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La Toscana nuova Gennaio

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La Toscana nuova - Anno 5 - Numero 1 - Gennaio 2022 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074


Emozioni visive

a cura di Marco Gabbuggiani

Ombre o luci?

Testo e foto di Marco Gabbuggiani

Quando iniziai a realizzare foto femminili mi chiesi come

rappresentare al meglio un corpo di donna e se fosse

più importante la luce o l’ombra per la riuscita dello

scatto. Ben presto arrivai alla convinzione che ciò che

disegna la morbidezza, i margini e la sensualità di una

foto sono sicuramente le ombre. La luce piena può evidenziare

un colore o un particolare ma per far risaltare

la sinuosità di un corpo femminile, la cosa più importante

sono quelle ombre che, oltre a definire morbidamente

le linee, lasciano all’immaginazione ciò che,

spostandosi verso il buio, si nasconde agli occhi ma

non alla mente dell’osservatore. Giocando con le ombre

puoi disegnare a piacimento le linee corporee, ed

anche corpi e lineamenti non esattamente perfetti assumono

quel fascino invincibile che attrae lo sguardo

e stupisce l’osservatore. Amo fotografare tutto ciò che

mi emoziona e anche i particolari apparentemente banali,

se visti sotto una certa luce o prospettiva, mi entusiasmano

e sono meritevoli di essere congelati in uno

scatto. Il corpo femminile rappresenta una fonte inesauribile

di questi particolari meravigliosamente ispiranti.

Per quanto possa apparire bello o brutto, credo

che il corpo di una donna sia come una bottiglia di

buon vino: ognuna è simile alle altre ma ciascuna contiene

un aroma, un’essenza, una particolarità che, se

percepiti ed assaporati, lasciano alla persona una varietà

infinita di differenti sensazioni.

marco.gabbuggiani@gmail.com

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www.faldimotors.it



GENNAIO 2022

I QUADRI del mese

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Al Gran Caffè San Marco, la consegna del Premio Ponte Vecchio

Intervista a Massimo Sestini, geniale interprete della fotografia

Chema Madoz, il maestro spagnolo del paradosso fotografico

L’orgoglio della femminilità nella pittura di Ornella De Rosa

Il racconto a più voci su Firenze nel nuovo libro di Fabrizio Borghini

Il docufilm su Lawrence Ferlinghetti, tra i “grandi” della Beat Generation

Poesie all’insaputa: i versi intimisti di Maria Luisa Manzini

La magia del Natale nei racconti di Doretta Boretti

Mario Pratesi, il pittore dell’istinto primordiale

Dimensione salute: così il singhiozzo va via…

Psicologia oggi: il benessere nei piccoli piacere quotidiani

I consigli del nutrizionista: l’educazione alimentare nella disabilità

Claudio Spinelli, un medico con la passione per la pittura

Arte della cura: la creatività come strumento per conoscere sé stessi

Dal teatro al sipario: col nuovo anno tutti a scuola di recitazione

Paula Luz, una pittrice in cerca delle proprie radici

Curiosità storiche: San Sebastiano, patrono della Misericordia a Firenze

I libri del mese: il segreto della scrittura nell’Annunciazione di Leonardo

Archeologia: dai megaliti di Stonehenge ai percorsi sacri di Petra

Arte antica e moderna al Museo Civico di Palazzo Guicciardini a Montopoli

Dall’estasi della gioia al tormento del male in due opere di Francisco Goya

Approfondimenti sull’arte: la tomba di Donatello nella cripta di San Lorenzo

Il salto oltre il visibile nella pittura di Gianni Panciroli

Gisela Kentmann: la bellezza dell’impermanenza nel batter d’ali di una farfalla

Il futuro del viaggio secondo il Movimento Life Beyond Tourism

Flod: piccola come una cellula, grande come l’universo

Ingegno e tecnologia: chattare con il David alla Galleria dell’Accademia

L’avvocato risponde: l’assegno di mantenimento dei figli maggiorenni

Gualtiero Sbardelli, poeta e commediografo tra Roma e la Toscana

La voce dei poeti: le liriche di Isabella Cipriani

Caffè, il viaggio narrativo di Luca Mazzuoli

Le invenzioni letterarie di Edoardo Adacher, storico goliardo fiorentino

Il cinema a casa: 50 anni di Arancia meccanica, il capolavoro di Kubrick

Mostre in Italia: a Borgo Valsugana, il dialogo artistico di Passo a due

Un ricordo di Bruno Becattini, pittore della bellezza incontaminata

Il concerto davvero “speciale” del famoso pianista Arthur Rubinstein

Gloria Campriani, l’artista dei nodi che danno forma ai pensieri

Le liriche di Gabriella Gentilini, poetessa e storica dell’arte

Terra e Segni: Emilio Carvelli e Lucio Bussolini sulle tracce dell’uomo

Andar per mare: una nuova rubrica per scoprire i segreti della nautica

Ristorante Retrò, l’alta cucina nello storico Gran Caffè San Marco

L’amore come percorso introspettivo nel romanzo di Elena Marceddu

Toscana a tavola: zuppa inglese, un dolce dalle origini misteriose

Storia delle religioni: la cacciata degli angeli dal Paradiso

Franco Curvo, pittore digitale tra algoritmi e citazioni del passato

I segreti del tema natale: le caratteristiche dell’eroe “saturniano”

Eccellenze in Cina: l’importanza di avere una sede nel paese del dragone

Vacanze in Italia tra natura e arte con B&B Hotels

L’amore per la musica e per la buona cucina nell’intervista a Marco Masini

La personale di Luciano Faggi allo Spazio Espositivo San Marco

Paola Beretta, Donna con maschera floreale (2020),

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Stefano Degl'Innocenti, Innamorati, acrilico su tela, cm 50x70

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Yan Laichao, Flusso di coscienza (2015),

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Periodico di attualità, arte e cultura

La Nuova Toscana Edizioni

di Fabrizio Borghini

Via San Zanobi 45 rosso 50126 Firenze

Tel. 333 3196324

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Anno 5 - Numero 1 - Gennaio 2022

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Daniela Pronestì

Lucia Raveggi

Barbara Santoro

Michele Taccetti

Franco Tozzi

Antonello Venticinque

Foto:

Rosanna Bari

Doretta Boretti

Luca Brunetti

Luisa Carcavale

Gino Carosella

Filippo Cianfanelli

Maria Grazia Dainelli

Marco Gabbuggiani

Simone Lapini (ADV

photo)

Chema Madoz

Carlo Midollini

Massimo Sestini

Silvano Silvia

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Giuliacarla

Cecchi

La sfavillante magia

del “e vissero felici e contenti”.

Il nostro migliore augurio

per tutti voi.

Pola Cecchi

Si ringrazia la sposa,

Federica Carbone,

per la gentile concessione delle foto


Paolo Vignini

Stratificazioni visive

Risacca (2021), stampa su forex, cm 100x100

paolo.vignini@gmail.com


Eventi in

Toscana

Premio Ponte Vecchio

Al Gran Caffè San Marco la consegna del riconoscimento a

Dario Nardella e Gualserio Zamperini

di Gherardo Dardanelli / foto Maria Grazia Dainelli

Mercoledì 8 dicembre al Gran Caffè San Marco di

Firenze si è tenuta l’annuale festa dello scambio

degli auguri prenatalizi della ormai numerosa famiglia

de La Toscana Nuova composta da giornalisti, fotografi,

grafici, impaginatori, tipografi, spedizionieri, contabili e da

tante altre persone che a vario titolo fanno sì che ogni mese

la rivista possa arrivare agli abbonati e ai lettori affezionati.

Ognuno di loro ha ricevuto una pergamena che attesta

l’attaccamento manifestato nel corso del difficile 2021 alla

rivista. Ospiti della manifestazione, il sindaco di Firenze Dario

Nardella e il console di Tunisia a Firenze Gualserio Zamperini;

entrambi hanno ricevuto il prestigioso Premio Ponte

Vecchio consistente in un pregevole bassorilievo in bronzo,

realizzato dalla storica fonderia fiorentina Il Cesello, raffigurante

proprio uno dei simboli più riconoscibili della città a livello

planetario. In passato, l’onorificenza è stata attribuita,

dall’associazione Toscana Cultura, che lo ha fondato, a personaggi

del mondo della cultura come Dacia Maraini, dell’arte

(Timothy Verdon, Cristina Acidini, Antonio Natali), dello

spettacolo (Massimo Ghini, Gianna Giachetti, Narciso Parigi,

Rolando Panerai, Dolcenera), dello sport (Giancarlo Antognoni,

Gianni De Magistris), delle istituzioni (Eugenio Giani), della

Da sinistra, l’editore de La Toscana Nuova Fabrizio Borghini, la presidente di Toscana

Cultura Lucia Raveggi e il sindaco Dario Nardella durante la consegna del premio

moda (Ferragamo, Regina Schrecker, Pola Cecchi) e dell’imprenditoria.

Si sono alternati nella consegna dei premi, la presidente

di Toscana Cultura Lucia Raveggi e l’editore de La

Toscana Nuova Fabrizio Borghini.

La consegna del riconoscimento al console di Tunisia a Firenze Gualserio Zamperini

PREMIO PONTE VECCHIO

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I grandi della

fotografia

A cura di

Maria Grazia Dainelli

Massimo Sestini

Dall’omaggio a Dante ai ritratti in posa in una chiesa del Seicento: le tante

anime di un geniale interprete della fotografia contemporanea

di Maria Grazia Dainelli / foto Massimo Sestini

Come nasce il progetto Ricordi? Ritratti fotografici

stampati in corso, fino al 14 febbraio, nella chiesetta

di via Giovanni Piantanida 12 a Peretola?

Nasce dall’idea del mio caro amico e fotografo Settimio

Benedusi, il quale negli ultimi anni ha riscoperto l’importanza

di fotografare persone comuni, stampando l’immagine

in alta qualità e inserendola in una cornice. È tutto il

contrario di quanto accade oggi: ormai siamo abituati ad

archiviare le fotografie nei cloud o a pubblicarle sui social,

abbiamo perso l’abitudine di stamparle e ed esporle

nelle nostre case. Questo progetto vuole essere in controtendenza,

anche perché quelli proposti non sono ritratti

“photoshoppati”, ma privi di colore, e quindi in bianco

e nero, per non distrarre l’occhio dello spettatore ed avvicinarlo

all’identità del volto immortalato. Ho visto le

persone commuoversi mentre le fotografavo, e questa

emozione mi è arrivata forte, ha prodotto in me la stessa

scarica adrenalinica che provo tutte le volte che scatto

foto dall’alto di un elicottero o all’interno di un sottomarino.

Fotografare persone comuni e non personaggi famosi

mi ha permesso di provare nuove sensazioni, complice

anche il suggestivo set fotografico, una chiesa affrescata

del Seicento.

Hai iniziato per gioco fotografando concerti per poi diventare

un paparazzo…

A quindici anni ero istruttore di windsurf ed essendo anche

appassionato di fotografia, ho cercato di unire le due cose fotografando

personaggi famosi sulle spiagge più belle d’Italia.

Contemporaneamente al gossip, ho intrapreso anche la strada

del fotogiornalismo, una grande scuola che mi ha insegnato

a non mollare mai, anche in situazioni difficili.

La tua ricerca visiva è incentrata sulla visione prospettica

dall’alto, cosa c’è dietro questa scelta espressiva?

Ho iniziato a fotografare dall’alto per distinguermi da altri

colleghi che come documentavano fatti di cronaca. Ho

cercato di essere originale perché dovevo vendere le mie

immagini, e così è stato in effetti. Quando salgo sugli elicotteri

o sugli aeroplani mi munisco di teleobiettivi molto

potenti per catturare i particolari. Negli anni ho acquisito la

capacità di prefigurarmi come sarà lo scatto finale, superando

così le difficoltà dovute al vento, che a quell’altezza fa lacrimare

gli occhi, e alla velocità dell’elicottero. Ovviamente,

dietro ogni foto c’è un enorme lavoro di preparazione, un’alchimia

complicata da ottenere perché soggetta a diverse

Massimo Sestini durante l’intervista nella chiesa di Peretola (ph. Claudio Midollini)

variabili come le condizioni meteo, la bravura del pilota e altre

difficoltà non sempre prevedibili.

Un tuo celebre scatto ha vinto nel 2015 il World Press Photo:

puoi parlarcene?

Ci sono voluti sette anni di lavoro per arrivare a scattare

questa foto. Ero partito dall’idea di fotografare un gruppo

di migranti senza che fosse in posa, per questo mi sono imbarcato

per tredici giorni su una nave della Marina coinvolta

nell’operazione Mare Nostrum nel Mediterraneo. L’ultimo

giorno della mia permanenza, tentai di scattare con il mare

in tempesta: servirono due o tre virate per trovare lo zenit

sul barcone e, perdendo circa la metà dell’attenzione dei

migranti a bordo, non fu possibile realizzare la mia idea.

L’anno dopo mi sono imbarcato di nuovo su una nave della

Marina, con la quale abbiamo fatto numerosi salvataggi dal

basso perché l’elicottero a causa del mare in tempesta non

poteva decollare. Il quindicesimo giorno il mare era calmo

e fu possibile quindi levarsi in volo per effettuare un salvataggio.

Finalmente si presentò la giusta occasione per scattare

la foto che avevo pensato. In seguito nacque il progetto

Where are you? con il quale, lanciando un appello sui canali

social, mi proposi di rintracciare tutti i migranti che si trovavano

sul barcone quel giorno. Sono riuscito a rintracciarne

alcuni in Francia, Austria e Italia e li ho ritratti, sempre

dall’alto, nella loro nuova vita.

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MASSIMO SESTINI


Una foto della mostra al Forte Belvedere a Firenze Piazza Santa Croce in uno degli scatti di Sestini per la mostra Dante 700

Durante i mesi più duri della pandemia hai raccontato

la vita del personale sanitario dell’Ospedale Santa Maria

Nuova a Firenze. Da queste foto è nata la mostra Indispensabili

infermieri. Che esperienza è stata?

È stata un’esperienza molto toccante perché, lavorando a

stretto contatto con medici e infermieri in quella situazione

drammatica, ho avuto modo di riflettere sul valore della

vita e sull’inutilità dei piccoli problemi quotidiani che

spesso ci sembrano insormontabili. La mostra è stata voluta

dalla Fondazione Santa Maria Nuova Onlus per documentare

il prezioso lavoro del personale infermieristico

proprio in occasione dei settecentotrentadue anni di vita

della struttura, tra le più antiche al mondo ancora in attività.

Sono immagini che parlano da sole, raccontano la vita

e la morte, la fatica fisica e il carico emotivo, la dedizione

e la professionalità dei medici e degli infermieri che in

questi lunghi mesi hanno avuto l’arduo compito di fronteggiare

l’emergenza.

Con la mostra Bellezza oltre il limite al Forte Belvedere a Firenze

hai raccontato la Toscana da un nuovo punto di vista…

Ho unito la passione per il volo all’amore per la Toscana, senza

dubbio una delle più belle regioni d’Italia. Ero stanco di

raccontare il Covid, volevo dare spazio alle bellezze del paesaggio

toscano. Ho ritrovato foto scattate in passato, cercando

di tirare fuori l’anima della nostra regione. Vista dall’alto,

la natura presenta geometrie inimmaginabili, come fossero

opera di un pittore.

Lo scorso ottobre si è conclusa al Palazzo del Quirinale a

Roma la mostra Dante 700 che hai dedicato al sommo poeta

nel settecentesimo anniversario della morte. Cosa ci dici

di questo progetto?

Ho voluto raccontare la presenza di Dante oggi nelle città

che hanno segnato la sua vita, Firenze, Ravenna e Verona,

sia attraverso scatti realizzati dall’alto che con visioni panoramiche.

Il progetto è stato realizzato con la collaborazione

del Comune di Firenze e con il sostegno del Ministero

della Cultura e del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione

internazionale. Per l’occasione, il sindaco Dario

Nardella ha voluto che fossero esposte in mostra le due

ante in tarsia lignea di Palazzo Vecchio datate 1480 e raffiguranti

Dante e Petrarca. Da Roma la mostra si è spostata

a Firenze e da qui ha proseguito per Parigi, Bruxelles, Berlino

e Madrid.

Siamo continuamente sommersi da milioni di immagini.

Quali caratteristiche devono avere per rimanere nella

memoria?

La fotografia che ci ricorderemo per sempre è quella che ci

tocca nel profondo. Per questo è importante che il fotografo

impari a comunicare emozioni e a trasferire a chi guarda

messaggi universali.

Secondo te, la fotografia è più una forma d’arte o un mezzo

di comunicazione?

È un modo di comunicare molto potente, diretto ed immediato.

Certo, può essere anche una forma d’arte, dipende

dal contenuto dell’immagine e da ciò che s’intende esprimere.

La mia foto del barcone, ad esempio, è diventata iconica

perché invita a riflettere sul problema globale dei migranti

senza mostrare aspetti drammatici o cruenti ma aprendo

lo sguardo alla speranza che queste persone possano salvarsi.

È così che uno scatto di cronaca diventa forma d’arte

perché racconta qualcosa che va al di là del contenuto immediato

dell’immagine.

I tuoi prossimi impegni?

