimali per ogni singola perdita

dell’udito, per le preferenze estetiche ed economiche di ognuno.

«Rivolgersi ad un audioprotesista di fiducia è importante anche

perché la scelta dell’apparecchio acustico è solo l’inizio del

processo di miglioramento dell’udito. Seguirà un delicato percorso

di adattamento con visite programmate, il cosiddetto “fitting”

dell’apparecchio. Qui, le capacità, l’esperienza e le conoscenze

dell’audioprotesista faranno la differenza per raggiungere il maggiore

recupero uditivo possibile. Inoltre è importante assicurarsi

che i pazienti sappiano utilizzare e gestire al meglio le protesi

acustiche. Per questo nelle nostre sedi ci sarà sempre personale

a disposizione per chiarire qualsiasi dubbio e perplessità e garantire

controlli periodici per verificare le prestazioni, le condizioni e

le regolazioni dell’apparecchio nel tempo». Inoltre, oggi, sfruttando

le nuove tecnologie e le sempre più innovative funzioni delle

recenti protesi acustiche, Centro Acustico Toscano ha messo

a disposizione dei clienti un sistema di consulenza, assistenza

e fitting da remoto. Infatti, dopo le regolazioni iniziali fatte in ufficio,

sarà possibile agire sull’apparecchio acustico a distanza,

senza che il paziente sia fisicamente presente nello studio audioprotesico

e quando questo non sarà possibile, in caso di necessità,

l’audioprotesista potrà garantire assistenza a domicilio.

www.centroacusticotoscano.it

IPOACUSIA

57


Mauro Mari Maris

Un’anima semplice e sensibile

Verso le montagne, smalto, cm 50x70

Il dipingere di Maris denuncia con evidenza propria la spontaneità e lo slancio di chi

si affaccia alla vita, e la salute, diciamo così, di avventatezza e di energia che sono

propri dell’età. In Maris, residui futuristici, cubisti e anche surrealisti escono dalla

trama del quadro piacevolmente aperti. E soprattutto vi è un senso evidente della

costruzione del quadro, un camminare per parabole strutturali, una ferma e decisa

volontà di afferrare una dimensione. I colori a volta scuri a volta vivaci, con figure tagliate

nell’ombra, danno un senso drammatico e allo stesso tempo fiabesco, come se

la tematica dell’artista risentisse di un qualcosa di interiore, sofferto, malinconico,

triste. È una ricerca ancora vergine quella di Maris, una ricerca che lo potrà portare

a stadi più avanzati, ma la tematica è quella di un’anima semplice e sensibile. Due

aggettivi questi che potranno avere in futuro una strada aperta, una strada che Maris

ha intrapreso con ferrea volontà e soprattutto con grande umiltà.

Aldo Giovannini (tratto dal quotidiano La Nazione)

www.mauromaris.it

mauromaris@yahoo.it

+ 39 320 1750001


Sapori di

Toscana

I’ Bacco Toscano

“Tempio” del gusto alle porte di Montespertoli

Testo e foto di Filippo Cianfanelli

Siamo a Baccaiano, frazione di Montespertoli.

In prossimità di una rotonda

stradale si trova il ristorante I’Bacco Toscano

nello stesso edificio dove sino dal 1600

si trovava l’antica Osteria di Ponte a Vergigno.

L’aspetto esterno del locale è rimasto quasi

identico a quello originale ma è nell’interno

che si apprezza l’antica architettura, con imponenti

volte in cotto risalenti probabilmente

al Medioevo. Il locale è spazioso e in bella vista

c’è il forno a mattoni per la cottura delle

pizze; alle pareti sono appese opere di artisti

contemporanei della zona che usufruiscono

di questi locali per mostre temporanee. Non

vi sono barriere architettoniche per i portatori

di handicap e all’esterno del locale una bella

tettoia offre la possibilità di pranzare all’aperto

con ampi spazi verdi dove i bambini possono

scorrazzare in totale sicurezza. Il posteggio per le auto

è molto vasto così che a qualsiasi ora non esistono problemi

di parcheggio. È un locale adatto anche per grandi tavolate,

per matrimoni ed altri eventi conviviali, da cinque anni

gestito in modo impeccabile da Carmine Foglia, dopo una

precedente gestione che lo aveva portato alla chiusura. Foglia

viene dal mondo della ristorazione ma ha anche lavorato

nella grande distribuzione e ciò lo ha portato a sviluppare

varie iniziative per andare incontro ai clienti, fra le quali una

raccolta punti (virtuali) con ricchi premi per i clienti più fedeli.

Il sito Internet è molto accurato ed è in fase di realizzazione

anche un’applicazione per gli smartphone. Prima

di iniziare il pasto ci è stato offerto un aperitivo di benvenuto,

una specie di spritz realizzato con vino bianco e birra

L'esterno del ristorante

La sala interna

dal gradevole aroma di frutta. Il menù è cartaceo, ma può

essere anche scaricato grazie ad un Qr code, compresa una

carta dei vini e delle birre piuttosto fornita. Per i meno esigenti

sono disponibili due gradevoli vini della casa, con una

simpatica etichetta personalizzata. Fra gli antipasti, accanto

ai tradizionali taglieri misti, coccoli fritti e crostini, da

segnalare un intrigante carpaccio di avocado con bufala e

pomodorini e una millefoglie di melanzane. I primi piatti sono

molto invitanti e ben presentati, la pasta, quando non è

fatta in casa, è esclusivamente Rummo o De Cecco. Si va

dai pici all’anatra agli ottimi gnudi alla crema di tartufi, dalle

linguine al pesto di rucola agli eccentrici tortelli di patate

in salsa di prosciutto e melone. Nel menù mancano i primi

di pesce, d’altronde ci troviamo tra la Valdelsa e la Valdipesa

dove il pesce non è certo un prodotto locale. I secondi

spaziano dalle classiche bistecche, le tagliate, la grigliata

mista, il fritto misto fino agli spiedini di agnello e a un’ottima

tartare di filetto di manzo con avocado che ho particolarmente

apprezzato. Non mancano le “insalatone” anche a

base di gamberetti, parmigiano e perfino pere e noci. Niente

da dire sulle pizze dall’aspetto molto invitante, che però non

abbiamo assaggiato. Molto curati i dessert ottimi alla vista

ma soprattutto all’assaggio. Tutti gli allergeni sono segnalati

in calce al menù ed il personale è in grado di dare preziosi

consigli in caso di intolleranze da parte del cliente. Il

ristorante offre anche il servizio di asporto.

Un piatto del locale

Ristorante I' Bacco Toscano

Via Volterrana Nord 50 - 50025 Montespertoli (FI)

www.ibaccotoscano.it

+ 39 328 723 4152

BACCO TOSCANO

59


Comune di Ravenna

PUNTA MARINA TERME (RA)

Arte &

Vacanze

A cura di

Andrea Petralia

Daniela Sangiorgi

Protagonista al Terme Beach Resort

di Ravenna con Il colore dei sogni

di Stefania Reitano

La scrittura geroglifica è caratterizzata da un rapporto

di tipo pittografico tra il concetto che si desidera

comunicare e il segno scelto per esprimerlo.

