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Settembre 2022

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La Toscana nuova - Anno 5 - Numero 8 - Settembre 2022 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 3. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074


Emozioni visive

Riflessioni da spiaggia

Testo e foto di Marco Gabbuggiani

Sono in spiaggia, rilassato sul mio lettino con in mano uno

Spritz mentre penso a tutto e niente, guardando il mare che

si unisce al cielo in lontananza. Sorrido assorto nei miei pensieri

quando la vista dell’orizzonte mi fa venire in mente i terrapiattisti

e la loro convinzione che laggiù l’acqua cada nel

vuoto. D’altronde, come vuoi che siano i “pensieri da spiaggia”

se non frivoli e di poca sostanza? Accade poi che giro lo

sguardo e mi imbatto in un ragazzino di colore di 14 anni al

massimo. È magrissimo e suda molto mentre trascina faticosamente

il suo carrettino pieno di cappelli e giocattoli, dei

quali ha più importanza il peso che il misero prezzo di 1 euro.

Si ferma un secondo all’ombra di quelle cianfrusaglie che

quasi lo fanno sparire e si addormenta appoggiando la testa

sui suoi prodotti. Insieme alla tristezza di un’adolescenza

che non dovrebbe essere così per nessuno, mi tornano in

mente le foto super ammirate della coppia Ferragni-Fedez sul

jet privato per recarsi dove gli pare (mi sono rifiutato di leggere

l’articolo e quindi non lo so...). E allora tutto stride forte,

forse troppo per una mente preparata alla leggerezza estiva.

Ma non perché loro possono spendere per quel lusso mentre

quel ragazzino crolla dalla stanchezza invece di essere a divertirsi

come i suoi coetanei che lo circondano e che, chiedendogli

informazioni su quelle cianfrusaglie, lo svegliano

dal sonno. Non per quello! Stride perché troppi adolescenti

sognano e cercano di imitare la coppia d’oro ostentando falsi

splendori con mille selfie, senza rendersi conto però che la

vita vera è quella del giovane venditore di giocattoli in spiaggia

e non quella della donna più famosa d’Italia. Penso che

proprio questi personaggi famosi, visto il ruolo che rivestono,

dovrebbero educare e non illudere i loro fan. Educarli con

valori morali, mostrando maggiore normalità e non immagini

narcisiste degne di una favola e non della realtà che è invece

ben diversa. E mentre i pensieri si accavallano, mi vengono

in mente personaggi autentici e positivi come ad esempio

la principessa Diana, totalmente priva di ostentazione o vanto.

Un’ostentazione che a lei sarebbe stata sicuramente perdonata

ma che non ha mai palesato pur facendo cose utili e

di insegnamento per le generazioni future. Il paragone stride

troppo, il nervoso sale alle stelle. E allora scendo dal lettino,

prendo 10 euro per regalare un sorriso a quel ragazzino e mi

tuffo in acqua. Meglio raffreddare questi pensieri che mi turbano;

le vacanze devono essere fonte di relax e non di stress

generato dalla constatazione dei falsi miti ai quali purtroppo

rischiano di credere le nuove generazioni…

marco.gabbuggiani@gmail.com

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realtà per l'auto in Toscana

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SETTEMBRE 2022

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Il trittico di Nicolas Froment torna in Mugello con il progetto Terre degli Uffizi

Ancora un attimo per favore: il viaggio nella memoria di Giovanni Bogani

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Periodico di attualità, arte e cultura

La Nuova Toscana Edizioni

di Fabrizio Borghini

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Tel. 333 3196324

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Anno 5 - Numero 8 - Settembre 2022

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Polvere di stelle

A cura di Giuseppe Fricelli

Sarah Ferrati

Un mito irripetibile del teatro italiano

Nella sua arte era facile apprezzare

la perfetta interpretazione

di tutti i personaggi

cui dava vita in scena. L’atmosfera

magica che l’attrice creava è qualcosa

che ci incanta ancora oggi

ascoltandola in vecchie registrazioni.

Sarah Ferrati, con il suo intenso

sguardo ed i suoi meravigliosi occhi

espressivi, direi parlanti, sapeva

far trasparire e cogliere i sentimenti

più veri e profondi. Quando entrava

in scena era come se si mettesse in

contatto con l’autore che stava interpretando

e captava tutta l’attenzione

dello spettatore. La sua esile figura

riempiva il palcoscenico e tutto il

pubblico la seguiva rapito dall’inconfondibile

personalità. Le vibranti ed

infinite sonorità vocali che l’esecutrice

possedeva erano tali da poter realizzare

qualsiasi timbro di voce che

necessitava al momento. Quanta

musicalità nel fraseggio vocale uti-

lizzato dall’interprete! Le pause erano sempre giuste, magiche,

irripetibili. I fiati ed i respiri che realizzava in scena

erano degni di uno straordinario cantante. Il messaggio intimo,

profondo, vivo, il rigore tecnico che questa eccellente

attrice ci ha donato rimarranno come una pagina indelebile

nell’arte della recitazione. Il teatro vive di libertà espressiva

ma rispettosa del testo scritto: tutto questo Sarah Ferrati lo

sapeva bene. Leopardi diceva che la chiarezza è il primo desiderio

dello scrittore: «Non ho mai lodato l’avarizia dei segni

e vedo che spesse volte una virgola ben messa, dà luce

a tutto un periodo». Lo stesso Claude Debussy, che era un

perfezionista della dinamica musicale, riteneva che il compositore

dovesse coadiuvare l’esecutore con l’invito scritto

dalla “punteggiatura espressiva” nel brano composto. I

timbri di voce di Sarah Ferrati mi ricordano l’infinita varietà

di colori contenuti in una tavolozza utilizzata dai grandi pittori

impressionisti. A volte utilizzava una voce sospirata,

di Giuseppe Fricelli

Sarah Ferrati nel 1954 (ph. Paolo Monti)

grave ed intensa, da sembrare un filo di nebbia mattutina

o l’ultimo raggio di sole serale, divenendo poi all’improvviso,

con un cambiamento vocale, una vera furia travolgente,

come una tempesta. Termino il mio scritto dedicato a questa

grande interprete dicendo che è stata per me una gioia

immensa averla potuta ascoltare più volte, averla conosciuta

personalmente, averle parlato ed aver appreso da lei, imitandola

nella mia professione di pianista, alcuni respiri e

pause magiche. Sarah Ferrati è stata dunque un’attrice moderna,

un mito irripetibile del teatro italiano.

www.florenceartgallery.com

Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi

in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e

camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche

di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso

i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.

SARAH FERRATI

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Mostre in Toscana

Effimero

Al Centro Espositivo Culturale San Sebastiano una mostra a

quattro mani per denunciare il disagio giovanile

Effimero è il titolo della mostra i cui protagonisti, il pittore

Marco Campostrini e la giornalista Alessandra

Bruscagli, hanno lavorato a quattro mani per affrontare

un tema tanto inusitato quanto attuale. Sia i dipinti di

Campostrini che le liriche della Bruscagli che li accompagnano,

raccontano infatti il disagio giovanile caratteristico del

nostro tempo. Abbiamo chiesto ai due autori il perché di questa

scelta: «È una passerella dedicata ai giovani apparentemente

vestiti di gioia e di colori, ma esitanti e fragili nei

sentimenti che il più delle volte non sanno esprimere, non riescono

a condividere. Abbiamo voluto mettere l’accento su

questo momento storico così difficile per tutti ma per i nostri

ragazzi in particolare solo per far riflettere educatori, famiglie

e amici su queste problematiche. Il nostro intento è quello di

sottolineare dei fatti, non vogliamo insegnare niente a nessuno

perché non ne saremmo in grado e non è nostro compito».

I dipinti di Marco Campostrini mettono allegria: volti sorridenti,

tanti colori, vestiti sgargianti, giochi e gioventù. Ciononostante

è facile avvertire in queste figure un timore che

serpeggia nel profondo delle loro anime, una malinconia ladi

Annamaria Isola

tente. Le liriche di Alessandra Bruscagli, quasi tutte scritte in

prima persona, non dimenticano di dare un senso di cambiamento,

di miglioramento, di fiducia nel futuro. «Abbiamo intitolato

l’iniziativa Effimero – proseguono i due autori – perché

tutto è effimero, anche la vita, e quindi temporaneo, transitorio,

persino i momenti difficili che, col tempo, si rivelano anch’essi

provvisori e fugaci. Occorre coltivare la speranza, la

voglia di cambiare, di dare una svolta alla propria esistenza

e chiedere aiuto senza esitazioni. È questo che noi vogliamo

dire con forza: il sole sorge ogni giorno e ci illumina! Aggiungiamo

inoltre che Effimero è una mostra che non si può

raccontare a parole, va vista da vicino, bisogna soffermarsi

quadro dopo quadro e leggere la poesia corrispondente».

L’evento si terrà il prossimo 10 settembre e fino al 25 dello

stesso mese presso il Centro Espositivo Culturale San Sebastiano

a Sesto Fiorentino, in piazza della Chiesa, a due passi

dall’antica pieve di San Martino. Per l’inaugurazione è prevista

la lettura di alcune liriche interpretate dall’attore Alessandro

Calonaci. Orari di visita: sabato ore 10/12 e 16.30/19;

domenica ore 10/12; dal lunedì al venerdì ore 16,30/19.

Diversa prospettiva

Unʼalba che tarda

8 EFFIMERO


Ritratti d’artista

Varren

Le opere dell’autodidatta “sapiente”

in mostra allo Spazio Espositivo

San Marco dal 10 al 20 settembre

Conoscere Varren è una scoperta cosmica; egli proviene

dalla terra, quella verso cui bisogna inchinarsi, non quella

dei pastori arcadi. Inizia giovanissimo a sporcarsi le mani

in tanti lavori pratici: è carpentiere, falegname, imbianchino, idraulico,

elettricista, un vero factotum e, al tempo stesso, un intelligente

osservatore di quanto gli passa tra le mani, soprattutto quando

deve intervenire in situazioni di degrado o ripresa dell’antico. E qui,

nel suo lavoro pratico, ma raffinato, scopre la decorazione d’interni.

È un amore a prima vista: Varren si trasforma in restauratore

filologico, pur senza avere quella che si dice una cultura accademica

alle spalle. Solo pratica? No, perché – e lui ci tiene a ribadirlo

– ha “solo” la quinta elementare e non ha affrontato studi superiori

con diplomi che ti dichiarino “maestro d’arte” oppure “pittore”,

“scultore”, “grafico”. Tuttavia, la sua fervida intelligenza e la sua

altrettanto pervicace curiosità intellettuale lo portano a scoprire

l’arte, prima con la visione occasionale, poi con la lettura mirata

di pubblicazioni specifiche. Quindi, l’incontro con la sanità: Varren

entra nel circuito ospedaliero modenese come infermiere del comparto

ortopedico, nello specifico “colui che fa e mette i gessi”. Con

la manualità e l’esperienza che si ritrova, definirlo abile è poco. Ma

questa sua vita lavorativa lo porta a conoscere profondamente la

sofferenza umana, fisica, psichica, spirituale. E la sua arte, parallela

e sostegno della sua vita lavorativa, cresce con i suoi pervicaci

amori. Il primo, la moglie e compagna di vita, Pina, sua ispiratrice

non solo morale; poi il Dalì del sogno delirante, l’autore del Crocifisso

sospeso sul mondo e dei ritratti scavati. Il terzo, la natura

della grande campagna emiliana, fatta di spazi verdi e coltivati, di

foglie che narrano la vita all’uomo. Il quarto, il Cristo nudo, violentato

nell’atroce passione che, prima di essere dolore fisico, è coscienza

di sacrificio per un’umanità pronta al tradimento fraterno

e all’egoismo. Così, Varren prende il pennello e comincia a presentare

grandi spazi aperti, verdi, con un orizzonte montano o cittadino

schematizzato, con una coscienza sacrale che lo fa raccordare,

concettualmente, a un Beato Angelico, commissariato da Klee e

da Kandinsky. I suoi quadri sono, sin dall’inizio, fortemente cromatici,

con la caratteristica del geometrismo strutturale. Frequendi

Mario Bizzoccoli

temente nelle opere più marcatamente geometriste compaiono

strutture a travi, aperte in prospettiva esplosa, spesso sostitutive

della croce classica, oppure vuoti spazi aperti che indirizzano l’attenzione

dell’osservatore oltre l’orizzonte. La sua produzione inizia

negli anni Settanta del secolo scorso, esposta, soprattutto, negli

spazi italiani centromeridionali, nella fattispecie al Circeo, dove incontra

tanti artisti e intellettuali e riceve i primi riconoscimenti. Poi,

nel ventennio successivo, ad un aumento della sua produzione artistica,

corrisponde una progressiva assenza dagli spazi espositivi

dettata non da timori o rifiuti, ma da una ricerca non solo formale.

Intanto, Varren scopre il Bauhaus, ne trova delle corrispondenze

incredibili e rispunta un altro dei suoi grandi amori: il legno. Da

quel momento, le sue opere si avvicinano all’installazione, al tattile,

alla mediazione tra pittura, scultura, grafica, legate da un senso

sempre cromatico puro, a cui si aggiunge una consapevolezza armonica.

La figura umana, sempre sintetizzata, è, molte volte, fantasmatica,

ripetuta quasi ossessivamente in situazioni di pericolo

e tristezza; le tematiche del migrante scacciato dalla sua terra e

condannato a morire in mare o nei deserti, dello sfruttato che soccombe

sotto il peso di un lavoro inumano, diventano costanti. Accanto

al geometrismo tattile, ecco comparire le sue farfalle, veri

simboli di vita, filosoficamente trasformate, ma sempre splendidamente

descritte con colori decisi e simbologie. La sua volontà

creativa lo fa tornare, frequentemente, al Cristo, ora non solo crocifisso,

ma resuscitato, vivente, espresso non in maniera figurativa

con voli di foglie verdi che ne formano la sagoma. Varren, l’autodidatta,

comunica, con umiltà e decisione, con una visione artistica

che ha un vero nome: solidarietà.

Le opere di Varren saranno esposte in personale allo Spazio

Espositivo San Marco in via San Zanobi 45 rosso a Firenze

dal 10 al 20 settembre 2022.

VARREN

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I grandi della fotografia

A cura di Maria Grazia Dainelli

Uliano Lucas

La fotografia come strumento di riflessione culturale e indagine sociologica

negli scatti di un maestro del reportage e intellettuale controcorrente

Quando ha iniziato ad appassionarsi alla fotografia?

Ho iniziato da ragazzo a Milano frequentando il Bar Gia-

maica, nel quartiere Brera, luogo di incontro in quegli anni

di pittori, scultori, fotografi e letterati. È stata la mia università,

ho passato anni con queste persone, interessandomi di tante cose

e soprattutto di cinema che, attraverso il suo potente linguaggio

visivo, ha contribuito a farmi apprezzare la fotografia. Sono

cresciuto parlando con Ugo Mulas, Mario Dondero, Giulia Niccolai,

Alfa Castaldi e valorizzando il rapporto umano in un mondo

aperto e intelligente. Sono sempre stato un ragazzo curioso e,

dovendo scegliere una professione, la fotografia mi è sembrata

la più congeniale per me per la libertà che mi concedeva nella gestione

del tempo. Mi sono occupato di giornalismo fotografico

da autodidatta non essendoci allora scuole di giornalismo. Fin

da subito, ho lavorato come libero professionista e fotoreporter

free-lance, iniziando ad osservare e a raccontare la realtà.

di Maria Grazia Dainelli / foto di Uliano Lucas

Qual è stato negli anni il suo rapporto con l’editoria?

Ho collaborato con numerosi mensili e settimanali italiani e

stranieri nei quali mi riconoscevo sia culturalmente che politicamente:

L’Espresso, L’Europeo, Il Mondo. I direttori dell’epoca acquistavano

i miei reportage realizzati in assoluta libertà, per loro

rappresentavo una finestra sul mondo. Ho potuto così raccontare

le guerre in Africa e a Sarajevo, la vita nelle fabbriche e nei manicomi,

la trasformazione delle città e in generale tutto quello che

mi incuriosiva nella società di quegli anni. La fotografia veniva

acquistata come merce preziosa, la carta stampata produceva

giornali di una bellezza unica. Un mondo che oggi non esiste più.

Negli ultimi venticinque anni molti fotografi sono diventati poco

più che illustratori, quelli che mancano invece sono gli interpreti.

Com’è cambiato il suo linguaggio fotografico dagli esordi

negli anni Sessanta ad oggi?

Ognuno è figlio della propria epoca. Gli anni Sessanta sono stati

anni fortunati, c’era una forte idea del futuro, una grande curiosità,

erano ancora vivi e pulsanti gli ideali del dopoguerra. In quel

periodo ho scelto di raccontare un mondo di invisibili a cui non veniva

dato spazio sui giornali, di documentare la storia di un grande

cambiamento della società italiana, a differenza di tutti quei

settimanali che come Gente, Oggi e Famiglia Cristiana vendevano

milioni di copie ma non raccontavano la realtà del paese perché

allineati al pensiero politico dominante. Ho fotografato i manicomi,

le fabbriche e gli operai che, emigrati al nord, hanno permesso

il miracolo economico, i luoghi dove vivevano, le loro giornate e gli

amori. Era una società in fermento, e tuttavia ancora caratterizzata

da vecchi meccanismi conservatori. Il ’68 ha spazzato via tut-

to segnando l’inizio di una nuova epoca anche in fotografia, con

maestri come William Klein e Robert Frank, con i quali è stato inevitabile

confrontarsi.

Quale tra i libri da lei pubblicati è più rappresentativo del

suo lavoro fotografico?

Da sempre l’Italia è carente di critici fotografici e storici della

fotografia. Per questo motivo è mancato nel nostro paese un

dibattito culturale capace sia di migliorare la comunicazione visiva

che di attribuire spessore e dignità al ruolo del fotoreporter.

Ancora oggi sono pochi i luoghi in Italia dove organizzare mostre

fotografiche, promuovere dibattiti, raccogliere archivi fotografici

importanti come quelli di Luciano D’Alessandro, Federico

Garolla, Lisetta Carmi. In questo scenario ho sentito la necessità

di raccontare la storia del fotogiornalismo con il libro La realtà

e lo sguardo scritto insieme a Tatiana Agliani dopo aver lavorato

molti anni e aver intervistato numerosi fotografi. È un libro che

ha avuto successo, tanto da diventare un testo universitario. Sono

convinto che la storia della fotografia e della comunicazione

visiva in generale dovrebbero essere insegnate a scuola e nelle

università, proprio come si fa con la storia dell’arte.

Cos’è per lei la fotografia?

Scavare nella complessità della società e tentare di raccontarla

con le immagini: credo sia questo il compito del fotografo.

In Italia si parla spesso di fotografia artistica distinguendola

dal genere del reportage. Personalmente, ho sempre con-

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ULIANO LUCAS


siderato i bravi fotoreporter della mia epoca non come artisti

prestati al giornalismo ma come intellettuali capaci di documentare

la storia dell’umanità andando oltre la semplicità

della fotografia di cronaca. Il mio archivio non ha un valore

artistico ma culturale. Negli anni mi è capitato spesso di affrontare

temi scomodi o poco graditi a molti giornali che per

questo non pubblicavano le mie foto. E io ho risposto andando

avanti sulla mia strada, realizzando mostre e pubblicando libri.

Com’è nata l’idea di fondare il Centro della Fotografia Italiana

a Brescia?

L’idea è nata otto anni fa da Renato Corsini, fotografo, architetto

e abile operatore culturale, insieme a mia figlia Tatiana Agliani, a

Gianni Berengo Gardin e a Maurizio Rebuzzini, quando a Brescia

l’amministrazione comunale ha abbracciato il progetto consentendoci

di creare un luogo dove promuovere mostre fotografiche

di livello ed animare il dibattito sulla cultura visiva in Italia ancora

oggi poco significativo. Basti pensare al fatto che i testi importanti

sulla storia e sui significati della fotografia continuano

ad essere quelli di autori stranieri come Susan Sontag e Roland

Barthes, mentre mancano saggi di autori italiani. Insieme a mostre

inedite, come quella di Caio Garrubba, nel Centro ha sede

anche l’esposizione permanente degli scatti dei maggiori protagonisti

della fotografia italiana come Carlo Bavagnoli, Romano

Cagnoni, Mario Dondero e Carla Cerati.

Di recente ha realizzato una mostra fotografica con Tano

D’Amico e Letizia Battaglia. Che cosa vi lega?

Abbiamo tre modi di vedere la realtà e tre formazioni politico-culturali

diverse ma tutti e tre abbiamo fotografato la città,

analizzandone la vita politica e culturale. Nella mostra ci ha uniti

il tema della strada, che tante volte è stata palcoscenico delle

nostre fotografie per raccontare la vita di ogni giorno, le grandi

manifestazioni, i cortei, le proteste che hanno rappresentato momenti

salienti della storia sociale italiana. Tano D’Amico è riuscito,

rompendo gli schemi, a raccontare gli anni Settanta e Ottanta

con una visione introspettiva e un rapporto diretto con le persone.

La stessa cosa ha fatto Letizia Battaglia, che ha fotografato

la vita della gente comune, in particolare donne e bambine, e le

stragi di mafia nelle strade della sua Palermo.

Qual è il reportage fotografico al quale tiene di più?

Quello realizzato negli anni Settanta in Guinea Bissau dove mi

sono recato per fotografare il popolo che combatteva contro il

colonialismo portoghese per far nascere la democrazia. Ho vissuto

con loro, fotografando scuole e ospedali da campo. Le foto

hanno fatto il giro di numerose redazioni italiane, ma anche spagnole

e francesi per raccontare una guerra dimenticata. Il libro

che ne ho tratto, Guinea Bissau / Una rivoluzione africana, è stato

donato, con mio grande orgoglio, a Papa Paolo VI come testimonianza

della nascita di una nuova democrazia

in occasione del suo incontro con i tre leader di

Mozambico, Guinea Bissau e Angola.

Che consigli darebbe ad un giovane che volesse

iniziare la professione di fotoreporter?

Oggi è impossibile intraprendere questa professione

da autodidatta, in un sistema globale

come quello in cui viviamo è difficile esprimersi

con le immagini in maniera efficace senza

aver seguito studi universitari e post universitari

e senza far parte di agenzie di stampa o

di altre organizzazioni di alta professionalità.

Oltre a questo bisogna anche sapersi muovere

in ambienti spesso ostili, essere imprenditori di

sé stessi e avere un certo spessore culturale.

www.ulianolucas.it


Arte e nuove tecnologie

Intelligenza artificiale e creazione artistica

Il ruolo fondamentale dell'intervento umano

di Alessandro Bellini / foto courtesy Mathema

Alcuni ritengono che l’uomo sia destinato ad essere

soppiantato da robot, cattivi e crudeli, guidati dall’intelligenza

artificiale. Macchine che potranno sostituire

l’essere umano anche nelle sue attività più nobili e creative

Paesaggio generato interamente con il software Disco Diffusion

Paesaggio realizzato con l’intelligenza artificiale a partire dal dipinto di Filippo

Cianfanelli nella foto sotto

come l’arte. Ogni giorno si ha notizia di un nuovo sistema di intelligenza

artificiale in grado di produrre opere artistiche semplicemente

a partire da una descrizione a parole. Dall-E 2, Imagen,

Midjourney, Disco Diffusion sono alcuni tra i software di cui si

sente maggiormente parlare e che, effettivamente, consentono

di produrre immagini in grado di stupire. Ma è proprio vero che

l’intelligenza artificiale può sostituire l’artista? Cerchiamo di capirlo

attraverso alcuni esempi. La figura 1 rappresenta un paesaggio

“sintetico”, cioè generato esclusivamente da un sistema

di intelligenza artificiale (in questo caso è stato usato Disco

Diffusion). Non male vero? Eppure, osservando attentamente

l’immagine, notiamo dei particolari inquietanti, nelle punte dei

cipressi, nelle nuvole tra i monti, nell’atmosfera cupa e distopica.