Ho da poco pubblicato il calendario della Marina Militare

2022, sto realizzando un libro sull’Aviazione Navale e ho concluso

la pubblicazione per il cinquantennale della Polizia di

Stato fotografando gli elicotteri in volo dal nord al sud d’Italia

con effetti di luce mozzafiato dall’alba al tramonto. Ho inoltre

realizzato una mostra inaugurata dal capo della Polizia con

la pubblicazione del libro Le ali della Polizia. Un progetto al

quale sto ancora lavorando invece è quello sulle frecce tricolore

per il centenario dell’Aeronautica Militare: ho avuto l’idea

di fotografare le frecce tricolori in volo e per farlo ho dovuto

creare la prima sala di posa a 40.000 piedi di altezza, un’impresa

non facile.

MASSIMO SESTINI

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Margaret Karapetian

L’eleganza del segno inciso

Incisione premiata con il Fiorino d’Oro nell’ambito del Premio Firenze 2017

www.margaretkarapetian.it


A cura di

Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli

Spunti di critica

fotografica

Chema Madoz

Il maestro del paradosso in fotografia

di Nicola Crisci / foto Chema Madoz

Nato a Madrid nel 1958, Jose Maria Rodriguez Madoz,

meglio conosciuto come Chema Madoz, è famoso

per i suoi scatti surreali ottenuti creando

contiguità formale e di significato tra oggetti d’uso quotidiano

che, sottratti alla funzione d’origine, conquistano un fascino

inaspettato. Si tratta di foto che strizzano l’occhio ai

ready-made di Marcel Duchamp e ai paesaggi onirici di René

Magritte. È un fotografo interessato alla possibilità di scoprire

nuovi significati a partire da cose ordinarie, creando

veri e propri paradossi visivi. «Gli oggetti – afferma – hanno

lo stesso carattere delle parole, si contaminano l’un l’altro

generando significati sempre nuovi». Libri, monete, piatti,

orologi, fiammiferi diventano forme nuove nella trasposizione

surreale dei suoi scatti. La scelta di lavorare soltanto in

bianco e nero conferisce a queste fotografie un’atmosfera

di delicata leggerezza. Mancano anche i titoli per lasciare al

pubblico la libertà di interpretare il soggetto immortalato. Il

suo libro più famoso s’intitola Oggetti con foto scattate tra il

1990 ed il 1999 nelle quali si coglie chiaramente la poetica

delle cose quotidiane che, decontestualizzate e proiettate in

una dimensione fuori dal tempo, si trasformano in presenze

oniriche e misteriose. Dichiara Madoz: «Non prendo in considerazione

la reazione che le mie foto provocheranno nello

spettatore. Cerco immagini che mi commuovano e mi tocchino,

che mi facciano sentire che sto facendo qualcosa di

diverso di cui non ero a conoscenza. Voglio essere in grado

di stare di fronte alle mie foto e sentire

di poter comunicare con loro». È

considerato in Spagna uno dei massimi

protagonisti della cultura nazionale,

con mostre importanti presso

le principali istituzioni. Nel novembre

2011, il principe Filippo (attuale

re di Spagna) e la principessa Letizia

hanno inaugurato una sua mostra

al Museo de Arte Contemporáneo a

Santiago del Chile.

CHEMA MADOZ

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Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Ornella De Rosa

L’orgoglio della femminilità

di Daniela Pronestì

Il valore della sensibilità femminile in pittura si rivela

soprattutto quando ad essere raffigurate in un’opera

sono le donne. In questo caso, infatti, emergono sfaccettature

del femminile che soltanto l’occhio di una donna

sa cogliere, trasferendole in immagini lontane da schematismi

e stereotipi. Anche la sensualità assume nuove

sfumature quando a raccontarla è una donna. Nei ritratti

femminili di Ornella De Rosa, la sensualità non è un atteggiamento

banalmente seduttivo ma è un modo di essere

e di stare al mondo, una caratterista che, in quanto tale,

non si sceglie né si acquisisce ma si possiede in maniera

del tutto naturale. È un enigma, potremmo anche dire, che

non può essere spiegato a parole ma che si può soltanto

percepire attraverso il linguaggio del corpo. Gli occhi,

la bocca, i gesti, la postura, l’abbigliamento: strumenti di

una comunicazione sottile e persuasiva che queste donne

conoscono bene e che mettono in atto senza alcuno

sforzo. Osservando con maggiore attenzione i loro sguardi,

vi si avverte la presenza di una malinconia inafferrabi-

1

le, un languore dell’anima nutrito di assenze, frammenti di

cose perdute, memorie lontane nel tempo. Una luce fredda,

irreale, a tratti metafisica ne illumina i volti e la figura,

le avvolge con la sua consistenza lattiginosa, facendole

sembrare creature ammantate da un’aurea di sacralità. A

ben guardare, più che di donne reali si tratta di figure nel-

2 3

12

ORNELLA DE ROSA


le quali s’incarnano ideali assoluti:

amore, bellezza, grazia, armonia,

gentilezza. Per questo motivo ci appaiono

allo stesso tempo vicine ed

irraggiungibili, carnali ed eteree, luminose

ed oscure. Dialogano tra di

loro segretamente, non si lasciano

afferrare, e anche quando ci guardano,

continuano a sfuggire, a rimanere

distanti, chiuse, come sono, in

un mistero impossibile da sciogliere.

Insieme alla loro personalità, e

tramite questa, s’intuisce anche la

personalità dell’artista, la sua attenzione,

tutta femminile, per i dettagli

preziosi, gli elementi floreali, la resa

attenta di pieghe e tessuti e per

tutti quei particolari che mettono in

relazione la figura con lo sfondo.

Ornella De Rosa ritrae le donne per

raccontare la totalità della vita, non

soltanto la condizione di una parte

o di un genere. Certo, quella da

lei raffigurata è una femminilità che

non rinuncia ad alcuna delle proprie

prerogative, una femminilità volutamente

“esibita”, con corpi avvenenti

– talvolta fino a sembrare quelli delle

bambole –, profili perfetti, vanità

di pose e di abiti. Ma tutto questo

ha come scopo rimarcare il diritto

della donna ad essere attraente,

sensuale, spudoratamente bella,

senza per questo andare incontro

a pregiudizi e strumentalizzazioni.

Un tema tanto antico quanto attuale

che queste donne interpretano

attraversando epoche e stili: dalla

classicità al modernismo, dalla cultura

accademica all’arte grafica, dal

ritratto pittorico al linguaggio fotografico.

Quanto basta a renderle figlie

della contemporaneità e allo

stesso tempo interpreti di un’idea di

femminilità che va ben oltre la narrazione

del presente perché invita a

scoprire la luce e la forza creativa

che da sempre la donna custodisce

in se stessa.

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5

1.

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3.

4.

5.

E l'oblio mi è dolce, cm 70x90

Intime conversazioni, cm 90x100

Il volo, cm 100x120

Riflessioni e confronti, cm 80x80

Luci ed ombre, cm 100x100

ORNELLA DE ROSA

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I libri del

mese

C’era una volta un rione a Firenze

Un racconto a più voci sul passato recente del capoluogo gigliato

nel nuovo libro di Fabrizio Borghini

di Erika Bresci

Raccontare Firenze com’era e farla rivivere nelle pagine

di un voluminoso libro di ricordi-memorie, concentrati

in particolare negli anni dal dopoguerra

all’alluvione. Farlo come fosse una sorta di sequenza cinematografica,

lasciando srotolare senza soluzione di continuità

quel filo che, seguendo strada per strada quartieri e rioni,

riesca a disegnare un anello perfetto, capace di racchiudere il

perimetro cittadino in un unico dialogante racconto a più voci.

E quante voci! Ecco l’invito, stimolante e curioso, raccolto

da centocinque fiorentini (doc o naturalizzati tali), che, con

voce diversa e provenendo da differenti ambiti professionali,

status sociale, esperienze personali, hanno voluto dare il loro

contributo come testimoni; e lo hanno fatto certo scrivendo

ma anche tirando fuori dai cassetti di famiglia, e offrendole

come garanzia del ricordo narrato, tante, inedite fotografie in

bianco e nero, dalle quali ben si comprende la trasformazio-

ne del tessuto cittadino prima e appena dopo il boom edilizio

degli anni Sessanta. Interi quartieri ancora da costruire intravisti

alle spalle di sorridenti scolaresche, edifici ora abbattuti

per far posto a cavalcavia e sottopassi, torrenti ancora da

interrare che attraversavano, ignari, strade e viali e scorrevano

sotto ponti ora cancellati dall’asfalto, piazze che avevano

altri nomi – come l’attuale piazza Indipendenza, allora piazza

Barbano –, botteghe, ristoranti, ritrovi, un tempo fulcro di

attrazione e di animazione, oggi trasformati in altro, alcuni

spariti del tutto, altri tenacemente ancora aperti. E poi, dalle

fotografie come dai ricordi, si vedono spuntare personaggi

che hanno fatto la storia di quegli anni. Come il famoso

Gratta insieme al suo circo itinerante, che, tolto il tendone da

un quartiere, vedevi subito riapparire in un altro, insieme alla

magia delle evoluzioni delle figlie trapeziste e alle burle del

clown buono, così come in tanti racconti viene rammentato.

Oppure i personaggi comuni della storia quotidiana,

come il netturbino porta a porta, il ghiacciaiolo (perché

ancora i frigoriferi erano una chimera), l’arrotino

ambulante, i renaioli… Un mondo animato che riprende

vita attraverso i brevi cenni di alcuno o le descrizioni

accurate di altri. Perché anche nel ricordare si

è diversi. E poi, dalla nebbia del tempo, riaffiorano i

volti e i nomi di chi alla vita cittadina ha partecipato

dedicandosi allo sport (il calcio, certamente, ma anche

il ciclismo, la pallavolo, la pallanuoto) e al volontariato.

Circoli e associazioni, poli di aggregazione e

di crescita, rievocati nei protagonisti e nelle attività

condivise. Un pullulare di umanità si muove tra strade

e vicoli, si veste a festa la domenica, partecipa alle

feste popolari – il Grillo, la Rificolona –, colora di

sé il bianco e rosso che dal piazzale veste Firenze

nei giorni di sole, vive con e per la città. Perché, diciamocelo,

sia che a confidare i propri ricordi siano

nomi conosciuti – come quello di Carlo Conti, Marco

Masini, Cinzia TH Torrini – o meno, tutti ugualmente

si scoprono ancora (e sempre) pazzamente innamorati

– e orgogliosi – della propria città. Insomma,

si coglie bene in ogni singola pagina quanto “lo spirto

fiorentin dentro ci rugge”: ci perdoni Foscolo l’impropria

appropriazione! La regia di Fabrizio Borghini,

che ha pensato, scritto anch’egli tre suoi ricordi e una

premessa, coordinato le tante penne, selezionato

con cura e pazienza le foto, la sua personale, attentissima

conoscenza dei luoghi, delle storie e dei testimoni

hanno dato vita a questo prezioso scrigno di

memoria (arricchito dalla partecipata prefazione di

Cosimo Ceccuti) che resterà nel tempo.

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C’ERA UNA VOLTA UN RIONE A FIRENZE


A cura di

Viktoria Charkina

Incontri con

l’arte

Lawrence Ferlinghetti

Un docufilm per ricordare uno degli ultimi grandi protagonisti

della Beat Generation

di Viktoria Charkina

Da poco nelle sale italiane è uscito

Lawrence, il primo docufilm

dedicato a Lawrence Ferlinghetti,

grande poeta, scrittore ed esponente

del gruppo di ribelli della Beat Generation

(anche se lui stesso rifiutava tale termine,

preferendo San Francisco Renaissance).

Nel film, il cofondatore della City

Lights Bookstore di San Francisco, prima

libreria di soli tascabili e rifugio per

gli intellettuali oppositori, si esprime sui

temi riguardanti le problematiche sociali,

politiche ed ecologiche. Il coraggioso

editore di Urlo di Allen Ginsberg e tenace

difensore della libertà di stampa racconta

le contraddizioni e i drammi della

società capitalista, cercando in tutti i modi di suscitare una

riflessione e una presa di coscienza collettiva sui temi trattati.

Uno dei suoi mezzi di comunicazione per parlare dei pericoli

causati dall’autoritarismo e dell’importanza dell’unione

tra gli esseri umani diventa la pittura. I pericoli causati dalle

lotte armate, le riflessioni sulla pena di morte e i forti disaccordi

con il sistema politico occidentale nell’arte di una delle

massime personalità del panorama letterario americano

contemporaneo non appaiono con toni cupi, violenti e sfrenati,

ma spesso portano note di speranza e umorismo. Non

esiste un’ombra senza un raggio di luce nella pittura di Ferlinghetti,

che sembra rivolgersi all’arte per motivi più spirituali

e meditativi che educativi, evitando chiari proclami e lasciando

spazio al mistero che davanti ad un’opera d’arte diventa

profondo e infinito. Il tentativo di preservare la particolare

trascendenza genera una «pittura politica che deve anche

essere lirica», trasportando il pensiero su tela e servendosi

del pennello, per ammissione stessa del poeta, per raffigurare

ciò che non riesce ad esprimere a parole. La passione per

l’arte dello scrittore statunitense nasce in maniera spontanea

ma allo stesso tempo organica quando nel 1947, grazie

ad una borsa di studio ottenuta per tre anni, si reca a Parigi

per un percorso di dottorato alla Sorbonne e nella capitale

francese inizia a vivere una nuova stagione di vitalità, creatività

e idee. Il primo avvicinamento all’arte figurativa avviene

quando il coinquilino del poeta con cui condivide la stanza

dimentica i propri “strumenti da pittore” e allora Lawrence,

cogliendo l’attimo per avvicinarsi alla pittura, si presenta a

quella che da quel momento in poi diventerà una passione

lunga tutta una vita. Presto, inghiottito dal clima di incontri

fra giovani artisti negli studi a Montparnasse parallelamente

alle prime prove di scrittura, inizia a frequentare l’Académie

Julien, una scuola libera da vincoli di frequenza, orari e

Lawrence Ferlinghetti mentre legge le sue poesie

pregiudizi. A Parigi vive il panorama in cui, proprio nell’anno

del suo arrivo, André Breton e Marcel Duchamp danno vita

ad uno degli eventi artistici più significativi dell’epoca: la

grande mostra Le Surréalisme en 1947: Exposition Internationale

du Surréalisme. Vedendo fra i partecipanti artisti come

Max Ernst, Sebastian Matta e Joan Miró, Lawrence, curioso

e inseparabile dai concetti dell’apertura mentale e dell’inclusività,

avvia una riflessione sugli enigmi nei disegni di Jean

Cocteau che prendono forma nella sua prima opera pittorica

intitolata Deux, di forte matrice surrealista. Ulteriormente

stimolato, continua le sue esperienze interdisciplinari anche

una volta tornato in patria, dove osserva la nascita e l’esplosione

dell’espressionismo astratto con protagonisti Pollock,

Rothko e Kline, ammirando l’uso dei neri di quest’ultimo. Tramite

la contaminazione delle esperienze artistiche diverse e

degli inserti letterari nei dipinti, lo scrittore statunitense si

avvicina alla poesia creando talvolta dei veri e propri manifesti.

Le problematiche, per il suo carattere attuale e universale,

superano la distanza geografica e continuano il filo rosso

della pittura di Ferlinghetti che, alla ricerca della pace, dell’amore

e dell’equilibrio, rimane irrisolto e destinato a suscitare

riflessioni per le generazioni successive. Perché lo spirito rivoluzionario

non svanisce con la scomparsa di un grande artista,

ma rappresenta una fonte d’ispirazione per continuare

il progetto da lui iniziato.

www.florenceartgallery.com

LAWRENCE FERLINGHETTI

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La voce

dei poeti

Poesie all’insaputa

I versi intimisti di Maria Luisa Manzini

di Giovanni Cipriani

Maria Luisa Manzini non cessa di stupirci per la sua

vivacità intellettuale e questo amabile libro di poesie,

stampato nel novembre del 2021, è un ottimo

auspicio di rinascita per il 2022. L’agile volumetto ha

un duplice pregio, da un lato conferma l’indubbia qualità

delle liriche dell’autrice, che già aveva dato alle stampe le

due raccolte di versi Se le lacrime fossero rugiada (2008)

e Ciliegie e noccioli (2013), e dall’altro ne valorizza le virtù

pittoriche, grazie ai raffinati disegni di fiori e di paesaggi

toscani, che arricchiscono numerose pagine. Maria Luisa

Manzini sa scavare nel mondo dei sentimenti con le sue

capacità espressive e ben sottolinea la figlia Anna, in una

breve, ma significativa, introduzione che «nei suoi dipinti

ci si può immergere, nelle sue poesie ritrovare». Gli occhi

di un poeta sanno infatti vedere lontano e condensare

magicamente, con parole efficaci e ricche di contenuto, impressioni,

immagini, moti dell’animo, rendendoli realmente

momenti soggettivi dell’assoluto e riuscendo a vincere, con

disarmante facilità, di mille secoli il silenzio, grazie ad un

linguaggio universale. La “lunga collana di giorni” inanellata

da Maria Luisa Manzini ha ancor più acuito la sua capacità

di percepire il fondo della nostra mente e il battito del

nostro cuore, come ci dimostra con finezza pagina dopo pagina,

e le consente, per la nostra gioia, di mettere sempre a

fuoco la traccia lasciata dal filo della nostra vita / nel flusso

d’infinito dell’esistenza umana.