Vale a dire che a ogni segno corrisponde una parola. Osservando

le tele di Daniela Sangiorgi sembra essere tornati

a comunicare con le immagini come facevano i nostri

antenati: un linguaggio che supera la barriera delle lingue.

La sua pittura timbrica, dai colori vivaci, che ricorda quelli

della grafica pubblicitaria e la linea spessa di contorno che

mette in evidenza le pure forme, diventano linguaggio, icone,

ciò che possiamo definire “geroglifici contemporanei”.

Le figure, i volti, le forme sono pittogrammi pop dal contenuto

più complesso di ciò che l’immagine apparentemente

raffigura. Ricorrente è la tematica del volto di donna: ma

quale donna? Chi è? Cosa vuole rappresentare? Difficile a

dirsi perché la “creatura” dipinta dalla Sangiorgi, senza età

e senza etnia, sembrerebbe rappresentare la faccia della

stessa medaglia: il bene e il male, il buio e la luce, la ragione

e il sentimento. Nelle sue tele, chiunque, indipendentemente

dalla propria identità di genere, dal proprio status

sociale, viene accolto e incluso. L’entusiasmo e l’energia

della “pittura iconografica” dell’artista è caratterizzata da

colori accesi e da contorni ben definiti che rappresentano

forme primitive e universali con un linguaggio semplice e

riconoscibile. Ma cosa significa pittura iconografica? Per

quanto riguarda la pittura di Daniela Sangiorgi, significa

compiere un passaggio da un’analisi superficiale del lavo-

Arte & Vacanze

TERME BEACH RESORT

Viale C. Colombo, 161

Punta Marina Terme (RA) 48122

“il colore dei sogni”

In ottemperanza delle disposizioni di legge si prega di munirsi di green-pass

ro dell’artista, cioè dal contemplare i soggetti come fini a

sé stessi o come una scelta puramente casuale, a un’analisi

molto più profonda ricca di messaggi latenti che vanno

decodificati. La storia della filosofia dell’immagine ci

spiega che la prima forma di comunicazione erano le immagini

allegoriche che i Greci utilizzavano per trasmettere

Opera 53 (2021), cm 100x100

Opera 52 (2021), cm 100x100

60

DANIELA SANGIORGI


Opera 13 (2007), cm 60x80

Opera 23 (2008), cm 70x70

la conoscenza e avvicinarsi alla

verità. Nell’epoca attuale l’immagine

è una forma totalmente

indipendente, potremmo quasi dire

essere un ulteriore linguaggio

di comunicazione, probabilmente

il più efficace perché parla dell’universalità.

Le immagini, infatti,

rivestono un ruolo centrale nella

cultura di massa, oggi più di ieri

e la Sangiorgi questo lo sa bene,

perché i suoi “geroglifici pop”,

dall’aspetto vivace e a volte frivolo,

vogliono indurre lo spettatore

ad una riflessione sulla psicologia

umana e sulla società.

L’artista Daniela Sangiorgi vive la sua infanzia in provincia

di Latina, ma si trasferisce a Ravenna all’età

di undici anni. Dopo aver conseguito una laurea in

Conservazione dei Beni Culturali nel 2005, si specializza in

Archivistica. Allo stesso tempo intraprende il suo percorso

personale come pittrice, seguendo istinto, ricerca e passione,

tenendo così fede alla promessa che aveva fatto a

se stessa molti anni addietro di esprimersi attraverso l’arte.

Timidamente, quasi di nascosto, comincia a scoprire i

colori e a realizzare i primi dipinti con la tempera su carta

e poi man mano a conoscere altri pigmenti. Con l’impeto

e l’emozione della scoperta, nel 2019 incontra il curatore

Andrea Petralia di Mecenate.online, con il quale inizia una

collaborazione. Petralia, incoraggiando il suo istinto creativo,

la invita a conoscere nuove tecniche espressive. Daniela

espone una sua opera come ospite d’onore alla mostra

Lo Zibaldone dell’arte contemporanea presso il Terme Beach

Resort di Ravenna, curata da Andrea Petralia. La sua vita

nel frattempo si arricchisce con la nascita di tre figli che

contribuiscono a definire ancora più intensamente le sue

emozioni e la visione della donna protagonista delle sue

opere. Il rapporto con l’arte diventa ancor più interessante

con la conoscenza e i suggerimenti del maestro Paolo

Nuti che a piccoli passi la invita a continuare a camminare

nell’arte. Per Daniela è diventata quasi una vera e propria

necessità di crescita. Nell’aprile 2021 Italica Net le dedica

un articolo e il critico Stefania Reitano ne scrive, definendo

le sue opere “geroglifici contemporanei”. Nella primavera

del 2021, viene selezionata per la collettiva Ars et Lux II

organizzata a Milano dall’associazione Art-Space Milano,

presso lo Spazio Arte Tolomeo, dal 4 al 21 maggio. Nello

stesso mese partecipa alla mostra itinerante I fiori dell’arte

al Terme Beach Resort di Ravenna e all’Hotel Lalla di

Cesenatico, curata da Andrea Petralia. A settembre 2021

è nuovamente selezionata per la collettiva DreamArs II organizzata

da Art-Space Milano, presso HubArt, dal 9 al 23

settembre. Oggi, Daniela Sangiorgi accetta il confronto

con il pubblico nella sua prima personale intitolata Il colore

dei sogni al Terme Beach Resort; con la riservatezza che

la contraddistingue, vuole che siano i suoi dipinti a parlare

di lei e a lasciare all’osservatore quell’emozione che solo

l’arte sa dare.

Mecenate.online non è solo un portale dedicato agli appassionati che presenta decine

di artisti e permette loro un contatto diretto con i collezionisti (soprattutto nel mondo anglofono).

Ora che la situazione emergenziale comincia a dare tregua, Mecenate riprende

anche la sua attività di organizzazione di mostre, partendo come sempre dalla riviera

romagnola, in particolare da Punta Marina, a pochi chilometri da Ravenna, all’interno del

Terme Beach Resort, direttamente sulla spiaggia: uno spazio che è stato il “banco di

prova” delle attività di Mecenate fin dagli albori…

Ufficio Stampa Alberto Mazzotti

DANIELA SANGIORGI

61


Francesco

Farolfi

Visioni senza tempo

Francesco Farolfi

Studio: via Libero Andreotti, 61 – Firenze

+39 329 6427545

francescofarolfi@gmail.com

www.atelierfarolfi.com

Francesco.Farolfi.pittore

farolfifrancesco

1.