Confrontando questa scena con un altro paesaggio (fig. 2),

sempre ottenuto con tecniche di intelligenza artificiale (questa

volta è stato utilizzato VQGAN) ma a partire da un quadro del

pittore Filippo Cianfanelli, celebre per i suoi panorami toscani

(fig. 3), appare lampante la differenza. L’intelligenza artificiale

continua ad aggiungere elementi non convenzionali ad un’opera

tradizionale, ma si nota un’altra atmosfera, più rilassante e

positiva. In altre parole: più umana. Si potrà obiettare che questo

è solo un esempio. È vero, questo è solo un esempio, ma in

Mathema, la ditta fiorentina che si occupa di arte e intelligenza

artificiale, di esempi così se ne vedono a migliaia e tutti confermano

la stessa cosa: la mano dell’uomo è indispensabile per

rendere un’opera pienamente soddisfacente dal punto di vista

artistico. La prova del nove? Basta confrontare l’immagine con

le foglie di mais scattata in Togo (fig. 4) con la stessa immagine

trasformata in una composizione artistica usando l’intelligenza

artificiale (fig. 5). A quale conclusione si può giungere?

È sufficiente una semplice foto naturalistica per creare un’immagine

con qualità artistiche grazie all’intelligenza artificiale.

La mano dell’artista però non può essere sostituita: è l’unica in

grado di fare davvero la differenza.

Foglie di mais del Togo; nella foto accanto lo stesso soggetto trasformato in

una composizione artistica

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INTELLIGENZA ARTIFICIALE E CREAZIONE ARTISTICA


Spunti di critica fotografica

A cura di Nicola Crisci

William Klein

Nato a New York nel 1928, William Klein è considerato

uno dei padri della street photography. In realtà,

oltre che fotografo, durante la sua vita, trascorsa

fra l’Europa e gli Stati Uniti, Klein è stato anche scultore, pittore

e regista contraddistinto sempre da un atteggiamento

anticonformista. Diventa un fotografo di moda quotato lavorando

per la rivista Vogue. «Con la fotografia – afferma

– potevo parlare della vita, cosa che non potevo fare con la

pittura». Nel periodo in cui lo sguardo “armonico” di Henry

Cartier Bresson dettava legge, Klein si dedica ad una sperimentazione

formale e contenutistica che ribalta ogni regola

di composizione. Le sue immagini non sono quasi mai pulite

ed ordinate, ma fuori fuoco e mal composte; nonostante

questo però emanano una carica e una vitalità che ha fatto

scuola ad un’intera generazione di fotografi. Klein, in effetti,

è in grado di trasformare l’errore in nuovo metodo espressivo.

Alla fine degli anni Cinquanta diventa assistente di Federico

Fellini, che lo nota proprio grazie ai suoi reportage

realizzati per le strade delle città. Le sue seducenti modelle

non posano in studio: attraversano le strisce pedonali di

Roma, salgono una scalinata, si trovano su di un set oppure

davanti ad uno specchio. Con altrettanto successo e talento,

Klein ha saputo dedicarsi alla fotografia di moda, tanto

da essere considerato uno degli autori di punta di Vogue.

Poliedrico, sfaccettato, innovatore, capace di fondere stili e

generi, cinema, fotografia e pittura; insomma un artista a tut-

Lo sguardo innovatore e anticonformista

di uno dei padri della street photography

di Nicola Crisci / foto William Klein

Cinecittà (Roma, 1956)

totondo. Nel 2013, all’età di 86 anni, sorprende tutti: prende

in mano di nuovo una macchina fotografica e, sessant’anni

dopo il suo libro Life is Good

and Good for You in New York, si

mette a raccontare Brooklyn con

immagini a colori che dimostrano

l’immutata vitalità del suo sguardo

e la sua voglia di continuare a

fotografare sempre con energia,

audacia e spirito di ribellione. La

rivista Professional Photographer

of America lo ha inserito al venticinquesimo

posto fra i cento fotografi

più influenti al mondo.

Pepsi (New York, 1955) Sophia Loren (Roma, 1960)

WILLIAM KLEIN

13



Note dʼarte

A cura di Rosanna Bari

La Madonna della scala e la Battaglia dei centauri

Le due opere giovanili di Michelangelo restaurate grazie alla donazione dei

Friends of Florence

Testo e foto di Rosanna Bari

A

inizio marzo, al Museo di Casa Buonarroti, è stato

presentato il restauro dei due rilievi di Michelangelo

realizzati all’età di appena quindici anni: la Madonna

della scala e la Battaglia dei centauri. Il restauro è

stato donato dalla Fondazione Friends of Florence che, come

sottolineato dalla presidente Simonetta Brandolini d’Adda,

si occupa della tutela del patrimonio michelangiolesco.

Il lavoro, eseguito da Daniela Manna e Marina Vincenti, è

stato preceduto da uno studio diagnostico non invasivo, seguito

da un’accurata operazione di pulizia che ha ridato ai

due marmi quei vigorosi effetti cromatici e di luce che pian

piano il tempo aveva offuscato. Le due opere furono scolpite

da Michelangelo durante la sua formazione nel Giardino

mediceo di San Marco, dove, sotto la guida di Bertoldo

di Giovanni, ultimo allievo e collaboratore di Donatello, i giovani

artisti si esercitavano copiando dalle collezioni di arte

antica della famiglia Medici. Nella Madonna della scala, rea-

Madonna della scala

Battaglia dei centauri

lizzata nel 1490, Maria è ritratta di profilo, seduta su un sasso

squadrato con in braccio il Bambino mentre, con sguardo

profetico, guarda in lontananza, come a voler distogliere la

sua attenzione dal figlio di cui conosce già il triste e doloroso

destino. Visto di spalle il Bambino, protetto dalla madre

che teneramente lo copre con un lembo della sua veste,

sembra essere profondamente addormentato. A sinistra, su

una scala che domina quasi la metà del rilievo, si intravedono

dei bambini. Scolpita tra il 1491 e il 1492, la Battaglia dei

centauri rimase incompiuta, forse a causa della morte di Lorenzo

il Magnifico, committente dell’opera. Il soggetto, definito

da Vasari la Battaglia di Ercole coi centauri, sembra la

rappresentazione di una scena di azione e di forza piuttosto

che la descrizione di uno specifico episodio mitologico. Palese

l’interesse dell’artista verso la descrizione di una marcata

espressività emotiva, come per esempio la rabbia o il

dolore dei lottatori avvinghiati in un violento combattimento.

I due marmi, seppur

scolpiti da un adolescente

Michelangelo, risultano

fortemente caratterizzati

da elementi riscontrabili

in opere della sua produzione

più tarda. Oltre al

restauro dei rilievi è stata

riallestita anche la sala

in cui le opere sono custodite.

Il nuovo sfondo

color antracite consente

oggi alle loro superfici di

avere un maggiore risalto,

mentre la moderna illuminazione

permette al

visitatore di godere di una

chiara lettura fin nei minimi

dettagli.

Nata ad Augusta (SR) e residente a Firenze da circa

venti anni, Rosanna Bari ha maturato esperienze nel

campo dei beni culturali (catalogazione per le Sovrintendenze

di Siracusa, Palermo e Firenze e organizzazione

eventi espositivi e di svago) e della divulgazione grazie al conseguimento

della qualifica di guida turistica di Firenze e provincia.

Scrive articoli d'arte per il periodico San Sebastiano

della Misericordia di Firenze e cura il blog Arte: i tesori di Firenze

per il quotidiano online FirenzeToday.

+ 39 339 1667051

rosannabariguida@gmail.com

OPERE DI MICHELANGELO RESTAURATE

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Dal teatro al sipario

A cura di Doretta Boretti

Monica Menchi

Dopo un’importante carriera come attrice e regista, la scelta dell’insegnamento

per trasmettere a giovani e adulti l’amore per il teatro

di Doretta Boretti / foto courtesy Monica Menchi

Ci troviamo a Pistoia, famosa città storica toscana, per

incontrare Monica Menchi, affermata attrice di cinema,

teatro, televisione, regista di numerosi spettacoli e insegnante

di teatro.

Come si è innamorata del teatro e a che età?

Credo di esserci nata con l’amore per il teatro, in particolare

per la regia. Quando ero all’asilo, dopo aver assistito

ad uno spettacolo circense, ho avvertito l’esigenza di disegnare,

su di un quaderno, quello che avevo visto, ricostruendo

tutte le scene osservate. A dieci anni feci il mio

primo spettacolo da regista. Ero una bambina molto creativa,

poi quando diventai una professionista, le poche volte

che ho tentato di distaccarmi dal teatro, il teatro mi ha

sempre recuperata.

Ha frequentato la prestigiosa Accademia Silvio D’Amico.

Quali sono i ricordi legati a quella esperienza?

Quando sostenni l’esame per entrare all’Accademia Silvio

D’Amico lo detti anche per entrare al Centro Sperimentale di

Cinematografia. Li superai tutti e due ma scelsi l’Accademia;

non perché non considerassi formativo il Centro Sperimentale

ma dall’Accademia erano usciti grandi attori: Anna Magnani,

Paolo Stoppa, Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Giulio

Bosetti, Monica Vitti, Giancarlo Giannini e tanti altri. Sono

stati quattro anni molto impegnativi, entravi la mattina alle 8

e 30 e a volte non sapevi quando uscivi alla sera. Una scuola

molto formativa: ore e ore di recitazione, musica, danza,

scherma. Ricordi brutti non ne ho, anzi, ho incontrato grandi

maestri; ricordo con affetto e stima Mario Ferrero, con cui

ho fatto un percorso recitativo in versi veramente importan-

Monica Menchi (ph. Serena Carradori)

In Edith Piaf/ tra storia e mito (ph. Sandro Nerucci)

16

MONICA MENCHI


Ph. Sandro Nerucci

te. Devo ammettere che è grazie ai miei sforzi e a quelli dei

miei docenti se ho acquisito gli strumenti che mi hanno permesso

di diventare la professionista che sono. Qualche volta

mi mancava la mia famiglia, a quel tempo ero molto giovane,

ma tornerei a quei momenti anche adesso.

Che incontro è stato, il suo, con la regista Cristina Pezzoli?

Un incontro fondamentale. Purtroppo Cristina è scomparsa

due anni or sono. Con lei ho fatto tanti lavori e quello più importante,

che mi ha permesso di girare l’Italia e che ha avuto

un enorme successo, è stato La vita accanto, dal romanzo di

Mariapia Veladiano, con la drammaturgia di Maura Del Serra.

Dopo alcune importanti esperienze cinematografiche ha

iniziato ad insegnare. Che cosa ha suscitato in lei questa

nuova esperienza?

All’inizio non avevo il desiderio di insegnare anche se mi dicevano

che ero molto portata. Quando iniziai a lavorare con registi

affermati, cercai di osservare attentamente il loro modo di

lavorare e devo ammettere che, dopo le prime esperienze recitative,

iniziai da quello, a fare regia, che era sempre stata poi

la mia passione originaria. Dalla regia all’insegnamento il passo

è stato breve. Riconosco di essere molto severa. Ho insegnato

e insegno a giovani dai 16 anni, a persone anche ultra

settantenni. La bellezza del teatro è proprio quella di vedere

giovani e meno giovani in una simbiosi collaborativa generazionale.

Vedere sul un palco gente di tutte le età lavorare in una

piacevole armonia: questo è teatro. L’esperienza con i bambini

piccoli è troppo impegnativa per me, l’insegnamento con loro

deve essere un gioco. Ci vogliono persone qualificate per gestire

i bambini. È un percorso pre-artistico.

Ph. Laura Pelagatti

Pensa che sia utile per tutti fare un’esperienza recitativa e,

se sì, perché?

È utile perché ho visto a volte gente timida, introversa e molto

chiusa trasformarsi dopo un’esperienza teatrale. Ci sono state

persone che all’inizio mi hanno detto: «Io sul palco mai». E poi invece…

È una grande soddisfazione perché vuol dire che come insegnante

hai dato qualcosa e hai fatto amare il teatro. Tuttavia

ci sono alcuni che non sono proprio compatibili con questo tipo

di esperienza, perché a volte vengono fuori delle cose che la recitazione

non può sanare. Quindi direi che il teatro non è per tutti.

A breve inizieranno i suoi nuovi corsi. Chi fosse interessato

dove può trovare le indicazioni per iscriversi?

Sulla mia pagina Facebook e a questi contatti:

+ 39 3387290938 / monicamenchi2@gmail.com

Ph. Daniela Pasquetti

MONICA MENCHI

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Lorenzo Senzi

Il racconto della storia

Guerra e pace tra passato, presente e futuro (omaggio in occasione dell’anniversario della battaglia di Campaldino)

info@studiosenzilorenzo.it


I libri del mese

Giovanni Varrasi

Il “taglio osceno” di un viaggio esistenziale al centro di sé stessi

di Erika Bresci

Una famiglia apparentemente “ordinata”, sana,

quella di Siro. Una madre attenta al ruolo rivestito,

un padre esigente ma assente (ben presto

per sempre). Lui, secondo di tre figli, incastrato tra l’anticonformismo

ribelle del terzo e la volizione prepotente,

schiacciasassi, vincente ad ogni costo del primo. Fratelli

come isole distanti di una pangea irrimediabilmente

perduta. Siro, bravo studente, bravo figlio, bravo medico:

una parabola di vita che lo raffigura nel suo essere

ingranaggio della società civile, perfettamente oliato

secondo i canoni convenzionali – e materni –. Finché,

un giorno, specchiandosi in una vetrina, pensando di incrociare

la forma di se stesso immaginata (aitante, gagliarda,

sbarazzina), si imbatte invece in un paio di spalle

curve, un collo allungato e un’espressione stanca, avvilita.

La frattura generata tra l’uomo socialmente accettato

e ciò che egli in realtà è, rischia di slabbrarsi in una voragine

profonda, in crepacci pericolosi da attraversare con

la forza e l’esperienza dello speleologo, in un viaggio al

centro di sé stessi dal quale è comunque necessario ripartire.

A illuminare il sentiero per uscire dalla caverna

che lo imprigiona come un moderno schiavo dell’antico

mito di Platone, due diversi fari, entrambi etimologicamente

aderenti alla semantica compresa nel compito

cucito loro addosso: Lucio, il personal training della palestra

alla quale Siro si iscrive per recuperare la propria

forma fisica, che lo orienta verso un nuovo modo di vedersi

– «Guardati. Insisti nel guardarti. Da una certa distanza

possiamo vederci meglio e correggerci» – da cui

scaturisce in lui nuova e potente energia; e Lucilla, la nipote

che ha avuto il coraggio di inventarsi una nuova vita

insieme al marito e al figlio, in Cilento, a coltivare la terra,

partendo da niente. Ospite per pochi giorni da lei, Siro respirerà

in quella casa l’essenza vera dell’amore, che circola

nella reciprocità complice degli sguardi, dei silenzi,

del naturale prendersi cura l’uno dell’altro. L’amore è esso

stesso reciprocità. Per questo il sesso (via via seduttivo,

complice, violento, accogliente, materno, giocoso),

declinato secondo diverse donne e altrettante esperienze,

non può da solo arrivare a sciogliere il nodo in gola

che non fa respirare. Perché parte dall’io e ad esso ritorna.

Solo quando negli occhi di Sofia (altro nomen omen)

gli occhi di Siro poseranno anche l’anima – che egli immagina

con le sembianze di una ragazzina dai capelli ricci

e gonnellina corta, che «risiede dentro di me, sopra la

zona dell’ombelico, in uno spazio tra l’addome e il cuore…

sensibile, attenta ai particolari, è irremovibile nei giudizi,

soprattutto nelle questioni importanti… quando non

è d’accordo con me oppure qualcosa non le piace, sparisce»

– il futuro potrà aprirsi a spiragli di prospettive nuove.

Reciprocità, si diceva. Perché se l’egoismo non porta

a vivere l’amore in pienezza, neppure il rinnegare sé stessi,

l’annientarsi di fronte all’altro conduce in alcun luogo.

Lo sa bene Lucio, che per comprare l’amore di un padre

anaffettivo e malvagio perderà se stesso. Giovanni Varrasi,

medico psichiatra, conosce bene i tanti “fuori scena”

dell’essenza umana. In questo romanzo che sa di vita vera

– e nei diversi personaggi, nelle loro storie, nel rifrangersi

di frammenti di specchi, nel muoversi tra la selva di

ricordi, sogni, segreti, progressi e fallimenti – la lama del

bisturi affonda nell’intimità dell’uomo, svelandone i chiaroscuri,

le diverse “identità”, la quotidiana lotta combattuta

tra verità di comodo e reali. Un universo in bilico tra

miseria e grandezza, che possiamo intravedere attraverso

il “taglio osceno” di una scrittura vigorosa e autentica,

capace di toccare l’imo feroce e spregevole della bestialità

e innalzarsi a tratteggiare le fonti chiare del sentimento

puro.

GIOVANNI VARRASI

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Dimensione salute

A cura di Stefano Grifoni

Occhio secco

Lacrimazione scarsa e troppo densa all’origine di una malattia

soprattutto femminile

di Stefano Grifoni

L’occhio secco è una malattia della superficie oculare

che si manifesta con la sensazione di corpo

estraneo, bruciore e altri disturbi. L’incidenza aumenta

con l’età ed incrementa in presenza di patologie reumatiche

e ormonali, con l’esposizione a fattori ambientali

come vento, aria condizionata e uso di lenti a contatto e di

videoterminali. Ha una prevalenza di circa 15 casi ogni 100

persone. La malattia è maggiormente presente nel sesso

femminile. La caratteristica fondamentale è una modifica

della quantità e della composizione delle lacrime che diventano

più dense per una ridotta produzione della componente

liquida da parte della ghiandola lacrimale. Il sintomo più

frequente è l’arrossamento della congiuntiva. La diagnosi

e la terapia sono poste nel corso di una visita oculistica

necessaria anche per escludere eventuali forme allergiche

concomitanti o infezioni sovrapposte. Un amore tradito è

come un occhio secco, come un granello di sabbia che ci

può tormentare sempre.

Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso

dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi

e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale

della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione

per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico

dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.

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OCCHIO SECCO


Psicologia oggi

A cura di Emanuela Muriana

L’arte di imparare dalle delusioni

di Emanuela Muriana

«

Niente è più facile che illudersi, poiché l’uomo

crede vero ciò che egli stesso desidera» afferma

Demostene. E se ciò che desidera non accade,

l’uomo ha tre possibilità: continuare ad illudersi in

un autoinganno poco consapevole, alimentato con la forza

della speranza della resistenza e soprattutto della credenza

che tanto assomiglia alla fede religiosa che non prevede

la prova dei fatti; assistere al lento smottamento dell’illusione

che potrà diventare una frana pericolosa se il comportamento

di fuga non prevale; contemplare le macerie di un

terremoto inaspettato. Allora l’illusione si trasforma in delusione

che avvolge i pensieri come una nebbia fitta che impedisce

di vedere il futuro prossimo; oppure si fa largo la

frustrazione, quella sensazione mista di rabbia e impotenza

perché qualcosa di interno a noi (incapacità di valutazione

o di risorse) o di esterno a noi (eventi o persone) non hanno

permesso di conseguire il desiderato scopo. Illusione e

delusione possono essere due stati separati temporalmente,

ma in realtà sono un vero processo ideativo, inevitabile

nella vita anche per i più disillusi… Le delusioni vengono

classificate in diverse tipologie: delusioni lievi, delusioni

forti e delusioni traumatiche. Quelle lievi, ma anche quelle

forti, se affrontate nel modo giusto, permettono di ripar-

tire con maggiore consapevolezza della necessità di avere

anche un pizzico di diffidenza che tamponi le inevitabili illusioni.

Imparare dall’esperienza, si dice, ma concedendosi

le emozioni e le passioni, il vero sale della vita. Le delusioni

traumatiche hanno invece un’evoluzione clinica: le persone

cominciano a sentirsi vittime di sé stesse, degli altri o anche

del mondo. Insane e pervasive ruminazioni mentali, reazioni

di impotenza, disturbi di area depressiva. Possono

anche evolvere in dipendenze relazionali, un severo quadro

clinico che ha la funzione di evitare in tutti i modi di vivere

la delusione e il dolore connesso. Oppure sfociare in una

frustrazione rabbiosa che rende la persona da polemica ad

aggressiva e può sviluppare disturbi di area paranoica. «Le

delusioni ci aprono la mente e ci chiudono il cuore» ha detto

qualcuno, ma questo stato deve servire a suturare le ferite

e non ad approdare ad un insano cinismo.

Per approfondire:

E. Muriana, T. Verbitz, L. Pettenò, I volti della depressione

(Ponte alle Grazie)

E. Muriana, T. Verbitz, Psicopatologia della vita amorosa

(Ponte alle Grazie)

E. Muriana, T. Verbitz, Le relazioni dipendenti (Alpes Italia)

Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve

Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.

È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso

le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato

tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.

È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.

Studio di Terapia Breve Strategica

Viale Mazzini 16, Firenze

+ 39 055 242642 - 574344

emanuela.muriana@virgilio.it

IMPARARE DALLE DELUSIONI

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artEnutrizione

A Firenze un luogo dove la scienza medica incontra l’arte

A Firenze, nel quartiere di Rifredi, in via Leopoldo Pellas 14

D/E, si trova uno studio professionale unico nel suo genere:

artEnutrizione. È un luogo dove idealmente e concretamente

si incontrano tanti saperi e competenze grazie alla collaborazione

di diverse figure professionali, tutte orientate al

raggiungimento della salute e del benessere psicofisico della

persona. Vi si organizzano anche eventi a tema e gli argomenti

trattati sono scelti nell’ottica della promozione della

salute, della corretta informazione e della cultura in generale,

inclusa la passione per l’arte. Il locale, infatti, è una piccola

galleria di opere esposte in parte nel corridoio d’ingresso e

Lʼartista Riccardo Macinai intervistato da Fabrizio Borghini

nella sala d’attesa, in parte nelle due stanze adibite a studio professionale. Tutte le persone che frequentano gli studi possono

usufruire della vista dei numerosi dipinti olio su tela, di varie installazioni ed elaborazioni fotografiche dell’artista fiorentino

Riccardo Macinai (per contatti: + 39 347 9363795 / riccardomacinai@gmail.com).

Le discipline e i professionisti attualmente

presenti nello studio artEnutrizione:

I professionisti dello studio artEnutrizione

Nutrizione: dott.ssa Silvia Ciani, biologa nutrizionista e specialista

in Scienze dell’alimentazione; dott.ssa Alice Guazzini,

biologa nutrizionista

Psicoterapia cognitivo comportamentale: dott.ssa Tania Marsili,

psicologa psicoterapeuta

Psicoterapia breve strategica: dott.ssa Corinna Desiati, psicologa

psicoterapeuta

Endocrinologia: dott. Riccardo Mansani, medico chirurgo specialista

in Endocrinologia e Malattie del metabolismo

Osteopatia: dott. Roberto Papaianni, specialista in Scienze e

Tecniche delle Attività Motorie

Naturopatia: Susi Zuri, esperta di erbe, principi naturali e tecniche

orientali

Aree di competenza coordinate dalla dott.ssa Silvia Ciani:

• Obesità e sovrappeso in adulti (nutrizionista o percorsi integrati con personal trainer o team multidisciplinare

endocrinologo-nutrizionista-psicologo) e bambini in età scolare

• Stati fisiologici (gravidanza, allattamento, menopausa, senilità, allenamento sportivo, etc.)

• Stati patologici diagnosticati (diabete, ipertensione, dislipidemie, sindrome metabolica, malattie cardiovascolari,

insufficienza renale, sindrome ovaio policistico, sindrome del colon irritabile, celiachia, malassorbimenti,

allergie, intolleranze, etc.)