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POESIE ALL’INSAPUTA


I libri del

mese

La magia del Natale nei racconti

di Doretta Boretti

di Erika Bresci

Nella sua lunga frequentazione con la scrittura – come

autrice di numerosi testi teatrali, libri di racconti,

romanzi, poesie, articoli per riviste –, Doretta Boretti

sembra avere un ospite privilegiato che l’accompagna come

amico fidato e confidente lungo tutto il percorso: il Natale.

L’appena uscito Tre vigilie di Natale come in un talk show – tre

racconti illustrati dalla fantasia colorata di Stefania Silvari –,

dialoga infatti a perfezione, in un certo senso torna a puntualizzare,

spiegare, amplificare il senso e a giocare, in particolare,

con altri due precedenti titoli, Sarà sempre Natale, romanzo

distillato di amore materno, e Tre storie di Natale da Firenze al

mondo, che anticipa soggetti e oggetti che ritroviamo anche

in quest’ultimo nato. Lo spirito del Natale, che Doretta fa proprio

e fa concretamente rivivere nel tempo della festa all’interno

della sua casa, trasformata per l’occasione in “vera casa di

Babbo Natale”, sembra incarnare a perfezione ciò che rappresenta

la dimensione autorale e spirituale della scrittrice.

Il Natale, infatti, è l’unico momento dell’anno nel quale

“la verità si unisce alla fiaba”, il sogno diventa realtà e la

realtà può vestirsi di sogno. Un tempo in cui tutto è possibile,

anche immaginarsi insieme a chi non appartiene a

questa dimensione, coglierne la voce, accarezzarne i segni,

farsi toccare gli occhi per aprirli diversi a credere oltre

l’umano concepire. Le tre vigilie raccontate colgono l’essenza

e le caratteristiche precipue di tre anni (2018, 2019

e 2020) molto vicini. Nella prima, il lettore dovrà fare i conti

con una notizia sconvolgente, urlata sui social e rimbalzata

ai quattro angoli del globo terrestre: Babbo Natale

non tornerà mai più. Cos’è, si chiede la scrittrice, che può

cancellare per sempre la magia del Natale? L’indifferenza,

il non sentirsi più parte di una comunità. Per questo, l’unico

modo che ha l’uomo per far tornare sui propri passi il

vecchio con la barba bianca è quello di mettersi in gioco

in prima persona, condividendone entusiasmo, speranza,

voglia di sognare, immaginare. L’invito è a trasformarsi per

un giorno in tanti aiutanti di Babbo Natale con l’unico progetto

di rendere il mondo un posto migliore in cui vivere.

La seconda, che richiama un tema caro a Doretta – quello

degli angeli e delle loro piume lasciate come segno di

presenza e aiuto –, ci consegna un messaggio profondo,

che va ben oltre il battito di un’ala. Occorre sempre, anche

nei momenti più bui, aprire gli occhi a una visione diversa,

non dobbiamo aver paura di guardare, perché solo a chi

si affida al salto, a chi si lascia andare al possibile, è concesso

di “vedere”. Occorre aprirsi alla meraviglia, danzare

con gli occhi del cuore, lasciarsi cullare da una leggerezza

che sembra non appartenerci più. Il terzo, concentrato

sulla vigilia di quel 2020 di isolamento da pandemia che ci

ha visto privati della vicinanza degli affetti, è un inno all’amicizia

e alla vita da condividere con chi si ama, che si rivela e rinnova

anche negli oggetti concreti e nel ricordo che essi suscitano

di volti cari, evocati nella solitudine come personaggi di un presepe

intimo e personale, che aspettano solo l’arrivo di una stella

cometa per accendersi e far festa. Ed è un regalo che giunge

inaspettato – un Babbo Natale dipinto da un’amica pittrice – a

far scoccare nel buio dell’assenza la scintilla di luce, e che addirittura

si fa esso stesso messaggero di un dono più grande.

Perché l’amore donato si moltiplica nel donarsi, dilaga, illumina,

riscalda. Come le parole e i racconti di Doretta, la cui scrittura è

vera incarnazione del puro spirito del Natale.

Doretta Boretti

Tre vigilie di Natale come in un talk show (Pegaso, 2021) / 12 euro

MAGIA DEL NATALE

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Ritratti

d’artista

Mario Pratesi

La pittura come istinto primordiale

di Michele Loffredo

Èindubbio che già al primo sguardo la pittura di Mario

Pratesi dichiara apertamente la propria distanza

dall’accademismo di maniera, imponendosi per

una libertà stilistica disinvolta, a tratti trasgressiva, alimentata

da un’energia primordiale, istintuale e autentica, che si

pone, impulsivamente e quasi involontaria, oltre le misurate

convenzioni della storia dell’arte, come se l’artista, nell’urgenza

di testimoniare la propria condizione esistenziale, si

caricasse di un’ansia espressiva che non è possibile trattenere,

trovando quiete solo dopo averla proiettata sulla tela

che si affolla di un febbricitante dionisiaco horror vacui.

Questa manifestazione impellente del proprio vissuto è il

nucleo proponente di un’attività artistica che, come un vulcano

in eruzione, scaglia all’intorno innumerevoli visioni e

impressioni, riflessioni e stati emotivi, rappresentati con una

figurazione essenziale e antigraziosa, che si nutre di colori

esuberanti ed energici, per cogliere momenti e istanti di

vita, non solo riferiti all’attualità ma anche da sollecitazioni

della memoria o calandosi in frequentazioni di storia e

del mito, ovvero spaziando in un ampio repertorio il cui limite

è dettato solo dalla propria fervida immaginazione. Sulla

tela, il colore, a volte calato come una sciabolata che ferisce,

altre steso in accese campiture o macchie dissonanti,

dispensato con gesto irruente o distribuito in segni delicati,

si sostituisce al disegno, ne costruisce le forme, le figure,

i paesaggi, gli oggetti, per una raffigurazione spregiudicata e

sciolta, a volte grottesca, che richiamandosi al vasto ambito

del neoespressionismo si alimenta ampiamente di sintassi

astrattiste, informali, echi di graffitismo e di primitivismo,

Vergine che allatta (2019)

Autoritratto al tempo del Covid (2020)

in una ricerca che predilige spesso la riduzione compositiva,

esaltando l’essenza del messaggio così da coinvolgere

con immediatezza lo spettatore. Per comprendere però la dimensione

in cui Pratesi opera, e non fermarsi all’apparenza

non convenzionale o naïf di alcuni suoi dipinti, può essere

utile decostruirne il linguaggio pittorico così da identificare

gli elementi che ne rendono possibile l’efficacia espressiva.

In primo luogo si riconosce alla sua pittura l’appartenenza

al vasto territorio dell’espressionismo, inizialmente declinato

nelle avanguardie storiche dei Fauves francesi e dei tedeschi

del Die Brücke in cui si assiste al superamento della

rappresentazione oggettiva della realtà. Questa ormai non

poteva più essere percepita come tale, perché si scopre che

il processo della visione non è meramente meccanico ma è

essenzialmente interpretativo, ovvero non si può separare

ciò che si conosce da ciò che si vede, aprendo così la strada

alla soggettività che è poi il motivo dominante

di tutta l’arte contemporanea. Il punto

di vista di colui che quella realtà la osserva

diviene quindi imprescindibile, in particolar

modo per gli artisti, che dietro anche la pressione

dei nuovi mezzi di ripresa della realtà,

come la fotografia, vanno alla ricerca di nuovi

valori stilistici e di una nuova visione spingendo

ancora più la raffigurazione in senso

deformante e drammatico. Questa perdita di

punti di riferimento, conduce la pittura, nelle

sue ricerche più estreme e affascinanti, a pura

manifestazione fenomenica. Se l’astrattismo

delle avanguardie storiche manifestava

la volontà di superare la figurazione oggettiva

aprendosi ad altri linguaggi, cercando

di esprimere anche realtà soprasensibili e

invisibili, ciò non sembra più possibile dopo

i genocidi di massa e la bomba atomica.

L’artista si ritrova incapace di formulare

18

MARIO PRATESI


Notre-Dame (2019)

risposte agli interrogativi del proprio tempo e il linguaggio

informale manifesta questa tormentosa condizione. L’informale

rivendica la pittura come puro atto esistenziale, non

si propone di prospettare direzioni, intendimenti o significati,

ma si emancipa da qualsiasi intenzione rappresentativa,

diventa pratica tautologica, in linea con la filosofia dell’esistenzialismo

e la fenomenologia. Ma è nel neoespressionismo

tedesco dei cosiddetti Nuovi Selvaggi che la pittura

raccoglie il testimone di quell’irruenza trasgressiva e ribelle,

audace e indipendente, che sembra idealmente scorrere anche

nella pittura di Mario Pratesi. Attingendo istintivamente

alle esperienze pittoriche precedenti, che rappresentano

il lato dionisiaco della storia dell’arte, l’artista toscano interpreta

con tecnica essenziale e immediata la pratica pittorica

come mezzo per sondare il proprio grado di esistenza al

mondo. Nella composizione l’elemento descrittivo è ridotto

al minimo, l’artista va diretto all’essenziale, senza orpelli,

con capacità di sintesi e di far rivivere nella scena elementi

immaginativi e concreti insieme, compiendo un atto di identificazione

con le proprie istantanee di vita, con i propri personaggi.

Così facendo, può far emergere territori dolorosi e

sofferenti, luoghi di passioni e di affettuosi trasporti, di desideri

felici e di promesse infrante, manifestando sulla tela

la propria intensa adesione alla vita, con una forza che si impone

al di là di tutte le nostre paure, testimoniando che la realtà

è autentica quando è partecipazione.

L’alba dell’uomo (2018)

MARIO PRATESI

19


Dimensione

salute

A cura di

Stefano Grifoni

Così il singhiozzo va via…

di Stefano Grifoni

Si chiama “singhiozzo vai via” uno strumento per far

sparire il singhiozzo. Si tratta di una cannuccia rigida

con una valvola a pressione all’estremità opposta

alla bocca. La valvola genera una resistenza aggiuntiva

quando si cerca di aspirare acqua da un bicchiere. La suzione

e la successiva deglutizione dell’acqua stimolano il

nervo frenico e il vago, inducono una contrazione del diaframma

e fanno richiudere l’epiglottide, la valvola che impedisce

ai cibi e alla saliva di finire nelle vie aeree. In caso

di singhiozzo, il diaframma e i muscoli intercostali si contraggono

causando una rapida inalazione di aria circa 35

millisecondi. Più tardi la chiusura della epiglottide si traduce

in un caratteristico “hic”. Per la maggior parte delle

persone il singhiozzo è passeggero, ma in alcuni casi,

come nei pazienti con lesioni cerebrali o che stanno affrontando

cure oncologiche, può persistere e risultare debilitante.

In questi casi lo strumento “singhiozzo vai via”

potrebbe risolvere il problema.

Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso

dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi

e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale

della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione

per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico

dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.

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SINGHIOZZO


A cura di

Emanuela Muriana

Psicologia

oggi

Il benessere nei piccoli piaceri quotidiani

di Emanuela Muriana

Essere intrappolati nel presente è una condizione attuale

e generalizzata causata dalla pandemia. Da

circa due anni siamo ostaggi di un nemico invisibile:

il virus SARS 19 ci ha costretti a misure precauzionali che

ci hanno cambiato la vita in quasi tutti gli ambiti. Siamo stati

impegnati a combattere preoccupazioni, paure, ansie e angosce

sconosciute con la ricerca di rassicurazioni attraverso

l’informazione, comportamenti precauzionali di distanziamento,

pulizia e disinfezione, etc. … e anche con l’estrema delirante

difesa: il virus non esiste. Uno degli effetti meno evidenziati

di questo periodo è la rilevante perdita dei piaceri che davano

sapore alla vita. L’assuefazione alla condizione di attesa si può

trasformare in vuoto angoscioso che non si riesce più a colmare,

con il rischio di cadere in un atteggiamento di rinuncia depressiva.

Incapaci di rappresentarsi il “cosa fare” di piacevole

come se niente accendesse il bisogno, il desiderio o la curiosità;

incapaci di stupirsi, appiattiti nell’attesa delegando ad altri

o peggio ancora alla sorte il ravvivarsi della vita quotidiana.

I giovani sembrano essere più esposti al rischio dell’isolamento,

“tombati” in camera con telefono e computer, incapaci di ritornare

in una sana dimensione sociale. Ma senza piacere non

si può essere felici, l’élan vital (lo slancio vitale), come diceva

Bergson (1907), è in fondo il piacere di realizzare qualcosa. Al

di là delle grandi imprese o conquiste personali, è il piacere dei

piccoli risultati quotidiani che nutrono la mente di soddisfazione,

tengono accesa la prospettiva del futuro per non soccombere

all’angoscia del presente. Ricordarsi quindi che anche il

piacere deve essere presente ogni giorno, assunto come un integratore

regolarmente: concedersi piccole cose, assaporarle

in tutti i dettagli come i sommelier, per risvegliare i sensi che

sono stati spenti dall’emergenza sanitaria. Piccoli piaceri quotidiani

contribuiscono al senso del benessere più delle grandi

cose, che spesso impossibili da realizzare subito, tendono a

portarci a rimandare e ad assumere un atteggiamento di rinuncia.

«Adoro i piaceri semplici, sono l’ultimo rifugio della gente

complicata» parola di Oscar Wilde.

Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve

Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.

È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso

le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato

tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.

È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.

Studio di Terapia Breve Strategica

Viale Mazzini 16, Firenze

+ 39 055 242642 - 574344

emanuela.muriana@virgilio.it

PIEDE

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Joanna Aston

Una pittura tra sogno e realtà

La giostra (2021), olio su tela, cm 50x50

joannasouthcote@gmail.com


A cura di

Silvia Ciani

I consigli del

nutrizionista

L’educazione alimentare nelle disabilità cognitive

di Silvia Ciani, Corinna Desiati, Silvia Fallani

Nutrirsi è un atto istintivo, spontaneo, domato dalla percezione

di uno stato di bisogno: la carenza di nutrienti.

Alimentarsi invece è un atto più consapevole, denso di

azioni (scelta e acquisto degli ingredienti, preparazione del cibo,

cottura) e pensieri (aspettative, preferenze), frutto anche delle integrazioni

fra sensazioni che provengono dal corpo (il gusto, la

sazietà, la digestione, etc. ...) con quelle della mente (abitudini,

ricordi, impulsi, etc. ...). La maggior parte delle persone è spontaneamente

in equilibrio grazie ai normali meccanismi che regolano

le funzioni del corpo e della mente, ma vi sono persone che

per vari motivi (indole, ambiente, patologia, etc. ...) tendono ad

alterare il proprio stato nutrizionale (malnutrizione per eccesso

o per difetto) attraverso comportamenti alimentari non equilibrati

e disfunzionali; è un fenomeno questo che ritroviamo purtroppo

nelle persone con disabilità, che hanno un maggior rischio di

sviluppare sintomi psicopatologici perché più soggette a vivere

situazioni di vulnerabilità e con un minor numero di risorse psicologiche

e cognitive disponibili. È particolarmente opportuno

per queste persone che le abitudini alimentari si strutturino correttamente

sin dall’infanzia; in particolare, affinché l’educazione

Ragazzo X fragile intento a cucinare

Incontro di formazione per genitori presso lo studio artEnutrizione, con il presidente

dell'Associazione Toscana Sindrome X Fragile Silvia Fallani, la psicologa

Corinna Desiati e la nutrizionista Silvia Ciani

alimentare sia abilitante e orientata al raggiungimento della maggiore

autonomia possibile, bisogna tener presente che mangiare

è un comportamento appreso e che l’imitazione dei comportamenti

dei familiari, opportunamente sensibilizzati e formati, può

diventare una risorsa preziosa nel favorire un corretto approccio

al cibo e nel migliorare la padronanza degli impulsi. Risulta necessario

quindi soffermarsi a lavorare con tutta la famiglia sul

piano psicologico all’interiorizzazione di uno stile di vita sano e

bilanciato evitando al tempo stesso un controllo esasperato o la

privazione. La sindrome dell’X fragile rientra tra le patologie che

necessitano di un’attenzione particolare per una sana e corretta

alimentazione. Per farlo, c’è bisogno di una rete di professionisti

che mettano la persona, fin da piccola, in condizioni di vivere il

cibo in maniera serena e adeguata, attraverso il coinvolgimento

della rete sociale (famiglia, scuola, associazioni sportive, nutrizionisti,

psicologi, educatori, etc. ...), senza però perdere di vista

il contesto generale in cui la persona vive e l’importanza del cibo

come momento di convivialità e di condivisione. Presso lo studio

artEnutrizione esistono percorsi integrati fra psicologo e nutrizionista

particolarmente attenti alle persone con disabilità e

alle loro famiglie, con l’intento di migliorare lo stato di salute psi-

co-fisica e di ridurre le

diseguaglianze.

www.xfragiletoscana.it

-

Sezione Toscana

O

D

V

Biologa Nutrizionista e specialista in

Scienza dell’alimentazione, si occupa

di prevenzione e cura del sovrappeso

e dell’obesità in adulti e bambini attraverso

l’educazione al corretto comportamento alimentare,

la Dieta Mediterranea, l’attuazione di

percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo

e personal trainer.