Il Cupolone da via dei Servi (2019),

acrilico su tela, cm 40x70

2. Ponte Vecchio (2020), olio su tavola, cm 80x70


A cura di

Stefano Marucci

Storia delle

religioni

Le beatitudini

Un cammino di elevazione dello spirito

di Stefano Marucci

Ritorna nello spazio di questa rubrica la pittrice Maria Lorena

Pinzauti Zalaffi con l’opera intitolata Le beatitudini

– Discorso della montagna. Per poterne comprendere

il significato è necessario premettere alcune considerazioni sui

versi iniziali del famoso Discorso della montagna pronunciato

da Gesù e riportato dall’evangelista Matteo. Qui Gesù enunciò

diversi tipi di beatitudini, ognuna delle quali iniziava con l’incipit

“Beati”. Ogni beatitudine parla di una “benedizione” o “favore

divino” che sarà conferito alla persona che possiede una certa

qualità interiore, e quindi implica sia uno stato attuale di appagamento

e “compiutezza” spirituale che una meta da raggiungere

nel percorso della vita. Vale la pena riportare almeno in parte

il testo del Discorso per meglio capire il concetto di beatitudine

e come questo venga reso pittoricamente da Maria Lorena Pinzauti

Zalaffi. Si legge in Matteo: «Beati i poveri in spirito, perché

di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché

saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno

saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori

di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati

per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando

vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni

sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate,

perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti

perseguitarono i profeti che furono prima di voi. Nel Vangelo

di Luca, lo troviamo descritto così: «Beati voi poveri, perché vostro

è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete

saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. Beati voi

quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando

e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato,

a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate,

perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo

stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti». Il quadro

della Pinzauti paragona il raggiungimento di ciascuna delle condizioni

di beatitudine alla difficoltà di guadagnare la sommità di

una vetta diversa: la povertà di spirito, la mitezza, la purezza di

cuore, la ricerca della verità e della giustizia, la tensione nella

costruzione della pace diventano così, nella sua allegoria, altrettante

vette che elevano lo spirito verso il cielo.

Maria Lorena Pinzauti Zalaffi, Le beatitudini

LE BEATITUDINI

63


Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Felice Giannelli

Felice Giannelli è un pittore autodidatta residente

a Sesto Fiorentino. Predilige la pittura figurativa;

ritratti e nature morte dominano le sue

tele. Le sue opere risultano ricche di colori e di luce.

Negli ultimi tempi si è dedicato alla realizzazione di dipinti

che hanno come tematica principale il degrado

di automobili e biciclette ormai abbandonate dall'uomo.

Dal 2018 svolge la mansione di responsabile delle

arti visive presso il Centro Espositivo Culturale San

Sebastiano in piazza della Chiesa 84 a Sesto Fiorentino.

Ha esposto sia in collettiva che in personale.

giannellifelice@yahoo.it

+ 39 349 6062629

Felice Giannelli

Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale

Venezia, olio su tavola, cm 52x33

Murano, olio su tavola, cm 52x33

Primavera, olio su faesite, cm 70x50

64 FELICE GIANNELLI


Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Julius Camilletti detto JulCam

Nato a Melbourne (Australia) nel 1960, Julius

Camilletti, detto JulCam, rientra presto in Italia

dove inizia il suo percorso artistico in veneranda

età. Il suo amore viscerale per la pittura è

confluito nell’ideazione di una tecnica “unica”: le sue

opere nascono, infatti, da sentimenti riprodotti sulla

superficie tramite “tratti” di pennarello dal forte im-

patto visivo. Le figure sono

il risultato di un lavoro certosino,

di raffinati incastri

di colore. A questa tecnica

ha dato il nome di “Trattilismo”,

che per lui significa

“istante di vita”. Ogni istante

della sua vita è caratterizzato

da momenti e

ogni momento è formato Julius Camilletti

da istanti. Ogni istante è il

“Trattilismo” della sua vita, una retta costituita da tanti

piccoli segmenti (tratti) che si susseguono senza

mai ripetersi. Il “tratto”, quale linfa vitale che alimenta

l’immagine nata dal cuore, elaborata dalla mente

e sviluppata con la mano, è l’inizio e contemporaneamente

la fine di un percorso di vita, la sua vita.

trattilismocamilletti@gmail.com

Due labbra che s'incontrano, cm 70x50

La mano del destino ha catturato un'altra anima, cm 100

Dedicato a mia moglie Susy, cm 50x70

JULIUS CAMILLETTI

65


Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Antonietta Gioscia

Antonietta Gioscia (vero nome di battesimo

Antonia) è nata a Pomarico (Matera) nel 1952

e vive a Sesto Fiorentino da molti anni. Svolge

l’attività di decoratrice su vetro. Nel tempo libero

le piace dedicarsi alla scrittura. Nell’ottobre 2001,

ad un concorso tenutosi a Luco di Marsi (AQ) con

premiazione avvenuta a Roma, ha ottenuto il quinto

posto con la poesia Ricordi e Solitudine. Nel 2002 a

La danza del tempo e della vita

Si apre l’aspro cammino

ed il viaggio forzatamente debutta

e quando ti nevica sui capelli

la strada comincia a sfollarsi

si disperdono gli amici

ed il canto delle tue risa

non è più sereno.

Va il calcolo del tempo

s’allontana con il suo ritmo uguale

e tu ripassi la tua memoria

intanto l’amarezza si ferma

dentro al tuo petto inquieto

e mentre tutto corre insieme al vento

il tuo giardino si prepara d’antico.

Come l’acqua dei fiumi inarrestabile

il tempo ingannevole si unisce ai tuoi dolori

con solitudini sforzi trascini la tua carcassa

mentre si snodano gli anni fuggevoli

è già sera e con parole morte inseguì la via

tutt'intorno c’è aria di polvere

e nella terra che attende riprendi il tuo posto.

Fucecchio è stata

premiata con

un secondo posto

ex aequo con

la lirica Ti penso

Amore. Nel 2004

a Viareggio, nel

concorso a tema

sul Carnevale,

le è stato riconosciuto

il primo

posto con la

lirica Viareggio.

Nel marzo 2007

è stata segnalata

quale finalista Antonietta Gioscia

del quarto concorso

internazionale Autori per l’Europa 2007 (Ibiskos

Ulivieri). Le sue composizioni compaiono su

alcune antologie poetiche, tra le quali Voci dell’Anima,

L’Amore in versi, Firenze capitale d’Europa. Nel

2007 ha pubblicato una piccola raccolta di poesie

intitolata Ricordi e Solitudine (Ibiskos Ulivieri). Nell’agosto

2019 le è stato conferito il secondo premio

per la lirica Paese a Pomarico (Matera). Nel 2021 risulta

finalista in attesa della premiazione all’evento

Poesie in concorso

2021 organizzato

dal Centro

Espositivo Culturale

San Sebastiano

a Sesto

Fiorentino.

+ 39 335 8257617

Ti penso amore

Oh! Amore come ti penso

quando la luna e le stelle

s’impadroniscono del cielo.

Quando rannicchiata sulle ginocchia

i singhiozzi nella stanza

uccidono il silenzio.

Quando m’accorgo di sprofondare

nella melma dei giorni rocciosi

implacabili bari di vita.

E capisco allora che camminare da

sola non mi basta più.

Terra mia (Lucania)

Dolce terra

terra mia.