• Diagnosi e terapia per disturbi ormonali, patologie endocrine

(tiroide, ipofisi, gonadi, surrene, pancreas), malattie come

l’osteoporosi, la disfunzione erettile, l’infertilità maschile e

femminile, le complicanze della menopausa e il diabete (endocrinologo

o team endocrinologo-nutrizionista)

• Disturbi gastrointestinali, magrezze, alimentazione vegetariana

• Disturbi alimentari (trattamento integrato psicologo-nutrizionista)

e loro prevenzione

• Prevenzione alla salute tramite la corretta alimentazione

(bambini, adolescenti, adulti) individuale e di gruppo

• Laboratori esperienziali con prodotti naturali

www.artenutrizione.it

www.nutrizionistafirenze.com


Appunti di storia sociale

La previdenza sociale in Italia

Dal 1933 uno strumento di garanzia in favore di lavoratori e disabili

Chissà se qualcuno si è mai chiesto quando è nata la

previdenza in Italia e quando gli italiani avanti negli

anni, non potendo più lavorare, hanno iniziato a percepire

una pensione. Bisogna tornare indietro nel tempo, al

1895, quando fu emanato un Regio Decreto con le disposizioni

sulle pensioni del personale statale. Ma per vedere

istituita l’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO) per

i dipendenti dell’industria e dell’agricoltura, presso la Cassa

Nazionale per le Assicurazioni Sociali, bisogna arrivare

al 1919; e dovremo attendere il 1933 per vedere creato l’Istituto

Nazionale di Previdenza Sociale (INPS). L’Istituto fissò

l’età pensionabile di vecchiaia a 65 anni sia per le donne

che per gli uomini. I contributi versati nelle casse dell’INPS

venivano investiti in titoli di Stato, immobili e, al termine

del periodo lavorativo, il lavoratore anziano riceveva il corrispettivo

di quei contributi. La storia sarebbe molto lunga

e complessa ma quello che c’è da chiedersi: prima del

1895 come sopravvivevano gli anziani che avevano lavorato

a lungo, e gli invalidi? Gli anziani senza una rendita persodi

Doretta Boretti

nale lavoravano fino al termine dei loro giorni oppure erano

totalmente a carico dei figli; delle persone povere che non

trovavano un lavoro o di quelle disabili che non potevano lavorare,

se ne occupavano a volte le congregazioni caritatevoli,

oppure intervenivano le opere di beneficenza pubbliche

e private. Siamo nel XXI secolo e, vista la crisi occupazionale

degli ultimi anni, aggravata da questi tempi di pandemia

e di guerra, in contro tendenza rispetto ai tempi passati,

spesso le famiglie dei pensionati si trovano ad accogliere

di nuovo nelle loro abitazioni i figli quarantenni, rimasti senza

lavoro o ancora in cerca di un lavoro stabile, da soli o

con moglie e figli. E per gli anziani e i disabili soli e indigenti

che cosa è cambiato in Italia in più di un secolo di storia

civile? Fino ad oggi i dati ci dicono che con l’aumento della

popolazione rispetto al secolo passato (agli inizi del Novecento

erano 32.963.316, a gennaio 2022: 58.983.122), nonostante

lo straordinario “progresso” raggiunto, ad oggi, in

Italia, 5.600.000 persone (dati ISTAT 2021) vivono in povertà

assoluta.

LA PREVIDENZA SOCIALE

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I giganti dell’arte

A cura di Matteo Pierozzi

Diego Velázquez

Cristo, “il più bello tra gli uomini” nel capolavoro del maestro spagnolo

Il XVII secolo fu per Madrid il secolo d’oro. Gli Asburgo

dominavano con il sovrano mecenate Filippo IV. Pittore

di corte e pupillo del sovrano era Diego Velázquez.

La crocifissione dipinta nel 1632 dal maestro fu commissionata

per il convento di San Placido a Madrid da Jerodi

Matteo Pierozzi

nimo de Villanueva, talmente potente da poter ingaggiare

il pittore di corte. Fu commissionato al maestro per una

sorta di riscatto con il quale il nobile intendeva ribadire

la propria fedeltà ai reali e alla Chiesa dopo un processo

che lo aveva visto accusato di aver favorito dei banchieri.

Velázquez volle rappresentare

Cristo come “il più bello tra gli

uomini”, riprendendo così la definizione

che ne viene data nel salmo

44. Il volto appare rilassato

nonostante il sangue che sgorga

copioso dalle ferite; lo sfondo

scuro isola la figura rappresentata

in modo molto realistico.

Leggenda narra che il ciuffo di

capelli che ricade sul viso di Cristo

fu dipinto da Velázquez per

coprire un errore commesso dipingendone

il volto. Il pallore

dell’incarnato conferisce a tutta

la figura un’aura divina.

Diego Velázquez, Cristo Crocifisso (1632 circa), olio su tela, cm 248x169, Museo del Prado, Madrid

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DIEGO VELÁZQUEZ


PsicHeArt

A cura di Maria Concetta Guaglianone

Grounding

Uno stato fisico ed emotivo “per stare

con i piedi per terra”

di Maria Concetta Guaglianone

Avete mai osservato con attenzione un albero al ritmo

delle stagioni? Sotto il sole, sotto la pioggia, tra la tempesta,

sotto il cadere silenzioso della neve. Un albero

che esiste e resiste al passare del tempo e delle fasi della vita.

Un albero che ha radici che vanno in profondità e rami e foglie

che si muovono al vento. Nell’arte, l‘albero è stato rappresentato

da diversi artisti ognuno con il proprio stile e la propria simbologia.

René Magritte, ad esempio, rappresenta nel dipinto La

voix du sang un microcosmo nel tronco dell’albero a cui si ha

accesso attraverso tre porte, due delle quali aperte per guardarvi

all'interno e la terza chiusa per stimolare l’immaginazione

dello spettatore. Klimt ne L'albero della vita raffigura temi

e simboli che richiamano il ciclo vitale, l’amore e l’attesa. Ne

La quercia di Flagey, Gustave Courbet esprime il proprio radicamento

alla terra. Alexander Lowen, psicoterapeuta e padre

dell’analisi bioenergetica, utilizza la metafora dell’albero per

descrivere gli uomini: «Noi esseri umani siamo come gli alberi,

radicati al suolo con un’estremità, protesi verso il cielo con

l’altra, e tanto più possiamo protenderci quanto più forti sono

le nostre radici terrene». Così come l’albero si sostiene grazie

alle sue radici, il nostro corpo e il nostro sé possono sentire e

provare solidità e armonia attraverso il contatto dei piedi con il

terreno. Il fusto dell’albero rappresenta la colonna vertebrale, i

rami rappresentano le braccia protese verso lo spazio e verso

l’esterno. Attraverso la metafora dell’albero Lowen esprime un

concetto chiave dell’analisi bioenergetica e fondamentale per

la nostra esistenza: il grounding. La parola grounding deriva

dall’inglese “ground” che significa terra e rimanda al concetto

di radicamento, alla capacità di sostenersi, di essere autonomi,

al senso di sicurezza, stabilità e forza. Essere in grounding

significa “stare con i piedi per terra”, “stare sulle proprie gambe”,

essere centrati, avere consapevolezza e muoversi verso

la dimensione del piacere. La persona entra in contatto con

la propria identità, natura ed essenza. Quanto più l’individuo

è in grounding tanto più può sperimentare un senso di equilibrio

fisico e psicologico, un’armonia tra realtà esterna ed interna,

rispondendo in modo funzionale agli eventi della vita che

spesso ci rendono vulnerabili. L’esperienza opposta al grounding

rimanda alla condizione “dell’essere su di giri” o “stare tra

Gustave Courbet, La quercia di Flagey (1864), olio su tela,

Musée Gustave Courbet, Ornans

le nuvole”: la persona può perdersi tra illusioni e pensieri, con

il rischio di allontanarsi da ciò che è realmente. Attraverso il

grounding la persona entra in contatto con parti di sé, con il

proprio modo di collocarsi ed essere nel mondo, con le proprie

sensazioni e vibrazioni corporee. Si intraprende un lavoro basato

sull’espressione e consapevolezza corporea che permette

di far fluire l’energia bloccata o in eccesso nel corpo verso il

basso, attraversando la zona del ventre e delle pelvi, centro vitale

sede dell'inconscio e degli istinti, le gambe fino a giungere

ai piedi. La persona viene aiutata a “lasciarsi scendere verso la

terra” e a contattare vissuti emotivi che “ristagnano” nel corpo.

Provate a ritagliarvi un tempo e uno spazio per voi, individuate

un luogo, in un parco, nel bosco, in giardino o semplicemente

una stanza della vostra casa; scegliete un punto in cui fermarvi,

in posizione eretta, a piedi nudi. Assumete una postura con

gambe e piedi divaricate alla stessa altezza del bacino, talloni

leggermente aperti, piegando un po’ le ginocchia mantenendole

morbide. Chiudete gli occhi, respirate ponendo una mano

sul cuore e l’altra sul ventre. Rivolgete l’attenzione alle gambe

e ai piedi, a come i piedi aderiscono alla terra, alle sensazioni

che provate al contatto con il terreno, alle vibrazioni che

scorrono lungo le gambe. Prestate attenzione al vostro respiro,

al peso, al calore e all’energia che confluisce nel e attraverso

il corpo. Immaginate poi che dai vostri piedi partano delle

radici che vanno sempre più in profondità ed entrate in contatto

con esse. Registrate ogni vostra sensazione, continuando

a respirare in modo lento con una mano sul cuore e l’altra

sul ventre. Mettetevi in ascolto e cogliete ogni messaggio che

il vostro corpo trasmette e veicola. Che storia sta narrando?

Psicologa specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Psicoumanitas di Pistoia, Maria Concetta

Guaglianone ha frequentato la scuola biennale di Counseling Psicologico presso Obiettivo Psicologia

di Roma, dove ha svolto anche la propria attività professionale collaborando come tutor nel Master di

Psicologia Perinatale. È autrice di numerosi articoli sul portale Benessere 4you - Informazioni e Servizi su Salute e

Benessere Psicologico. Attualmente svolge la propria attività professionale presso Spazio21 - Studi Professionali

di Discipline Bio Naturali e Psicologia (via dei Ciliegi 21 - 50018 Scandicci).

+39 3534071538 / + 39 348 8226351 / mariaconcetta.guaglianone@gmail.com

GROUNDING

25


Cinzia Pistolesi

Anima e tempo (dedicato a Sophie)

www.cinziapistolesi.com

cinzpistol@virgilio.it


I libri del mese

Stefano Grifoni

Ventinove racconti sulle inafferrabili forme dell’amore

Ventinove, brevi e intensi racconti, che partono

da un assunto chiaramente espresso nell’introduzione:

«L’amore non si può descrivere». Cui fa

immediato seguito l’onesta, umana confessione: «Probabilmente

continueremo a cercare di definirlo per il resto

di tutti i tempi». Altrettanto onesto compromesso, è, allora,

questa interessante raccolta nata, come le precedenti

Storie d’amore e d’amicizia e Vizi, virtù e salute, dall’esperienza

concreta di una professione lavorativa vissuta

a tempo pieno – Stefano Grifoni è direttore di Medicina

e Chirurgia d’urgenza presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria

Careggi – che tenta di individuare almeno alcuni

particolari specifici e caratterizzanti, alcune “forme”,

appunto, cui è possibile fare aderire i bordi concreti della

parola amore. Ciò che si legge tra le righe, soprattutto,

è l’avvertimento accorato, rivestito spesso di amara

ironia, a non confondere amore e passione. Due concet-

ti profondamente diversi, che portano a inseguire

strade solo apparentemente simili. Perché la

passione senza controllo può rappresentare un

pericolo per gli altri – quando, ad esempio, si coniuga

con la forma oppressiva del possesso o

snatura il senso profondo di una missione di vita

– e per sé stessi – quando si indulge a “peccati”

solo apparentemente veniali, come la gola,

che possono addirittura sconfinare in un tu-pertu

con la Signora velata. L’amore è essenzialmente

dono di noi stessi fatto agli altri (o anche a

noi stessi, e quando questo capita non significa,

per forza, essere dei Narcisi, se lo facciamo

convinti di non essere padroni di questa terra ma

partecipi di un viaggio comune). Nella raccolta

l’amore prende via via la diversa effigie di anziani

rimasti soli a confrontarsi con l’assenza falcidiante

provocata da uno strano virus che dilaga

e miete vittime tra i conoscenti amici; di madri

fotografate come Pietà michelangiolesche, abbracciate

a figli ormai perduti in tunnel esistenziali

irraggiungibili, o raccontate nel miracolo di

un risveglio impossibile, un parto metaforicamente

intriso di acqua di mare e lacrime materne

che riporta alla vita, oltre ogni ragionevole speranza,

una figlia sospesa in uno stato di coma

considerato dai medici “irreversibile”; di animali,

che riescono a comprendere d’istinto il colore

dell’anima di noi umani e che sanno amare di

un sentimento gratuito e totale, senza ipocrisie,

infingimenti e distinguo; di sacerdoti, per i quali

di Erika Bresci

ogni giorno si rinnova il dubbio di una scelta (quanto di

terreno può esserci nell’amore per Dio?); di medici che

tramite l’amore per il proprio lavoro si fanno meraviglioso

strumento di vita. Ecco, appunto, la vita. In fondo, è

essa stessa, proprio lei, la quintessenza perfetta dell’amore.

Ne racchiude tutti i significati, tutte le gradazioni,

le infinite sfumature e anche le tante imperfezioni che la

rendono perfetta a chi sa ben guardare. Anche quando

non riusciamo a comprenderla fino in fondo, anche quando

non siamo capaci di apprezzarla e vederla nell’amore

degli altri, essa è comunque più forte di ogni nostra più

marcata invalidità, fragilità, mancanza. Solitudine. Forse,

allora, per rispondere all’interrogativo iniziale, l’unica vera

forma cui possiamo far aderire, per intero e davvero,

la sostanza dell’amore è proprio la vita. Perché nasce dal

miracolo di un atto d’amore e nell’abbandono all’Amore è

resa essa stessa eterna.

STEFANO GRIFONI

27


Quando tutto ebbe inizio...

A cura di Francesco Bandini

Costantinopoli, la nuova Roma

di Francesco Bandini

1^ parte

La città di Costantino, capitale religiosa e politica,

diviene la seconda Roma destinata a superare per

grandezza e maestà tutte le altre città dell’impero

rappresentando l’idea di centro del potere e affermandosi

come la nuova Roma. Fu dopo la grande battaglia sul ponte

Milvio (28 ottobre 312), sulla via Flaminia nel suo cammino

verso la conquista di Roma, che il Senato riconobbe il

titolo di Maximus Augustus a Costantino che, incontrandosi

con Licinio a Milano, proclamava la libertà di culto (313) per

i cristiani. L’accordo tra i due Augusti rimasti soli al potere fu

precario e dieci anni dopo (323) avvenne il decisivo conflitto

con la morte del rivale. Del pericolo incombente dei Barbari,

Costantino aveva fatto esperienza combattendo in Asia,

poi sul Danubio e sul Reno e infine il conflitto più grave contro

la Persia. Durante questi conflitti Costantino aveva ispirato

le future vittorie. Aveva quindi assunto il labaro, che fu

poi interpretato come il chrismon cristiano o come emblema

della croce, fatti e simboli questi cui venne dato un preciso

significato cristiano solo più tardi, quando la religione si

affermò pienamente. In realtà si può pensare a una sua tendenza

monoteistica, confermata dall’adesione al culto solare,

ma qualunque sia il momento della sua conversione al

cristianesimo, Costantino è l’imperatore che ne rese possibile

il trionfo combattendo l’Arianesimo (Concilio di Nicea nel

325). Siamo nel 324, nasce Konstantinoupolis (antico nome

di Bisanzio, l’odierna Istanbul). Costantino decide di fondare

la nuova Roma. Molti motivi spiegano questa scelta: anzitutto

l’eccellenza del luogo, essendo la città edificata sull’estremità

facilmente fortificabile di una penisola in cui penetra

una magnifica rada, il Corno d’Oro. Dopo la consacrazione

del 3 novembre 324, era stata immediatamente tracciata una

Francesco Bandini, Skyline di Istanbul, vista dal Bosforo

linea di cinta; nel 326 già

ferveva il cantiere di Santa

Sofia e nel 328 era avviata

la costruzione dei

grandi complessi monumentali,

in particolare

quelli del Palazzo Imperiale,

del Faro e dell’Ippodromo.

Con Giuliano, nel

523 la città aveva raggiunto

il suo massimo

splendore; furono completate

le terme, l’acquedotto,

ma l’opera più

grandiosa resta la basilica

di Santa Sofia ricostruita

da Giustiniano

sulla precedente chiesa

costantiniana. Antica Piero della Francesca, Storie della vera

colonia greca – era stata Croce: Il sogno di Costantino (1452-1466),

fondata dai Megaresi –, Chiesa di San Francesco, Arezzo

Bisanzio possedeva già

agli inizi del VI secolo a. C. un’acropoli con tre templi dedicati

alle principali divinità. Sulla baia del Corno d’Oro, il braccio

di mare situato a sud del Bosforo, sulla riva europea si

fronteggiavano due porte, dette più tardi Phosphorion e Neorion.

I primi secoli di Costantinopoli come capitale si caratterizzano

per un’espansione continua delle costruzioni

pubbliche e private, non soltanto all’interno delle mura, ma

anche lungo la costa del Bosforo e, al di là del Corno d’Oro,

nei quartieri di Galata e Pera, diventati ormai parte integrante

della città. Nessuna città del mondo

medievale rappresenta meglio di Costantinopoli

l’idea di centro di una nazione del potere

imperiale. Soprattutto nessuna capitale del

Medioevo riflette l’idea con la stessa maestà

nell’aspetto urbanistico. A partire dal IV secolo,

l’antica Bisanzio acquisì le dimensioni

e la struttura di una metropoli. Questa immagine

perdurerà per oltre mille anni, attraverso

molteplici trasformazioni, distruzioni e

ricostruzioni, impressionando sempre con la

stessa forza, l’immaginazione dei contemporanei.

Nel 1403, all’inizio della sua decadenza,

Costantinopoli cadrà in mano ai Turchi.

Oggi Costantinopoli appare, agli occhi dei

contemporanei occidentali, come la città medievale

per eccellenza. Una città «che supera

ogni altra città in ricchezza, come la sorpassa

nei vizi».

28

COSTANTINOPOLI


Grandi mostre in Italia

A cura di Miriana Carradorini e Maria Grazia Dainelli

Crazy

A Roma, al Chiostro del Bramante,

una mostra sulla follia nell’arte

contemporanea

Testo e foto di Miriana Carradorini

Farfalle, luminarie, fiori di cera, scatolette di sardine e

vestiti sono alcuni degli elementi che compongono le

installazioni che dallo scorso 2 febbraio 2022 e fino al

prossimo 8 gennaio 2023 sono ospitate nelle sale del Chiostro

del Bramante a Roma. La mostra Crazy / La follia nell’arte contemporanea,

a cura di Danilo Eccher, è espressione dell’assoluta

libertà concessa ai ventuno artisti di rilievo internazionale

chiamati ad affrontare il tema della follia. Realizzata senza un

percorso narrativo ben specifico ma fatta di emozioni e sensazioni

presentate da più punti di vista, la mostra introduce il

visitatore nell’intricato mondo della follia. Attraverso un’interazione

diretta tra osservatore e opere, le delicate tematiche affrontate

dagli artisti divengono più comprensibili anche grazie

a definizioni di parole, sensazioni e fobie poco conosciute. Il visitatore,

mediante l’uso da parte degli autori di oggetti comuni,

come scatoloni, banchi scolastici, vestiti e anche la simulazione

di luoghi come negozi e armadi, può immergersi nella vita

quotidiana vista sotto un’altra prospettiva, non prettamente artistica

ma sempre legata al mondo della follia. Questi oggetti,

attraverso la visione degli autori, creano delle stanze sensoriali

che coinvolgono l’osservatore nella comprensione immediata

del significato dell’opera. È possibile quindi camminare

nelle installazioni, toccarle, giocarci e comprarle, rimanendo

così travolti dal lavoro degli artisti e vivendo le sensazioni e

i significati trasmessi dalle opere. Questo coinvolgimento non

riguarda solo agli adulti ma anche i bambini con un percorso

In questa e nelle altre foto alcune delle installazioni esposte al Chiostro del Bramante

per la mostra Crazy

dedicato che permette loro di capire più facilmente e in maniera

diretta le varie installazioni. Le opere sono state realizzate

con un intervento diretto degli artisti negli spazi sia esterni che

interni del Chiostro, compresi quelli più inaspettati come una

scala o un bar: una metafora della follia che si espande in tutti

i recessi della mente umana. Nello specifico, attraverso la ricreazione

di un’istallazione del 1968, gli artisti si sono potuti

confrontare anche con uno dei padri dell’arte moderna, Lucio

Fontana, famoso per i suoi tagli sulle tele. La mostra, partendo

da vecchie installazioni fino

ad arrivare agli artisti di oggi, offre

dunque una riflessione molto

profonda e allo stesso tempo facilmente

comprensibile sulla follia

e sulle varie tematiche ad essa

collegate, lasciando quindi il visitatore

stupito e insieme più consapevole

su questo universo per

molti versi ancora sconosciuto.

Per informazioni su giorni e orari

di visita:

www.chiostrodelbramante.it

Dr. Matteo Berna

Consulente finanziario

338 5647067

matteoberna@mediolanum.it

CRAZY

29


Ritratti d’artista

Anatoliy Fatakhov

Un affascinante linguaggio simbolico a metà tra fiabesco e onirico

di Jacopo Chiostri

Non sappiamo se Anatoliy Fatakhov pensava a Picasso

quando ha realizzato la sua prima opera pittorica

(un volto femminile) che al grande andaluso è senz’altro

riconducibile. Si sa invece quale fu lo strumento con

cui la dipinse: un pezzo di coda di topo con sopra dentifricio

e succhi di barbabietola, perché altro al momento non aveva

a disposizione. Nato a Tashkent, capitale dell’Uzbekistan, come

molti altri russi-ebrei – epoche diverse, ma come non ricordare

Mark Rotko? – Fatakhov, a 38 anni, nel 1995, emigra

negli Stati Uniti. Gli inizi non sono facili, e il primo impiego,

nonostante una laurea in Economia, è di addetto ad un lavaggio

a secco; ci vuole una seconda laurea presso l’Institute of

Allied Medical Professions per avere una professione migliore.

E lavorava in ambito medico quando nel 2017 è stato accusato

di frode e incarcerato. Periodo, ovviamente, difficile, ma

anche, col senno di poi, periodo proficuo perché proprio in carcere

Fatakhov ha scoperto la pittura. Scontata la pena, decide

che la pittura sarebbe stata la sua professione e in breve

inizia l’ascesa nel mondo artistico newyorkese, culminata, nel

febbraio 2020, in una grande mostra a Manhattan alla Revelation

Gallery; prima e dopo quella data ci sono stati importanti

contatti con l’Italia, in particolare con la Toscana e Firenze.

Fatakhov racconta volentieri dell’influenza culturale di Picasso

sulla sua arte, anzi si diverte a ricordare le altre cose che

Tea with hussar (2021), olio su tela, cm

120x60, collezione Yuliya Savitskaya

Strange love (2020), olio su tela, cm 75x60

li accomunano, come, per esempio, essersi entrambi sposati

con una donna di nome Olga. Certo è che quello che dipinge è

riconducibile al post-cubismo, anche se i suoi volti, nella maggior

parte dei casi, ricordano le donne di Modigliani e, a differenza

di Picasso, lui non scompone la figura, i suoi intenti sono

diversi. La tela viene riempita di simboli a volte coerenti tra loro

a volte no e di difficile identificazione. Fatakhov dipinge a

olio, il suo linguaggio è di una chiarezza suprema, con un perfetto

equilibrio nelle forme. Il linguaggio è fatto di colore che

è steso in forme geometriche, naturali o create a hoc; l’anatomia

risulta sorprendente, la reinventa ma non per questo non

è credibile. Lo schema figurativo, ben organizzato, sembra invece

risentire dell’urgenza dell’artista di recuperare il tempo

perduto e dello sforzo di contenere un disegno che mantenga

in sé una moltitudine di elementi, perché le opere sono ricche,

sovrabbondanti, piene di riferimenti al suo immaginario

e al bisogno di sbattere in faccia al mondo una provocazione

visiva che è assieme fiaba e inquietudine, sorrette entrambe

da un disegno e da una composizione sorprendenti. In Italia

la prima presenza è stata alla fiorentina Galleria Immaginaria

con due opere scelte dalle curatrici Yuliya & Alesia Savitskaya

per la mostra internazionale Scegli; sempre con la regia di Yuliya

& Alesia Savitskaya, presso la Regione Toscana prima e

alla Florence Art Deposit Gallery di Firenze poi, ha partecipato

ad Arte senza frontiere

e Artists United; con

altri 15 artisti internazionali

ha illustrato l’album

poetico Sinergie (disponibile

presso la Florence Art

Deposit). Le opere di Fatakhov

sono collezionate in

Russia, Usa, Israele; è stato

premiato da Benny Gantz,

ministro della Difesa di

Israele, per il contributo

dato allo sviluppo della

cultura e dell’arte ebraica.