Studi e contatti:

artEnutrizione - Via Leopoldo Pellas

14 d - Firenze / + 39 339 7183595

Blue Clinic - Via Guglielmo Giusiani 4 -

Bagno a Ripoli (FI) / + 39 055 6510678

Istituto Medico Toscano - Via Eugenio

Barsanti 24 - Prato / + 39 0574 548911

www.nutrizionistafirenze.com

silvia_ciani@hotmail.com

EDUCAZIONE ALIMENTARE

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Ritratti

d’artista

Claudio Spinelli

Un medico con la passione per la pittura

di Gherardo Dardanelli

La poliedricità di pensiero e di azione affiora chiaramente

dal curriculum vitae di Claudio Spinelli, professore

ordinario di Chirurgia Pediatrica e Infantile

all’Università di Pisa e direttore della Sezione Dipartimentale

di Chirurgia Pediatrica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria

Pisana. La sua assoluta dedizione alla chirurgia, all’insegnamento,

ai pazienti e agli allievi si è accompagnata, nel corso

degli anni, alla passione per la scrittura e per la pittura. Ha

pubblicato, oltre a cinquecento articoli scientifici e dieci libri

in ambito specialistico, quattro saggi: Il Gioco del pensiero

(2011); Il Gioco di prestigio: una visione incantata del mondo

(2018); La coincidenza degli opposti (2019) e Melìa: una riflessione

sul male. La magia creativa di Claudio Spinelli, nato

a Follonica nel 1953, emerge prorompente dalle sue opere artistiche,

che sono state esposte: a Pisa, all'Opera Primaziale

del Duomo in Piazza dei Miracoli (1993) e al Chiostro della

Chiesa del Carmine (1994); all'Expo di Milano (2015); al Museo

d’Arte Contemporanea di Lucca (2016); al Museo d’Arte

Contemporanea di Padova (2017); alla Sala del Frontone

a Orbetello (2017); al Granaio Lorenese ad Albinia (2019); a

Santa Maria della Scala a Siena (2019); al Castel dell’Ovo a

Napoli (2019); a Rocca Brivio Sforza a Milano (2021); alla Venice

Art Gallery a Venezia (2021); alle Serre Torrigiani e allo

Spazio Espositivo San Marco a Firenze (2021). Nel 1986, due

sue opere sono state pubblicate nel Catalogo Internazionale

d’Arte (Edizioni Rimeco Art). Dal 2013 una sua opera è con-

Campo di Higgs: aggreazioni di oggetti (2021), olio su tela, cm 100x120

servata nella sezione artistica del Museo Garibaldi Meucci, a

New York. Il 2 gennaio 2022, è stato insignito, nella prestigiosa

sede di Villa Caruso di Bellosguardo a Lastra a Signa, dalla

presidente dell’associazione Toscana Cultura Lucia Raveggi

del Premio Internazionale “Ponte Vecchio” per meriti artistici.

claudio.spinelli@unipi.it

Claudio Spinelli nel suo studio

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CLAUDIO SPINELLI


A cura di

Maria Concetta Guaglianone

PsicHeArt

L’arte della cura

Quando la creatività diventa un tramite per conoscere sé stessi

di Maria Concetta Guaglianone

Èconsuetudine pensare che il percorso psicologico

o psicoterapeutico e la relazione con

il paziente si strutturino prevalentemente attraverso

la modalità verbale. Le parole “curano” e hanno

un impatto incisivo sulla nostra quotidianità poiché

permettono la narrazione e l’ascolto della propria storia,

la condivisione di significati, ma altrettanto importante

è considerare ulteriori canali che si integrano o

sostituiscono ad esse. Andando oltre la narrazione

verbale, la comunicazione avviene non solo attraverso

il corpo, i sensi e i gesti ma anche attraverso l’uso

di mediatori “creativi” che caratterizzano le arti

visive sia grafiche-pittoriche che la scultura, come pure

la fotografia, il teatro, la musica, la danza e il gioco

che sono parte integrante del processo psicoterapeutico.

Nell’affrontare l’argomento della creatività occorre

considerare due significati del termine: il primo fa riferimento

alla creatività dell’artista, intesa come l’atto di creare qualcosa

di nuovo che può essere visto, sentito e percepito dall’altro,

come ad esempio un dipinto, in cui incidono fattori quali

il talento, la predisposizione, lo studio, l’applicazione; il secondo

significato fa riferimento alla creatività intesa come un vero

e proprio atteggiamento che va al di là del mondo tangibile

delle cose e della creazione di per sé. Creatività, quindi, come

“elemento” del carattere, fattore intrinseco alla persona, una

predisposizione al piacere, a cogliere con pienezza e profonda

consapevolezza la vita. Nell’ambito del lavoro psicoterapeutico,

la fusione tra l’elemento psicologico e quello creativo-artistico

apre uno spazio in cui la persona può entrare in contatto,

esplorare e dare forma ai propri vissuti, bisogni, desideri, difficoltà

e blocchi, attraverso l’utilizzo di materiali diversi, come

ad esempio carta, cartoncini, tele, argilla, colori, stoffe, sabbia,

oggetti di vario genere, immagini, l’uso di testi e musiche,

attività di drammatizzazione ed esercizi corporei. Si struttura

un percorso finalizzato alla cura di sé intesa come una vera e

propria “arte della cura” che valorizzi le potenzialità e le risorse

personali. Nel “qui ed ora” la persona attua il riconoscimento

della propria presenza, lasciando una traccia della propria

visione del mondo e del proprio sentire. Così come l’espressione

creativo-artistica mette in ordine e integra contenuti e

materiali dando vita ad una forma, la cura psicologica e fisica

accoglie, ordina e “ri-ordina” aspetti di sé, crea un ponte di connessione

tra il mondo esterno e il mondo interno. In questa ottica,

ognuno può diventare “artista della cura” e allestire quello

che possiamo definire “l’atelier della cura”, in cui creare forme

di benessere, attenzione e ascolto rivolte a sé stessi, in cui poter

giocare, costruire e anche distruggere, a proprio modo, senza

preoccuparsi del “saper fare” o del “dover fare”, ma dare

attenzione al fatto di “essere”. Nel processo creativo la persona

è al centro; viene considerata nell’unità di corpo-mente-emozioni

ed è portatrice di un mondo, il proprio mondo, fatto di

luci ed ombre, forme e simboli, metafore e significati, sfumature

e colori. La creatività e l’utilizzo di mediatori artistici diventano

elementi preziosi per la libera espressione in uno spazio

e in un frangente del proprio tempo, quel tempo che gli antichi

Greci chiamavano “kairos”, il “tempo opportuno” nel quale

qualcosa di speciale e di importante può accadere. Utilizzando

la metafora del viaggio, la persona viene accompagnata ad

approdare a nuove terre, ma ancor più a varcare territori magari

già conosciuti o offuscati dalla nebbia e tanto sommersi da

non riuscirne a scorgerne la bellezza. La creatività come chiave

di accesso, dunque, forza che muove all’azione e al cambiamento,

accompagnando l’individuo nel viaggio più importante:

“ri-scoprire” il contatto con sé stesso.

Psicologa specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Psicoumanitas di Pistoia, Maria Concetta

Guaglianone ha frequentato la scuola biennale di Counseling Psicologico presso Obiettivo Psicologia

di Roma, dove ha svolto anche la propria attività professionale collaborando come tutor nel Master di

Psicologia Perinatale. È autrice di numerosi articoli sul portale Benessere 4you - Informazioni e Servizi su Salute e

Benessere Psicologico. Attualmente svolge la propria attività professionale presso Spazio21 - Studi Professionali

di Discipline Bio Naturali e Psicologia (via dei Ciliegi 21 - 50018 Scandicci).

+39 3534071538 / + 39 348 8226351 / mariaconcetta.guaglianone@gmail.com

L’ARTE DELLA CURA

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Dal teatro al

sipario

A cura di

Doretta Boretti

Col nuovo anno tutti a scuola di

recitazione

Testo e foto di Doretta Boretti

In alcuni libri di psicologia si legge: «Recitare fa bene».

Forse perché per imparare quest’arte bisogna affinare

una serie di “strumenti” individuali, attraverso un percorso

che si dipana come un gioco, perché è proprio nel

gioco che è più facile imparare a muoversi con leggerezza,

a scherzare anche se non ti senti di scherzare, a ridere o a

piangere se pure non hai motivo di farlo. E poi condividere

quei momenti con gli altri significa anche fare emergere

parti di sé stessi a volte completamente sconosciute. Recitare

è soprattutto un’esperienza unica, perché è come entrare

in una dimensione senza tempo, dove tutto si veste di

magia. In questo primo mese del 2022, la rubrica Dal teatro

al sipario festeggia l’inizio del suo terzo anno di vita, perché

è nata a gennaio 2019. Quindi, non essendoci precedentemente

mai occupati di scuole di recitazione, in questi primi

mesi del nuovo anno cercheremo di curiosare proprio in

queste scuole così interessanti e molto originali. Entreremo

prima in quelle per i più piccoli e successivamente in quelle

per le persone di ogni età. Sarà un viaggio all’insegna di

interviste, scoperte di nuovi intriganti personaggi, curiosità

di ogni genere e… chi più ne ha più ne metta. È stato solleticato

il vostro interesse? Allora seguite la rubrica nel mese

di febbraio e scoprirete quale sarà la prima scuola di recitazione

del nostro percorso.

Doretta Boretti inginocchiata e di spalle con un gruppo di bambini intenti a recitare nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio a Firenze durante la Giornata

nazionale e mondiale in ricordo delle vittime della strada lo scorso 19 novembre

26

SCUOLA DI RECITAZIONE


Ritratti

d’artista

Paula Luz

Una pittrice in cerca delle proprie radici

di Jacopo Chiostri

Pittrice con una solida preparazione artistica, Paula Luz

parla della propria arte come di un viaggio. Un percorso

fatto di movimento. I suoi lavori trasmettono una sensazione

di mutabilità nelle forme, per cui si ha l’impressione

che anche quell’equilibrio, inevitabile in un dipinto concluso,

debba scomporsi da un momento all’altro generando una nuova

figurazione. Il viaggio dell’artista si compie, prima di tutto, in

direzione del suo io interiore, a scandagliare il proprio spirito,

imparare a conoscersi e capire dove il viaggio la stia conducendo.

Iniziata la carriera con lo studio e la realizzazione di icone

– oggi tutte in mano a collezionisti – l’arte della Luz è fatta

di meditazione, ha un’evidente componente psicoanalitica ed è

un continuo rivolgersi alla ricerca e al confronto con le proprie

radici. «Raramente – afferma la pittrice – ci rendiamo conto di

custodire dentro di noi radici e rami, profondità e altezze; non

ascoltiamo la nostra voce interiore o la cerchiamo dove non

c’è; si vive attaccati al presente, senza meditare sul passato e

sulle mete che ci prefiggiamo. Non abbiamo radici. Conoscerle

al contrario significa capire quali sono i nostri bisogni più autentici».

Altro cardine della sua poetica artistico-esistenziale è

l’equiparare la nostra vita ad un albero, in quanto quest’ultimo,

a ben vedere, è un’eccellente metafora di conoscenza e di cambiamento:

l’albero affonda le radici nella terra ed è così che assorbe

nutrimento. È poi un tramite che unisce l’alto e il basso,

Florance, tecnica mista con collage e pastelli, cm 50x70

Angela, matita grassa, cm 50x70

il visibile con l’invisibile, il cielo con la terra, l’umano con il divino

e nel tempo spontaneamente assume la propria forma e

mutando diviene ciò che deve essere, infine il frutto che dà a

sua volta origina vita. La Luz è nata in Spagna, a Santander; dopo

il liceo classico, per quasi un decennio ha studiato le icone,

poi nel suo percorso artistico una svolta significativa è avvenuta

nel 2002 quando per quattro anni ha studiato alla Scuola del

Nudo presso l’Accademia di Belle Arti a Perpignan in Francia.

Rientrata in Italia nel 2006, per un biennio ha frequentato a Livorno

un piccolo atelier di nudo e pittura tenuto dal professore

Angelo Foschini e, a seguire, il triennio in pittura alla Libera Accademia

di Belle Arti a Firenze. Per disegnare adopera gessetti,

carboncini, pastelli; il segno è veloce – tra i pittori cui guarda

con passione non per nulla vi è quel Toulouse-Lautrec pittore

eccelso nel disegno e velocissimo nell’esecuzione –, la tendenza

è minimalista, toglie piuttosto che aggiungere. Il segno

si infittisce, si dirada, crea collegamenti tra i soggetti, produce

linee di forza, si fa evanescente, attorno ha il vuoto che completa,

corrobora e definisce il significato dell’opera. E anche qui

il pensiero corre ad un altro artista di riferimento, quell’Alberto

Giacometti che concettualmente appare incarnare proprio i

presupposti della sua ricerca. Cos’è l’arte per Paula Luz? Una

luce – dichiara – frutto di un colloquio interiore, un’elaborazione

del proprio sentire che diviene strumento per trasformare e

trasfigurare quello che crea. Una forza generatrice che si sprigiona

e riempie la tela di vibrazioni.

paulaluz67@libero.it

PAULA LUZ

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Curiosità storiche

fiorentine

A cura di

Luciano e Ricciardo Artusi

San Sebastiano

Il martire patrono della

Misericordia a Firenze

di Luciano e Ricciardo Artusi

Bastiano: così è sempre stato affettuosamente chiamato

dai fiorentini Sebastiano, il santo che era nato nel 250

a Narbona in Gallia (attuale comune francese Narbonne)

da genitori cristiani, madre milanese e padre francese. Era

un giovane, molto bello, che ambiva a far carriera militare, infatti,

trasferitosi a Roma, in breve tempo divenne un alto ufficiale

della guardia imperiale di Diocleziano. Fu nominato addirittura

tribuno della prima coorte e tenuto in alta considerazione dallo

stesso imperatore che lo stimava per la sua intelligenza e l’attitudine

al comando, non sospettando però che fosse cristiano.

Grazie alla sua affermata posizione, Sebastiano poteva aiutare

i cristiani carcerati e svolgere clandestinamente opera divulgativa

del Vangelo. Scoperto, fu condannato a morte dallo stesso

imperatore nel 288; legato ad un albero e trafitto da tantissime

frecce che lo resero simile a un istrice, ritenuto morto, fu lasciato

dal manipolo degli arcieri in pasto agli animali selvatici. Santa

Irene, andata a recuperarne il corpo per dargli cristiana sepoltura,

si accorse che l’ufficiale era ancora vivo, per cui ben nascosto

lo trasportò nella sua casa sul Palatino dove lo curò dalle

ferite con pia dedizione. Sebastiano, prodigiosamente sanato,

tornò da Diocleziano rimproverandolo per le persecuzioni contro

i cristiani. Sorpreso, quasi incredulo, vedendo l’ufficiale che

coraggiosamente lo redarguiva, Diocleziano diede ordine che

fosse flagellato a morte; castigo che venne barbaramente eseguito

nell’ippodromo del Palatino. Il corpo esanime del martire

fu gettato quindi con disprezzo nella Cloaca Maxima, ma durante

la discesa delle acque verso il Tevere in quell’antica fognatura,

s’impigliò in dei cespugli nei pressi della chiesa di San Giorgio al

Velabro, dove fu raccolto dalla matrona Lucina che lo trasportò

sino sulla via Appia e ivi lo seppellì nelle catacombe che oggi si

chiamano di San Sebastiano. La figura del martire frecciato divenuta

molto popolare assunse una particolare devozione quando,

nel 680, gli fu attribuita la fine di una grave pestilenza, tanto da

eleggerlo taumaturgo contro le epidemie. Il calendario cristiano

alla data del 20 gennaio ha mantenuto la memoria di questo

santo, il cui particolare martirio è stato rappresentato da innumerevoli

artisti. A Firenze, in quel giorno, l’Arciconfraternita della

Misericordia festeggia San Sebastiano, suo patrono. In origine

Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo

Jacopo da Empoli, Il martirio di San Sebastiano (1615 - 1619), olio su tavola,

Basilica di San Lorenzo, Firenze

il patrono era Tobia di Neftali, che spese la sua vita in opere di

carità e di assistenza al prossimo ma, nel 1575, l’antica istituzione

deliberò di assumere a protettore anche San Sebastiano.

Nell’oratorio di Piazza del Duomo, a fianco dell’altar maggiore, si

trova la statua del martire opera di Benedetto da Maiano. Il 20

gennaio, tutti gli anni, i fiorentini si recano alla loro benemerita

Misericordia dove, fin dal 1489, ha la sede. Per l’occasione, particolarmente

addobbata con drappi rossi damascati, dopo i riti religiosi,

vengono distribuiti in dono i “panellini benedetti”. Questa

usanza risale al 1581 quando furono ordinate “numero 150 picce

di panellini a Simone, fornaio del Campanile”. Oggi il numero

dei panellini è enormemente aumentato e la sua forma iniziale a

piccia, che ne vedeva cinque o sei uniti fra loro a forma di ciambella,

da anni non è più la stessa, mentre è rimasta immutata la

fede del “fratello della Misericordia” che, prima di iniziare il desinare,

spezza e divide il panellino benedetto fra i congiunti, certo

di portare così la benedizione del santo fra le pareti domestiche.