Arsa, argillosa

terra di lucus lontani

d’ignote abitazioni di roccia

tra maestosi alberi di fichi d’India.

Dolce terra

terra mia.

Obliata, offuscata

terra di rosso fuoco

di lontani orizzonti senza mete

tra gridi di rondini a primavera.

Dolce terra

terra mia.

Vestita, spogliata

terra di tutto di niente

terra di tristi silenzi

tra la mia gente ti ho lasciata.

Dolce terra

terra mia.

Amata, odiata

terra di colorati oleandri

di rovine e di colline senza età

tra passato e futuro: c’è il lontano.

66 ANTONIETTA GIOSCIA


Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Elio Toniutti

Elio Toniutti nasce a Roma il 27 ottobre del 1929.

La sua passione per la pittura è iniziata preparando

i colori e pulendo i pennelli nelle botteghe

dei decoratori fino a quasi 18 anni. Ha frequentato

per alcuni anni l’Accademia delle Belle Arti di via Ripetta.

Nel 1951 viene trasferito a Novara al 19° reparto

mobile della Polizia di Stato, con il quale prende parte

ai soccorsi durante l’alluvione del Polesine. Una sua

opera, esposta al Museo storico della Polizia di Stato

in via Castro Pretorio a Roma, rappresenta il salvataggio

della popolazione ad opera dei reparti di cui Toniutti

faceva parte. Torna nella capitale nel 1955/56

per un corso di specializzazione e tra nel 1957 viene

trasferito a Firenze. Si sposta a Sesto Fiorentino nei

primi anni Sessanta. È a Firenze e alle Giubbe Rosse

incontra i grandi protagonisti della pittura passati

alla storia: Pietro Annigoni, Silvio Loffredo, Dino Mi-

gliorini, Ottone Rosai, insieme

ad altri grandi nomi. Ha

partecipato a innumerevoli

mostre, diverse volte anche

alla Triennale di Torino. Dal

1957 e per altri anni a seguire

ha esposto le sue opere

durante le mostre tenutesi

nell’abbazia di Vallombrosa.

In occasione di eventi espositivi

ha conosciuto: Giorgio

Elio Toniutti

de Chirico, Carlo Domenici e Renato Natali. In quegli

anni le opere di Elio Toniutti sono richieste in gallerie

d’arte di Milano e di via Margutta a Roma. Ha eseguito

opere a tema religioso su commissione della basilica

di San Marco a Firenze e un’opera mezzo ovale di oltre

3 metri, su tela preparata da Rigacci, Madonna con

bambino, esposta in una chiesa

della Toscana. L’ultima mostra

del maestro ancora in vita, risale

al 2018 presso il Centro Espositivo

Culturale San Sebastiano a

Sesto Fiorentino (FI).

danitoniutti@yahoo.it

+ 39 348 5369076

Ritratto di Daniela

Madonna

Scogli di Ibiza

ELIO TONIUTTI

67


Percorsi trekking

in Toscana

A cura di

Julia Ciardi

Terme di Saturnia

Tour in Maremma tra arte, natura e benessere

di Julia Ciardi

Avete mai sentito parlare del Bonus Terme? Ebbene

sì, il Ministero dello Sviluppo Economico ha previsto

un bonus del valore di 200 euro a persona

per ogni cittadino maggiorenne senza Isee e senza alcun

limite familiare al fine di rilanciare questo settore molto

colpito dalla pandemia. Le uniche condizioni sono il termine

fino ad esaurimento fondi e l’obbligo di usufruirne

entro sessanta giorni dall’emissione. Vista questa possibilità,

vale la pena fare un salto alle Terme di Saturnia

per trascorrere un week-end indimenticabile. Si tratta di

una delle attrazioni più belle della Toscana, in particolare

del grossetano. Le vasche di calcare sono nate grazie alla

pressione delle cascate d’acqua solfurea, che hanno creato

queste piccole piscine dalla temperatura di 37.5 gradi

centigradi, piacevolissima anche in stagioni più fredde.

Ciò che contribuisce a darci tutti gli effetti benefici che

Le Terme di Saturnia

Trekking a cavallo

68

TERME DI SATURNIA


Il Giardino dei Tarocchi

ci aspettiamo da un’acqua curativa, è un minuscolo amichetto

abitante delle acque calde, il plancton termale, che

aiuta a migliorare la pelle e a sollecitare anche gli intestini

più pigri. Le Terme di Saturnia sono aperte tutto l’anno.

Il loro nome è legato alla leggenda che ne avvolge le antiche

origini: si narra infatti che le fonti termali sarebbero

scaturite da un fulmine lanciato da Giove, adirato contro

il padre Saturno. Questi, tiranno detronizzato dall’Olimpo

dal suo stesso figlio, finì per vagabondare fino a fermarsi

nella bellissima e selvaggia Maremma. Prima di godere di

questa esperienza e di diventare “pane in brodo” (l’effetto

post-termale mette k.o., si sa...), facciamo un tour a cavallo

per conoscere meglio la Maremma, apprezzarne gli

odori e i profumi. Il cavaliere Andrea, del maneggio Belvedere

di Sovana, ci propone un trekking di mezza giornata

tra i resti di tufo del popolo etrusco che ha lasciato una

presenza forte in questo territorio. Tra una visita e l’altra,

ci fermiamo per un picnic campagnolo con i prodotti locali

che ci vengono gentilmente offerti dal maneggio e, terminato

il trekking, degustiamo uno dei vini più deliziosi della

zona, il bianco di Pitigliano. A questo punto, facciamo

tappa alle Terme di Saturnia, dove, grazie al bonus, possiamo

usufruire di un trattamento benessere, un massaggio

o un trattamento olistico a nostra scelta. Al chiaro di luna

siamo pronti per un bagno caldo nelle cascate del Mulino,

un ottimo defaticante dopo una giornata intensa trascorsa

alla scoperta della bella campagna maremmana. Oltre

al vino, alle terme, all’arte e alla natura possiamo visitare

anche il parco esoterico dell’artista francese naturalizzata

californiana Niki de Saint Phalle, luogo meglio conosciuto

con il nome di Giardino dei Tarocchi. Ispirato al Park

Güell di Gaudí a Barcellona, è una vera e propria foresta di

sculture raffiguranti le ventidue carte degli Arcani realizzate

con materiali diversi: vetro, acciaio, porcellana, il tutto

in una gestione anarchica dei colori. Ci sono la Sfinge,

la Sacerdotessa, il Mago, il Vescovo e così via… Speriamo

che in questo week-end escano le carte giuste, non ci resta

che andare a scoprirlo.

Pitigliano

TERME DI SATURNIA

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Il super tifoso

viola

A cura di

Lucia Petraroli

Dario Dainelli

Da giocatore a dirigente sempre

con la viola nel cuore

di Lucia Petraroli

In questa intervista, Dario Dainelli si racconta ricordando

i momenti belli passati da giocatore viola, da simbolo gigliato

nel ruolo di capitano e gli incarichi successivi da dirigente,

inclusa l’esperienza conclusa da poco nella Fiorentina

targata Rocco Commisso. Senza dimenticare di fare il punto

sulla squadra gigliata capitanata oggi da Italiano che Dainelli

conosce molto bene avendolo avuto anche come compagno

di squadra.