Fatakhov ora vorrebbe

rappresentare il mondo

che si apre al futuro, si

tratta solo – afferma – di

scegliere quale possa essere

il simbolo giusto per

questo progetto al quale

sta lavorando con rinnovato

entusiasmo ed energia

creativa.

30

ANATOLIY FATAKHOV


Curiosità storiche fiorentine

A cura di Luciano e Ricciardo Artusi

Albergo Popolare

Dai primi del Novecento una struttura di accoglienza per

indigenti nel quartiere di Santo Spirito

di Luciano e Ricciardo Artusi

Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo

LʼAlbergo Popolare a Firenze, nel quartiere di Santo Spirito

cise di istituire, in maniera definitiva e continuativa, la sede

dell’Albergo Popolare. Negli anni 1929 e 1930, col progetto

redatto dagli ingegneri Pelleschi e Giuntoli (originariamente

destinato alle donne) e grazie all’impegno del Comune, si

sviluppò in tutta la sua interezza il grande complesso con

150 posti letto. Nel 1983, occorsero lavori di risanamento

igienico e di ristrutturazione che furono realizzati nell’arco

di due anni su progetto degli architetti Pier Luca Currini,

Francesco La Porta e Giorgio Marchiani, che seppero

mantenere l’architettura rinascimentale del complesso. Dal

2000 l’Albergo Popolare è intitolato a Fioretta Mazzei, discendente

da una nobile famiglia fiorentina di tradizione

cristiana, che è stata una delle figure di rilievo della mo-

Cornici Ristori Firenze

www.francoristori.com

Via F. Gianni, 10-12-5r

50134 Firenze

L’Albergo Popolare è un’istituzione

di solidarietà

situata nel cuore del

quartiere di Santo Spirito, quartiere

che oggi rappresenta una

continuità col passato di generazioni

di artigiani tenacemente

attaccati agli antichi mestieri.

L’Albergo è stato realizzato in alcuni

ambienti dell’ex convento

del Carmine, in particolare quelli

attorno al secondo chiostro risalenti

alla seconda metà del Quattrocento.

Furono infatti allestiti

come un grande “dormitorio pubblico”

che comprese, tra l’altro,

una sala detta “delle capriate”

e l’ex libreria del convento. Una

cappella con affresco di Bernardino

Poccetti firmato e datato al

1600 e la pala d’altare con la Crocifissione

di artista ignoto della

seconda metà del Cinquecento

ne attestano ancora l’origine claustrale. Proprio questa più

antica parte dell’edificio costituisce anche attualmente il

corpo principale della struttura, da allora sempre destinata

all’accoglienza di persone in stato d’indigenza, sia italiane

che straniere. Un letto, un posto sicuro per trascorrere la

notte, i servizi igienici, senza dover pagare alcunché. L’accesso

alla grande struttura avviene da via del Leone 35 oppure

da via della Chiesa 66 - 68 dove si presenta con la

moderna facciata novecentesca, che ancora oggi esprime,

in modo molto sobrio, lo stile architettonico del ventennio

fascista. Già nell’Ottocento si manifestò un primo accenno

a realizzare un ricovero da destinarsi all’accoglienza dei

poveri bisognosi e dei senzatetto, ma solo nel 1905 si dederna

storia istituzionale e religiosa

della città. Anche per l’Albergo

Popolare operò in maniera determinante

per la rinascita della struttura,

imponendosi alla ventilata chiusura

di questa importante istituzione,

nella quale ci ha lasciato una testimonianza

d’arte moderna, nella sala

del dipinto, anche il maestro Luciano

Guarnieri con un affresco raffigurante

l’Arno e la sua valle.

ALBERGO POPOLARE

31


Formiamo i futuri professionisti della moda

Formiamo i futuri professionisti della moda

Scadono il 15 ottobre i bandi dei sei nuovi corsi della Fondazione MITA, l’Accademia che

prepara Scadono nuove il figure 15 ottobre tecnico/professionali i bandi dei sei under30 nuovi per corsi lavorare della nei Fondazione vari settori di MITA, eccellenza

l’Accademia che prepara del nuove Sistema figure Moda tecnico/professionali Made in Italy. under30 per

lavorare nei vari settori di eccellenza del Sistema Moda Made in Italy

Biennio di formazione 2022/2024

Biennio 2022/2024

offerta formativa fondazione ITS MITA per il biennio 2022/2024

Corso ARTIST

Advanced Revolution process Technician in

Innovation Sustainability Textile

Corso TOP 3D

Tecnical Object and accessories Production 3D

Corso BEST

Bags & Skills Tecnical

Corso D.B. MITA

Digital Brand

Web Marketing e Manager del Made in Italy

Corso MC. FASH

Fashion Machines - Tecnico manutentore di

macchine tessili e di pelletteria

Corso ALT

Accessories Leather Technician

Tecnico dell’accessorio pelle

I corsi che I corsi che svolgeranno si svolgeranno a a Prato, Scandicci e Grosseto e Grosseto sono sono cofinanziati cofinanziati

dalla Regione Toscana con fondi POR FSE, nell’ambito del progetto Giovanisì

dalla Regione Toscana con fondi POR FSE, nell’ambito del progetto

e con contributi del Ministero dell’Istruzione.

Giovanisì con contributi del Ministero dell’Istruzione

Per info e iscrizioni: Fondazione MITA Made in Italy Tuscany Academy

Per info e iscrizioni:

Castello dell’Acciaiolo,

Fondazione

Via

MITA

Pantin,

Made

Scandicci

in Italy

(Firenze)

Tuscany Academy

Tel. 055/93.35.306 dal lunedì al venerdì (ore 9/13)

Castello dell’Acciaiolo, mail: info@mitacademy.it

Via Pantin, Scandicci (Firenze)

Tel. 055/93.35.306 dal lunedì al venerdì (ore 9/13)

www.mitacademy.it mail: info@mitacademy.it

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mita.academy


Botteghe artistiche in Toscana

A cura di Rosanna Bari

Paolo Miniati

Le creazioni senza tempo di un orafo

che coniuga avanguardia e tradizione

C’è un luogo in Oltrarno, a Firenze, isolato dal rumore del

traffico cittadino, nascosto fra gli alberi e immerso nel

silenzio e nella quiete di via Giano Della Bella: è il Conventino.

Sorto dopo il restauro del complesso storico del chiostro

dell’ex monastero delle suore di clausura di Santa Teresa, è

un’oasi di pace e tranquillità, luogo ideale per concedersi un momento

di relax. Gode di uno spazio verde molto tranquillo e rilassante

per incontri, presentazioni di libri, mostre, manifestazioni

culturali, feste, aperitivi nonché di spazi attrezzati per studenti.

Al suo interno il Caffè Letterario offre anche la possibilità di pranzare.

Ma la vera particolarità di questo luogo sono gli atelier, le

botteghe e i laboratori affacciati intorno al chiostro, dove abili e

talentuosi artisti e artigiani, con mani sapienti e con estrosa creatività,

realizzano opere di grande bellezza. Vi si trovano ceramisti,

argentieri, stilisti, restauratori, decoratori, incisori su vetro e

cristallo, pittori e scultori, artisti che con i più vari materiali realizzano

opere uniche e originali. Al primo piano, affacciata sul chiostro

(stanza n. 17), si trova il laboratorio creativo di Paolo Miniati,

allievo del maestro orafo Sergio Nasali che ebbe la sua bottega

alla Casa dell’Orafo, dal quale ha appreso il disegno ornato e il

meraviglioso stile fiorentino del traforo e dell’incisione, ricevendo,

inoltre, gli strumenti utili per accrescere il suo personale percorso

di studio e ricerca nel campo dell’oreficeria, tramandando così

la migliore tradizione orafa della città gigliata. Dopo anni di esperienza,

e dopo aver aperto la bottega Re Mida proprio alla Casa

dell’Orafo in Vicolo Marzio a Firenze a pochi passi dal Ponte Vecchio,

Paolo Miniati si è trasferito al Conventino dove nel suo labo-

ratorio si dedica soprattutto alla

lavorazione del bronzo e dell’argento,

realizzando gioielli che

vanno dal classico al contemporaneo

e sperimentando sempre

nuove tecniche, con particolare

attenzione alle nuove tendenze e

all’avanguardia nel settore senza

mai dimenticare la tradizione. La

sensibilità artistica, la creatività

e l’estro di Paolo Miniati riescono

ad interpretare i sogni e i desideri

della clientela, realizzando

gioielli su misura, accostando

vari materiali e unendo pietre e

smalti con il risultato di ottenere

sempre gioielli originali e personalizzati.

Paolo vi accoglierà con

il suo solito sorriso “da bravo ragazzo”

che non ha mai perduto,

con l’amore per la sua arte, fon-

di Mara Faggioli

Urbino, pendente

te di gioia e di soddisfazione perché «si vede bene solo con il cuore,

l’essenziale è invisibile agli occhi» come scriveva Antoine De

Saint-Exupéry ne Il Piccolo Principe. E per guardare in profondità

ogni cosa dobbiamo ascoltare la voce delle emozioni, quelle emozioni

che l’arte di Paolo Miniati sa regalare. Il 17 e 18 settembre

2022 sarà possibile incontrare Miniati e visitare il suo atelier al

Conventino in occasione dell’evento Arti e Mestieri

(vedi locandina in basso).

Paolo Miniati Creazioni

Laboratorio: via Giano Della Bella, 20 – Firenze

(zona Porta Romana)

Presso Vecchio Conventino – stanza 17

+ 39 380 1519960 (su appuntamento)

Amsterdam, anello

PAOLO MINIATI

33


I libri del mese

Donato Nitti

La scoperta di “altri universi imprevisti” in una raccolta

poetica ispirata all’amore

di Erika Bresci

«

Quello che mi sorprende, ogni volta, / è che le

stesse lettere possono dire / d’amore e di guerra,

di lacrime e di gioia. // Dipende in che ordine

le scrivi», suggerisce Donato Nitti in una delle

prime poesie della raccolta, introducendoci così alla materia

del canto. Perché l’ordine che egli segue in Altri universi imprevisti

riempie senza dubbio tutte le caselle dell’amore. Una

forza, questa, più potente del tempo, della storia e delle storie

concretamente agite dall’uomo e dalla sua fatica. La semantica

dell’amore, in realtà, è semplice: implica il ri-conoscersi,

l’accettare il rischio di un viaggio che non solca distanze geografiche

ma si incardina nelle profondità dell’anima passando

il varco degli occhi. Propri e altrui: «Guardo il mondo con

i tuoi occhi / e lo vedo fiorire… // Guarda il mondo con

i miei occhi / e vedrai le azzurre infinità / che navigheremo

insieme». È da qui che occorre partire, da questo

mistero svelato quasi alla fine della raccolta, sussurrato

piano, in due soli versi, scolpiti sulla pietra miliare

che rivela la direzione dell’andare: «Nei tuoi occhi /

altri universi imprevisti». Poesia ellittica, perché al lettore

è sempre concesso il privilegio di inventarsi il senso

che più gli è caro, o anche, semplicemente, restare

in silenzio a meditare quell’assenza, quella libertà. La

“poetica dello sguardo”, che attraversa secoli di poesia

e di poeti, riecheggia nelle atmosfere stilnovistiche di

«Ti auguro / … armonia, perché la diffondi / col semplice

tuo passare, / e tutti ti ammirano», si riveste di

dantesco stupore – «Una sera d’inverno / ebbi una visione,

/ due soli, forse stelle, / insieme, non più solitari.

// I tuoi occhi» –, approda fino ai nostri tempi nel dialogo

a distanza (ma non troppa) con le prospettive metaforiche

proustiane – il Proust conosciutissimo de La

ricerca del tempo perduto e de «Il vero viaggio di scoperta

non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere

nuovi occhi» ma qui anche e soprattutto l’autore di

versi d’amore che attribuiscono alla donna e ai suoi occhi

un potere quasi metafisico («pezzi di cielo nell’acqua

/ contornati dall’ombra del tiglio o della betulla»)

– e insieme con la concretezza sincera di un panico riverbero

di quotidiano vivere, un farsi avanti delle cose

di ogni giorno che nella reciprocità del sentimento diventano

simboli, elementi sinonimici e metafore (in un

conversare sempre aperto con Wisława Szymborska,

poetessa polacca cui diverse liriche della raccolta sono

esplicitamente “ispirate”). L’amore, dunque, quale

“dizionario” capace di comprendere tutti i vocaboli del

mondo, di declinare secondo i suoi casi anche il tempo.

Perché è l’amore a curare le ferite dell’uomo, non lo scorrere

delle ore. Tutt’al più, si potrà concedere alle lancette il tocco

di una circolarità perenne, un ritmare concorde (cum cordis)

al rumore delle acque che spingono il poeta su rotte di «infinite

possibilità», alla ricerca del senso dell’esistere, del desiderio

di essere, in un «viaggio leggero, / in cerca di segni». Le

parole, quelle di oggi e quelle di ieri, illuminano la via. Ce lo

ricorda bene Donato Nitti, con la semplicità raffinata e coltissima

di una raccolta intima e insieme, come abbiamo avuto

modo di accennare, ricca di continui, fertili rimandi, allusioni,

note ispirate alla voce di una musa senza tempo, che non

ha mai smesso di soffiare il suo canto, oltrepassando i confini

stretti di questo umano vivere.

34

DONATO NITTI


Premi in Toscana

7° Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti

Tutte le novità del 2022 nell’intervista a Barbara Benedetti, ideatrice e

presidente dell’associazione Arte per Amore di Seravezza

Non conosce certo la crisi del 7° anno il Premio Internazionale

Michelangelo Buonarroti, anzi! Partito nel 2015

dal cuore della Toscana, è ormai diventato un evento

culturale fra i più importanti a livello internazionale. Basta leggere

sui vari social i commenti entusiastici dei partecipanti alle

precedenti edizioni per capire il valore assunto da questo concorso,

che per la settima volta rappresenta un’opportunità per

mettere in luce e promuovere ogni espressione artistica. «E chi

parteciperà dovrà quindi esprimere la creatività interpretando il

concorso attraverso la propria sensibilità» afferma Barbara Benedetti,

presidente dell’associazione Arte per Amore di Seravezza

e ideatrice del premio, che aggiunge: «Per me chi crea arte

lo può fare solo per amore, che è ciò che suscita davvero emozione

in chi la ammira. La mission di ogni mia attività è porre al

centro il cuore e l’anima della gente, facendo sentire ogni persona

importante e speciale». E in questa singolare empatia sta

sicuramente la chiave del successo di questo premio: la grande

umanità dell’imprenditrice e manager di eventi la accomuna

senza dubbio all’autore del David e della Pietà conosciuto in

tutto il mondo, dalle cui opere traspare sempre questa stessa

caratteristica. Non a caso si è ispirata a lui per il nome del concorso.

«Lo considero il genio assoluto per l’energia emotiva, il

furore creativo e il talento poliedrico in ogni ambito artistico, infatti

non fu soltanto scultore, ma anche pittore, architetto e podi

Elisabetta Mereu

eta. E poi, non dimentichiamolo,

veniva a scegliere il marmo proprio

qui, sulle Alpi Apuane, le

mie montagne – aggiunge sorridendo–,

quindi non potevo pensare

ad un nome più adatto per

un premio di qualità». In merito

invece alle novità dell’edizione

2022 precisa: «Abbiamo aggiunto

alle sezioni già esistenti Barbara Benedetti, presidente

nel comparto Materie Letterarie

la videopoesia (da realizzare promotrice del Premio Buonarroti

dell'associazione Arte per Amore,

anche con l’ausilio di un videomaker

ndr) e la silloge inedita, che quindi con poesia edita, poesia

singola, racconto e narrativa diventano sei. Poi c’è la sezione

Arti Visive, cioè pittura, scultura, fotografia e digital art, tutte a

tema libero. Inoltre, fra le news di questa settima edizione c’è

l’assegnazione di diversi premi speciali: due corsi certificati di

Scrittura Creativa online e un bellissimo tablet con attivazione

per il Web, assegnati dalla mia associazione, poi il premio della

nostra Pro Loco per i dodici scatti più significativi sul territorio

apuo-versiliese scelti per il calendario 2023, la cui vendita

per beneficenza sarà destinata all’iniziativa Pasti caldi gratuiti

per le famiglie in difficoltà. Chi vincerà nella sezione Pittura

avrà diritto all’organizzazione e cura di una personale

di quindici giorni presso la Galleria Seravezziana e alla

realizzazione grafica del catalogo con testo critico.

Restano invece invariate le modalità di partecipazione

aperta sia a professionisti che dilettanti, studenti o artisti

emergenti, senza limiti di età e di qualsiasi nazionalità,

residenti in Italia o all’estero, nella Repubblica di

San Marino e nella Città del Vaticano. Ricordo – conclude

Benedetti – che la scadenza è il 30 settembre

per le Materie Letterarie e il 10 ottobre per le Arti Visive

e poiché ci sono molti altri dettagli da conoscere invito

tutti a consultare il sito www.premiomichelangelobuonarroti.org

e relativi canali social».

+39 371.1983645

segreteria@premiomichelangelobuonarroti.org

Inquadra e vai al regolamento

7° PREMIO INTERNAZIONALE MICHELANGELO BUONARROTI

35


Vita Ervin Attila Kassai

info@soledomus.com

Arte&Pace


Ritratti d’artista

Vita Ervin Attila Kassai

Una pittura intimista in dialogo con la natura

di Jacopo Chiostri

Abbiamo conosciuto Vita Ervin Attila Kassai in occasione

della mostra di arte contemporanea che si è tenuta

a inizio luglio allo Spazio Espositivo San Marco

a Firenze. In quell’occasione Kassai, pittore di origine ungherese

da tempo residente in Maremma, ha presentato delle

grandi tele aventi come soggetto delle marine, nessuna figura,

solo una distesa di acqua a perdita d’occhio, un mare corrucciato,

inquieto, con la linea dell’orizzonte netta che taglia

il dipinto e appare come il confine con un oltre, di cui si intuisce

la presenza, vagamente inquietante o, quantomeno, misteriosa.

Pittura, questa, con grande forza evocativa. Oggi,

invece, per le pagine de La Toscana Nuova, Kassai ha scelto

di proporre, insieme a una di quelle marine, dei volti. L’intenzione

di questa serie, spiega, è di rappresentare degli stati

d’animo e, in effetti, i dipinti offrono una lettura a carattere

psicologico che li caratterizza in maniera evidente e dà il

senso all’opera. Va detto, in ogni caso, che non c’è grande differenza

tra i soggetti, marine e volti, perché entrambi diventano,

sotto il tocco sapiente di questo artista, una simbolica

esplicitazione di come sia le cose della natura che gli umani

impattino e reagiscano a quell’imponderabile che è il trascorrere

del tempo e il suo continuo, ininterrotto mutare e richiedere

attenzione. Al centro della poetica di Kassai, e della sua

esistenza (giacché arte e modi di vita in lui sono un tutt’uno),

c’è la fusione con la natura che, in pittura, viene espressa

metaforicamente anche con il fluire inarrestabile delle onde

che assumono un significato, profondo, di vita e di morte,

di nascere e di finire. Vita Ervin Attila Kassai nasce a Budapest

alla fine degli anni Cinquanta, nel 1965 si trasferisce

in Germania; dopo

aver frequentato le

scuole medie, impara

il mestiere di

falegname e studia

architettura presso un istituto tecnico. Il passaggio successivo

è stato il trasferimento in Maremma dove ora possiede

un proprio atelier e si dedica alla pittura, dipingendo soprattutto

en plein air. «Il mio lavoro – spiega – consiste nel creare

arte». Poi aggiunge, a conferma di quanto abbiamo detto:

«Dipingo stati d’animo, le espressioni dei miei volti possono

raffigurare forza oppure paura, scetticismo…». È pittura,

la sua, intimista, che racchiude nello spazio, tutto sommato

limitato di un volto, mille pensieri, mille riflessioni e, in

questo senso, è pittura che si fa essenziale, esente da qualsivoglia

elemento scenico che possa apparire superfluo ed

ininfluente per la narrazione. Lo scopo, come detto, è uno

solo: rintracciare nell’intensità dell’espressione (intendendo

per espressione sia quella del soggetto che dell’autore) un

racconto completo di quelli che sono i tormenti, lo stupore,

la perplessità di soggetti che diventato icone universali.

Nel segno, incisivo, modulato, armonico, si concretizza il

lirismo di Kassai, le linee con il deciso supporto coloristico

compongono complessi arabeschi che si amalgamano con

macchie di colore. Poi gli occhi, le linee, sinuose ma affatto

rilassate, delle labbra, sono i dati salienti della caratterizzazione

psicologica dei soggetti ritratti, le tracce dei ricordi,

dei sogni infranti, delle speranze, dei progetti, delle consapevolezze

che costituiscono e animano la vita di ciascuno

di noi. Le pennellate di colore sembrano voler proteggere i

soggetti, compongono diligentemente, con sapienza tecnica,

il quadro d’assieme che pare formarsi sotto i nostri occhi.

Probabilmente assolvono anche il compito di dirci che

l’autore preferisce non giungere a conclusioni, non dare giudizi;

in questo senso c’è da parte di Kassai una traduzione

oggettiva che non è scevra del suo personale sentire, ma

avverte l’obbligo di non farsi invasiva o pedante. Non conosciamo

a sufficienza Kassai per affermare che sulla tela lui

esorcizzi le sue inquietudini, è possibile. È invece certo che

dipinge la vita, ed è

questa la modalità

più autentica per,

di contro, dare vita

alla pittura. Kassai

ha al suo attivo diverse

mostre in importanti

gallerie in

Germania; nel 2018

ha esposto a Bolgheri

e a Firenze, e

nel 2022, oltre che

allo Spazio Espositivo

San Marco,

al Castello Ginori a

Querceto.

VITA ERVIN ATTILA KASSAI

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Occhio critico

A cura di Daniela Pronestì

Maarika Maury

Dal caos della realtà interiore un ordine nuovo attraverso il colore

di Daniela Pronestì

Nella pittura astratta la mancanza di elementi riconducibili

alla realtà oggettiva espone l’artista ad un

azzardo e gli offre però allo stesso tempo una possibilità.

Un azzardo perché la mente vaga in un vuoto senza

appigli nel quale può essere facile perdere l’orientamento.

Un’opportunità perché superare la soglia del visibile significa

affrancarsi dalle limitazioni della forma per immergersi

in una dimensione in cui il “sentire” conta più del “vedere”.

In questo passaggio dalla materialità del mondo fuori

all’immaterialità del mondo dentro alcune certezze si perdono,

i punti fermi del già conosciuto vacillano, e nuovi

scenari si aprono allo sguardo che scruta se stesso dall’interno.