Infine, in occasione della festa, sono nati dei proverbi metereologici

che ci piace riportare: Per San Sebastiano la neve cade piano

piano; Per San Bastiano un’ora abbiamo (ovvero la luce del giorno

è aumentata di 60 minuti); A San Sebastiano

l’estate è ancor lontano; Per San

Bastiano sali il monte e guarda il piano;

se vedi molto, spera poco; se vedi poco,

spera assai (se i campi sono già verdi il

raccolto sarà scarso per il rischio delle

gelate). Ultimo, e con un certo ottimismo

campanilistico: San Bastiano con

la viola in mano.

Cornici Ristori Firenze

www.francoristori.com

Via F. Gianni, 10-12-5r

50134 Firenze

28

SAN SEBASTIANO


I libri del

mese

Annunciazione di Leonardo

Il segreto della scrittura nellʼanalisi di Diego Crociani e Caterina Marrone

Testo e foto di Rosanna Bari

Scritto da Diego Crociani e Caterina Marrone e

presentato il 21 ottobre presso la Biblioteca del

British Institute of Florence, il saggio Il segreto

della scrittura nellʼAnnunciazione di Leonardo da Vinci

(Leonardo Libri 2020) è unʼinteressante indagine su

un particolare del celebre ed enigmatico dipinto di Leonardo

esposto alla Galleria degli Uffizi. Nellʼopera,

lʼartista descrive il momento dellʼannuncio allʼesterno,

nellʼelegante giardino di un palazzo rinascimentale

dove la Vergine, assorta nella lettura di un testo sacro,

accoglie sorpresa lʼimprovviso arrivo dellʼangelo.

Il suo braccio destro, per lʼeccessiva lunghezza e la

singolare posizione del dito mignolo, teso ad indicare

la tredicesima riga della pagina, rappresenta per lʼosservatore

un inedito simbolismo numerico, a cui i due

autori hanno cercato di dare una più chiara interpretazione,

ipotizzando anche una datazione più tarda del

dipinto. Oggetto dellʼanalisi del saggio, pubblicato in

italiano e in inglese (The secret of the writing in the Annunciation

of Leonardo da Vinci) è la forma delle lettere

utilizzate nella scrittura del libro dalle pagine quasi

trasparenti, che Maria è intenta a leggere prima di venire

interrotta, dipinte secondo unʼantica e segreta tecnica

allʼepoca conosciuta solo da pochi. Lʼindagine

verte, quindi, sullʼinterpretazione del codice sacro, ben

visibile sulla pagina aperta del libro posto sul leggio e

protetto da un velo, simbolico riferimento alla passione

di Cristo. Lo storico dellʼarte fiorentino Diego Crociani,

appassionato studioso di simbolismo nellʼarte

rinascimentale, interessato a trovare il significato nascosto

del codice, ha così coinvolto in questa ricerca

Caterina Marrone, professore senior di Filosofia

del linguaggio e di Semiotica allʼUniversità

Sapienza di Roma e studiosa del testo letterario

e figurativo. Dopo un approfondito studio

iconografico del tema dellʼAnnunciazione

e del simbolismo a cui Leonardo fa ricorso

nella sua opera, i due autori alla fine riescono

a far emergere significati vicini alla tradizione

ebraica e alla filosofia neoplatonica celati allʼinterno

del dipinto, svelando e restituendo al

lettore quei significati chiari che lo condurranno

alla totale comprensione del capolavoro di

un artista senza tempo.

Leonardo da Vinci, Annunciazione (circa 1472-1475), particolare, Galleria degli Uffizi

leonardolibri.com (acquisti online)

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ANNUNCIAZIONE DI LEONARDO

29


Quando tutto

ebbe inizio…

A cura di

Francesco Bandini

Dai megaliti di Stonehenge ai percorsi sacri di Petra

di Francesco Bandini

1^ parte

Sono appena trascorsi sessant’anni da quando nel 1960

l’astronomo Gerald Hawkins pubblicò su Nature un articolo

nel quale si sosteneva l’ipotesi che i megaliti

di Stonehenge fossero in realtà una sorta di osservatorio

astronomico. Quelle pietre gettate lì, apparentemente a caso,

sembravano raccontare delle storie interessanti. In realtà, andando

a sfogliare il grande libro della storia, scopriamo che

Hawkins non aveva ipotizzato nulla di originale perché poco

più di due secoli prima, nel 1740, William Stukeley, un sacerdote

appassionato di astronomia, aveva intuito che l’asse

principale del monumento sul quale sorge il sole nel solstizio

d’estate, risultava in modo troppo preciso per essere ritenuto

causale. In seguito, si scoprirono altri allineamenti alla luna

e a certe stelle e ben presto Stonehenge divenne il simbolo

dell’archeo-astronomia, la disciplina che getta un ponte fra

archeologia e astronomia quasi a voler dimostrare la stretta

connessione che un tempo esisteva fra l’uomo e il cielo. Per

la verità, strutture architettoniche altrettanto famose, a partire

dai giardini pensili e dalle torri templari (Etemenanki) di

Babilonia ad uso di osservatorio astronomico, ne troviamo

in abbondanza. Che l’origine di queste architetture del sacro

– vedi la Torre di Babele – siano diventate il simbolo della

L’asse di Stonehenge è diretto verso la posizione del sole nel solstizio d’estate:

per tale motivo si pensa che si tratti di un osservatorio astronomico

Hibris, cioè forme legate, nell’immaginazione collettiva, alla

confusione delle lingue e alla dispersione dei popoli nel mondo,

fa certamente parte di un’altra storia affascinante, ma

che raggiungere il cielo con lo scopo manifesto di scrutarne

i misteri fosse presente a partire dal loro stesso nome – ziqqurat

ovvero “innalzare” – e che la loro identificazione richiedesse

la conoscenza di più tecnologie, compreso i rapporti

astrali, sono altrettante realtà. Erodoto, che visitò Babilonia

intorno alla metà del V secolo a. C. e che racconta di aver vi-

Stonehenge

30

STONEHENGE


Harran, la città di Abramo

sto e visitato la celebre torre intatta fino all’ottava gradinata

giungendo così al settimo cielo, ne descrive forme e misure

affermando: «Qui dunque il cielo incontrava la terra» come si

evince dal suo stesso nome Te-Men-Anki, cioè “tempio angolare

del cielo e della terra”. Di tale incontro e conoscenza

biblica fra la terra e il cielo abbiamo un’altra splendida testimonianza

in una delle descrizioni della Creazione, contenuta

nell’immenso patrimonio culturale dei Sumeri, degli Assiri

e dei Babilonesi (circa 2500 a. C.), conosciuta in Occidente

con il nome di Enuma Elish (Quando lassù nel cielo), un documento

costituito da tavolette d’argilla incise in caratteri cuneiformi

che narrano la storia delle origini, tramandatosi nel

corso dei millenni fino a trovare una eco negli stessi libri della

Bibbia frammisti a descrizioni

di culti religiosi della fecondità

e dell’adorazione del sole che rimandano

più volte a questa unione

ierogamica fra cielo e terra. I

siti esistenti nel mondo sono tantissimi

e alcuni di essi si trovano

anche in Italia: i nuraghi, simbolo

della Sardegna ma tipologicamente

una delle architetture più

antiche, le torri di Gerico risalenti

all’età paleolitica (XV-VIII millennio

a. C.) così come i trulli di Alberobello

in Puglia, che richiamano

alla memoria gli antichi villaggi

anatolici di Turchia e Siria come

Harran o Ur dei Caldei nell’attuale

Iraq, cioè i luoghi di origine del

patriarca Abramo. Ebbene, tutti

questi esempi di architetture citate

hanno il loro ingresso orientato

verso il punto di levata del sole

nel solstizio d’inverno. Recenti

studi hanno anche messo in evidenza

orientamenti stellari che

tengono conto del sorgere di Sirio,

la stella più luminosa che la

sera illumina il nostro emisfero.

A tale proposito ricordiamo come

nell’antichità il sorgere di Sirio,

innalzantesi sullo stesso asse

in cui tramonta il sole, segnava l’inizio

delle grandi manifestazioni

religiose come la festa del dio

Mitra sul Nemrod-Dag, e indicava sempre l’inizio del giorno

della festa, la Sbabbat ebraica. È con questo riferimento alla

sacralità, con la quale si riconosceva il giorno consacrato

al Signore, che, a partire dal Concilio Ecumenico Vaticano II,

la Chiesa cattolica ha ripristinato l’uso della Santa Messa vespertina

quale inizio della domenica con chiaro riferimento

all’antica usanza in uso nei riti religiosi orientali. Infine, un ultimo

riferimento: il nome

stesso del giorno della

festa che nel mondo anglosassone

ha mantenuto

il riferimento al culto

solare, sun-day.

Stonehenge (“pietra sospesa”, da “stone”/pietra e

“henge” che deriva da “hang”, ovvero “sospendere”

in riferimento agli architravi) è un sito neolitico che

si trova vicino ad Amesbury nello Wiltshire, in Inghilterra,

a circa 13 km a nord-ovest di Salisbury. È il più celebre

e imponente cromlech (“circolo di pietra” in bretone)

composto da un insieme circolare di colossali pietre erette,

conosciute come megaliti, sormontate da consistenti

architravi orizzontali di collegamento, di cui alcune in

quota. È uno dei più antichi sistemi trilitici conosciuti costituito

da tre pietre (tri = tre / lithos = pietra), di cui due

montanti verticali ed un architrave orizzontale. Le pietre

di Stonehenge devono il loro attuale allineamento ai lavori

di ricostruzione nella prima metà del Novecento. Nel 1986

il sito è stato aggiunto alla lista dei patrimoni dell’umanità

dell’Unesco.

STONEHENGE

31


Percorsi d’arte

in Toscana

A cura di

Ugo Barlozzetti

A Montopoli, un museo civico per documentare la

storia artistica antica e recente del territorio

di Ugo Barlozzetti / foto courtesy Museo Civico Montopoli

Il Museo Civico di Palazzo Guicciardini nel centro storico

di Montopoli in Val d’Arno è stato allestito nella primavera

del 2003. L’obiettivo è stato di raccogliere le testimonianze

archeologiche, storiche, naturalistiche e artistiche di

quest’area. Il museo è strutturato in sezioni tematiche collocate

sui diversi piani del palazzo. La sezione archeologica

antica presenta al primo piano le raccolte Majnoni e Baldovinetti,

con oggetti etruschi, romani e altomedievali, parte dei

quali di provenienza territoriale. Vi sono inoltre la collezione

personale e i documenti che illustrano l’attività di Isidoro

Falchi di Montopoli, appassionato archeologo, che quando

era medico condotto in Maremma portò alla scoperta delle

necropoli di Vetulonia e Populonia alla fine dell’Ottocento.

Vi è anche una sezione dedicata alle ricerche di archeologia

medievale e postmedievale nella Rocca di Montopoli, che

hanno contribuito a meglio informare sull’arte e sulla storia

dell’area nel periodo successivo al Mille; vi sono, insieme

a questi, stemmi, frammenti lapidei, affreschi e arredi

liturgici provenienti dai più importanti edifici cittadini e qui

raccolti. Vi è anche La Madonna col Bambino e San Giovannino,

opera di grande qualità attribuita ad un maestro della

cerchia di Francesco Brina (Firenze 1529-1586). Una sala a

parte è dedicata alla produzione di terracotta artistica montopolese

di Dante Milani. L’area di Montopoli ha avuto fin dal

Medioevo molte fornaci per materiali edili, mentre la ceramica

da mensa è stata prodotta saltuariamente. Nel 1923

Milani fece costruire in questo territorio

la prima delle sue fornaci da

ceramica artistica che ben presto

fu accompagnata da altre strutture

artigianali originando una produzione

diventata ben presto nota

in Europa e nel mondo. Negli anni

Casa della cornice

tra il 1929 e il 1943 la fabbrica raggiunse

il massimo sviluppo

www.casadellacornice.com

com-

Menotti Pertici, Vista di Montopoli

Una vetrina all’interno del museo con le Ceramiche Milani

merciale grazie alla partecipazione di mostre permanenti e

rivendite a Montecatini, allora importantissimo centro termale,

Torino, Roma e New York. Nel vano sotterraneo si trova

la sala dedicata alla paleontologia, con significativi resti

fossili e materiale dell’attività del gruppo archeologico locale

intitolato a Isidoro Falchi. La sezione dedicata alle arti

figurative contemporanee è anch’essa di grande interesse

perché dimostra la presenza di personalità artistiche non

adeguatamente conosciute. Tra queste ricordiamo, oltre a

Paolo Ciampini (nato nel 1941), incisore di fama internazionale,

Silvio Bicchi (Livorno 1874 - Firenze 1948), pittore che

si affermò, dopo essere stato allievo di Fattori all’Accademia

di Belle Arti di Firenze, con illustrazioni della Divina Commedia.

Fu poi a Parigi e a Londra, dove risentì l’influenza dei

grandi ritrattisti inglesi, e successivamente in America settentrionale

dove raggiunse larga popolarità e nel 1893 vinse

il concorso per la fusione delle porte della biblioteca di Boston.

Tornato in Italia, partecipò a due edizioni della Biennale

di Venezia (1914 e 1920), assunse la direzione artistica

della fabbrica Ceramiche Milani e realizzò affreschi come

quello nella biblioteca della Villa Magni-Rizzoli a Canzo. Un

altro pittore documentato è Menotti Pertici (Montopoli 1904-

1966), allievo e amico di Silvio Bicchi da cui apprese la tecnica

del disegno a pastello. Lo stile di Pertici sperimenta

diverse tecniche e il suo talento è legato ai paesaggi oltre

che a scene di vita e costumi diversi. Mario Borgiotti (Livorno

1906 – Firenze 1977) è un’affascinante personalità di

operatore e promotore culturale che dal 1934 sviluppò una

produzione pittorica di successo: tra l’altro fu presentato in

mostre personali a Firenze (1955) da Ardengo Soffici e a Milano

(1959) da Orio Vergani.

www.comune.montopoli.pi.it/museo-civico

Museo Civico di Montopoli

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MONTOPOLI


I giganti

dell’arte

Francisco Goya

Dallʼestasi della gioia al tormento del male in due celebri opere

del maestro spagnolo

di Matteo Pierozzi

Francisco José de Goya y Lucientes (Fuentetodos, 1746

– Bordeaux, 1828), meglio conosciuto come Goya, è stato

uno degli autori più radicali e geniali della storia della

pittura. Gli appartengono sfumature, sensazioni, stili e personalità

tra loro divergenti. In un suo autoritratto del 1742, realizzato

all’età di 47 anni, si raffigura come un torero. Un modo per dire

che nell’arte si deve rischiare, proprio come si fa in una corrida.

Ai tempi in cui visse le sue raffigurazioni erano ritenute scioccanti

e ancora i temi da lui affrontati colpiscono la nostra sensibilità:

nelle sue opere si parla dell’orrore, del male, dell’incubo, delle

mostruosità generate dal “sonno della ragione”. Due dipinti con

lo stesso soggetto evidenziano come la sua arte si sia trasformata

nel tempo tanto da sembrare di due pittori diversi. Il primo

dipinto è La pradera de San Isidro (1788) in cui una moltitudine

di cittadini vestiti a festa banchettano all’aperto su una collina

di Madrid: ragazze con ombrellini bianchi, uomini vestiti elegan-

temente, un’atmosfera divertita ed allegra. Da questo dipinto si

percepisce quanto Goya desiderasse fare parte di quella Madrid.

Trent’anni dopo riprese lo stesso argomento, ma con risultati diametralmente

opposti: ne La romeria de San Isidro (1820 – 1823)

al posto di quei giovani eleganti e allegri, un gruppo di mendicanti,

zingari e altre figure lugubri simili a demoni strisciano nella melma.

Il paesaggio è cupo, grottesco, totalmente

diverso dal sereno paesaggio pieno di vita della

prima versione. I volti di queste figure indemoniate

che ci guardano sono trasfigurati da follia

e isterismo, personaggi terribilmente oscuri ed

inquietanti. Da questi due dipinti si percepisce

perfettamente il passaggio dal Goya che dipinge

una serena festa sulla collina al Francisco

Goya che, ormai vecchio e profondamente pessimista,

ci accompagna all’inferno.

La pradera de San Isidro (1788), olio, Museo del Prado

La romería de San Isidro (1820-1823), tecnica mista, Museo del Prado

FRANCISCO GOYA

33


Approfondimenti di

storia dell’arte

Riflessioni sulla tomba di Donatello

Si trova nella cripta della Basilica di San Lorenzo a Firenze, accanto alla sepoltura di

Cosimo il Vecchio, amico affezionato e committente del celebre scultore

di Moravio Martini

Donatello è il diminutivo del nome Donato, figlio

di Niccolò Betto Bardi e Orsa. Nasce a Firenze

il 1383 da famiglia povera (il padre, cardatore

di lana, partecipò al Tumulto dei Ciompi del 1378) e

muore a Firenze all’età di 83 anni, il 13 dicembre 1466,

povero, in una modesta casa in affitto nelle vicinanze

del duomo. Piero de’ Medici, figlio di Cosimo il Vecchio,

detto il gottoso, lo fece seppellire nella cripta di San

Lorenzo, progettata da Filippo Brunelleschi, già cattedrale

di Firenze prima di Santa Reparata (393 d. C.), secondo

i voleri del padre morto due anni prima nel 1464.