Come giudica questa Fiorentina?

Un inizio molto positivo. Italiano è un allenatore che conosco

bene, ci ho giocato insieme, so quello che riesce a creare

all’interno di un gruppo sia a livello di empatia che tecnicamente.

Dobbiamo dargli il tempo di lavorare. La squadra sta

rispondendo bene ed è stata costruita in ottimo modo.

Il tecnico è il valore aggiunto di questa squadra?

Secondo me ci sono tanti valori affinché una squadra vada

bene, proprio perché si tratta di un gruppo che comprende

anche la società e l’organizzazione. Italiano è un allenatore

che è stato messo nelle condizioni di poter fare il massimo.

Chi l’ha impressionata di più nella squadra?

Gonzalez sta facendo la differenza per cambio di passo e accelerazione;

ha molta intensità sia in fase di possesso che

non. Gli esterni creano superiorità e danno pressione. Ma anche

Milenkovic, Pulgar e Bonaventura stanno dando un contributo

importante. Duncan per esempio è stato rivitalizzato.

Come valuta l’attacco? Manca un vice Vlahović, il quale per

altro sta per lasciare la squadra?

Manca sicuramente un vice Vlahović con quelle caratteristiche,

ma Italiano ha fatto vedere allo Spezia come sappia adattare

i giocatori. Spero con Vlahović si possa trovare un accordo e

che comunque possa dare il massimo fino alla fine.

Come giudica la difesa?

Si sta comportando bene. Il mister vuole una difesa più alta,

con più pressione, un gioco diverso da come avevamo visto

prima.

siasmo sia negli investimenti

che nel resto. Poi

è normale che ci voglia

tempo per rodarsi e mettere

basi importanti.

Manca una figura viola

di riferimento?

Il presidente sta facendo bene, ha dimostrato di avere entu-

Sono figure che secondo

me è importante ci siano

sempre in qualsiasi

club. Per il mio trascorso

personale, c’è stata

piena condivisione tra le

parti perché è stata una

decisione presa da me.

In merito a questo, vorrei

fare una precisazione:

alcuni hanno detto che Dario Dainelli in maglia viola

ho accolto la Fiorentina

perché non avevo altro, perché avevo ormai appeso le scarpette

al chiodo. In realtà, non è così, ho dato il massimo alla

Fiorentina, il mio ruolo era quello di stare a contatto con la

squadra, essere un punto di raccordo tra rosa e società. Nel

periodo Covid eravamo circa sessanta persone da coordinare,

la gestione quotidiana andava fatta con tanto entusiasmo

e serietà, come ho fatto fino all’ultimo giorno.

Quali differenze tra questa e la sua Fiorentina?

È il calcio che è cambiato totalmente. Sono stato molto longevo

nella carriera e ho vissuto anche da calciatore questo

momento. I giocatori sanno di essere delle aziende, dei personaggi

pubblici anche grazie alla ribalta dei media e dei social.

Di positivo però c’è una professionalità più alta. Sanno

che più curano sé stessi più portano avanti il loro lavoro.

Il suo ricordo più bello in maglia viola?

Da giocatore la partita di Champions col Liverpool. Allora era

davvero una squadra forte. Da dirigente la partita con la Juventus

vinta e poi la partita col Lecce l’anno precedente con

Iachini sulla panchina, una partita spartiacque dove era necessaria

una vittoria.

Un giorno potrà tornare in viola?

Non lo escludo, anzi. A gennaio farò il corso per allenatore a

Coverciano. La Fiorentina già mi aveva proposto di allenare

una squadra del settore giovanile, mi piace e mi interessa, vedremo

dopo il mio corso e lo studio fatto cosa potrà succedere.

Voglio migliorarmi.

Come valuta la gestione Commisso?

70

DARIO DAINELLI


A cura di

Manuela Ambrosini

Di-segni

astrologici

Scorpione

Il segno della sensitività e della

percezione profonda

di Manuela Ambrosini

Il perdono è l’energia che più di tutte le altre riesce a trasformarti,

amico dello Scorpione. Proprio tu che hai come

compito nella vita quello di apprendere l’impermanenza,

necessiti di imparare come affrancarti dal patimento di riavvolgere

continuamente il nastro delle emozioni dolorose per

riascoltarlo all’infinito. Lo fai, il più delle volte, a spese tue. Infatti,

nella vita continuamente sperimenti la perdita e questo

ti fa entrare nel circolo vizioso del risentimento, se non impari

a diventare un mago della trasformazione. Il tuo essere è

talmente permeato di sensitività e abilità a percepire qualsiasi

movimento dell’Anima che per rimanere nel mondo devi costruirti

delle difese forti. La tua vita inizia quando capisci di

averne una sola a disposizione, generalmente con una morte

Laura Venturi, Heart Map, tecnica mista e collage a rilievo, cm 25x25

Opera acquistabile presso:

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Salvatore Sardisco, Scorpione (2020), linearismo continuo, cm 24x33

www.salvatoresardisco.art / + 39 335.5394664

e una rinascita, allora puoi accettare di uscire dalla solitudine

infinita a cui ti condanni celando la tua vulnerabilità. L’intimità

è quanto di più desiderabile per te, il contatto profondo con un

altro essere è come linfa vitale, ma, nello stesso tempo, causa

una pena inestimabile al tuo cuore perché nel momento in cui

ti unisci sai già che soffrirai il distacco. Il segreto è sviluppare

l’abilità di trovare un punto di incontro, la distanza dinamica

vantaggiosa per tutti. Puoi rimanere di sasso per la mancanza

di sensibilità di qualcuno o sentirti sminuito/a, ferito/a, distrutto/a

dal comportamento di altri, per questo tiri fuori l’aculeo

acuminato adatto a colpire chi ti sta causando una sofferenza,

ma dentro sei perfettamente consapevole che quella condanna

sarai tu il primo/la prima a subirla. Allora, dai retta a chi ci è

passato, impara a trasformare quelle emozioni che corrodono

il più puro dei cuori e diventa l’Aquila, che dall’alto sorvola gli

intrecci dell’istinto e li sublima nel volo. In questo modo le tensioni

si dissolvono e tu puoi utilizzare la tua sensitività per oltrepassare

la soglia dei malintesi. Hai una speciale abilità nel

sondare la psiche, questo ti rende capace di entrare in empatia

con quello che provano gli altri. Esercitati nell’arte del sorriso

per brevi o lunghi periodi tutti i giorni. Il respiro e il rilassamento

profondo possono portarti benefici, così come apprendere

tecniche che ti permettono di stare in un equilibrio interiore

soddisfacente. Grazie ad alcuni strumenti potrai contattare il

profondo benessere di un salutare distacco e una dolce serenità.