L’astrazione cromatica di Maarika Maury trasforma

questo salto oltre il contingente in un incontro con il mistero,

con tutto ciò che, essendo privo di corpo e sostanza,

pone l’artista di fronte alla difficoltà di traslare l’invisibile

nella sfera del visibile. A questa sfida la pittrice finlandese

risponde elaborando un linguaggio in cui il colore compensa

la mancanza di un referente concreto diventando a sua

volta “carne” e “sangue”, materia che palpita, respira e vive

nello spazio bianco della tela, procedendo dal caos atemporale

della realtà interiore ad un ordine nuovo scandito

dal tempo. Sensazioni, memorie, energie s’incarnano nel

colore, invadono la superficie, confliggono l’una con l’altra

oppure si accordano in raffinate armonie, con un’unica voce

a guidarle, una forza trainante e irresistibile: la passione

amorosa. Di questo sentimento si nutre l’approccio di

Maarika Maury alla pittura, che coniuga il bisogno di avere

una relazione quasi fisica con il colore – il quale in effetti

non viene steso ma applicato sulla tela procedendo

per strati e densità – al rapimento estatico di un amore

che se da un lato “esplode” incontrollato, dall’altro esalta

e riscatta lo spirito da ogni vincolo materiale. Quella che

ad una prima valutazione potrebbe sembrare una gestua-

38

MAARIKA MAURY


lità del tutto istintiva e affidata al

caso nasconde invece un preciso

criterio compositivo nel modo di

applicare il colore, con movimenti

dal basso verso l’alto e viceversa,

tinte sature, contrappunti di toni

caldi e toni freddi, colature, macchie,

sfrangiature. L’osservatore ha

così l’impressione di poter penetrare

all’interno della pittura, di calarsi

negli impasti cromatici e qui

riconoscere, tra gli azzurri, i viola

e i rossi, quel che resta di un paesaggio

marino, di un frammento

di cielo, di un tramonto, della natura

vista e decantata nella sintesi

astratta del colore. In certi quadri

la presenza dell’oro pare proprio

voler sublimare questa tensione

verso l’immateriale, l’aniconico, lo

spirituale, verso la capacità della

pittura di rendere percettibile ciò

che in se stesso è vago, indeterminato,

incorporeo. Ecco allora che

amore, passione e gioia – parole

ricorrenti nei titoli di queste opere

– non sono più soltanto astrazioni

ma presenze che abitano concretamente

lo spazio del dipinto,

aprendo così un varco nella realtà

e nel tempo.

MAARIKA MAURY

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Movimento Life Beyond Tourism Travel To Dialogue

Il mondo si prepara ad incontrarsi e dialogare a Firenze

The World in Florence 2022 e il programma dei Luoghi Parlanti

di Stefania Macrì

Èstato da poco pubblicato il programma preliminare

della seconda edizione del Festival Internazionale

della Diversità delle Espressioni Culturali del Mondo

The World in Florence che si svolgerà a Firenze presso

il refettorio di Santa Croce nei giorni 16-18 novembre 2022

(in formato “ibrido”, online e in presenza). Il Festival The

World in Florence si compone in primo luogo di una mostra

di pannelli didattici illustrativi che rappresentano, nelle loro

peculiari e variegate forme, le espressioni culturali tipiche

dei territori di riferimento; dall’architettura agli itinerari, dalle

tradizioni popolari ai costumi, dalla gastronomia ai prodotti

artigianali e così via. In questo modo il Festival offrirà

ai visitatori la possibilità di avvicinarsi a luoghi e culture diverse.

Assieme alla mostra e alla presentazione dei poster

fatta dagli autori (in presenza o online, in lingua inglese),

quest’anno il programma registra la presenza straordinaria

di esperti del patrimonio mondiale, legati ad organizzazioni

prestigiose quali UNESCO, ICOMOS e ICCROM e altre

ancora. Oltre ad esporre le loro importanti esperienze (17-

18 novembre 20222), il giorno 16 novembre gli esperti guideranno

un programma specifico di educational games per

studenti delle scuole superiori fiorentine sui temi del patrimonio

culturale per la pace e l’ambiente per il quale vi è

un numero programmato di partecipanti con registrazione.

La sezione Learning Journey, places and cultures in transition

quindi sarà ancora più ricca e interessante per i partecipanti

che potranno seguire le seguenti tre sessioni:

• Heritage Challenges for the Future

• Heritage for the Planet

• Heritage for Peace

Per visionare il programma preliminare è sufficiente collegarsi

al sito ufficiale del Festival www.theworldinflorence.com. The

World in Florence rappresenta il momento di incontro e dialogo

tra i Luoghi Parlanti ® e i territori del mondo che hanno aderito

al programma, avviatosi nel 2021 e con durata quinquennale

(2021-2025). Il Festival nel suo programma quinquennale consente

di visitare virtualmente il mondo attraverso gli occhi dei

locali e acquisire uno sguardo privilegiato sul patrimonio tangibile

e intangibile internazionale.

Il progetto mira a:

• Incoraggiare l’interpretazione e la comunicazione delle

espressioni culturali locali tipiche di un sito di destinazione;

• Promuovere la consapevolezza culturale delle comunità locali;

• Migliorare l’attrattiva internazionale dei siti;

• Cambiare il concetto di turismo in ospitalità per inclusività,

solidarietà e dialogo interculturale.

La partecipazione al Festival per presentare il proprio territorio

attraverso una narrazione culturale è ancora possibile

scrivendo a info@lifebeyondtourism.org. Tutte le informazioni

relative a The World in Florence 2022 sono disponibili sul

sito www.theworldinflorence.com

40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE


Strettamente legato al programma del Festival The World in

Florence vi è quello dei Luoghi Parlanti ® , un dispositivo narrativo

che racconta un territorio in maniera semplice e innovativa

attraverso le voci di chi lo abita. Utilizza immagini, parole,

video e testimonianze indigene per creare una connessione

empatica con le comunità locali, per ispirare una modalità di

viaggio rispettosa e sostenibile, alla scoperta di esperienze

uniche e destinazioni pressoché sconosciute ai circuiti tradizionali.

Si pone come un’esperienza itinerante che invita alla scoperta

e interviene sul territorio per creare una connessione più

profonda, una conoscenza autentica e un legame diretto con

la comunità locale. Luoghi Parlanti ® è Geniale perché invita

le comunità territoriali a costruire il proprio universo narrativi

coinvolgendo i locals nel racconto della propria essenza e

della propria identità. Restituisce la meraviglia del viaggio,

l’incanto che sorprende nell’hic et nunc di chi si muove alla

scoperta di una località. Contribuisce al recupero del Genius

Loci dei luoghi, di quello spirito del luogo che contiene

le fondamenta della cultura, delle tradizioni e della storia che

hanno plasmato nel tempo i territori. Grazie alla sua versatilità,

Luoghi Parlanti ® risponde alle esigenze del viaggiatore in

modo duplice:

• da casa grazie al sito www.luoghiparlanti.com che consente

di costruire il proprio itinerario di viaggio su misura, in

base ai propri gusti ed esigenze, prima ancora della partenza

collegando punti di interesse;

• in loco con un semplice tap sul proprio device per essere

guidato alla scoperta del territorio nella sua vera essenza.

Avere più canali di fruizione significa aumentare le possibilità

di visibilità per il territorio a livello locale, nazionale e internazionale.

Per maggiori informazioni www.luoghiparlanti.com

Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società

benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism

® , ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere

e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme

alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che

custodiscono. Offre progetti e soluzioni di visibilità e rafforzamento delle

identità locali dei vari luoghi, crea eventi basati sul dialogo tra il territorio e

i suoi visitatori grazie a una rete di relazioni internazionali di alto prestigio.

Per info:

+ 39 055 290730

info@lifebeyondtourism.org

www.lifebeyondtourism.org

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE

41


La tutela dell’ingegno

A cura di Aldo Fittante

Bike Alike

Il dispositivo semplice, sostenibile e green che rivoluziona il

futuro della bicicletta

di Aldo Fittante

Semplice, sostenibile, green: queste le parole chiave per

descrivere Bike Alike, una rivoluzionaria invenzione costituita

da un dispositivo applicabile a biciclette che

consente di trasformare una normale bicicletta di qualsiasi

età, taglia e forma, in una bicicletta elettrica. Bike Alike nasce

a Firenze, città simbolo dell’innovazione e del Made in

Italy, in un contesto in cui la mobilità sostenibile è diventata

un tema sempre più centrale per quanto riguarda il trasporto

sia in città italiane che estere. Nello scenario che va delineandosi,

infatti, quello della sostenibilità dei trasporti rappresenta

uno dei settori fondamentali per innescare un processo

di riconversione ecologica dell’economia, che ormai appare

sempre più urgente; basti pensare che, solo in Italia, il settore

dei trasporti è responsabile del 49% delle emissioni inquinanti,

e la maggior parte delle polveri disperse nell’atmosfera

derivano proprio dal traffico stradale. Per questo e per altre

ottime ragioni, l’adozione di un sistema di mobilità a basso

impatto ambientale, specie in ambito urbano, è considerata

una priorità per il miglioramento della qualità della vita dei

cittadini e per la salvaguardia del pianeta. Bike Alike sfrutta

al meglio questa necessità con un oggetto leggerissimo e

molto pratico che permette di rendere di nuovo moderna qualunque

bicicletta dimenticata in garage. Il dispositivo, infatti,

dispone di un attacco rapido e universale, che ne consente

l’installazione e la rimozione in pochi attimi. In questo modo

ogniqualvolta si toglie il dispositivo dal veicolo, si toglie l’intero

dispositivo completo di tutte le sue funzioni, lasciando

soltanto una parte dell’attacco rapido e scongiurando così i

furti, purtroppo molto frequenti quando si tratta di biciclette.

Il funzionamento, poi, non implica chissà quali conoscenze

meccaniche o tecnologiche, ed è perfetto per tutte le età: si

monta sulla ruota anteriore, il motore si attiva e disattiva gra-

In questa e nelle altre foto il dispositivo Bike Alike

42

BIKE ALIKE


zie a un piccolo telecomando wireless per accelerazione e

frenata assistita da montare sul manubrio e le dimensioni e il

peso consentono di metterlo nello zaino o in borsa e portarlo

con sé in ufficio o a casa. Oltre a questo, un’autonomia fino a

15 km e una batteria in dotazione a ricarica veloce, che permette

al dispositivo di ricaricarsi sia da spento ed in posizione

di inerzia sia in movimento, mediante un piccolo pannello

fotovoltaico da applicare alla bicicletta o allo zaino previsto

in dotazione. Insomma, Bike Alike promette di rivoluzionare

il mondo delle bici, trasformando qualunque due ruote “vecchio

stile” in una e-bike a pedalata assistita. Il tutto a prezzi

piuttosto contenuti, in maniera facilmente reversibile e cogliendo

tutti i vantaggi derivanti dall’adozione di forme di mobilità

alternative a quelle tradizionali, rilevanti da tutti i punti

di vista: economico, sociale ed ecologico.

Il marchio Bike Alike è presente nel portfolio brevetti

della Società Columbus Innovation Technology S. r. l.,

con sede a Firenze in via Michele di Lando, 6.

Per informazioni: + 39 055 2337710

Avvocato, docente di Diritto della Proprietà Industriale all’Università

degli Studi di Firenze e giornalista pubblicista

iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, Aldo Fittante

è promotore di molti convegni e autore di numerose pubblicazioni

scientifiche, articoli in riviste prestigiose, saggi e monografie

in materia di Diritto Industriale, d’Autore e Diritto dell’Innovazione.

www.studiolegalefittante.it

BIKE ALIKE

43


Occhio critico

A cura di Daniela Pronestì

Antje Petershagen

La natura vista con gli occhi

della fantasia

di Daniela Pronestì

Fissare sul foglio le impressioni di un viaggio in un luogo

lontano: la bellezza rigogliosa del paesaggio naturale,

l’aspetto curioso di alcune specie animali, i volti

simili a maschere di antiche divinità. Da questi elementi poi

trarre nuovi ulteriori spunti, facendoli entrare nel proprio immaginario

artistico e rielaborandoli di volta in volta in chiave

fantastica. È così che Antje Petershagen – illustratrice e

pittrice tedesca – ha vissuto il proprio viaggio in India, come

un’esperienza talmente intensa e affascinante da segnare

una svolta nel suo lavoro. Non è stata la novità di quest’incontro

a colpire la sua immaginazione, quanto invece l’aver

ritrovato nella natura e nella spiritualità di quella parte del

mondo qualcosa che già le apparteneva, uno stesso modo di


considerare gli aspetti sacri della vita e di credere nelle misteriose

energie all’origine dell’universo. Partita con il desiderio

di conoscere un posto nuovo, Antje Petershagen è tornata a

casa conoscendo meglio qualcosa di se stessa. Questo viaggio,

insieme ad altri compiuti negli anni, le ha permesso di arricchire

il proprio bagaglio espressivo di nuovi simboli, forme

e significati, che insieme convivono all’interno di complesse

raffigurazioni eseguite quasi esclusivamente ad acquerello.

La scelta di questa tecnica l’accompagna fin dalla prima giovinezza,

quando le fu regalata, a soli quattordici anni, la prima

scatola di colori. È stato allora che ha iniziato a scoprire

le diverse reazioni di ciascun pigmento a contatto con l’acqua,

a capire come dosare in maniera opportuna velature e

trasparenze, a trasformare l’imprevisto spesso inevitabile –

una sbavatura di colore ad esempio – in una valida opportunità

espressiva. La perizia tecnica maturata negli anni le

consente oggi di utilizzare l’acquerello per ottenere effetti

non lontani da quelli della pittura ad acrilico, alla quale pure

si dedica da qualche anno con risultati altrettanto significativi.

L’attività di illustratrice le ha permesso poi di affinare la

propria cifra stilistica, che oggi si connota per un’esecuzione

scrupolosa dei dettagli e per un modo a dir poco particolare

di legare tra loro forme vegetali e figure fino a farle diventare

un tutt’uno. In alcune opere, infatti, l’elemento floreale si trasforma

in una figura umana e quest’ultima, a sua volta, genera

altre forme naturali, in un processo simbiotico e insieme

metamorfico che suscita attenzione e curiosità nell’osservatore.

In altri lavori, fiori, foglie e arbusti riempiono la scena,

con particolari osservati da vicino come in un primo piano fotografico.

L’idea di fondo, in entrambi i casi, è una profonda

fascinazione per le bellezze di madre natura, per la varietà

dei colori e delle specie vegetali, per gli antichi racconti che

vogliono il paesaggio popolato di folletti, figure del mito e divinità.

Quella rappresentata da Antje Petershagen è in effetti

una natura “magica”, densa di simboli da decifrare, luogo

di accadimenti straordinari che soltanto una fervida fantasia

può immaginare. La fantasia di un’artista capace di sognare

ad occhi aperti e di consegnare questi suoi sogni alla sensibilità

di chi vorrà accoglierli.

ANTJE PETERSHAGEN

45


Arte e scienza

I benefici della musica sul benessere psicofisico

di Serena Gelli

Lenisce l’ansia, favorisce la concentrazione, stimola

e amplifica le emozioni: la musica riesce a fare

tutto questo, influisce sul benessere quotidiano

delle persone e ha effetti terapeutici su corpo e mente. È

ormai ampiamente dimostrato che la musica è un canale

espressivo privilegiato per fare emergere gioia, tristezza e

tutta la vasta gamma di emozioni di cui l’essere umano è

capace. Fin da piccoli, abbiamo tutti sperimentato gli effetti

benefici della musica, basti pensare alla ninna nanna

che era in grado addirittura di farci addormentare. In particolare,

secondo alcuni studi, la musica classica ha un

comprovato effetto rilassante. Infatti i suoi ritmi e le sue

tipiche tonalità contribuiscono a ridurre la pressione arteriosa,

il ritmo respiratorio e l’ormone dello stress. La musica

jazz, invece, stimola la creatività, mentre la musica

pop, al pari di un integratore multivitaminico, è una poten-

te fonte di energia, dinamismo e voglia di fare. Ascoltare

brani pop mentre facciamo attività fisica aumenta il livello

delle performance e permette di accusare meno la fatica.

La musica country è un concentrato di gioia e positività; la

musica metal aumenta l’autostima e la sensazione di appartenenza.

Infine il rock è altamente energizzante, tocca

le corde dell’io di chi lo ascolta dandogli quella carica

che gli permette di affrontare sforzi fisici e mentali, esami

universitari, colloqui, etc. Ma oltre ai vari generi musicali,

il cui effetto benefico è ormai appurato, altra scoperta interessante

è quella che riguarda le frequenze con le quali

l’essere umano entra in risonanza e che pare abbiano poteri

particolari. Due in particolare risultano essere le più

efficaci: 432hz e 528hz. Ascoltare musica a 432hz libera

i blocchi emotivi ed espande la nostra coscienza connettendoci

al ritmo della terra.

46 I BENEFICI DELLA MUSICA


Firenze mostre

Skim

Fino al 26 settembre a Palazzo Medici Riccardi con la personale

Genesi / L’armonia del Kaos

Fino al prossimo 26 settembre

la Galleria delle Carrozze di Palazzo

Medici Riccardi a Firenze

ospita Genesi / L’armonia del Kaos, mostra

personale di Skim, artista fiorentino

legato al mondo dei graffiti e della

street art. Curata dall’esperto d’arte Simone

Teschioni Gallo, la mostra è organizzata

e promossa dall’associazione

culturale Dedalus - Giuliano Ghelli, in

co-promozione con il Comune di Firenze

e il Comune di Scandicci e il patrocinio

della Città Metropolitana di Firenze

e della Regione Toscana. A fianco delle

istituzioni si colloca il prezioso contributo

di Unicoop Firenze, dello Studio Skim

Marco Suisola Amministrazioni Srl, del-

la ditta Aldea Srl e di Joker Casa Serramenti, insieme a Lef

Group e alla partecipazione di Euroforniture Srl e Pic Park.

Francesco Forconi, in arte Skim, è nato a Firenze nel 1985

ed è cresciuto nella vicina periferia fiorentina. Fin da piccolo

scopre la passione per l’arte, ammaliato soprattutto dal fenomeno

artistico nato negli anni Settanta a New York: il graffitismo.

Diplomatosi in Grafica pubblicitaria all’Istituto d’Arte di

Porta Romana a Firenze nel 2006, si iscrive alla Scuola Internazionale

di Comics, dove si diploma nel 2009 in Tecniche di

animazione e cartoni animati. Attraverso una narrazione divisa

in sezioni tematiche, l’esposizione, documentata da un

catalogo a cura di Centro Di Edizioni, ricostruisce il percorso

che quest’artista ha intrapreso sulla tela, a partire dai primis-

di Barbara Santoro / foto Gino Carosella

Una panoramica della mostra

simi disegni, che ne hanno segnato l’esordio, fino alle opere

più note che gli hanno permesso di affermarsi in tutto il mondo:

dai Personaggi che rileggono in chiave moderna l’Arcimboldo

agli Omaggi dedicati ai grandi maestri della pittura, ma

soprattutto gli universi costellati di oggetti e segni distintivi

che l’artista definisce Kaos e che provengono sia dal mondo

della fantasia che dalla vita quotidiana. Un’immersione totale

nel mare della creatività, in cui i colori, insieme a piccole

barchette, lettere, pennelli, matite, casette, pesci e musica,

proiettano in una dimensione immaginaria le figure che fuoriescono

dal limite fisico dalla tela e prendono letteralmente

vita arrivando a toccare il cuore di chi le osserva. L’esposizione

è inoltre arricchita da due installazioni site specific,

strettamente legate al mondo dei graffiti e realizzate appositamente

per la Galleria delle Carrozze. La prima, uno splendido

pianoforte trasformato dall’artista in opera d’arte, che

può essere suonato dai visitatori, dando così spazio a piccole

performance; la seconda, un muro realizzato con la tecnica

dei graffiti, collocato in posizione speculare rispetto alla

parete che ospita la targa in memoria delle vittime della deportazione

della seconda guerra mondiale: un omaggio e allo

stesso tempo uno strumento di riflessione per non dimenticare

l’importanza di questo luogo ricco di storia. Tra le iniziative

previste per tutta la durata della mostra, la realizzazione

di due graffiti dedicati uno a Firenze, l’altro a Scandicci, e la

collaborazione con Made in Sipario, cooperativa senza fini di

lucro nata nel 2011 per favorire l’integrazione e l’inclusione

sociale delle persone con disabilità. Nel mese di settembre

sono previste inoltre visite guidate per le scuole sia di Firenze

che di Scandicci.

SKIM

47


Silvia Mariotti

Tra fiaba e realtà

Olio su legno, cm 30x40

Sissy Art di Silvia Mariotti

silviamariotti273@gmail.com


I libri del mese

Serena Raggi

L’orrore della seconda guerra mondiale raccontato

attraverso gli occhi di un bambino

di Fabrizio Borghini

«

Perché il Ciclope tedesco stregato dalla Maga

della guerra calpesta la vita d’un fanciullo?» si

– e ci – domanda Serena Raggi introducendo il

lettore in questa storia familiare resa universale dalla tragicità

degli eventi, storia di mondo sovvertito dagli orrori

della guerra e dei sogni cavalcati di speranza di chi allora

era solo un bambino di sette anni. Siamo nel 1944. Un

intero paese del fiorentino, San Godenzo, poco distante

dalla famigerata Linea Gotica, vive il dramma silenzioso

dello sfollamento. Gli alleati avanzano, San

Godenzo è fatto saltare in aria dai tedeschi.

Tutto, casa su casa, ad eccezione dell’antica

abbazia. Non c’è tempo per pensare, restare

indietro, ancorare le proprie radici alle pietre

antiche del paese. Esercitare il diritto alla libertà

significa anche questo: lasciare tutto

e andare avanti, incontro al buio, al frastuono

dei colpi di mitragliatrice, agli aerei sulla

testa, agli occhi della madre colti un attimo

prima di vederli chiusi per sempre nel sonno

dei giusti. «Eppure non doveva arrendersi»,

sottolinea Serena Raggi in uno dei momenti

più intensi del racconto, lo strappo dal corpo

della madre, la favola vera, immonda da raccontare

al padre. La mamma, forse, è morta.

Pelago, altro comune nell’hinterland fiorentino,

accoglierà lʼintensa storia di Maurizio e

della sua famiglia, la mescolerà con le tante

altre piccole, profonde storie degli abitanti

del luogo fino a plasmarla nella storia per

tutti, memoria capace di custodire nel suo

scrigno di testimonianza verace, fatta di parole

e immagini, ciò che è stato e che mai più

avrebbe dovuto essere. Da qui il “gioco di coraggio”,

che è la vita, muove i passi del piccolo

Maurizio – padre dell’autrice – verso un

domani che ha il sapore del riscatto. Tenero

germoglio nato su terra fertile di lacrime, alzerà

ben presto un tronco dritto e forte che

lo farà pianta robusta, coriacea, esposta alle

intemperie ma anche al canto degli uccelli.

Finita la guerra, la vita riprenderà a scorrere;

quella vita sempre amata, da amare ogni secondo,

da costruire e inventare fino alla fine,

fino all’ultimo respiro, lasciando in eredità alla

figlia il compito di un gioco nuovo, il “gio-

co del ricordo”. Quel gioco serio, imprescindibile per una

società civile che voglia fondati sui valori della pace, del

rispetto reciproco, della tolleranza, della solidarietà tra

popoli il proprio futuro. Un messaggio quanto mai attuale

in questo tempo di rinnovati, sinistri bagliori. Da gridare

a voce alta, con coraggio, perché nessun bambino – di

ogni tempo, di ogni luogo – dovrebbe mai, neppure per un

istante, temere di aver perduto il proprio, naturale diritto

a giocare.