Dalle Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architettori,

scritte nel 1568 dal pittore e architetto aretino Giorgio

Vasari (edizioni Sonzogno), a proposito delle pagine dedicate

a Donatello si legge nella nota n° 70 quanto segue:

«Di tanti epitaffi, sopra il sepolcro (di Donatello)

non uno ne rimase e solo nel XVIII secolo, durante i lavori

di sistemazione di S. Lorenzo e Mausoleo Mediceo,

voluti da Anna Maria Luisa de’ Medici, Elettrice Palatina, (dopo

la morte di Gian Gastone e il ritorno dalla Germania) il canonico

Salvino Salvini fece collocare all’ingresso della cripta

l’epigrafe da lui composta che ancora si legge in latino: Donatellus

/ restituita antigua scolpendi caelandique arte / Celeberrimus

/ Medici princibus summus bonarum / artium patronis

Donatello, Crocifisso (1408-1409 ca.), legno di pero intagliato e dipinto,

cm 168x173, Cappella Bardi di Vernio, Basilica di Santa Croce, Firenze

L’epigrafe sopra la tomba di Donatello nella cripta della Basilica di San Lorenzo

appri mecarus / qui ut vivam suspexere / mortuo etiam sepulcrum

loco sibi / proximiore constituerum / obiit idibus dicembris

an. Sal. MCCCCLXVI aet- suae LXXXIII ( Donatello / per la

ripristinata arte della scultura e dell’intaglìo / celeberrimo sopra

ogni altro / caro ai Medici, principi sommi / delle buone

arti protettori / i quali, come lui vivo, tennero sotto gli occhi

/ così a lui morto dettero sepoltura /

in questo luogo molto ad essi vicino /

morì il 13 dicembre, anno della salute

1466, della sua età ottantatreesimo)».

La lapide con l’epigrafe indica, con il

suo orientamento, la testa del morto.

Cosimo il Vecchio, pater patriae (1389-

1464) morto nella sua villa di Careggi,

ha la tomba nel grande pilastro centrale

della cripta di San Lorenzo progettata

dal Verrocchio, composta da un

motivo neo-romano in porfido e marmo

verde e bianco di esemplare eleganza,

e corrispondente, al piano della

chiesa, a una porzione di pavimento

davanti all’altare. Tale pilastro vuole

indicare che le spalle di Cosimo sorreggevano

la potente dinastia dei Medici.

La paleopantologia del Progetto

Medici dell’anno 2006 ha accertato,

attraverso lo studio delle mummie dei

componenti della famiglia in San Lorenzo,

lo stato fisico e le loro malattie.

È risultato, con questo mezzo, che

a Cosimo fu fatto un taglio nella testa

Donatello, David (1439-1443), fusione in bronzo,

cm 158, Museo Nazionale del Bargello, Firenze

34 TOMBA DI DONATELLO


Andrea del Verrocchio, Tomba di Cosimo il Vecchio (1465-1467), marmi intarsiati, cripta

della Basilica di San Lorenzo

da un medico incapace. Una tradizione che sembra risalire

al decennio successivo alla morte di Donatello riferisce che

questi era omosessuale e che si sentiva attratto dai graziosi

apprendisti del suo studio. L’omosessualità era diffusa nella

Firenze del Quattrocento e fu un aspetto tipico dell’umanesimo

rinascimentale. Si dice che Donatello sia stato molto generoso

perché metteva i suoi soldi in una gerla a disposizione

dei discepoli. Infatti morì povero e malato di Parkinson. Al suo

ritorno da Padova, dove aveva realizzato la statua equestre

del Gattamelata, fu incaricato dell’esecuzione dei due pulpiti

di San Lorenzo, eseguiti in parte dagli allievi (lo stiacciato) da

cui, successivamente, Girolamo Savonarola arringò i fiorentini

a combattere il malcostume che ammorbava la città. Tanti

sono i lavori di Donatello, ma la sua arte si esprime principalmente

nel rappresentare le sculture attraverso una indagine

umana e psicologica. Vale per esempio il bronzeo David, la

cui espressione facciale rivela soddisfazione e compiacenza

di vittoria e forti tensioni emotive. Altri molto significativi come

la collaborazione alle formelle del Ghiberti oppure l’antropomorfo

Marzocco (da Martius) scolpito nella pietra simbolo

di Firenze in sostituzione di quello portato via dall’alluvione

del Trecento sul Ponte Vecchio, il crocifisso ligneo criticato

dal Brunelleschi, il Giuditta e Oloferne e altri. Durante l’alluvione

del 4 novembre 1966 la cripta in San Lorenzo fu invasa

Donatello, Pulpito della Passione (1460 ca.), Basilica di San Lorenzo, Firenze

dalle acque dell’Arno. Le bare in quel luogo accatastate furono

aperte e distrutte dalla violenza delle acque. L’unica che si

salvò fu quella di Cosimo, murata entro il pilastro centrale della

cripta citata. Nella pubblicazione Artedossier dal titolo Donatello

(edizioni Giunti), l’autrice Beatrice Paolozzi Strozzi, già

direttrice del Museo del Bargello, a proposito della tomba di

Donatello scrive: «Verrà sepolto nella Basilica di San Lorenzo

per espressa volontà di Piero dei Medici, erede di Cosimo

il Vecchio, al quale Donatello era stato profondamente legato

per tutta la vita e l’aveva preceduto il primo di agosto del

1464. Del sepolcro dell’artista tuttavia non resta traccia». La

citazione, scritta attualmente davanti alla lapide di Donatello

nella cripta, recita tra l’altro “in occasione dei lavori compiuti

tra il 1738 e 1741 per volontà di Anna Maria Luisa de’

Medici, nei pressi della tomba di Donatello fu posta la lapide

commemorativa che vediamo ancora oggi”. Nel libro La scultura

di Donatello di Francesca Petrucci, con introduzione di

Antonio Paolucci (edizioni Le Lettere) del 2003, si legge: «Il

10 dicembre 1466 Donatello concluse, ottantenne, la sua esistenza

terrena in una povera casetta… ridotto alla inoperosità

dal parletico e dall’abbassamento della vista». Prima del

Concilio di Trento e la relativa Controriforma non esisteva l’anagrafe;

con la Controriforma fu stabilito che si dovevano registrare

le nascite e le morti dei parrocchiani.

TOMBA DI DONATELLO

35


Alfredo

Correani

Le voci della natura

“Se verrete a trovarmi nel mio studio a Greve in Chianti, in località Mezzuola (via San

Cresci 33), davanti ad un buon bicchiere di vino parleremo di pittura, arte e amicizia”.

coralf1947@libero.it

La vigna in autunno, olio su tavola, cm 60x80


Ritratti

d’artista

Gianni Panciroli

Un salto oltre il visibile attraverso il colore

di Jacopo Chiostri

Le opere di Gianni Panciroli sono una presenza frequente

nelle mostre promosse dall’associazione Toscana

Cultura allo Spazio Espositivo San Marco. Lui

non compare sempre. Un po’ perché abita fuori città, un po’

perché è persona schiva, addirittura riluttante ad accettare

complimenti. Se è presente, è certo che con lui c’è Lorenza,

compagna di vita e nume protettrice, che si occupa di salvaguardare

e promuovere il suo lavoro. Gli ultimi dipinti di

Panciroli, presentati di recente al “San Marco”, rappresentano

il punto di arrivo di un lungo percorso artistico fatto

di categorie, alcune riferibili a forme pittoriche classiche –

figurativo, concettuale, astratto, paesaggistico, materico –,

altre a quella sperimentazione, sia estetica che etico-sociale,

che è stata tanta parte del suo impegno: i manifesti, le

donne fumetto e soprattutto le inserzioni di fil di ferro e spaghi

che, con le loro evidenti simbologie, per un certo tempo

sono state una sorta di marchio di fabbrica e che, nei loro

grovigli, esprimono emozioni e riflessioni difficili da rendere

col linguaggio parlato. Racconta Panciroli che la sua passione

per l’arte risale alla frequentazione – siamo nel 1966

– di corsi serali di disegno, pittura, nudo, ritratto e alla bravura

dell’insegnante di storia dell’arte. I collegamenti tra forme

di espressione artistica e momento storico, di cui si parlava

in quelle lezioni, accesero all’epoca il suo interesse. Si

studiavano i pittori, e, tra quelli che conobbe in quel periodo,

Panciroli cita in primis William Turner, artista che, come

sappiamo, amava riprodurre la natura al massimo della

sua forza, quindi ben diversa dalle sue composizioni pae-

Nei tempi passati, acrilico su tela, cm 50x50

Nei tempi passati, acrilico su tela, cm 50x70

saggistiche così intime e frutto di una visione fortemente individualista.

Eppure nella cifra caratteristica di Turner, e in

particolare in quel disorientamento che accompagna il piacere

della visione delle sue opere, si ritrova una parte della

poetica di Panciroli, quella che, a parere di chi scrive, è bene

rappresentata dalla smorfia della prostituta messicana (e in

genere dagli sguardi e dalle espressioni dei personaggi che

ha ritratto) oppure dall’essenzialità dei paesaggi, con le case

strette le une alle altre. È il suo modo di raccontare il mondo,

disciplinato, civilissimo ma, in definitiva, non privo di una

certa disincantata amarezza. Le opere recenti appaiono un

compromesso tra rigore compositivo, gesto trattenuto e libertà

di un linguaggio personalissimo che adopera una sintassi

inedita che spetta all’osservatore fare propria. Sono,

forse, composizioni. Certamente rappresentazioni di visioni,

emozioni, riflessioni e di tutto quell’invisibile che la pittura,

al pari dei nostri sogni, della nostra immaginazione, è

chiamata a riprodurre. Su tutto domina il colore: scelto e dosato

da una mano sapiente, sfrutta la forza evocativa degli

accostamenti, conferisce profondità e personalità all’insieme

dei segni. Panciroli a volte costruisce, altre destruttura.

I suoi soggetti, anche quando hanno forme definite, non sono

riconducibili a qualcosa che conosciamo: sono creazione

allo stato puro. Eppure se riuscissimo a liberarci dei nostri

pregiudizi, non solo ottici, in queste campiture di colore potremmo

vedere tanto, anche più di quello che rintracciamo

nella figurazione che ci è tanto agevole. A guidare il gesto

pittorico è la sensibilità dell’autore: Panciroli chiede di essere

ascoltato, a noi trovare il coraggio di avventurarci per strade

sconosciute. I panorami più belli sui quali aprire gli occhi

richiedono di affrontare nuove sollecitazioni.

lorenza.guastalli@gmail.com

GIANNI PANCIROLI

37


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Gisela Kentmann

La bellezza dell’impermanenza nel batter d’ali di una farfalla

di Daniela Pronestì

Aleggio nell’etere leggera creatura / Aleggio

ovunque ci siano mani aperte all’Amore /

Sosto, sono capace di attesa paziente, metamorfosi

di ascolto / Riecheggia in me l’alito della

sofferenza ma non ho timori, sorvolo acquietandomi

di fiore in fiore, bacio ogni pistillo velato di armonia

celeste. Questi versi della poetessa bresciana

Adriana Rinaldi introducono con parole dense di

suggestioni visive l’opera artistica di Gisela Kentmann,

e in particolare il progetto Butterfly che

quest’ultima ha realizzato cimentandosi nella tecnica

incisoria del monotipo. Come spesso accade,

anche in questo caso il dialogo tra poesia e pittura

serve a fare emergere aspetti che né la parola

né l’immagine da sole riuscirebbero a comunicare.

Proprio grazie alla “collaborazione” tra questi due

linguaggi possiamo quindi cogliere con più immediatezza

alcuni dei concetti sottesi al progetto

sulle farfalle e più in generale alla ricerca artistica

della Kentmann, la quale da sempre imbastisce i

propri racconti visivi ambientandoli nel paesaggio

naturale o rendendo protagoniste forme ispirate

alla natura. In entrambi i casi, ad interessarla sono

soprattutto gli aspetti simbolici del mondo naturale,

l’insieme di riflessioni che emergono da una

lettura attenta e non consueta delle cose. La Kentmann

subisce inoltre il fascino dei miti classici e

delle epopee nordiche, delle narrazioni intessute

di atmosfere fiabesche, di tutte quelle situazioni

in cui il fantastico orienta il pensiero verso nuovi

percorsi di senso. Nel progetto Butterfly, la figura

della farfalla viene rappresentata alla luce

dei tanti significati che, dal mondo antico ad oggi,

ne confermano la forte valenza simbolica, rendendola

emblema allo stesso tempo dell’eterno e

dell’impermanente, in un ciclo infinito di morte e

rinascita, dissoluzione e liberazione. La metamorfosi

della crisalide è il volo dell’anima affrancata

dai vincoli del corpo, la trasmutazione alchemica

della materia vile nella preziosità dell’oro: così la

vediamo rappresentata nell’atmosfera rarefatta e

sognante di un notturno illuminato dalle ali dorate

di una farfalla in volo sulla città che ancora dorme.

Opporsi al cambiamento equivale ad inibire il percorso dell’anima,

ad intrappolarla “sotto vetro”, come accade alla farfalla

che nell’opera Under glass non può più librarsi in volo perché

ingabbiata sotto strati di colore. Quando la potenza del sentimento

trionfa sul rigore della logica, il volo solitario della farfalla

si apre alla schermaglia amorosa di un “passo a due”,

Pas de deux, monotipo, acquarello e disegno a penna, cm 30x40

all’estasi di una gioia tanto effimera quanto necessaria alla vita

stessa. I versi della Rinaldi suggeriscono ulteriori chiavi di

lettura descrivendo la farfalla come una creatura gentile, capace

di amare e di riconoscere l’amore intorno a sé, nelle persone

e nelle cose, sospesa nell’attesa del nuovo che verrà pur

conservando la memoria di ferite recenti; un essere spirituale

38

GISELA KENTMANN


Under glass, monotipo e disegno a penna, cm 30x40

Farfalla blue, monotipo con disegno a penna, cm 20x30

che sorvola leggera la realtà, catturando ovunque frammenti

di bellezza. Quanto basta ad offrire un ventaglio di significati

a partire dai quali anche l’osservatore sarà chiamato ad offrire

la propria interpretazione. E nel farlo sperimenterà, a sua volta,

la condizione della farfalla, la libertà mentale che è necessario

avere per accostarsi all’opera d’arte senza schematismi

né convenzioni ma con l’animo aperto alla sorpresa, all’emozione

che nasce improvvisa, all’incanto di una bellezza capace

sempre di rinnovarsi.

Farfalla in blu, monotipo, acquarello e disegno a penna, cm 40x40

Fragile, monotipo, acquarello e disegno a penna, cm ––

GISELA KENTMANN

39


Movimento

Life Beyond Tourism

Travel To Dialogue

Il futuro del viaggio è in dialogo con

i residenti

Non più solo vacanze, ma esperienze di integrazione con il territorio

di Stefania Macrì

Non chiamiamoli più turisti, ma costruttori di relazioni

sociali per divenire residenti temporanei dei

luoghi: The World in Florence, primo festival internazionale

delle espressioni culturali del mondo, che si è

tenuto dal 25 al 28 novembre a Firenze, traccia una linea

sul turismo di domani. Il futuro è il viaggio di dialogo e re-

lazione: è quanto è emerso da decine di speech a cura di

esperti del settore, accademici, rappresentanti delle istituzioni

di mezzo mondo riuniti, in presenza e online, da

Fondazione Romualdo Del Bianco, Movimento Life Beyond

Tourism – Travel to Dialogue e Centro Studi e Incontri Internazionali.

«Con la pandemia – afferma Mounir Bouchenaki, archeologo di

fama internazionale, già consigliere speciale del direttore generale

dell’UNESCO, da poco nominato presidente onorario della

Fondazione Romualdo Del Bianco – il turismo di prossimità

è diventato la prima e talvolta l’unica scelta da perseguire. Ma

questo costituisce anche un’opportunità: quella di attrarre visitatori

interessati a conoscere i valori sociali e culturali delle

comunità locali, in una logica che si sposa con le esigenze

di sostenibilità e rispetto per l’ambiente, che sono e saranno

sempre più pressanti per la salvaguardia del Pianeta». «Abbiamo

superato il punto di non ritorno – ribadisce Giovanni Ruggieri,

presidente OTIE (Observatory on Tourism in the European

Islands) e professore in Economia del Turismo e Hospitality

Management all’Università di Palermo, uno dei keynote speaker

della manifestazione –, le nostre abitudini e il nostro approccio

al viaggio sono definitivamente cambiate. I viaggiatori cercano

e cercheranno maggiore autenticità ed esperienze più genuine.