Le turbolente montagne russe del cuore vanno bene fino

ad una certa età, poi bisogna introdurre la pace e surfare sulle

acque per rimanere in equilibrio con se stessi e per dare il meglio.

Hai una specifica qualità che puoi mettere a frutto: la percezione.

Si tratta solo di diventare bravo/a a disegnare i confini

entro i quali ci sei tu e quelli in cui contatti l’altro. È lì che rischi

di confonderti rimanendo deluso/a.

Astrologa, professional counselor, facilitatrice in costellazioni

familiari, è fondatrice del metodo di crescita personale Oasi di

Luce e insegnante di Hatha Yoga. Vive e lavora a Monsummano

Terme, effettua incontri individuali di lettura del tema natale astrologico

e di counseling ed è insegnante del corso online di astrologia

umanistica Eroi di Luce.

+ 39 3493328159

www.solisjoy.com

manuela.ambrosini@gmail.com

Solisjoy

Manuela coccole per l’anima

SCORPIONE

71


Toscana

a tavola

A cura di

Franco Tozzi

Paccheri, cozze e fagioli

Un piatto perfetto per la mezza stagione

di Franco Tozzi

Siamo arrivati a quella che una volta si chiamava

“mezza stagione”, ma che oramai è andata persa

come tante altre cose, abitudini, usanze che tra

mutamenti climatici e globalizzazione sono scomparse.

E proprio da mezza stagione è questa ricetta: ricordi del

mare, anticipo di terra.

Accademia del Coccio

Lungarno Buozzi, 53

Ponte a Signa

50055 Lastra a Signa (FI)

+ 39 334 380 22 29

www.accademiadelcoccio.it

info@accademiadelcoccio.it

La ricetta: paccheri, cozze e fagioli

Ingredienti (per 4 persone):

- 1 kg di fagioli secchi (meglio se cannellini)

da mettere in ammollo

- 1 kg abbondante di cozze

- 3 scalogni

- 1 spicchio di aglio, al quale togliere l’anima verde

- peperoncino macinato q. b.

- 1 ciuffo di prezzemolo fresco

- sale

- olio extravergine di oliva

Lavare bene le cozze, metterle in una padella con un bicchiere

di vino bianco ed uno di acqua e farle aprire a fuoco

vivo. Dopo aperte, abbassare il fuoco e tenerle per qualche

minuto, girandole nella padella. Toglierle dal fuoco e

sgusciarle, buttando i molluschi che non si sono aperti e

conservando il liquido rimasto in padella. Far raffreddare

il tutto e nel frattempo scolare e cuocere i cannellini dopo

averli tenuti in ammollo per tutta la notte. In una pentola

mettere due cucchiai d’olio, tre scalogni e uno spicchio

d’aglio schiacciato, quindi aggiungere i cannellini, senza la

loro acqua di cottura, il liquido di cottura delle cozze e far

amalgamare per almeno cinque minuti. Passare questo intruglio

col passatutto e nel frattempo cuocere i paccheri.

In una padella mettere un bicchiere d’olio, un bel pizzicotto

di peperoncino macinato, quindi togliere un po’ di acqua di

cottura dai paccheri ed unirla all’olio in padella. Aggiungere

le cozze e i paccheri al dente e finire la cottura mantecando

e unendo la crema di cannellini. Lasciare da parte un po’ di

cozze da aggiungere al piatto per decorazione, insieme ad

una pioggia di prezzemolo tritato.

72

PACCHERI, COZZE E FAGIOLI


A cura di

Michele Taccetti

Eccellenze toscane

in Cina

Le opportunità per le aziende toscane

nel XIV Piano Quinquennale cinese

di Michele Taccetti

I

piani quinquennali in Cina ( 五 年 计 划 Wŭ nián jìhuà) hanno

una storia molto particolare se messi a confronto con

gli altri paesi socialisti. Essi si configurano come uno strumento

fondamentale per analizzare le politiche della Repubblica

Popolare Cinese. Sin dal 1953, anno dell’approvazione

del primo piano quinquennale, essi hanno subito diversi cambiamenti,

che riflettevano le nuove direzioni impresse alla

politica economica dai pianificatori. Alcuni sono particolarmente

rilevanti, poiché possono essere considerati passi fondamentali

nel percorso di costante crescita economica del

paese a livello internazionale. Il sistema dei piani quinquennali

in Cina risulta di centrale importanza anche per le imprese

straniere: la grande dinamicità che li caratterizza in seguito

ai cambiamenti a cui sono stati sottoposti nel corso della storia

rende sempre più difficoltoso capire i passi successivi che

la Cina effettuerà nel suo percorso di crescita. Tuttavia, continuano

comunque ad essere un utile strumento di analisi per

comprendere quali siano i rischi e i vantaggi per gli investitori

stranieri. Il XIV Piano Quinquennale (2021-2025) si basa su

quattro pilastri fondamentali: dual circulation, indipendenza

scientifica e tecnologica, nuova urbanizzazione, green development.

La dual circulation è la combinazione della circolazione

interna, ovvero incentrare lo sviluppo della produzione

e dei consumi interni come motore principale dell’economia

cinese con la circolazione internazionale basata su investimenti

e commercio estero. Si evince quindi come il Governo

cinese punti ad una sempre maggiore autonomia dal punto

di vista economico, guardando al mondo internazionale attraverso

partnership con realtà produttive e commerciali straniere

che possano garantire la crescita tecnologica e qualitativa

e la presenza sui mercati strategici. L’indipendenza scientifica

e tecnologica è strettamente legata alla dual circulation e rappresenta

l’obiettivo primario dell’economia cinese. Se è vero,

infatti, che la produzione tecnologica, ad esempio nel settore

elettronico, è ormai quasi tutta in Cina, è anche vero che il numero

dei brevetti di innovazione cinesi è ancora troppo basso

rispetto al numero della popolazione. Se guardiamo alle innovazioni

rivoluzionarie degli ultimi dieci anni nel campo della

scienza e della tecnologia, la quota della Cina è ancora molto

al di sotto delle quote dei suoi brevetti in quantità. La nuova

urbanizzazione è un problema sociale che tiene conto delle

profonde trasformazioni economiche e sociali degli ultimi de-

cenni (per esempio, la riduzione del tasso di povertà al di sotto

del 5%). Da anni ci sono politiche nazionali volte a rallentare

i flussi migratori interni con programmi di urbanizzazione delle

aree rurali e in linea anche con gli obiettivi di ridurre l’intensità

energetica (quantità di energia necessaria per produrre

un punto di PIL) in coerenza con gli obiettivi di decarbonizzazione.

Il green development, infine, è un passaggio necessario

per costruire una civiltà ecologica, come indicato dagli obiettivi

di decarbonizzazione. Già da diversi anni i governi locali,

secondo le indicazioni del Governo centrale, hanno attuato

politiche di aumento di spazi verdi nei centri urbani, sviluppo

di aree boschive, promosso i mezzi pubblici elettrici per la circolazione

urbana ed extra urbana, sviluppato linee di treni ad

alta velocità per il collegamento interno del paese, promosso

progetti pilota di città green. Adesso la scommessa più grande

è la decarbonizzazione che è il combustile da cui dipende

tutta l’energia cinese. La Cina, per sostituire il carbone, sta

investendo non solo nelle tecnologie verdi, ma anche sul nucleare.