SERENA RAGGI

49


Con il Patrocinio di: Con il Patrocinio e il Contributo di: Con il Contributo di:

Promosso e organizzato dal Centro Culturale Firenze - Europa "Mario Conri"

XXXIX Premio Firenze

BANDO DI CONCORSO

Palazzo Vecchio

Salone dei Cinquecento

Sabato 3 dicembre 2022

I Sessione (Letteraria) ore 10,00

II Sessione (Arti Visive) ore 16,30

www.centrofirenzeuropa.it

ATTENZIONE

In relazione alla situazione ex Covid19 la Cerimonia di Premiazione del XXXIX Premio Firenze di Letteratura e Arti Visive

si articolerà, al fine di permettere la possibilità di intervento in presenza, nel rispetto delle disposizioni di legge, dei

concorrenti Vincitori, Segnalati e Finalisti, in due sessioni: nella prima saranno consegnati i Premi e i Diplomi delle Sezioni

Letterarie, con lettura delle poesie premiate; nella seconda saranno assegnati i sunnominati riconoscimenti delle

Sezioni Arti Visive, con esposizione delle opere vincitrici nel corso della Cerimonia (ove dette disposizioni ne permettano

l’allestimento). In entrambe le sessioni i riconoscimenti saranno consegnati dall’Ufficio di Presidenza. La Cerimonia

di Premiazione sarà trasmessa in diretta streaming. Con riserva di revisione e/o di aggiornamento delle modalità di

svolgimento della Cerimonia in riferimento all’evoluzione della situazione e delle collegate ulteriori disposizioni che,

se del caso, saranno tempestivamente comunicate con la loro pubblicazione sul sito del Centro Culturale.

50123 Firenze

via della Scala 31

tel. +39 055 2786881/2

fax +39 055 2786880

info@arshotels.it - www.arshotels.it

Dal 26 ottobre

Stagione Teatrale 2022-2023


XXXIX Premio Firenze

L E T T E R A T U R A

NORME DI PARTECIPAZIONE

Il concorrente di ciascuna sezione dovrà far pervenire sette copie della propria opera, assieme ad un eventuale curriculum, al seguente indirizzo:

Centro Culturale Firenze-Europa “Mario Conti”

Piazza G. Giorgini, 8 - 50134 FIRENZE

Tel. 331 2702696 (Sez. Letterarie)

Unitamente all’invio delle opere dovrà essere versato, quale quota di partecipazione, l’importo di € 40,00 per una sezione di concorso. Ogni concorrente potrà

partecipare ad un numero massimo di 2 sezioni: in tal caso l’importo richiesto sarà di € 60,00. Il contributo richiesto dà diritto a diventare soci del Centro

Culturale per l’anno 2022.

Le opere inviate non verranno restituite. Per le sezioni A-C-D potranno partecipare al concorso solo le opere edite dal 2019 al 2022.

SEZIONI A CONCORSO

A) POESIA EDITA: volume di liriche

B) POESIA INEDITA: da 1 a 3 liriche a tema libero

C) SAGGISTICA (STORICA/LETTERARIA) EDITA: opera di saggistica

D) NARRATIVA/MEMORIALISTICA EDITA: opera di narrativa/memorialistica

E) RACCONTO INEDITO: massimo di 5 cartelle dattiloscritte (ad interlinea 2)

Tutte le opere dovranno essere in lingua italiana

PREMI

SEZIONI A-C-D

1° PREMIO- Fiorino d’oro e assegno di € 500,00

2° PREMIO- Fiorino d’argento e assegno di € 250,00

3° PREMIO- Medaglia di bronzo

SEZIONI B-E

1° PREMIO- Fiorino d’oro e assegno di € 250,00

2° PREMIO- Fiorino d’argento

3° PREMIO- Medaglia di bronzo

Ai Segnalati sarà conferito un Diploma d’onore. Ai Finalisti sarà conferito il Diploma di Finalista.

Tutti i premiati, i segnalati ed i finalisti saranno inseriti all’indirizzo: www.centrofirenzeuropa.it.

Il Premio Speciale “Mario Conti” sarà assegnato dal Consiglio Direttivo.

I Fiorini d’oro premiati nei 5 anni antecedenti la XXXIX edizione del Premio non potranno ottenere analogo riconoscimento nelle sezioni di riferimento. I

giudizi espressi dalla Giuria Letteraria presieduta da Enrico Nistri e composta da Marina Alberghini, Anna Maria Baldini, Federico Berlincioni, Marino Biondi,

Ruth Cardenas, Marco Cellai, Rita Funes, Anna Maria Giglio (segretaria), Pier Paolo Guidi, Maurizio Maggini, Francesca Livia Mangani Camilli, Luca Ravazzi,

Adalberto Scarlino, Pierandrea Vanni, Valeria Vitti sono insindacabili e inappellabili.

Per ulteriori informazioni: Segreteria Sezioni Letterarie - Tel. 331. 2702696 Posta elettronica: gigliosegreterialettere@centrofirenzeuropa.it

Termine di consegna 15 OTTOBRE 2022

A R T I V I S I V E

NORME DI PARTECIPAZIONE

A tema libero, aperto ad artisti italiani e stranieri, è articolato nelle sezioni di:

P) PITTURA

S) SCULTURA

G) GRAFICA (tradizionale e digitale)

F) FOTOGRAFIA (digitale ed analogica)

La partecipazione nelle 4 sezioni avviene attraverso l’immagine fotografica di un’opera.

Ogni artista può partecipare ad un numero massimo di due sezioni. La foto dell’opera, in doppia copia, dovrà essere a colori, di ottima qualità, nel formato

minimo di cm 13x18 e massimo di cm 20x30, con indicazione, sul retro, del nome dell’Autore, delle misure, della tecnica e del verso dell’opera.

Tutte le foto delle opere a concorso saranno pubblicate nel catalogo del premio, stampato a colori, che verrà inviato ad ogni artista partecipante.

Il nominativo di tutti i concorrenti e la mostra virtuale saranno inseriti all’indirizzo: www.centrofirenzeuropa.it


Le foto dovranno essere inviate al seguente indirizzo:

Centro Culturale Firenze-Europa “Mario Conti”

Piazza G. Giorgini, 8 - 50134 FIRENZE

Tel. 3408972273 (Sez. Arti Visive)

La partecipazione al concorso prevede un contributo spese di € 90,00 (€ 100,00 per residenti all’estero) e un supplemento di € 70,00 per la seconda sezione.

La quota di adesione dà diritto a diventare soci del Centro Culturale per l’anno 2022.

Le foto inviate e il materiale allegato non verranno restituiti.

Gli originali delle opere presentate a concorso dovranno avere i seguenti requisiti:

Pittura, Grafica e Fotografia - dimensione massima con cornice metri 1,20x1,20.

Scultura - dimensione massima altezza metri 1- peso massimo kg 20

Per ulteriori informazioni:

Segreteria Sezioni Arti Visive - Tel. 3408972273

Posta elettronica: segreteriaartivisive@centrofirenzeuropa.it

PREMIAZIONE

Le opere prime classificate nelle sezioni Pittura e Scultura saranno premiate con Fiorino d’oro e assegno di € 500,00. Alle opere prime classificate nelle

sezioni Grafica e Fotografia saranno assegnati Fiorino d’oro e assegno di € 250,00. Le opere seconde e terze classificate nelle quattro sezioni saranno rispettivamente

premiate con Fiorino d’argento o Medaglia di bronzo. Tutte le opere sopra citate saranno esposte (qualora le disposizioni non dovessero

permetterne l’allestimento in Palazzo Vecchio nel giorno della Cerimonia), unitamente ad una selezione dei lavori a concorso, individuata dalla Giuria di

merito, nella Mostra Premio che si terrà a Firenze. Tutte le opere a concorso saranno inserite nella mostra virtuale della XXXVIII edizione del “Premio Firenze”.

L’organizzazione del Premio, pur assicurando la massima cura, declina ogni responsabilità nei confronti delle opere pervenute e/o esposte. I Fiorini

d’oro premiati nei 5 anni antecedenti la XXXVIII edizione del Premio non potranno ottenere analogo riconoscimento nelle sezioni di riferimento. I giudizi

espressi dalla Giuria Arti Visive presieduta da Riccardo Saldarelli e composta da Giusi Celeste, Roberta Fiorini (segretaria), Carlotta Fuhs, Achille Michelizzi,

Daniela Pronestì, Silvia Ranzi e Massimo Ruffilli sono insindacabili e inappellabili.

PREMIO FIRENZE GIOVANI PREMI SPECIALI 2021

Al fine di incentivare l’attività letteraria ed artistica dei giovani, è rinnovato

il PREMIO FIRENZE GIOVANI, riservato ai concorrenti under 25, che verrà

attribuito dalle rispettive Giurie per le sezioni dalle stesse individuate. I

giovani vincitori nei comparto letterario riceveranno riconoscimenti analoghi

a quelli dei Primi Premi nelle sezioni letterarie B-E. Ai vincitori nelle

sezioni arti visive saranno assegnati Fiorino d’oro, esposizione in Palazzo

Vecchio (ove consentita dalle disposizioni di merito) o nella Mostra

Premio sopra citata e una pagina web contenente un massimo di 10 opere

degli Autori.

Le quote di partecipazione riservate ai concorrenti under 25 nei comparti

letterario ed arti visive sono rispettivamente individuate in € 20,00 (€

30,00 per le doppie sezioni) ed in € 50,00 (€ 70,00 per le doppie sezioni).

GIOVANNI FALCONE, FRANCESCA MORVILLO, PAOLO BORSELLINO E LE

LORO SCORTE. EROI DEL NOSTRO TEMPO

Nel 30° anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio saranno assegnati

tra i concorrenti delle sezioni Letteraria e Arti Visive, a discrezione

delle Giurie di merito, 2 Premi Speciali - Fiorino d’oro ed esposizione in

Palazzo Vecchio o nella Mostra Premio - ove espressione del comparto

Arti Visive - a 2 opere collegate alla tematica in oggetto.

Le opere premiate saranno donate, ove sussistente la disponibilità degli

Autori, all’Automobile Club Firenze e al Rotary Club Firenze Ovest, i cui

Presidenti provvederanno alla consegna dei Premi.

Termine di consegna 15 OTTOBRE 2022

PREMIO FIRENZE – X X X I X E D I Z I O N E

SCHEDA DI ADESIONE – DA ALLEGARE, UNITAMENTE A

FOTOCOPIA DEL VERSAMENTO, ALLE OPERE IN CONCORSO

NOME_____________________________________________________

COGNOME_________________________________________________

DATA DI NASCITA__________________________________________

(obbligatoria solo per i concorrenti al Premio Firenze Giovani)

VIA_______________________________________ N. _____________

CAP_______ CITTÀ_________________________ PROV.__________

TEL.________________________ CELL. ________________________

EMAIL_____________________________________________________

SEZIONE LETTERARIA – Allego sette copie dell'opera concorrente per la sezione:

A Poesia Edita – B Poesia Inedita – C Saggistica Edita

D Narrativa Edita – E Racconto Inedito

SEZIONE ARTI VISIVE

P Pittura – S Scultura – G Grafica – F Fotografia

Pagamento intestato al: Centro Culturale Firenze-Europa "Mario Conti"

Piazza Giorgini 8 - 50134 Firenze

da effettuarsi esclusivamente tramite:

conto corrente postale n. 11567500 vaglia postale assegno bancario non trasferibile

bonifico bancario su Banca Intesa SanPaolo

IBAN IT87N0306902887100000004018 – BIC BCITITMM (per adesioni dall’estero)

Ho inviato Euro__________________________________________________ il_______________________

La partecipazione alla XXXIX edizione del “Premio Firenze” comporta l’accettazione completa ed automatica di tutte

le clausole contenute nel presente bando. Informativa e consenso ai sensi del Regolamento Privacy UE 2016/679

Il/La sottoscritto/a ___________________ nel trasmettere le proprie opere ed i propri dati acconsente al loro

trattamento da parte del Centro Culturale Firenze Europa “Mario Conti” ed all’utilizzo degli stessi per invio

di materiale informativo o promozionale. Il/La sottoscritto/a dichiara, inoltre, che all’atto del conferimento

dei dati ha visualizzato nel sito web www.centrofirenzeuropa.it l’informativa ai sensi dell’art.13 del Regolamento,

ivi compresi i diritti che, in relazione al trattamento cui acconsente, gli derivano ai sensi degli

articoli dal 15 al 22 del Regolamento UE n. 2016/679. Il mancato consenso al trattamento comporta l’impossibilità

di partecipare all’iniziativa.

Data__________________

firma____________________________________


Mostre in Toscana

Libuse Babakova

Protagonista di una personale alla Galleria Lazzaro di Forte dei Marmi

di Jacopo Chiostri

Acavallo di ferragosto, Libuse Babakova, artista amica

e socia di Toscana Cultura, ha ricevuto una consacrazione

di tutto rispetto in quella Forte dei Marmi

che oggi punta nuovamente sull’attività di promozione culturale

che sembrava gli fosse stata definitivamente “scippata”

dalla vicina Pietrasanta, la cosiddetta “Atene d’Italia” che si

è riempita di gallerie ed appuntamenti d’arte. La Babakova

ha esposto nella Galleria Lazzaro in quella via Pascoli, nota

anche per le famose “marguttiane”, dove i vecchi frequentatori

del “forte” ricordano, seduta la figura, anche questa storica,

proprio di Walter Lazzaro, il pittore del “silenzio” che lì

aveva il suo atelier. Tutto ebbe inizio, vale la pena di ricordarlo,

con Carlo Carrà, che considerava Forte dei Marmi la sua

seconda casa e che nel 1962 fece sentire la sua voce autorevole

per ribadire che l’arte deve stare all’aperto, in mezzo

alla gente. Vennero quindi le “marguttiane” e gli incontri del

“Quarto Platano”; poi “forte” perse un po’ di smalto artistico,

quello che oggi si sta recuperando. Nella Galleria Lazzaro,

affollata di villeggianti e appassionati, la Babakova ha esposto

opere recenti e altre di più vecchia data. In ogni caso si è

potuto cogliere la sua consolidata maturità artistica e la coerenza

del linguaggio, evidente nel confronto tra opere di epoche

diverse. È un discorso, quello della Babakova, affinatosi

in una continua ricerca e sperimentazione; lei produce relativamente

poco ed è forse questo che fa sì che ogni singolo

pezzo abbia una sua marcata personalità e, sia pure nell’uniformità

del linguaggio, il discorso appaia sempre diverso. La

Babakova traduce i suoi appunti visivi in forme che compongono

un alveare, ed è lì che vengono conservati (per poi produrre

un dolcissimo miele) ricordi e suggestioni. La sua arte

si esalta nella ricerca di un equilibrio per il suo personalissimo

alfabeto col quale traspone il reale in una dimensione

265 - Frammenti (2018), acrilico su metacrilato, cm 50x50 266 - Frammenti (2018), acrilico su metacrilato, cm 50x50

in cui convivono incanto

e nostalgia. Le soluzioni

geometrico - spaziali sono

state lette come uno

spartito musicale, questo

anche in ragione della

sua cultura – la Babakova

si è laureata in Storia

e Musicologia all’Università

Purkyne di Brno, sua

città natale – e, in effetti,

l’armonia e la dolcezza del

“suono” che sembra sgorgare

dalla tela è la prima

nota che colpisce l’osservatore;

un’armonia estrema,

dettagliatissima ma mostra con i giornalisti Fabrizio Borghini

Libuse Babakova allʼinaugurazione della

non ossessiva, anzi distesa

e leggera. E in questo

e Jacopo Chiostri

mondo per noi così inesplorato l’occhio che sa e che vuole

vedere riconosce quello che è stato il primo humus dell’artista:

il paesaggio toscano, l’ordinatissimo, confortante, luminoso

paesaggio toscano, con le sue colline fertili, i filari degli

alberi da frutto o dei cipressi, poi l’acqua, il vento, lo scorrere

lento, a volte rude, del tempo e i cieli di certe notti quando

ti sembra di poter allungare una mano e impadronirti di

una stella. Si ha l’impressione che il lavoro della Babakova

consista nel prendere in mano una matassa aggrovigliata e

pazientemente sbrogliarla, distenderla, creare dal disordine

un nuovo ordine possibile e a ciascun filo attribuire un ruolo,

una posizione e un senso: questo in primo piano, questo

a fare da sfondo, questo a guidare lo sguardo, questo a

esaltare la coerenza e

la simmetria coloristica

oppure, all’opposto,

a provocare un contraltare

visivo. È inevitabile

pensare che in tutto

ciò vi sia uno studio

che l’artista compie in

primis su se stessa,

per decifrare, mettendo

a nudo sulla tela,

filtrato con il potente

setaccio dell’arte, il

mistero della creazione

e tentare una, forse

utopica, ricostruzione

dell’universo mondo.

LIBUSE BABAKOVA

53


Erika Castelli

Il volto dell’innocenza

La piccola Chanel, olio su tela, cm 40x50

castellierika@yahoo.it


Mostre in Toscana

A Fiesole la collettiva promossa

dall’associazione Napoli Nostra

Testo e foto di Maria Grazia Dainelli

CON IL PATROCINIO DI

Dal 30 luglio al 7 agosto la Sala del Basolato, spazio

espositivo nel palazzo del Comune di Fiesole, ha ospitato

la collettiva di pittura, scultura e fotografia intitolata

L’Arte illumina la mente promossa dall’associazione Napoli

Nostra. Gli artisti coinvolti nell’iniziativa saranno inseriti in un

testo di storia dell’arte

"L’Arte

che sarà poi archiviato

illumina

nella biblioteca

Thomas J. Watson del Metropolitan Museum di New York

la mente”

per una ricerca sull’arte moderna e contemporanea in ventiquattro

paesi del mondo, tra i quali anche l’Italia rappresentata

dall’associazione Napoli Nostra. L’inaugurazione ASSOCIAZIONE della mostra NAPOLI NOSTRA

ha visto la partecipazione dell’ingegnere Gennaro Corduas, direttore

artistico di Napoli Nostra che ha presentato gli artisti,

della sindaca del Comune di Fiesole Anna Ravoni e del giornalista

Fabrizio Borghini, che ha realizzato un servizio televisivo

presso

per la rubrica Arte Incontri in onda su Italia 7.

Mostra collettiva di pittura, scultura, grafica e fotografia

"Sala Del Basolato” - Piazza Mino, 26 - FIESOLE

dal 30 luglio al 7 agosto 2022

L’inaugurazione della mostra: da sinistra, l’ingegnere Gennaro Corduas, direttore artistico

di Napoli Nostra, il giornalista Fabrizio Borghini e la sindaca di Fiesole Anna Ravoni

CON IL PATROCINIO DI

Mostra collettiva di pittura, scultura, grafica e fotografia

"L’Arte

INIZIATIVA

illumina

IDEATA E REALIZZATA

la mente”

DALL’ ASSOCIAZIONE CULTURALE NAPOLI NOSTRA

L’INAUGURAZIONE CON DRINK AVVERRÀ SABATO 30 LUGLIO ALLE ORE 17.00

ASSOCIAZIONE NAPOLI NOSTRA

PRESENTAZIONE DELLA MOSTRA A CURA DI:

DOTT. FABRIZIO BORGHINI CRITICO D’ARTE E GIORNALISTA

ING. GENNARO CORDUAS DIRETTORE ARTISTICO

presso

"Sala Del Basolato” - Piazza Mino, 26 - FIESOLE

ASSOCIAZIONE CULTURALE NAPOLI NOSTRA

Vico Berio, 4 - 80132 Napoli - Tel. 081 4249786 cell. 339 3218464 - Telefax 081 415123

info@napolinostra.com dal 30 - www.napolinostra.com luglio al 7 agosto www.facebook.com/napolinostra

2022

ARTISTI PARTECIPANTI

ABBRUZZESE PAOLA

ALTOBELLI CRISTINA

ARDIRI FILIPPO

ARMATO VINCENZO

BAFILE MARIA ANTONIETTA

BALLJANA CARLO

BARZON NICOLETTA

BEDIN FABIO

BIANCHINI SALVATORE

BIANCO LINO

BINI FEDERICA

BOSCARO ALDA

BRESCIANINI GIUSY

BUBBA ANNA

CALCINAI CHIARA VALENTINA

CANDIDO CARMELA

CANEPA LUIGI FRANCESCO

CARLETTI FRANCO

CAVANNA ELENA

CESARINI NADIA

CHERUBINI GIOVANNI

CINTELLI MOLTENI ERMELLA

CIOGLIA BRASIL CASSETTI DORALUCIA

COPPI MARIA BEATRICE

CASTELLANA GROTTE (BA)

FRANCAVILLA AL MARE (CH)

ARGENTA (FE)

MAZARA DEL VALLO (TP)

SULMONA (AQ)

SERNAGLIA DELLA BATTAGLIA (TV)

DE DEMO LINA

DE PASQUALE MARIA

DI SECLI’ ANTONIETTA

DONKOVIC MARIJA

FABIAN MASSIMO

FERRUZZI CARUSO DEBORA

INIZIATIVA FUSARI IDEATA GIULIANA MADDALENA E REALIZZATA

VERONA (VR)

FUSI MARIA GRAZIA

EMPOLI (FI)

DALL’ ASSOCIAZIONE GALATI MARIA CULTURALE VENEZIA (VE) NAPOLI NOSTRA

CAMPONOGARA (VE)

PIOVE DI SACCO (PD)

ROMA (RM)

SASSUOLO (MO)

LIDO DI CAMAIORE (LU)

GANZAROLI MAURIZIO

GASBARRO VALENTINA

L’INAUGURAZIONE MONTEBELLUNA (TV) CON DRINK GIANELLA AVVERRÀ RENZO SABATO CAMPONOGARA 30 (VE) LUGLIO ALLE SATTA ORE MARIA CATERINA 17.00

PERTICA ALTA (BS)

CAMPI BISENZIO (FI)

MILANO (MI)

MOLFETTA (BA)

GHIONE DANIELA

NOVARA (NO)

INSERRA GIUSEPPE “ICONARTE” MARIANOPOLI (CL)

PRESENTAZIONE LAGANA’ ANTONELLA DELLA MOSTRA LIVORNO A (LI) CURA DI:

LANCIA AMADIO

RIETI (RI)

DOTT. FABRIZIO BORGHINI CRITICO D’ARTE E GIORNALISTA

MAIORELLI FABRIZIO

BARBERINO DI MUGELLO (FI)

ING. GENNARO MARCHIARO CORDUAS PAOLA DIRETTORE MERCENASCO ARTISTICO

(TO)

ALBISSOLA MARINA (SV)

SIENA (SI)

GOSSOLENGO (PC)

LADISPOLI (RM)

VITERBO (VT)

PRATO (PO)

BELO HORIZONTE BRASIL (MG)

FIRENZE (FI)

MARCZYK TERESA

MERIK

MILANO MIMMO

MONTALTO SEBASTIANO JAN

NAZER FAUSTO

ORSATO LORIA

CALALZO DI CADORE (BL)

BARI (BA)

MILANO (MI)

ROZZANO (MI)

LATINA (LT)

FIRENZE (FI)

FERRARA (FE)

CASAMASSIMA (BA)

GUBBIO (PG)

PORTOGRUARO (VE)

GIOIA DEL COLLE (BA)

FERLA (SR)

VANESCA (CN)

VALDAGNO (VI)

ASSOCIAZIONE CULTURALE NAPOLI NOSTRA

PEDDITZI OTTAVIO

PESCI FABRIZIO

PROCIDA FRANCESCO

PROCOPIO GREGORIO

REISSER GISELE

REMOTTI RENZO

RICCIO STEFANIA

RUGGERI ANNAMARIA

RUSSO ANGELA

SACCHI FRANCA

SANDRELLI FRANCESCO

SITZIA INES

STICCO ANNA

TERRACCIANO PASQUALE

TERRENI LORENZO

TOSI BRUNO

VACCARO MAURIZIO

VALENTE ITALO

VERONESE SABRINA

VERSETTI GIORGIO

ZANCANO RICCARDO

ZANETTI ENZO

ZANETTI MARIAGRAZIA

MANCIANO (GR)

NOCETO (PR)

VIETRI SUL MARE (SA)

REGGIO DI CALABRIA (RC)

SAN VINCENZO (LI)

ASTI (AT)

POTENZA (PZ)

OMEGNA (VB)

TERMINI IMERESE (PA)

MILANO (MI)

CAMUCIA-CORTONA (AR)

TRINITA’ D’AGULTU E VIGNOLA (OT)

SANT’ANTIOCO (SU)

SOVICILLE (SI)

BRUSCIANO (NA)

BIENTINA (PI)

MILANO (MI)

FRANCAVILLA DI SICILIA (ME)

MARANO DI NAPOLI (NA)

SCANDIANO (RE)

CARAVAGGIO (BG)

TRIESTE (TS)

MANTOVA (MN)

NOVARA (NO)


Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale

Omaggio alla Rocca

Il Centro Espositivo Culturale San Sebastiano sbarca in Val d’Orcia con una

collettiva di cinque artisti

di Fabrizio Borghini

Grande affluenza di visitatori ha registrato la

mostra organizzata dal Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano di Sesto Fiorentino nel

territorio molto suggestivo della Val d’Orcia senese.