Ciò vuol dire interagire con le comunità locali e il loro territorio

apprezzandone la specificità». Un passaggio che trasforma il

turista consumatore in esploratore che cerca l’incontro reale,

non artificioso, con altre persone trasformandosi in residente

temporaneo del territorio. «Questo modello di turismo “relazionale”

– spiega Ruggieri – deve però essere accompagnato e

supportato da un nuovo modello economico basato sul recupero

delle produzioni locali, sulla valorizzazione dei prodotti tipici

e la loro promozione. Il turismo relazionale può creare nuove

opportunità di lavoro con nuove piccole imprese, nel rispetto

del territorio». «La pandemia – sottolinea Carlotta Del Bianco,

presidente del Movimento Life Beyond Tourism-Travel to Dialogue

– ci ha spinto a ripensare modi e obiettivi del viaggio: in

questo contesto nasce l’idea dei Luoghi Parlanti ® , uno strumento

per ampliare la comprensione dei territori del mondo, attraverso

il dialogo interculturale e l’incontro di identità diverse, per

un modo di viaggiare nuovo, più consapevole e profondo, grazie

all’interpretazione e presentazione delle destinazioni da parte

dei residenti. I Luoghi Parlanti ® sono dei pannelli interattivi integrati

con tecnologia NFC che dialogano con il visitatore semplicemente

avvicinando lo smartphone.

40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE


La rete dei Luoghi Parlanti ® conta già su diverse città d’arte in

Italia, strutture alberghiere e interi comuni che hanno aderito al

progetto installando più di un pannello in posti significativi. Tra

questi, i dieci comuni dell’Unione Montana dei Comuni del Mugello,

la Fondazione Francesco Saverio Nitti di Maratea, il Comune

di Pratovecchio Stia e Palazzo Coppini di Firenze. «Abbiamo

bisogno di visitatori sinceramente interessati a capire la nostra

terra, persone che torneranno più volte e con pernottamenti ripetuti.

Le nostre bellezze – dichiara Donatella Turchi, assessore al

Turismo del Comune di Dicomano, in rappresentanza dell’Unione

dei Comuni del Mugello – vanno scoperte a piedi e in bicicletta,

sono necessarie iniziative che recuperino la nostra storia e le nostre

tradizioni per attrarre visitatori non solo per ragioni economiche,

ma anche e soprattutto per creare interazioni personali più

profonde». «Molte delle nostre strutture ricettive italiane hanno

aderito al progetto – aggiunge Valerio Duchini, responsabile B&B

Hotels Italia – coinvolgendo cinque destinazioni diverse: Bolzano,

Verona, Firenze, Roma, Napoli. Il viaggio di scoperta della destinazione

inizia infatti dall’hotel, dove sono installati i pannelli

fotografici con brevi didascalie e tag NFC da cui si possono anche

ricavare contenuti virtuali di approfondimento. L’hotel diventa

così fonte delle prime informazioni per il viaggiatore che a sua

volta può contribuire con foto, impressioni e consigli personali,

così da implementare il pannello di informazioni della città visitata,

secondo un’interazione dinamica fra luoghi e persone».

Il futuro è nella relazione: «Il genere umano – fa notare Giacomo

Lorandi, collaboratore presso il dipartimento di Storia Moderna

e Contemporanea dell’Università Cattolica di Milano – è sempre

stato minacciato da catastrofi e pestilenze e ha acquisito consapevolezza

dei pericoli agendo di conseguenza per preservarsi,

con strategie di difesa sanitarie, logistiche e relazionali. Oggi

come ieri, nessuno può salvarsi da solo ma solo attraverso la cooperazione

sociale».

Il viaggio di The World in Florence continua

Da adesso le attività di Life Beyond Tourism saranno

al centro dei più importanti eventi nel settore del

viaggio per ritornare ancora a Firenze nell’arco del

quinquennio (2021-2025) con l’obiettivo di coinvolgere 100

paesi, ciascuno con i propri territori, entro il 2025. La seconda

edizione del festival The World In Florence è prevista per

il 24 e 25 novembre 2022. Già dal 17 al 19 dicembre il Movimento

LBT-TTD ha portato la mostra internazionale The World

in Florence e i Luoghi Parlanti ® a TourismA, il palcoscenico

globale del Salone dell’Archeologia e del Turismo Culturale

tenutosi a Firenze presso il Palazzo degli Affari. Modernità

e tecnologia digitale si fanno quindi veicolo di conoscenza e

esplorazione dei tesori del passato e di un patrimonio storico-culturale

da riscoprire nella sua interezza.

Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società

benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism®,

ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere

e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme

alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che

custodiscono. Offre progetti e soluzioni di visibilità e rafforzamento delle

identità locali dei vari luoghi, crea eventi basati sul dialogo tra il territorio e

i suoi visitatori grazie a una rete di relazioni internazionali di alto prestigio.

Per info:

+ 39 055 290730

info@lifebeyondtourism.org

www.lifebeyondtourism.org

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE 41


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Flod

Piccola come una cellula, grande come l’universo

di Daniela Pronestì

«

Come in alto così in basso» recita la legge di

analogia di Ermete Trismegisto, leggendario

padre della dottrina ermetica e dell’alchimia. Il

senso di questa legge è rimarcare come dimensioni opposte

dell’universo – l’alto e il basso, il cielo e la terra, il microcosmo

e il macrocosmo – si corrispondano tra loro in

quanto partecipi dello stesso mistero alla base della vita.

L’infinitamente grande rimanda quindi all’infinitamente piccolo

e viceversa, proprio come i pianeti del sistema solare

ricordano per analogia gli atomi di una cellula o la catena

del DNA la forma spiraleggiante delle galassie. Le opere

di Flod – nome d’arte della pittrice francese Flo Doucende

– alludono a queste segrete corrispondenze mettendo

in rapporto il piccolo con il grande, la singola parte con

la totalità dell’insieme, la concentrazione con la dispersione

degli elementi compositivi. L’artista sceglie come unità

grafico-visiva una forma circolare, dalla cui ripetizione

trae origine una complessa texture che copre per intero la

superficie dell’opera, suggerendo la sensazione di un corpo

vivo, pulsante, dinamico, come se stessimo osservando

il brulicare di particelle all’interno di una cellula oppure

il moto perpetuo dei pianeti nello spazio cosmico. L’intento

è ribadire come tutte le cose dentro e fuori di noi, in alto

nel cielo e in basso sulla terra, siano intimamente collegate

tra di loro e in risonanza l’una con l’altra, secondo un

ordine universale che tutto abbraccia e comprende, dalla

La grande fuga, pittura acrilica su legno e pietra

Cellula - L'inizio, pittura acrilica su legno e pietra

42

FLOD


La grande fuga (particolare)

forma di vita più elementare a quella più evoluta. Emblematica,

a questo proposito, l’opera Cellula / L’inizio, nella quale,

volendo rappresentare il legame di necessità che esiste

in natura tra l’uno e il molteplice, l’artista immagina un crescendo

di cerchi colorati che dalla cornice del quadro, dove

appaiono più radi, procedono verso l’interno aumentando

di numero e ricoprendo totalmente il sasso posizionato al

centro: mentre gli elementi circolari simboleggiano la forza

generativa delle singole cellule all’origine della vita, il sasso

indica il fulcro in cui l’energia vitale si concentra e dal

quale ogni cosa ha inizio. Anche la scelta dei colori in questa

composizione risponde ad un preciso significato: l’oro

richiama la luce, elemento essenziale alla vita; il verde

la speranza insita in ogni creatura; il bianco l’armonia alla

base dell’universo. Nell’opera intitolata La grande fuga

l’osservatore è chiamato ad essere testimone di un viaggio

verso una dimensione spazio-temporale ancora mai sperimentata,

un nuovo mondo da conquistare con l’auspicio di

scoprire una realtà migliore di quella già conosciuta. Tutto

è pronto per la partenza: il sasso-navicella sta per spiccare

il volo oltre la grande fessura sulla destra, mentre le

forme coniche ammassate tutte intorno suggeriscono la

concitazione di chi si affretta a salire a bordo. Quello che

sta per iniziare, tuttavia, non è un viaggio come gli altri, ma

è un passaggio interiore dall’abitudine di certezze ormai

consolidate all’acquisizione di una nuova consapevolezza.

Un’esperienza che richiede, insieme a determinazione

e coraggio, la capacità di guardarsi dentro, di scrutare nelle

profondità della coscienza, alla ricerca di tesori ancora

del tutto inesplorati. Un percorso che l’artista francese porta

avanti da tempo, supportata dalla convinzione che l’atto

creativo debba servire anzitutto per conoscere meglio sé

stessi, e da questo orizzonte interiore osservare il mondo

celebrando la vita in ogni sua espressione.

FLOD

43


La tutela

dell’ingegno

A cura di

Aldo Fittante

Chattare con il David di Michelangelo

Da oggi è possibile alla Galleria dell’Accademia di Firenze

di Aldo Fittante / foto Gino Carosella e courtesy ufficio stampa Galleria dell’Accademia

Dal 15 dicembre scorso, andando sul sito web della

Galleria dell’Accademia a Firenze, gli internauti

possono chattare con il David. È proprio così. Grazie

al nuovo progetto Chatta col David – che ha preso forma

direttamente da un’idea di Cecilie Hollberg, direttrice della

galleria fiorentina – la celebre scultura simbolo della città

di Firenze si racconta in prima persona, fornendo on line,

agli utenti desiderosi di approfondire in modo interattivo

la conoscenza della scultura di Michelangelo, informazioni

artistiche e storiche ma anche curiosità ed aneddoti. «Benvenuto

nel mio chatbot – son l’alter ego virtuale del David,

scultura di Michelangelo, considerata una delle opere d’arte

più belle nella storia dell’umanità. Vuoi chiedermi qualcosa?».

È con queste parole che la chat si presenta agli

utenti – siano essi studiosi o semplici curiosi – offrendo loro

un’inedita conversazione virtuale con quello che, a buon

diritto ed unanimemente, viene considerato tra i più grandi

capolavori della scultura mondiale. La nuova ed interessante

opportunità viene presentata dalla direttrice come

strumento finalizzato a rendere fruibile il David attraverso

modalità che siano al passo con i tempi: «L’idea del chatbot

nasce dalla volontà di portare questo museo nella modernità,

in quanto per essere aggiornati bisogna rivolgersi

ai giovani che, con la freschezza del loro approccio dettato

da uno spirito libero, sono in grado di comunicare curiosità

verso l’opera d’arte». L’innovativa opportunità è resa

Particolare della scultura

Il David di Michelangelo alla Galleria dell’Accademia di Firenze

possibile da un chatbot – software capace di interagire con

gli utenti in forma di chat – sviluppato da Querlo, società

newyorkese specializzata nello sviluppo di applicazioni

tecnologiche tramite l’intelligenza artificiale, che risponde

appieno alle linee guida del Ministero della Cultura nel senso

della progressiva implementazione dell’uso del digitale

come leva per la promozione del patrimonio culturale italiano.

Nel caso di specie, per la produzione dei contenuti,

la Galleria dell’Accademia ha avviato una collaborazione

con l’Accademia di Belle Arti di Firenze, anche attraverso la

partecipazione di un gruppo di studenti che – seguiti dalla

professoressa Federica Chezzi, docente di Didattica per

il Museo e Didattica della Multimedialità – hanno cercato

di immaginare cosa un turista vorrebbe sapere dal David di

Michelangelo. Realizzato grazie al sostegno dell’Associazione

degli Amici della Galleria dell’Accademia di Firenze,

il sistema del chatbot dedicato alla celeberrima scultura

di Michelangelo funziona tramite un sistema di deep learning

che consente – attraverso l’elaborazione delle sempre

nuove richieste poste con l’andare del tempo dagli utenti

– un progressivo e sempre più profondo accrescimento

della capacità di comprensione e risposta del sistema,

e con essa una sempre maggiore capacità di intercettare i

desideri e le aspettative dei visitatori virtuali del David. Il

progetto è dunque divenuto realtà grazie a prestigiose ed

44

DAVID DI MICHELANGELO


L’ingresso alla Galleria

autorevoli collaborazioni che hanno colto questa opportunità

con grande slancio. Ed infatti il vicepresidente dell’Associazione

Amici della Galleria dell’Accademia di Firenze,

Nicola de Renzis, ha dedicato al progetto parole molto appassionate:

«Non potevamo non cogliere con entusiasmo

questo progetto proiettato nel futuro, considerato che il nostro

intento è quello di risvegliare l’interesse della città verso

la Galleria e al contempo avvicinare questa istituzione

alla società ed al territorio, in modo che ci sia un costante

e continuo confronto; pertanto siamo stati felici di collaborare

operativamente e dare il nostro sostegno». Allo stesso

modo, l’innovazione della chat del David è stata presentata

in modo molto entusiastico dal direttore dell’Accademia di

Belle Arti di Firenze Claudio Rocca, che a questo proposito

ha dichiarato: «È stato molto stimolante per i nostri studenti

partecipare a questo progetto e siamo grati alla Galleria

per aver offerto loro questa possibilità. Come istituzione

di formazione artistica ci siamo posti l’obiettivo di favorire

sempre di più un approccio multidisciplinare alla produzione

e divulgazione artistica, perciò crediamo molto nel connubio

tra arte e tecnologia. Continueremo a favorire questo

fortunato incontro attraverso nuovi progetti formativi e di

ricerca, un primo passo è stato compiuto proprio quest’anno

con l’attivazione di un corso triennale in Nuove Tecnologie

dell’Arte». In effetti l’intelligenza artificiale – frutto di

ricerca e innovazione tecnologica e giuridicamente tutelabile

con l’istituto del brevetto per invenzione o attraverso

il diritto d’autore – è divenuta ormai strumento utilizzato

in molteplici e variegati settori, trovando una concreta e

proficua applicazione anche nel campo dello sviluppo della

cultura e della conoscenza artistica. In tale settore l’applicazione

a scopo divulgativo delle nuove tecnologie digitali

può addirittura svolgere un ruolo privilegiato, come sottolinea

la stessa direttrice della Galleria dell’Accademia di

Firenze, Cecilie Hollberg: «Questa esperienza con l’intelligenza

artificiale può essere considerata un primo approccio

oltre che un modo giocoso per attirare l'attenzione di

chi non è solito avvicinarsi all’arte».

Avvocato, docente di Diritto della Proprietà Industriale

all’Università degli Studi di Firenze e giornalista pubblicista

iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, Aldo

Fittante è promotore di molti convegni e autore di numerose pubblicazioni

scientifiche, articoli in riviste prestigiose, saggi e monografie

in materia di Diritto Industriale e d’Autore.

www.studiolegalefittante.it

DAVID DI MICHELANGELO

45


Lorenzo Querci

Il cavallo gigliato, olio su tela, cm 70x100

lore.querci1968@gmail.com


A cura di

Alessandra Cirri

L’avvocato

risponde

L’assegno di mantenimento dei figli maggiorenni

Il principio dell’autoresponsabilità come condizione per corrisponderlo

di Alessandra Cirri

Il mantenimento del figlio maggiorenne è un obbligo che

grava su entrambi i genitori e si protrae fino al raggiungimento

della condizione di autosufficienza economica.

Tra i diritti del figlio maggiorenne rientra anche il mantenimento

diretto, laddove non conviva con un genitore. La legge

non stabilisce un limite di età e quindi l’obbligo persiste

in astratto per tutto il tempo in cui risulti necessario assicurarlo.

L’art. 337 septies cod. civ. stabilisce che “il giudice,

valutate le circostanze, può disporre a favore dei figli maggiorenni

non indipendenti economicamente il pagamento di un

assegno periodico”. In tal modo il legislatore ha previsto che

l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non perduri

all’infinito, ma la sua durata deve essere valutata caso per

caso. La questione è stata molto dibattuta in dottrina e in

giurisprudenza, dato che fino ad oggi non c’era un’età oltre la

quale cessava l’obbligo di mantenimento dei genitori. In altre

parole, il genitore separato o divorziato non convivente

con il figlio doveva continuare a corrispondere l’assegno di

mantenimento all’altro genitore anche dopo che il figlio aveva

compiuto i 18 anni e ciò perdurava fino al raggiungimento

da parte del figlio della sua indipendenza economica. Il genitore

obbligato a corrispondere l’assegno, per poter ottenere

l’esonero da tale obbligo, doveva dimostrare che il figlio

era diventato economicamente autonomo, oppure che il figlio

non era diventato autonomo per colpa sua (ad esempio perché

aveva rifiutato un lavoro, ritardato il conseguimento del

corso di laurea prendendosela comoda, abbandonato il lavoro

senza un valido motivo). Con la recente sentenza n. 17183

del 14.08.2020, la Corte di Cassazione ha ribaltato la relazione,

in termini di diritti e obblighi tra genitori e figli, intervenendo

e modificando anche quest’altro versante familiare (come

ebbe a fare con la famosa sentenza Sez. Unite n. 18287 del

11.07.2018 per l’assegno divorzile). Questa volta la Suprema

Corte lo ha fatto anche in maniera ancor più esplicita e decisa,

proponendosi di dettare “in coerenza al proprio compito

di nomofiliachia ex art. 65 ord. giud., alcuni parametri di riferimento

ai fini di uniformità, uguaglianza e più corretta interpretazione

ed applicazione della norma”. La Cassazione

anche questa volta ha sottolineato “il mutamento dei tempi”

e il peso del “principio dell’autoresponsabilità”, onde evitare

forme di parassitismo ai danni dei genitori, sempre più avanti

con l’età. L’autoresponsabilità del figlio si rivela già al mo-

mento della scelta del percorso da compiere: “ex ante, sin

dagli esordi del corso di studi che ha l’onere di ponderare, in

comparazione con le proprie effettive capacità personali, di

studio e di impegno, oltre con le concrete offerte e opportunità

di prestazioni lavorative”, nonché con “le condizioni economiche

dei genitori”. Autoresponsabilità significa che non è

più concepibile il “diritto ad ogni possibile diritto”, il ricorso

all’assistenzialismo, slegato dal dovere, “man mano che l’evoluzione

dei tempi induce ad accentuare i legami tra pretesa

dei diritti e l’adempimento dei doveri, indissolubilmente legali

già nell’art. 2 della Costituzione”. La Cassazione ha ridisegnato

i rapporti fra genitori e figli, orientando i primi verso

processi educativi che valorizzino l’importanza del sacrificio

come mezzo per ottenere una conquista. L’autoresponsabilità

non può che essere frutto, infatti, di un percorso educativo.