Questo piano quinquennale offre grandi opportunità

alle aziende italiane e toscane in special modo. Le eccellenze

toscane nel settore tecnologico, della architettura e della

progettazione urbana, insieme alla propensione all’internazionalizzazione

ed alla collaborazione con partner internazionali

tipiche dell’imprenditoria toscana, possono aprire nuove opportunità

in un mercato come quello cinese che guarda sempre

più a partnership con eccellenze dell’innovazione e della

ricerca. Un’occasione da non perdere, forse l’ultima per essere

partner di un paese che è destinato comunque ad essere

“il” mercato del futuro.

Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il

Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici

Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di

marketing ed internazionalizzazione.

michele.taccetti@china2000.it

China 2000 srl

@Michele Taccetti

Michele Taccetti

Michele Taccetti

PIANO QUINQUENNALE

73


B&B Hotels

Italia

Autunno sul lago con B&B Hotel

di Chiara Mariani

Cosa c’è di più rilassante e romantico del lago in autunno?

Quando le sue sponde si tingono di colori caldi

e le temperature sono ancora miti, il lago diventa la

meta ideale per una gita fuori porta. B&B Hotels, catena internazionale

con più di 580 hotel in Europa e Brasile, è presente

in Italia con ben due strutture sul Lago di Como, una

sul Lago Maggiore e una sul Lago di Garda, luoghi da sempre

affascinanti e meta di vacanze da parte di turisti di tutto

il mondo. Un’ospitalità, quella di B&B Hotels, volta a soddisfare

ogni tipo di esigenza e declinata in totale sicurezza grazie

al protocollo di sanificazione dedicato garantito dal Safety Label

High Quality Anti Covid-19, a tutela della salute di tutti. Il

Lago Maggiore, il più esteso dei laghi prealpini, da cui il nome

“Maggiore”, si circonda di ben 11 isole di straordinaria

bellezza, così come di ville e di imponenti rocche e castelli.

Non troppo lontano, si trova il B&B Hotel Malpensa Lago

Maggiore, situato in posizione strategica vicino al Parco Naturale

del Ticino, alla città di Varese e all’aeroporto internazionale

di Milano Malpensa. La struttura è la soluzione ideale

per esplorare le zone limitrofe, dalle quali potrai prendere numerosi

spunti per passare le tue vacanze. Dalle visite culturali

alle attività all’aperto, non avrai che l’imbarazzo della scelta.

Tutt’intorno al Lago di Garda, invece, potrai trovare borghi pittoreschi,

lidi e porticcioli, centri storici pieni di vita e parchi e

riserve naturali. Il B&B Hotel Affi Lago di Garda offre ottime sistemazioni

per rilassarsi dopo una giornata trascorsa al lago,

nella città di Verona oppure nei vicini parchi di divertimento

come Movieland, Gardaland o il Parco Natura Viva. La struttura

si trova vicino anche alle famose terme di Sirmione e agli

altri parchi termali del Garda. Denominato anche “Lario”, come

lo chiamavano i Romani, il Lago di Como ha incantato per

secoli artisti e viaggiatori come Ugo Foscolo, Giuseppe Verdi

e Stendhal. Concedersi dei giorni qui significa immergersi

in un luogo suggestivo fatto di paesaggi mozzafiato, ville ricche

di storia e città di meravigliosa bellezza. Tra queste spicca

Como, che si rivela la scelta perfetta per un week-end fuori

casa. Il B&B Hotel Como City Center, a soli 400 metri dalla stazione,

e il B&B Hotel Como, in zona Camerlata, a 2 km dall’uscita

dell’autostrada A9, sapranno accoglierti con servizi di

alta qualità e sempre all’insegna del relax e del comfort.

B&B Hotel Como City Center

74

B&B HOTEL


Su B&B Hotels

Destinazioni, design, prezzo. B&B Hotels unisce il calore e

l’attenzione di una gestione di tipo familiare all’offerta tipica

di una grande catena d’alberghi al miglior prezzo sempre

e solo su hotelbb.com. Un’ospitalità di qualità a prezzi

contenuti e competitivi, senza fronzoli ma con una forte

attenzione ai servizi. Colazione con specialità salate, dolci

e gluten free, camere dal design moderno e funzionale

con bagno spazioso e soffione XL, Wi-Fi in fibra fino a

200Mega, TV 43” con canali Sky e satellitari di sport, cinema

e informazione gratuiti. Nei B&B Hotels sono presenti

Smart TV che offrono un servizio di e-concierge per scoprire

la città a 360°.

B&B Hotel Malpensa Lago Maggiore

B&B Hotel Affi Lago di Garda

B&B Hotel Como

B&B HOTEL

75


Arte del

gusto

A cura di

Elena Maria Petrini

Alberto Lupetti

Al Modena Champagne Experience, intervista ad uno dei

massimi esperti al mondo del celebre vino francese

Testo e foto di Elena Maria Petrini

Il 10 e l’11 ottobre 2021 si è svolta Modena Champagne

Experience, la più grande manifestazione italiana

dedicata esclusivamente allo champagne organizzata

dalla Società Excellence, associazione che riunisce

diciotto tra i maggiori importatori e distributori di champagne.

Giunto quest’anno alla 4^ edizione, l’evento ha riunito

sessantacinque importatori e centoventuno maison in

gran parte rappresentate dagli stessi produttori francesi

presenti alla manifestazione. Un’occasione straordinaria

per conoscere e degustare più di seicento differenti tipologie

di champagne. Si tratta di un’esperienza sensoriale

unica nel suo genere perché pensata per esaltare passione

e tecnica in un contesto di alto livello professionale. I

quattro appuntamenti delle masterclass in programma sono

stati ideati proprio per offrire al pubblico la possibilità

di degustare bottiglie particolarmente rinomate sotto la

guida di grandi esperti a livello internazionale. Per le pagine

di questa rubrica abbiamo intervistato uno dei massimi

esperti al mondo di champagne, Alberto Lupetti, giornalista

con oltre duecento viaggi nella regione dove lo champagne

viene prodotto, oltre alla frequentazione assidua di

grandi chef de cave e vignerons di straordinaria ispirazione

e la partecipazione, come unico italiano, ad eventi e degustazioni

presso importanti maison. È inoltre ideatore e

curatore della guida Grandi Champagne e del sito LeMie-

Bollicine, con i quali divulga la conoscenza dello champagne

ad un pubblico sempre più ampio di professionisti e

appassionati. Autore del libro La mia Champagne, è Chambellan

dell’Ordre des Coteaux de Champagne.

Alberto Lupetti

Alla luce della grande esperienza da te maturata attraverso

i tanti viaggi nella regione della Champagne, cosa

consiglieresti a chi volesse avvicinarsi al mondo dello

champagne?