Dall’11 luglio al 29 agosto, i cinque artisti partecipanti

– Danella Fabbrini di Abbadia San Salvatore, Fabrizio

Finetti (Finaù) di Sesto Fiorentino, Felice Giannelli

di Sesto Fiorentino, Luciano Manara di Prato e Valter

Figoni di Sesto Fiorentino – hanno presentato i

propri lavori nel caratteristico borgo di Rocca d’Orcia,

presso Castiglione d’Orcia, nella prestigiosa e

suggestiva Rocca di Tentennano da poco restaurata.

L’evento espositivo, dal titolo Omaggio alla Rocca,

ha registrato un’affluenza di oltre 2.500 visitatori

Valter Figoni Felice Giannelli con unʼopera di Luciano Manara Vista dʼinsieme della mostra

56 CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO


Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Marta Ricci di Val d’Orcia Tour, Fabrizio Finetti e il sindaco di Castiglione

D’Orcia Claudio Galletti

Valter Figoni e Luciano Manara

provenienti da tutte le parti del mondo. Alcune

opere in esposizione hanno suscitato

interesse e sono state recapitate in diversi

luoghi della nostra penisola. Tutto questo si

è reso possibile con l’interessamento dell’associazione

Val d’Orcia Tour, più precisamente

nelle persone di: Marta Ricci, Irene Sbrilli

e Valentina Pierguidi. Fondamentale è stato

anche il supporto degli operai comunali per

gli allestimenti e del primo cittadino, il sindaco

Claudio Galletti, che ha dato il via alla cerimonia

di inaugurazione.

Valentina Pierguidi di Val d’Orcia Tour e Fabrizio Finetti

del Centro Espositivo Culturale San Sebastiano

I tre artisti Valter Figoni, Felice Giannelli e Fabrizio Finetti

CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO

57


ALMA SHEIK

www.almasheik.com

VENICE- AQVART EXHIBITION

Palace Scuola Grande San Teodoro

3°-12° of September 2022


Maestri del Novecento

Tamara de Lempicka

I misteri italiani di una delle più originali artiste del Novecento

Tamara de Lempicka è stata non solo una

delle artiste più importanti delle avanguardie

del Novecento ma anche una personalità

carismatica capace di influenzare le

tendenze della moda e dello stile nella società parigina.

Questi valori, che oggi sembrano così superficiali,

erano invece rivoluzionari all’epoca

perché erano d’esempio a tante donne per far capire

loro che nulla è impossibile e che anche una

donna, se determinata, riesce a raggiungere la fama.

Tamara, vera anticonformista, è stata una

delle prime donne artiste che ha sfidato con successo

il mondo maschile sia nel campo dell’arte

che nel costume e nello stile di vita. Non è stata

soltanto la precorritrice della moda parigina di ieri

e un idolo al quale ispirarsi, ma ancora oggi tanti

personaggi dello spettacolo prendono spunto

dai suoi quadri per conquistare il pubblico. Alcune

sue opere come Andromeda, Ragazza con il ca-

pello e dei ritratti maschili appaiono nei video di Madonna

e nelle campagne pubblicitarie di Dolce e Gabbana. Diversi

costumi di scena e make-up usati sia da Madonna (la

quale fra altro è un’appassionata collezionista dei suoi

quadri) che da Lady Gaga sembrano usciti dalle sue tele

più famose. I volti delle donne da lei ritratte con occhi

grandi e devoti sono allo stesso tempo seducenti e glaciali,

angelici e demoniaci. Intorno al suo personaggio sono

nate tante leggende e sono stati raccontati diversi scandali:

Tamara infatti amava far parlare di sé, lasciando tante

cose nel dubbio e vivendo sopra le righe. Le piaceva avvolgere

la sua vita e le sue opere in una nube di mistero, spesso

non rivelando tutto di se stessa. Il primo mistero è

quello legato al suo vero nome e alla data di nascita, visto

che Tamara in realtà si chiamava Maria Rosalia Gorska ed

di Margherita Blonska Ciardi

Myrto (1929), opera rubata a Parigi nel 1943 da un generale nazista

Studio Ad-Art, Tamara de Lempicka con cappello rose Descat e abito Marcel Rochas (1935)

era nata a Varsavia (all’epoca nel Principato di Varsavia

dato che la Polonia era divisa in tre parti inglobate da Germania,

Russia e Austria-Ungheria). Il secondo mistero è legato

al nome d’arte con il quale la conosciamo, de

Lempicka, che Tamara ha acquisito sposando l’unico vero

amore della sua vita, il promettente avvocato Tadeusz

Lempicki. Rifugiatasi a Parigi per scappare dalla rivoluzione

russa e mettere in salvo se stessa e la sua famiglia,

l’artista aggiunge al cognome del marito la particella “de”

per sottolineare la sua provenienza nobile e seguire la moda

dei salotti francesi. Fanno sempre più scalpore recenti

scoperte legate ai viaggi di studio e di lavoro che Tamara

ha fatto in Italia fin dalla tenera età per trascorrere le vacanze

con la nonna materna Clementina, grazie alla quale

si è appassionata d’arte. Anche durante il suo percorso

formativo prima alla scuola di Maurice Denis e

poi di Andrè Lhote, veniva spesso a Firenze per

approfondire gli studi di disegno. La sua prima

mostra personale, con trenta dipinti e otto disegni,

viene inaugurata il 28 novembre del 1925 proprio

in Italia, a Milano, alla galleria Bottega di

Poesia. In questa occasione conosce Gabriele

D’Annunzio che fin da subito la desidera follemente.

Pur essendosi già affermata a Parigi, in Italia

Tamara era allora ancora sconosciuta. Abile manager

di se stessa, capisce subito che eseguire

un ritratto del “vate” può servirle per rendere noto

il suo nome nel bel paese. Dal canto suo D’Annunzio

ha avuto molte muse: le attrici Eleonora Duse

e Cécile Sorel, la ballerina Ida Rubinstein, la pittri-

TAMARA DE LEMPICKA

59


ce Romaine Brooks, la marchesa Casati. Facile quindi immaginare

che anche l’affascinante giovane artista polacca

di nobile provenienza abbia suscitato in lui un vivo interesse.

Pur essendo allora ormai anziano e non più affascinante,

il poeta si lancia così in una corte spietata. Entrambi

puntano a conseguire un proprio obiettivo: Tamara la fama

in Italia, D’Annunzio un’altra donna da aggiungere alla sua

collezione. Per questo motivo, invita la pittrice al Vittoriale

dopo averle commissionato il suo ritratto. L’arrivo di Tamara

viene accompagnato da alcune cannonate a salve

nel parco del Vittoriale, in omaggio a lei, alla sua arte e alla

Polonia. Il poeta stesso si reca ad accoglierla all’entrata

in groppa ad un cavallo bianco. Secondo la raccolta

delle testimonianze della governante del poeta edite da

Franco Maria Ricci in Tamara De Lempicka (Franco Maria

Ricci Editore, Parma, 1977), la loro frequentazione è stata

un misto di seduzione, gioco e scambio intellettuale ma

anche di furibondi insulti. In seguito al rifiuto di Tamara di

concedersi al celebre poeta durante il suo soggiorno al

Vittoriale e la sua successiva fuga notturna, il ritratto non

viene mai realizzato. A questo punto, la pittrice definisce

il poeta “vecchio nano in uniforme”, mentre quest’ultimo

parla di lei come della “donna d’oro”. I due fanno pace dopo

alcune settimane e D’Annunzio, volendo farsi perdonare

per le sue avance troppo esplicite, regala a Tamara un

anello di topazio accompagnato da una dedica poetica.

Fatto curioso è che Tamara porta ad dito questo anello per

il resto della sua vita, considerandolo un talismano portafortuna.

La corrispondenza tra i due personaggi continua

per diversi anni grazie alla reciproca stima sul piano intellettuale.

Tamara aveva conosciuto D’Annunzio grazie a Filippo

Tommaso Marinetti, suo amico incontrato a Parigi e

celebre fondatore del movimento futurista. I due si conoscono

nel 1924 frequentando gli ambienti legati alle avanguardie

artistiche dove avvenivano spesso accese

discussioni sul ruolo futuro dell’arte e sulla necessità di

un cambiamento. Al termine di uno di questi incontri, Tamara

e Marinetti decidono di dare fuoco al Louvre. Il colpo

fallisce miseramente e finiscono entrambi al commissariato,

dove vanno a ritirare la macchina che Tamara aveva

parcheggiato in sosta vietata. La prima personale dell’artista

a Milano è organizzata proprio da Marinetti che la presenta

alla galleria Bottega di Poesia. Volendo far esibire

anche a Firenze la compagnia del Nuovo Teatro Futurista,

Marinetti decide di coinvolgere nella preparazione della

scenografia la sua amica polacca con la quale ha frequenti

contatti, ma lo spettacolo non viene mai realizzato. Nella

corrispondenza tra Tamara e D’Annunzio si legge: «Caro

Ritratto del marchese Sommi (1925), olio, coll. privata, Tamara Art

Heritage, Museum Masters International, New York

Ragazza in verde (1930-1931), olio su compensato, cm 61,5x45,5, Centre

Pompidou, Parigi

60 TAMARA DE LEMPICKA


Nudo femminile: il misterioso dipinto ritrovato in una

villa fiorentina

maestro e amico, eccomi a Firenze! Perché mai qui? Per

lavorare, studiare i cartoni del Pontormo, purificarmi al

contatto con la grande arte italiana, respirare l’atmosfera

di questa incantevole città». Si tratta quindi di una conferma

del fatto che la pittrice ha soggiornato per un periodo

più lungo a Firenze nel 1925. In tante sue opere si ritrovano

spunti presi dalle opere di maestri del Rinascimento e

del Manierismo italiano. Recentemente la televisione polacca

sta realizzando un documentario dedicato alla vita

di Tamara nel quale una parte importante riguarda proprio

il suo legame con l’arte italiana, facendo emergere tanti

segreti e particolari dei quali finora si è parlato poco. L’equipe

dei tecnici sta ripercorrendo le tappe dei tanti spostamenti

dell’artista nel corso della sua vita burrascosa, a

partire da Varsavia e San Pietroburgo, passando poi ai

contatti con l’Italia e con Parigi e arrivando quindi negli

Stati Uniti e in Messico. Senz’altro interessante è il ritrovamento,

avvenuto ormai quarant’anni fa, di una tela di grandi

dimensioni raffigurante un nudo di donna seduto. La

Particolare del volto

tela, rimasta arrotolata per decenni e solo successivamente

aperta, è stata acquistata proprio a Firenze, insieme ad

alcuni oggetti d’antiquariato, da un noto gallerista in seguito

allo svuotamento di una villa fiorentina messa in

vendita. Come il dipinto sia arrivato nella villa è un altro

dei misteri legati alla figura di Tamara. Visto il grande formato

dell’opera e il fatto che non sia ultimata mancando

rifiniture e firma, si può ipotizzare che fosse un dipinto per

la scenografia di Marinetti oppure di un regalo per l’ospitalità

ricevuta. Sicuramente non si tratta di una copia dato

che a quell’epoca Tamara non era ancora conosciuta in Italia

e faceva di tutto per esserlo cercando invano di eseguire

il ritratto di Gabriele D’Annunzio. Attualmente gli storici

stanno raccogliendo documenti e testimonianze riguardanti

questa tela che presto verranno pubblicati in occasione

di una mostra dedicata agli artisti degli anni Venti

del Novecento. Sarà un modo per rivelare diversi enigmi legati

alla vita e alla pittura di Tamara de Lempicka, artista

che ancora oggi continua a sorprenderci.

TAMARA DE LEMPICKA

61


Giovanna

Comandè

Bellezza senza tempo

Ritratto di donna, acrilico su tela, cm 50x65

comandegiovanna@gmail.com


Harry’s Bar The Garden

Itinerari del gusto

A cura di Filippo Cianfanelli

Nella splendida cornice dell’Hotel Sina Villa Medici la seconda sede a Firenze di

uno dei locali più famosi al mondo

Testo e foto di Filippo Cianfanelli

Era il lontano 1931 quando, a Venezia, Giuseppe Cipriani

fondò l’Harry’s Bar, un nuovo concetto di locale

che diverrà famoso in tutto il mondo. Il nome trae

origine da quello di un giovane studente statunitense alcolizzato

che venne aiutato da Cipriani, allora semplice barman,

a curarsi e rientrare nel suo paese. Due anni dopo Harry Pickering

– questo il suo nome – tornò a Venezia restituendo a

Cipriani la cifra prestatagli, oltre a 30000 lire, per aprire un locale

tutto suo. Da questo inizio da favola comincia la storia

di uno dei locali più famosi al mondo, dove Cipriani ha saputo

abilmente mixare il concetto del pub anglosassone con quello

del ristorante, creando un luogo di incontri, un punto di aggregazione

e di dialogo fra i clienti e il barman dietro al suo

bancone. Un modello che ha avuto il suo massimo successo

dopo la seconda guerra mondiale, tanto da essere riproposto

anche a Firenze nel 1953. È stato lo stesso Cipriani a consigliare

Enrico Mariotti e Raffaello Sabatini su come trapiantare

a Firenze la cultura dell’american bar, invitandoli a ricreare

sulle rive dell’Arno un locale che ricordasse l’Harry’s Bar veneziano,

partendo dagli arredi fino ai piatti più caratteristici

e soprattutto i tipici cocktail, fra cui il Bellini da lui ideato. Il

locale del Lungarno Vespucci è diventato così un luogo di incontro

per stranieri e fiorentini, molto amato soprattutto dalle

signore. Non c’è stato divo hollywoodiano che, soggiornando

a Firenze, non abbia frequentato il locale, peraltro molto vicino

al più prestigioso hotel cittadino. Nel 2021 i proprietari

dell’Harry’s Bar fiorentino, Antonio e Francesco Bechi, hanno

ottenuto la gestione del food and beverage dell’Hotel Sina

Villa Medici e, in occasione delle sfilate di Pitti Immagine

Uomo, hanno creato il nuovo Harry’s Bar The Garden, con ingresso

autonomo, nei giardini dell’hotel, a lato della piscina.

Questo luogo mantiene in tutto lo stile iniziale del locale, dai

modelli dei tavoli e delle poltroncine fino alle forme di piatti e

bicchieri; al timone uno dei migliori professionisti del settore,

il barman Thomas Martini. Un locale ottimo anche per un

semplice aperitivo glamour, magari accompagnato dal classico

cocktail di gamberi in salsa Marie Rose o dal carpaccio,

un semplice piatto di sottili fettine di manzo crudo artisticamente

decorate con una salsa, inventato proprio all’Harry’s

Bar di Venezia nel 1950. Fra i primi piatti, accanto ai tortellini

al ragù di manzo e agli spaghetti al pomodoro e basilico,

non potevano mancare i classici taglierini gratinati alla Harry’s

con parmigiano e prosciutto, un piatto che, servito caldissimo,

rappresenta il must del locale e può essere benissimo

un piatto unico. Per quanto riguarda i secondi, la scelta spazia

dalla bistecca alla fiorentina al filetto di pescato. Ma non

possono certo mancare piatti come il vitello tonnato, in cui

la carne viene servita avvolta intorno alla salsa che guarnisce

l’intero piatto. Oppure la tartare, preparata estemporaneamente

dal cameriere davanti al tavolo del cliente. Il piatto

più evocativo degli anni Cinquanta è sicuramente il curry con

riso pilaf e mango chutney, servito, a scelta, con code di gamberi

o pollo oppure con solo verdure per i vegetariani. Le pietanze

sono accompagnate da pane e grissini fatti in casa e

la carta dei vini vede prestigiose etichette italiane ed internazionali.

Al momento del dessert, accanto al gelato Buontalenti

e agli ottimi sorbetti, un altro piatto storico del locale:

le crepes flambè alla Harry’s, preparate scenograficamente

al tavolo con fiammate di Grand Marnier che attirano sempre

l’attenzione di tutti i commensali.

www.harrysbarfirenze.it

L’ingresso dell’Harry’s Bar all’Hotel Sina Villa Medici Vitello tonnato Cocktail a lato piscina

HARRY’S BAR THE GARDEN

63


Ritratti d’artista

Giulia Marcucci

La ricerca dell’oltre nel cuore dell’enigma

In questa nostra epoca in cui, per i molti disastri che abbiamo

intorno, è quanto mai urgente quello che il buon

Vasari chiamerebbe “un rinnovellamento”, incontrare artisti

capaci di proporsi con modalità ancora inedite, autorizza

noi – convinti che il pensiero dell’artista non possa mancare

in questo processo – a credere che esistano strade che non

conosciamo e che possiamo ancora esplorare. È il caso di

Giulia Marcucci, giovanissima artista fiorentina, che propone

con questa mostra un suo personalissimo linguaggio fatto di

allegorie, incastonate in un discorso complesso per quanto

molto razionalmente organizzato, col quale racconta il suo

mondo e nel quale fiaba, sogno, cruda realtà, critica sociale

e personaggi, fatti di pensiero ed emozione piuttosto che di

materia, simbolicamente, molto simbolicamente, traducono

in immagini di forte impatto le sue intenzioni e provano a fare

chiarezza nella sua (e nella nostra) esistenza giacché, come

sappiamo, è con le opere d’arte che possiamo esplorare

la nostra anima. Il codice utilizzato da Giulia Marcucci si agdi

Jacopo Chiostri

giunge ai tanti con cui l’arte ha sempre parlato e che risultano

ben più numerosi di quelli normalmente conosciuti. La

ricchezza creativa di questa giovane artista risiede nella potenza

del suo inconscio che oltrepassa la realtà contingente

e ne genera un’altra ancora, sconosciuta e di uguale se non

di maggiore intensità. Un’operazione nella quale si avverte

una frenesia controllata e consapevole, e si riconosce il suo

essere, in fondo, un’anticonformista, giacché non c’è appiattimento

verso quella pittura informale che, per moti versi, potrebbe

essere il suo approdo naturale. Marcucci è fieramente

aggrappata alla figura, o meglio, alla rappresentazione ideale

della figura dove, come un “Arcimboldo” che indaga umani

modi di essere, compone figurazioni memorabili che richiedono

ai noi spettatori un’attenzione e uno studio certosini

per cogliere la forza e la ricchezza antropomorfa del dettaglio.

Sono dipinti, questi, riconducibili al “surreale”, intendendo

però per surreale non quello di bretoniana memoria, ma

la scoperta di una realtà che va oltre quanto conosciamo e

Demoni (2021)

64

GIULIA MARCUCCI


Diva è donna (2020) La signora (2020)

che esisteva fin qui a nostra insaputa. In questo senso la pittrice

ottempera a quanto, negli anni Venti del secolo scorso,

quell’immenso pittore che è stato Paul Klee diceva essere

compito della pittura: non riprodurre quello che è visibile, ma

rendere visibile quello che non lo è, sogni, ossessioni, riflessioni.

Nelle opere di Marcucci – su cartone e con dimensioni

in genere di cm 50x70 – non si rintracciano gli spazi metafisici

di de Chirico, che pure avrebbero un loro perché. Lo spazio

attorno ai soggetti, quando è lasciato libero, ci ricorda il nulla,

che spesso è la condizione esistenziale dell’uomo, e, semmai,

da un punto di vista pittorico si ottiene ancora

maggior risalto alla rappresentazione, e scriviamo

“ancora” perché la forza impattante delle figurazioni

certo è una cifra peculiare dell’artista. Non

c’è ricerca di verità, non può esserci; l’artista non

deve convincere nessuno, la sua arte si propone libera

anni luce dal giogo di dover essere verità e, in

quanto artista, non cerca soluzioni, bensì propone

enigmi. D’altra parte, come ha lasciato scritto proprio

de Chirico: «Un’opera d’arte deve superare i limiti

dell’umano senza preoccuparsi né del buon

senso né della logica». Da un punto di vista pittorico,

il segno in queste opere appare netto, autorevole,

sovente sensuale; la composizione non

è solo armoniosa ma appare dotata di un grande

equilibrio che l’abile e maturo gioco di pesi e contrappesi

fa apparire impulsivo e primitivo. Nelle

sue divinità pagane assistiamo all’incontro tra figure, forme e

colori che prima s’ignoravano. Ciascuna trae la propria significazione

dallo stretto contatto con le altre, ciascuna con un

suo ruolo definito che assolve come richiesto. La colorazione

completa la veemenza delle opere, sa essere eufonica o di

contro stridente giacché l’utilizzo che l’artista ne fa è di esaltare,

nel bene o all’opposto, gli stati d’animo che rappresenta;

e forse è proprio con questa giovane artista che finiremo per

capire che in particolari stati di grazia non è più l’arte che imita

la vita, ma esattamente avviene il contrario.

Borghesi inquietanti (2021)

GIULIA MARCUCCI

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Margherita Biondi

Il canto della natura

biondimargherita@gmail.com


Toscana a tavola

A cura di Franco Tozzi

Lasagne del pastore, una gioia per il palato

di Franco Tozzi

La parola “pastore” fa pensare subito al formaggio,

in particolare al pecorino. Un’altra particolarità dei

pastori, forse meno nota, era cibarsi di funghi come

ripiego in tempi di carestia. Addirittura un medico del

Cinquecento, tal Pietro da Bairo, scrive di come in inverno,

al caldo del gregge, ne praticassero già la coltivazione,

mischiando cortecce di alberi morti con lo stallatico.

Quella che qui proponiamo è l’elaborazione di una ricetta

amiatino-grossetana che sarebbe andata bene per pastori

ricchi, un ammodernamento, diciamo, per la gioia del palato;

quella antica infatti è assai più frugale (ad esempio

c’è il sugo finto, quello senza carne, per intendersi) anche

se la base è la stessa. Evitiamo di riportare le ricette del

sugo di carne e della besciamella e andiamo subito agli

ingredienti necessari a preparare una lasagna del pastore

per otto persone.

La ricetta: lasagne del pastore

Ingredienti:

- ½ kg di lasagne

- 300 gr. di funghi porcini

- 120 gr. di galletti o chiodini

- 300 gr. di pecorino fresco

- 200 gr. di pecorino stagionato

- 200 gr. di ricotta di pecora

- 50 gr. di burro

- 1 litro (minimo) di besciamella

- ½ kg di sugo

- 3 spicchi di aglio

- prezzemolo

- sale q. b.

- pangrattato

Grattugiare il pecorino stagionato, poi a parte creare dei

“riccioli” con quello fresco. Una volta pronta la besciamella,

farla raffreddare e con la frusta aggiungere lentamente la

ricotta, in modo che venga una crema densa. Mettere il sugo

sul fuoco e, mentre si scalda, tagliare a pezzi non troppo

piccoli i funghi, metterli a rosolare insieme all’aglio e al

prezzemolo (gambi compresi) e far ritirare tutta l’acqua che

i funghi butteranno fuori. Nel frattempo lessare le lasagne;

una volta pronte, stenderle su un panno; imburrare una grande

teglia, cospargerla di pangrattato e infine capovolgerla

per far cadere l’eccedenza. Si comincia disponendo nella

teglia uno strato di pasta, poi la crema di ricotta e besciamella,

quindi il sugo, una spolverata di pecorino grattugiato,

qualche abbondante ciuffo di quello fresco, poi ancora pasta,

crema, sugo, grattugiato e ciuffo, e così via. La chiusura

sarà fatta con uno strato di besciamella e con tutti i formaggi

rimasti. Infornare a 180° per almeno quaranta minuti; appena

cotta, far raffreddare la lasagna e servirla tiepida. Per

i più golosi: completare con una nevicata di parmigiano non

stagionato.