Va detto anzitutto che il Modena Champagne Experience è

una bella manifestazione promossa in una regione, l’Emilia

Romagna, che ha sempre rappresentato un mercato importante

per lo champagne, quindi sicuramente una scelta

vincente. Questo evento riscuote sempre grande successo

perché mette in contatto i produttori, o il loro tramite come

i distributori, con il pubblico che compra le bottiglie e

che, senza intermediari, le può acquistare e degustare. Cosa

consigliare? Di non inseguire i luoghi comuni, assaggiare

e leggere le guide di settore come la mia, farsi un’idea e

poi costruirsi il proprio gusto all’assaggio. Non esiste un

consiglio generico da dare, lo champagne si scopre assaggiandolo

e maturando un proprio gusto.

76

ALBERTO LUPETTI


Pensando ad un abbinamento tutto toscano, cosa suggeriresti?

Suggerirei sicuramente uno champagne di struttura, con

qualche anno alle spalle, abbinato alla Fiorentina, e trovo che

funzioni benissimo anche uno champagne bianco.

Secondo te, è importante per i giovani avvicinarsi alla conoscenza

dello champagne costruendosi il proprio gusto

oppure lo champagne non è per tutti?

Non sono d’accordo nel dire che non sia per tutti. È vero che

ha un costo d’ingresso che può limitarlo, ma ricordiamoci

che lo champagne è costoso ma non caro. Costoso perché

costa produrlo, in quanto l’uva in champagne ha costi molto

elevati, quindi soltanto di materia prima in una bottiglia ci sono

tra i 10 ed i 15 euro, insieme ad un ciclo produttivo di diversi

anni. Ci sarà quindi chi potrà permettersi una bottiglia

a settimana e chi una al giorno. Per quanto riguarda invece

la costruzione di un proprio gusto, consiglio di iniziare con

i grandi produttori, assaggiando gli champagne non millesimati,

e dopo passare a qualche piccolo produttore per vedere

l’altro lato dello champagne, in modo da farsi un’idea delle

due grandi categorie. Da quel momento in poi si può procedere

con i millesimati, i rosati e le couvée de prestige. Ricordiamoci

che lo champagne è un piacere e non un lusso. È un

piacere che qualcuno potrà permettersi più spesso e qualcun

altro meno, ma vale la pena di poterselo gustare.

Modena Champagne Experience

Champagne per tutti

Alle Terme Tettuccio di Montecatini, un festival dedicato ai piccoli vignerons

Testo e foto di Elena Maria Petrini

Lo scorso mese di ottobre si è aperto in Toscana con

il festival Champagne per tutti alle Terme Tettuccio

di Montecatini, in provincia di Pistoia. La manifesta-

zione, svoltasi il 2 e 3 ottobre, è dedicata allo champagne

dei piccoli vignerons, come anteprima della prossima manifestazione

che si terrà ad aprile 2022. Gli organizzatori, Plinio

Parenti e Mirko Boschi, quest’ultimo patron di Edro 21,

insieme ad Alessandro Benedetti hanno selezionato alcune

delle piccole realtà produttive per lo più a carattere familiare

che propongono champagne di alta qualità a prezzi accessibili

e difficili da reperire sul nostro mercato. All’interno della

manifestazione sono state effettuate da AIS Wine School le

“pillole di degustazione”, con approfondimenti sulle varie cuvée

presenti all’evento e con la direzione del vicepresidente

nazionale AIS Roberto Bellini, esperto ed autore di libri sullo

champagne. Anche per questa terza edizione, il servizio è

stato svolto dai sommelier della delegazione AIS di Pistoia.

Roberto Bellini, vicepresidente nazionale AIS

I sommelier AIS, delegazione di Pistoia, insieme agli studenti

dell‘Istituto Alberghiero di Montecatini

ALBERTO LUPETTI

77


Benessere e cura

della persona

A cura di

Antonio Pieri

Olio extravergine di oliva toscano IGP biologico

Un vero toccasana per la pelle

di Antonio Pieri

Dopo la vendemmia dei mesi di settembre e ottobre, a

novembre in Toscana c’è un appuntamento al quale

è impossibile mancare: la frangitura delle olive. Da

sempre l’olio extravergine di oliva è un prodotto immancabile

nella tradizione culinaria, in quanto ricco di principi attivi.

Fin dall’antichità le sue proprietà benefiche sono note anche

a livello cosmetico.

Non tutti gli oli sono uguali

L’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico è unico nel

suo genere. Si tratta infatti di una vera e propria spremuta

di olive, ricca di sali minerali e dalle forti proprietà emollienti,

lenitive e antinfiammatorie. Grazie a tutte queste proprietà

l’FDA (Food and Drug Administration) ha promosso l’olio extravergine

di oliva da alimento salutare a medicinale, e studi

dermatologici di comprovata serietà l’hanno accreditato come

l’alleato numero uno della pelle umana. Alcune delle sostante

che rendono unico questo olio sono:

- eleuropeina, azione antiossidante e regolatrice del rinnovamento

cellulare

- oleocantale, azione lenitiva

- fitosteroli, azione “bioattivante” e nutriente

- squalane, azione protettiva e idratante

- polifenoli, azione antiossidante

- tocoferolo, azione idratante, antinfiammatoria e lenitiva

In campo cosmetico l’olio extravergine di oliva toscano IGP

biologico è famoso soprattutto per la sua azione antiossidante,

in quanto riesce a prevenire l’invecchiamento cellulare

e cutaneo e a contrastare i dannosi effetti dei radicali liberi

come la rarefazione dell’elastina e del collagene, responsabili

del progressivo stato di atonicità e secchezza della pelle.

È un ottimo elemento nutriente per la pelle e la aiuta a ricostruire

il film idrolipidico messo a dura prova quotidianamente

da sole, luce, smog e fumo. Oltre a tutto ciò, è anche ricco

di grassi polinsaturi e monoinsaturi. Per questo viene definito

“sebo compatibile” e i prodotti per il corpo in cui è presente

riescono a nutrire in modo ottimale il derma stimolando la

produzione di nuovo collagene, ripristinando il giusto equilibrio

idrolipidico e salvaguardando l’elasticità e la morbidezza

della nostra pelle.

Linea Prima Spremitura di Idea Toscana

La linea Prima Spremitura, composta da prodotti per la cura

della persona come bagnoschiuma, shampoo e creme idratanti,

ha come principio attivo principale questo magnifico

olio, che la rende una vera e propria alleata per la cura della

propria pelle.

Linea Prima Spremitura Bio di Idea Toscana

La linea Prima Spremitura BIO per la cura della pelle del viso

è stata certificata Organic cosmetics (oltre il 95% di ingredienti

naturali) da Natrue e, come Prima Spremitura corpo, ha

come principio attivo principale l’olio extravergine di oliva toscano

IGP biologico, che la rende perfetta per contrastare i

segni del tempo, nutrendo in profondità la pelle del viso e donandole

luminosità e idratazione.

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Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl

e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici

naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.

Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,

ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.

antoniopieri@primaspremitura.it

Antonio Pieri

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