Accademia del Coccio

Lungarno Buozzi, 53

Ponte a Signa

50055 Lastra a Signa (FI)

+ 39 334 380 22 29

www.accademiadelcoccio.it

info@accademiadelcoccio.it

LASAGNE DEL PASTORE

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Riflessioni sulla fede

A cura di Stefano Marucci

Le vie della vocazione

Ne parliamo con padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato a Monte a Firenze

di Stefano Marucci / foto Maria Grazia Dainelli

1^ parte

Che rapporto ha con la Toscana?

Mi sento figlio di questa terra che fa della bellezza la sua

quintessenza e che nei secoli ha espresso una grande spiritualità

in maniera sobria, non urlata, dire quasi laicale, ma proprio per

questo capace di persuadere con la forza silenziosa e rassicurante

dell’eucarestia. Questa regione vanta anche una notevole

concentrazione di mistici, da Caterina da Siena alla pratese Caterina

dei Ricci, per arrivare al Novecento con don Milani, padre

Ernesto Balducci e tanti altri. Ecco, io vengo da questa storia qui,

da questi luoghi dove sono cresciuto in una famiglia normale

che, oltre alla fede, mi ha insegnato ad apprezzare la natura, l’arte,

la storia e a diventarne da adulto un appassionato protettore.

Com’era la sua vita prima di prendere i voti?

Ero un ragazzino come tanti altri che frequentava la chiesa

ma senza una particolare vocazione. Ad un certo punto, durante

l’adolescenza, mi sono allontanato dall’ambiente cattolico

per praticare quella che definirei una “religione della

natura e dell’uomo”: era il periodo in cui mi dedicavo soprattutto

al volontariato e alla cura dell’ambiente. Negli anni

dell’università ho ancora di più radicalizzato questa mia

posizione, tralasciando del tutto la fede e concentrandomi

sull’impegno sociale e politico. Era il periodo della guerra in

Iraq, dell’invasione del Kuwait, e i conflitti bellici accendevano

in me un desiderio di pace, giustizia ed equità. Poi c’è

stata una crisi sentimentale per la fine di un amore e un conseguente

periodo di inquietudine esistenziale, durante il quale

ho iniziato a capire che le cose che avevo appreso e fatto

fin a quel momento non mi bastavano più, non mi rendevano

felice, dovevo trovare la via dello spirito.

Quando è arrivata la vocazione?

È stato nel periodo di Natale. Un amico, peraltro non credente,

mi ha invitato ad una funzione liturgica nella chiesa di Rosano

e lì ho vissuto un’esperienza molto forte. Per la prima

volta in vita mia mi sono sentito amato totalmente, al di là

di ogni mio merito. Ho avvertito un richiamo irresistibile. Era

Dio che mi stava chiamando e che mi parlava attraverso il

racconto della nascita di Gesù Bambino, che fino al quel momento

mi era sembrato poco più che un racconto fantastico

e che invece adesso toccava la mia anima nel profondo, complice

anche il melodioso canto delle monache di sottofondo.

Padre Bernardo Gianni

68

LE VIE DELLA VOCAZIONE


Ritratti d’artista

Cristina Visibelli

Pittrice con una lunga esperienza anche all’estero, è titolare della galleria CI Vù a Viareggio

Testo e foto di Jacopo Chiostri

A

Viareggio incontriamo Cristina Visibelli, pittrice e titolare

della galleria CI Vù. Oltre ad essere le iniziali del suo nome,

CI Vù è anche la sigla con cui firma i suoi quadri: in

altre parole, un nome d’arte. La galleria si trova nella centrale via

Cavallotti, a pochi metri si aprono i viali a mare. Alla CI VU, la Visibelli

ospita personali – di recente Marco Campostrini – e collettive

– l’ultima ad agosto – poi, spesso, sue personali. E questo

non perché manchino le richieste – Viareggio continua a essere

una meta appetita – o per egocentrismo, bensì per una ragione

diversa, più intima. Cristina Visibelli ha un rapporto totalizzante

con la sua arte che da sempre è sua compagna di vita e ancor

più lo è dopo la scomparsa del marito. Nei suoi dipinti riversa, oltre

ad emozioni, la propria visione del mondo e con la galleria offre

un porto sicuro per resistere a quel decadimento culturale che

denuncia e che, ai suoi occhi, appare ancor più evidente avendo

vissuto molti anni all’estero. Insomma, esporre spesso la propria

arte risponde per la Visibelli all’esigenza che non devono esserci

pause in quel discorso artistico - culturale intrapreso con la città

di Viareggio, con la Versilia, terra di grandi fiammate ma anche di

disinganni, e con il suo pubblico. La storia della Visibelli, artista e

non solo, ha un attacco singolare. Racconta, infatti, di aver iniziato

a interessarsi alla pittura a soli sei anni, ad Antignano, in casa

di Dino Visibelli, nonno di quello che poi diventerà suo marito. In

casa di Visibelli nonno capitava spesso Renato Natali «pittore che

all’estero è portato in palmo di mano – afferma l’artista – mentre

qui da noi rischia di finire nel dimenticatoio». La questione di come

gli artisti italiani siano stimati e quotati all’estero è una riflessione

ricorrente per la Visibelli che non sa capacitarsi di come in

Italia si sia così autolesionisti; la stessa cosa vale per la Toscana:

«Quando vivevo in Austria – dice – a nominare la Toscana vedevi

che alla gente s’illuminava il volto». Molte cose sono cambiate

in peggio: «Ricordiamoci cosa erano le “marguttiane” a Forte dei

Marmi e cosa è ora, con le gallerie che hanno, quasi tutte, tirato

Cristina Visibelli

giù il bandone». La pittura della Visibelli è un informale molto sui

generis. Elemento ricorrente è l’acqua. I quadri spesso sono marine

animate da vele spinte dal vento; vele che non sono tenute

su dall’albero. Le sue imbarcazioni non lo hanno, e la simbologia

è evidente: la vela è la libertà assoluta, il farsi portare dal vento,

senza appigli, senza ostacoli, senza appoggi; così anche l’acqua

con il suo continuo mutare, che è lo scorre del tempo. Altra figura

frequente sono i cipressi: le sentinelle dei nostri bei paesaggi

toscani. Le tecniche con cui la Visibelli dipinge sono alquanto sofisticate.

Per esempio per i ritratti – che spesso esegue su commissione

– si parte dal disegno, questo viene poi fotografato e

infine completato disegnando direttamente sulla carta fotografica.

Poi l’utilizzo del gesso che stende sul colore per simulare, per

esempio, la schiuma delle onde, oppure la cera che conferisce

una particolare matericità e lucidità al dipinto. Nessun limite dunque

alla tecnica purché al servizio della creatività, fino all’esposizione

sui bei muri bianchi di quello scrigno che è la CI VU, galleria

in Viareggio, dove una donna, probabilmente con alcune cicatrici,

porta avanti con coraggio una personale sfida che sa bene non riporterà

a quelli che furono i fasti di neppure tanto tempo addietro,

ma che comunque vale la pena di vivere.

Con il giornalista Fabrizio Borghini nella galleria CI Vù: alle pareti e in primo piano alcuni dipinti della Visibelli

CRISTINA VISIBELLI

69


Mauro Mari Maris

Le radici dell’anima

www.mauromaris.it

mauromaris@yahoo.it

+ 39 320 1750001


Ritratti d’artista

Mariella Tissone

Un duello fra passione e controllo vissuto per mezzo del colore

Mariella Tissone, concreta pittrice ligure (nata a Vado,

abita con la famiglia, figlio e marito, a Savona),

è tornata a occuparsi di arte – teatro, poesia, pittura

– dopo aver concluso la propria vita lavorativa di bancaria,

un impiego che definisce «un po’ arido». Era il 2010 e la

Tissone racconta di aver sentito risvegliarsi la vena creativa

che, evidentemente, negli anni era rimasta sopita sotto le ceneri

ma non si era mai spenta. Così è iniziato un intenso “recupero”

del tempo che i meccanismi della vita le aveva in una

qualche misura sottratto, e in breve l’artista ha messo assieme

un impressionante chorus line di partecipazioni a mostre,

impreziosito da premi importanti. Sulle tele di Mariella Tissone

si riversa il colore; è pittura che correttamente dobbiamo

ricondurre nell’alveo dell’informale, nella quale però, quando

occorre, compaiono accenni figurativi, forme essenziali che

denotano la capacità di esprimersi con un linguaggio di assoluta

chiarezza comunicativa, fatto di transfert emozionali

e di sollecitazioni per la nostra sfera esperienziale. Nei lavori

della Tissone si avverte un duello profondo e vissuto con

passione tra l’esigenza di dare libero sfogo al dettato creativo

che si traduce in una pennellata sapiente, ad ampio respiro,

e il controllo dell’armonia complessiva, fatta invece di una

pennellata meticolosa e ordinata. Il risultato sono composizioni

che impattano nella retina con un’organizzazione dove

pesi e contrappesi sono disposti in modo tale da comporre un

racconto che scorre melodioso e accompagna la sensibilità

e l’occhio dello spettatore. Alla proporzione generale contridi

Jacopo Chiostri

buisce in maniera determinante l’equilibrio cromatico, frutto,

lo si avverte, di uno studio attento, a volte certosino, e curato

nei minimi particolari; del resto il motto, ma anche l’imperativo

che anima il lavoro della Tissone è, come racconta lei

stessa, «una vita a colori fino all’ultimo minuto». Ovunque

c’è luce. Luce calda, mediterranea, ma non invasiva che più

che grandi sprazzi luminosi e, per contro delle ombre, produce

energia e carezza la tela. La Tissone, nella sua multiforme

attività artistica, ha dato alle stampe un piccolo prezioso

libro di poesie, e la vis poetica che anima questa sua modalità

espressiva si ritrova puntuale nei suoi quadri perché, evidentemente,

non c’è per lei distinzione tra parola scritta e

parola dipinta. Molte le personali a cui ha partecipato, a Savona

e a Roma con l’importante personale alla Galleria Medina

che è stata l’occasione per iniziare una collaborazione

con la stilista Fabiana Gabellini che si è ispirata alle opere

della Tissone per creare capi di alta sartoria in seta; quindi a

Firenze (Casa di Dante, su invito), e poi la selezione per partecipare

a rassegne come Arte Genova (dal 2017 al 2020), al

Castello Estense a Ferrara, a Lido di Camaiore, Pietrasanta,

Gualdo Tadino, Venezia, Oporto, Torino, la presenza in Bulgaria

e in Russia. Poi i premi: il Premio Internazionale Arte

Milano e il Premio Eccellenza Europea delle Arti; con l’Associazione

TASA (The Artist Style in Art), grazie alle foto del

viareggino Fabrizio Gatta, le opere della Tissone sono sbarcate

a New York, quindi in California e a Zamosc (Polonia).

Nel 2018 la partecipazione a Parigi al Carousel de Louvre,

quindi la mostra a Savona

dedicata a Carlo Rambaldi,

la presenza al Museo Artepozzo

dedicato a Milo Parodi

e le due esposizioni con

Toscana Cultura, dal 10 a

20 luglio di quest’anno, allo

Spazio Espositivo San Marco,

e recentissima, dal 3

all’11 settembre la mostra di

arte contemporanea al Chiostro

della Santissima Annunziata.

In ultimo, come detto

all’inizio, non c’è solo pittura

nell’attività artistica della

Tissone: come presidente

della compagnia amatoriale

Boccascena è attiva anche

in campo teatrale.

Trame oro (2019), tecnica mista su tela, cm 70x50

Nebulosa nera (2021), tecnica mista su tela, cm 70x50

sim.mari@libero.it

mariellatis@gmail.com

MARIELLA TISSONE

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Giuseppe Cassandro

A Palazzo Frizzoni un bassorilievo donato dallo scultore toscano per

omaggiare la città di Bergamo colpita durante la pandemia

Vista della Sala Simoncini all’interno di Palazzo Frizzoni dove l’opera è stata collocata

Dal 5 novembre 2020 il bassorilievo Madonna con Bambino è esposto in permanenza a

Palazzo Frizzoni, sede del Comune di Bergamo. In particolare, l’opera è stata collocata

nella Sala Simoncini al primo piano, dove si prendono decisioni e iniziative importanti per

la valorizzazione della città. Lo scultore Giuseppe Cassandro ha donato il bassorilievo

alle istituzioni cittadine per esprimere vicinanza alla comunità bergamasca, tra le più

colpite in Italia durante il primo periodo della pandemia. Dalla soglia dei suoi 83 anni,

lo scultore toscano si sente molto vicino alle persone che hanno perso i propri cari,

proprio perché ha vissuto sulla sua pelle le stesse sensazioni. Cassandro ringrazia

quindi tutta la città, in particolar modo il sindaco Giorgio Gori e la Giunta comunale.

Giacomo Angeloni, assessore all’Innovazione del Comune di Bergamo, con il bassorilievo di Giuseppe Cassandro


Ritratti d’artista

Valter Viani

Colori uniti a materiali di recupero per sensibilizzare alla

bellezza e al rispetto della natura

di Jacopo Chiostri

A

un certo punto del suo percorso artistico, Valter Viani

ha capito che la poesia, il medium col quale, fino

ad allora, aveva dato voce alle proprie emozioni

e aveva raccontato il proprio mondo, si era affievolito, forse

addirittura dissolto. Difficile dire se, dietro al processo emotivo-creativo

che a quel punto si è messo in moto, ci fosse

solo l’esaurirsi di una vena poetica oppure decisiva sia stata

la spinta a sperimentare nuove forme di linguaggio. In realtà

poco importa, certo è che in quel momento si è aperta

per questo artista Certaldino una nuova pagina, una nuova

avventura, che oggi lo vede solido pittore (e riteniamo corretto

aggiungere scultore) impegnato in una modalità espressiva

che risulta inedita per lui, ma anche per il pubblico degli

appassionati e dei critici. Alla base dei lavori di Viani c’è prima

di tutto il gusto e l’esigenza di sperimentare, ed è, infatti,

la sperimentazione, a 360 gradi, la cifra caratterizzante della

sua poetica. La ricerca di Viani parte dalla scelta dei materiali,

tutti oggetti di recupero, perfino pannelli fono assorbenti,

che diventano la sua tela; li colora con mezzi insoliti, magari

facendo fluire il colore dal beccuccio di una siringa, e spesso,

molto spesso, li orna e li caratterizza con degli inserimenti

per i quali, anche qui, usa una varietà di materiali, trucioli

di ferro, residui di bigiotteria, soprattutto rame, possibilmente

modellato in spirale che ne rappresenta tutta l’energia e la

carica positiva. L’uso di materiali poveri, in procinto di essere

smaltiti, oltre alla valenza artistica, ha un evidente significato

di rispetto per l’ambiente e di monito per l’enorme questione,

tuttora aperta, degli scarti prodotti dalla nostra “presunta”

Ecowhite, acrilici e multimateriali, cm 31x65

civiltà: questi oggetti sono restituiti ad una seconda vita e,

in un certo senso, quali componenti di un’opera d’arte, anzi,

sono affidati ad una propria immortalità. Abbiamo definito

Valter Viani anche scultore, e questo, a nostro parere è

perfettamente legittimo laddove nelle sue opere si rintraccia,

grazie appunto ai vari inserimenti, una tridimensionalità ed

un’occupazione dello spazio che è propria della scultura. C’è

poi il colore, e ci sono le forme, quelle che vagamente ricordano

la figurazione e quelle tipiche dell’astrazione. Ed è in

questa direzione che dobbiamo procedere per meglio comprendere

l’arte di Viani. Sì, perché è proprio nel suo essere

un astrattista ma anche un figurativo sui generis (molto sui

generis), nell’essere limpido ma anche ermetico, nel suo organizzare

rigidamente in termini geometrici la composizione

ma anche lasciare, in altri casi, libertà al colore di non

assumere una forma definita e di esplodere obbedendo solo

all’istintualità del gesto, che rintracciamo i suoi perché e

le ragioni intime di un linguaggio artistico che non si può ingabbiare.

Viani ha frequentato il gruppo “Estrosi”, è socio di

Toscana Cultura; dal 2013 ha messo assieme un curriculum

importante di esposizioni collettive ma anche tre belle personali,

la prima nella splendida cornice del Palazzo Comunale

di Casole d’Elsa, poi nelle sale dell’Hotel Minerva di Siena,

l’ultima, lo scorso luglio, nella saletta Barbano dello Spazio

Espositivo San Marco a Firenze. Nel 2020 tre opere di Viani

sono state inserite nel catalogo Artisti in vetrina della casa

editrice Pagine di Roma e sono state presentate nel programma

TV del professor Plinio Perilli.

walterviani@libero.it

Io sono amore, acrilici e resine, cm 70x50

VALTER VIANI

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B&B Hotels Italia

L’apertura del secondo B&B Hotel in Slovenia,

nel cuore della città vecchia di Maribor

di Francesca Vivaldi

L'esterno del B&B Hotel Maribor

Non solo nuove aperture in Italia ma anche nuove sfide

internazionali per B&B Hotels che amplia la sua

presenza in Slovenia con l’apertura di una seconda

struttura, il B&B Hotel Maribor, situato nel cuore dell’omonima

città. Dopo l’inaugurazione nel 2019 del B&B Hotel

Ljubljana Park – struttura completamente green nel centro

della capitale – il gruppo sceglie la suggestiva città di Maribor

per aprire la sua seconda struttura in Slovenia. Situata

sul fiume Drava e circondata dalle foreste verdi di Pohorje

e da pittoresche colline, Maribor è particolarmente apprezzata

per l’offerta vinicola; qui, infatti, si trova la più vecchia

pianta di vite al mondo chiamata Stara trta che, con i suoi

500 anni, è entrata a far parte del Guiness dei primati come

la vite più antica al mondo che continua a dare i suoi preziosi

frutti. Non solo vino ma anche montagna: Maribor è famosa

per il suo comprensorio sciistico situato alla periferia

della città sui declivi del monte Pohorje. Il B&B Hotel Maribor

si trova nella parte vecchia della città slovena conosciuta

in italiano come Marburgo ed è prenotabile al miglior

prezzo solo su hotelbb.com. L’hotel è a soli 5 minuti a piedi

dalla stazione centrale, dal fiume Drava e dal centro storico

con le sue più importanti attrazioni. Soggiornare in questa

struttura è la scelta ideale per esplorare non solo la città

ma anche le peculiarità della parte orientale della Slovenia

e quelle dell’intero paese. Il B&B Hotel Maribor dispone di

102 camere non fumatori in tipologia doppia, matrimoniale,

tripla, tutte dotate dei comfort necessari come bagno

privato con doccia e asciugacapelli. Per un soggiorno sempre

più smart sono disponibili aria condizionata, Smart TV

e una connessione Wi-Fi super veloce illimitata e gratuita.

Per non rinunciare al piacere di un dolce risveglio, è possibile

godere di una ricca colazione a buffet con prodotti

dolci e salati e con opzioni gluten-free e bio. «Siamo orgogliosi

di ampliare la nostra offerta in Slovenia inaugurando

una nuovissima struttura in una destinazione dalla forte vena

turistica. Maribor con le sue piste da sci, i sentieri escursionistici

e le piste ciclabili offre davvero un vero e proprio

tesoro di esperienze» ha dichiarato Valerio Duchini, presidente

e amministratore delegato di B&B Hotels Italia. «Da

qui partiremo per ampliare ancora di più la nostra presenza

nell’est Europa, con l’obiettivo di raggiungere un portafoglio

internazionale di oltre 700 hotel entro la fine dell’anno, ovvero

più di 65 mila camere». L’hotel è raggiungibile in auto,

ma anche dagli aeroporti di Vienna e Zagabria con le principali

compagnie low cost.

In questa e nella foto accanto la sala colazione

76 B&B HOTEL IN SLOVENIA


Il Gruppo B&B Hotels

Acquisito dalla società d’investimento Goldman Sachs Merchant

Banking nel luglio 2019, il Gruppo B&B Hotels è la catena

alberghiera internazionale di segmento value for money più

importante e più in rapida crescita in Europa. In Francia conta

353 hotel, in Germania 153, in Italia 58 e in Spagna 39. B&B

Hotels gestisce anche 10 hotel in Polonia, 7 in Svizzera, 7 in

Portogallo, 1 in Repubblica Ceca, 7 in Belgio, 2 in Slovenia, 6

in Austria, 1 in Olanda, 1 in Ungheria e 6 in Brasile. I B&B Hotels

offrono ai clienti business e leisure una combinazione di

comfort, design e servizi di alta qualità ad un prezzo competitivo.

Il Gruppo viene regolarmente premiato in Francia, Germania

e Italia per il suo concetto innovativo e la forte crescita.

www.hotelbb.com

Una delle stanze matrimoniali disponibili nella struttura

Un particolare della hall

B&B HOTEL IN SLOVENIA

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Benessere e cura della persona

A cura di Antonio Pieri

Il profumo del benessere

di Antonio Pieri

La fine delle vacanze e dell’estate porta con sé sempre

un po’ di malinconia. Profumi, odori e viste mozzafiato

lasciano spazio alla routine quotidiana. Per alleggerire

questo ritorno alla normalità abbiamo deciso di lanciare adesso

la nostra nuova fragranza per ambienti: Salvia.

L’idea

Dopo il lungo periodo di chiusure dovuto alla pandemia, è

presente in tutti noi un grande desiderio di uscire e tornare

alla normalità. L’ispirazione per questa fragranza nasce proprio

da qui, dalla voglia di stare insieme e dal bisogno, ancora

più marcato oggi, di pulizia, freschezza, tranquillità e libertà.

In questi ultimi anni, purtroppo, il concetto di pulizia è stato

sempre legato all’ambiente ospedaliero, al gel igienizzante

(molto spesso aggressivo per la nostra pelle) e a tutto quello

che ruota intorno alla paura del contatto umano. È proprio da

questa idea che abbiamo voluto creare una nuova linea che

corrispondesse in tutto e per tutto a ciò che noi avevamo nel

cuore: creare negli ambienti familiari, negli uffici e nelle nostre

case un benessere derivante da una sensazione di pulizia

naturale, che esprimesse il calore dell’accoglienza che

negli ultimi anni ci è mancato.

e pulizia grazie alla presenza di salvia, menta e rosmarino.

I toni agrumati del lime infondono una dolce allegria e, uniti

alla freschezza di eucalipto, pino e menta crispa, esprimono

un forte sentore di libertà. La delicata presenza di petali di giglio,

non a caso simbolo di Firenze, e gelsomino donano alla

fragranza una nota di dolcezza molto particolare, bilanciando

il cuore di questo compound olfattivo con le note balsamiche

di testa. Nasce così un profumo calmante e rassicurante,

che odora di equilibrio e benessere, infonde fiducia, stimola

l’ispirazione e ricorda la libertà. Ottimo da posizionare in

ambienti condivisi, in ufficio, in salotto, in bagno e più in generale

in ambienti in cui abbiamo bisogno di una fragranza

rilassante e fresca che doni equilibrio e benessere.

La fragranza

Grazie al suo naturale e deciso tono olfattivo, Salvia è per eccellenza

il profumo del benessere. Calmante e rilassante, ha

il potere di stimolare l’ispirazione, riequilibrare la mente infondendo

fiducia e diffondendo pace e armonia. Questa fragranza

rilascia negli ambienti una sensazione di freschezza

Vieni a trovarci nel nostro punto vendita in Borgo Ognissanti

2 a Firenze per scoprire questa meravigliosa nuova fragranza.

Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl

e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici

naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.

Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,

ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.

antoniopieri@primaspremitura.it

Antonio Pieri

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IL PROFUMO DEL BENESSERE


PROFUMO AMBIENTE IDEA TOSCANA

fragranze naturali per la casa

IDEA TOSCANA - Borgo Ognissanti, 2 - FIRENZE | Viale Niccolò Machiavelli, 65/67 - SESTO FIORENTINO (FI) |

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Una banca coi piedi

per terra, la tua.

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