La funzione educativa del mantenimento è nozione idonea a

circoscrivere la portata dell’obbligo di mantenimento, sia in

termini di contenuto sia di durata, avendo riguardo al tempo

occorrente e mediamente necessario per l’inserimento nella

società. I genitori hanno l’obbligo di educare, istruire e mantenere

i figli, ma lo specifico obbligo di mantenimento trova

come limite la conclusione del percorso educativo-formativo

che rende esigibile l’utile attivazione del figlio nella ricerca

di un lavoro. La qualità del lavoro, la retribuzione, la stabilità

dell’occupazione non dipendono dal genitore e, come opportunamente

osservato, “non può il figlio di converso, pretendere

che a qualsiasi lavoro si adatti soltanto il genitore”.

Laureata nel 1979 in Giurisprudenza presso l’Università

di Firenze, Alessandra Cirri svolge la professione

di avvocato da trent’anni. È specializzata in diritto

di famiglia e minori, con competenze in diritto civile. Cassazionista

dal 2006.

Studio legale Alessandra Cirri

Via Masaccio, 19 / 50136 Firenze

+ 39 055 0164466

avvalecirri@gmail.com

alessandra.cirri@firenze.pecavvocati.it

ASSEGNO DI MANTENIMENTO

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Personaggi

Gualtiero Sbardelli

Poeta e commediografo tra Roma e la Toscana

di Roberto Della Lena

Senza avere la pretesa di tracciare una biografia esaustiva

di Gualtiero Sbardelli, quest’articolo si propone di ricordare

e ricostruire per quanto possibile qualcosa della

sua figura e della sua opera esaminando alcuni testi disponibili

e rileggendo la corrispondenza che tenne con alcuni miei familiari,

in particolare con mia nonna Irma Illuminati Della Lena

(1892-1979), che di Gualtiero era cugina. Sbardelli amava molto

scrivere a parenti, amici e colleghi; purtroppo gran parte di

questa corrispondenza è andata persa. Nacque a Sarteano da

Pietro e Maria Frontini il 24 giugno 1884. Ebbe due sorelle: Ida

e Clorinda. Scrisse fin da giovanissimo numerose poesie in romanesco,

ma anche in italiano formale, commedie, monologhi

e canzoni. Fu artista poliedrico nel mondo del teatro: autore,

attore e persino truccatore, direttore della scuola di recitazione

sarteanese Ars e Labor (ex Nuova Italia). Diresse la rivista

Rugantino e successivamente Lo strillo. Rimasto orfano in tenera

età, fu ospitato presso l’Istituto Tata Giovanni di Roma, dove

restò fino al diciottesimo anno apprendendo la professione

di compositore tipografo. Affezionato e riconoscente per tutta

la vita, presenziò ai convegni degli ex alunni dell’istituto declamando

poesie appositamente scritte come Ricordi de “Tata Giovanni”,

La nostra Sede, Martelliani, Ner V° Annuale de la nostra

Associazione. Queste poesie saranno poi pubblicate nel 1930

nella raccolta Core de “Callarelli”: versi romaneschi. Gualtiero fu

definito “poeta dei callarelli” dal famoso Ceccarius, giornalista

e studioso della romanità. Callarello deriva da “callaro”, ovvero

il grosso recipiente che stava al centro della tavola dei collegiali.

Già nel 1906, venne nominato redattore de Il Rugantino,

rivista che successivamente diresse; molti anni dopo, nel 1937,

scrisse alla cugina Irmina Illuminati Della Lena: «Cara Cugina

[…], a Ilio ho spedito il Rugantino, come avevo promesso. Curioso

che a Sarteano dei giornali che spedisco ne arrivino solo la

metà». Nel 1911 pubblicò il volume di poesie Voci di Roma insieme

ad Augusto Canini e Giuseppe Micheli. Il 1923 fu l’anno

della raccolta di poesie romanesche ed italiane intitolata Sorrisi

e lacrime, con la prefazione di Giggi Pizzirani. Nel 1924 una

sua composizione ottenne la medaglia d’argento al concorso

La notte di San Giovanni. Nel 1930 pubblicò la raccolta di poesie

Core de Callarelli con la prefazione di Giuseppe Colecchi.

Ancora un premio letterario gli fu attribuito nel 1930; lo si legge

in una cartolina postale spedita in quell’anno alla cugina Irma Illuminati

Della Lena: «Cara Cugina, ho molto notato ed apprezzato

il tuo gentile pensiero di inviarmi il telegramma di auguri

nel giorno che Roma mi festeggiava. Il tuo augurio, graditissimo,

mi è giunto proprio nell’immenso ed aristocratico Salone

delle Tre Venezie al momento che le autorità e i giornalisti mi

offrivano il “Callarello d’onore”. Leggerai il resoconto sui giornali.

Ieri stesso ti ho spedito come stampa il volume mio dei

versi in dialetto che ho scritto per l’associazione. Fammi sapere

se lo hai ricevuto. Grazie di nuovo. Saluti a tuo marito e figli.

Gualtiero Sbardelli

Da parte anche di Ida e Clorinda. Un abbraccio dal tuo affezionatissimo

cugino Gualtiero». Nel 1932 pubblicò La Sora Lalla

ha fatto bucia: brillantissima Commedia romanesca in due atti,

probabilmente già rappresentata anche prima della pubblicazione

a stampa in varie città, sicuramente a Roma e a Sarteano

nel 1938. Gualtiero fu sempre legato al suo paese natio Sarteano.

Si ricorda che dopo la rappresentazione al teatro locale Arrischianti,

declamò una simpaticissima poesia in quindici strofe

parafrasando la Divina Commedia. Questo l’incipit: «Nel mezzo

del cammin di nostra vita / ci ritrovammo a cena qui a Sarteano

/ dove una compagnia era riunita / col piatto pieno e la forchetta

in mano». E la conclusione: «Fummo lieti tra amici tra

pulzelle / e poi tornammo… a riveder le stelle». Tra l’incipit e la

fine una serie di strofe ricche di piacevolissime ironia. Ancora

un tributo al suo paese con un sonetto dedicato a due temi cari

ai paesani: una poesia dedicata a La ripresa della Giostra del

Saracino a Sarteano e una Alla campana di Sarteano, perita in

guerra. Quest’ultima recita: «Vecchia e bella campana di Sarteano

/ fusa col bronzo puro e rame e argento, / … / E ti sentiva

ognuno dal Poggione, / Solaia, Baccaciano e Cappuccini, / … /

Suona l’ora e la replica. Per via / quando la sento, in me si ripercuote

/ e mi riempie il cor di nostalgia!». Del 1946 è un sonet-

48

GUALTIERO SBARDELLI


Il sonetto dedicato agli sposi Ilio Della Lena e Delia Rossetti

to su carta pergamena vergato a mano dall’autore per le nozze

dei miei genitori, con la dedica “ai giovani sposi Ilio Della Lena e

Delia Rossetti, benaugurando Gualtiero Sbardelli, zio dello sposo”.

Così recita il sonetto: «Veggo due rose al par di vaghe stelle

che per la via del ciel volgono insieme tra tutti i fiori le più pure

e belle ornan la stanza ove il dolor non geme / Guardar le veggo

il talamo ed in quelle due virtudi ravviso: una è la speme una

la fede. Innanzi ad esse imbella rimane il vizio e mal s’attenta

e freme / È fior la speme o virtuosa sposa nel cor la poni e non

avrai migliore per ingemmarti il sen candida rosa / È fior la fede

e sa il desio brevi ore regna nel cor ov’è la fe’ ritrosa dov’essa vive

non ha morte Amore». Gualtiero Sbardelli scomparve dopo

breve malattia il 10 febbraio 1949. Queste righe sono un modesto

tributo al poeta che sicuramente ben altro e ben più merita,

e sono quindi da considerarsi un punto di partenza per ulteriori

articoli di approfondimento della sua opera.

GUALTIERO SBARDELLI

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La voce

dei poeti

Le liriche di Isabella Cipriani

di Isabella Cipriani

Squarci netti di cielo e livide rocce

a rammentare fragranza.

Contengo il mare quest’oggi

e quando la luna profuma di Dio,

io trabocco.

isabella.cipriani@yahoo.it

Testi tratti dalla silloge àmina; menzione speciale Premio Internazionale di Poesia e Letteratura Kalos 2021.

50

ISABELLA CIPRIANI


I libri del

mese

Caffè

Il viaggio narrativo di Luca Mazzuoli alla ricerca del senso della vita

di Erika Bresci

Il viaggio (narrativo) alla scoperta dei segreti celati all’interno

di un castello irlandese – inaspettata eredità per

la giovane Sole, bella ragazza segnata da un misterioso

e doloroso passato e da una particolarissima macchia

a forma di “caffè” che le prende quasi tutta una guancia –,

dà vita a un intreccio complesso, ricco di suspense, capace

di unire con un sottile filo rosso-sangue personaggi legati

ad ambienti degradati dominati da criminalità e droga, anime

perse, madri violate nell’essenza stessa della maternità,

uomini che si ritengono falliti da sempre, rampolli di una società

bene che covano in sé tarli di perversione cui si è incapaci

di porre limiti, amici che condividono la semplicità di

un progetto in comune, sogni infranti, morte e possibilità di

riscatto. Chi è Sole? Perché proprio a lei viene “regalato”

un castello? Da dove derivano i suoi frequenti attacchi

di panico? Che cosa la sconvolge nel leggere

su un arco semi diruto del maniero il nome “Glenda”?

La risposta è un vortice infernale che risucchia e forgia

e fa riemergere dagli abissi, racchiuso nelle pagine

di un diario che Sole scova nella parte più infima e

buia del castello, all’interno di uno strano camper nascosto

dietro un muro di mattoni. Il diario appartiene

a Luke, che sembra condividere proprio con lei un

passato di dannazione e orrore, la mostruosità di una

storia che ha allungato i suoi tentacoli fino a coinvolgere

e trascinare all’inferno uomini e donne del tutto

estranei, vittime inconsapevoli di un destino beffardo.

Ma la trama del romanzo ricomposta solo nelle

ultime appassionanti battute – e che qui, ovviamente

non s’intende svelare –, orchestrata in quasi seicento

pagine di continui colpi di scena e in un’infinità di

personaggi minori, vale solo in parte a giustificare il

gusto della lettura – destinata a un pubblico rigorosamente

adulto, per la presenza di un erotismo esplicito,

a tratti morboso, e di scene di violenza da pulp

fiction. Se proviamo a seguire dappresso le vicende e

gli stati emotivi dei protagonisti di questa inquietante

storia – soprattutto Luke, il suo amico “di sangue” James

e Glenda – sembra di percorrere più e più volte i

gradini della scala di Escher: si sale, si scende, si torna

da capo. La spirale esistenziale che li intrappola

ruota su un proprio e singolare fulcro che li imprigiona:

l’inutilità-fallimento (Luke), la perversione-possesso

(James), l’amore-maternità (Glenda). Spirali

che girano a vuoto, a volte così veloci da prendere alla

gola il lettore, altre volte poste sapientemente in

stasi, lasciando la speranza di un varco cui tendere,

fino al nuovo giro, al nuovo precipizio. E quando ormai

il ritmo della giostra pare entrato nelle vene, ecco

la catarsi. Ultimo giro, si scende! Ciascuno a suo modo –

Luke, James, Glenda, la stessa ormai adulta Sole – ritroverà

se stesso nello specchio invertito dell’essere, e darà un senso,

una fine al proprio e diverso romanzo. Una lettura multistrato,

quella di Caffè, che certo può esaurirsi nel semplice,

avvincente incalzare degli eventi narrati, ma che è anche capace

di regalare a chi è disposto a scendere all’inferno per

poi risalire infiniti semi, indizi di una riflessione profonda sul

senso della vita, sul destino, sulle maschere che ci portiamo

addosso, sui lati oscuri e sull’esile fiamma di Bene che cova

come un’araba fenice pronta a cogliere l’occasione di rinascere

presenti in ciascuno di noi, sull’acqua, che purifica e

lava e rende silente il dolore di esistere.

CAFFÈ

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Personaggi

Edoardo Adacher

Dalla rivista FLOP al Personaggio del Giorno: le sagaci invenzioni di uno

dei massimi esponenti della goliardia a Firenze

di Andrea Cafaggi

Tempo fa ho messo insieme un libretto con certi articoli

che ho scritto nell’arco di vent’anni sui più disparati

argomenti: cronaca, politica, costume, cultura.

Siccome sono un oste, non mi sogno neppur lontanamente di

credermi un vero autore o un giornalista di vaglia. Questi articoli

erano destinati ad un forum gestito e diretto da un mio

amico dei tempi dell’Università, di qualche anno più giovane

di me, Edoardo Adacher. Il forum aveva il nome di FLOP, che

nelle intenzioni del suo fondatore era l’acronimo di Forum Libere

Opinioni Politiche. Simbolicamente invece era, ab ovo,

una profetica presa d’atto di come a questo mondo ogni cosa

prima o poi sia destinata a finire. Per me collaborare al FLOP

rappresentò un’utile palestra di scrittura e, prima ancora, di riflessione

su tanti temi e su tanti aspetti della nostra società.

Ma Edoardo la scrittura ce l’aveva nel DNA e l’aveva coltivata

molto prima e molto meglio di me: lui è forse una delle penne

migliori uscite incolumi dal Liceo-Ginnasio Galileo, che io

stesso avevo frequentato un quinquennio prima di lui, riportandone

seri danni alla mia autostima. Quella di Edo era già

allora, ed è rimasta a mezzo secolo di distanza, una scrittura

da bravo giornalista: concisa – quasi stringata – nella forma

ma ricca nella sostanza grazie ad una estrema precisione

morfologica e semantica. Dunque uno strumento ideale per

descrivere obiettivamente cose e persone, per fotografare la

cronaca e la storia, per investigare le remote premesse di

quel che oggi vediamo in atto ed il seme odierno di quel che

domani sarà. Un linguaggio forse poco incline ai sentimentalismi,

ma intellettualmente e moralmente onesto come il suo

autore. Le cogitazioni di Edoardo, sin dal 2001, hanno trovato

forma e sostanza in una lunga collana di libretti, originali

nella forma e nei contenuti, che ci accompagnano ormai da

vent’anni: oltre che a me sono stati infatti destinati soltanto

ad una piccola cerchia di amici fedeli, e ci sono stati donati,

con cadenza annuale, puntualmente a luglio dell’anno successivo

a quello in cui sono stati composti. Infatti, questi

pamphlet sono nati come diari agostani, cioè scritti nel mese

in cui Edoardo da anni annorum osserva il più assoluto riposo

in un gazebo sugli scogli di Mazara del Vallo e limita le proprie

attività fisiche a respirare e a scrivere. Si dice che gli unici

avvenimenti capaci di scalfire la sua totale concentrazione

sui suoi diari si verifichino, in ordine di importanza: 1) quando

nel suo bicchiere il Negroni scarseggia; 2) quando la grigliata

serale di calamari e gamberoni imperiali tarda ad

arrivare. Ma il materiale per ogni pagina (una per ogni giorno

di agosto) se lo porta dietro dal settembre dell’anno precedente,

sotto forma di appunti vergati con la sua scrittura angolosa

su decine di agende Moleskine con tanto copertina

semirigida nera ed elastico per tenerle chiuse. Un po’ alla He-

Le copertine di alcune delle invenzioni letterarie di Adacher

mingway, se vogliamo trovare illustri predecessori ad ogni

costo; però un Hemingway “de noàntri”. Così, giorno per giorno

e per un solo giorno al giorno, Edo ci conduce, dipanando

un suo filo d’Arianna fatto di ricordi e di pensieri, lungo labirinti

di cui lui solo conosce in anticipo l’uscita: la quale si

concretizza, spesso a sorpresa e proprio all’ultimo rigo, nella

nomina honoris causa di un Personaggio del Giorno, una specie

di santo eponimo ma laico che incorona di sé quella data

particolare. Non vi nascondo che a volte la curiosità mi ha indotto

a barare, leggendo per primi gli ultimi righi proprio per

sapere chi sarebbe stato il P.d.G. di un dato giorno. Siccome,

fra i Personaggi del Giorno e le persone pubbliche o private

(che anno dopo anno compaiono a vario titolo e con diverso

grado di importanza nel libretto) si tratta di quasi duecento

nomi, ecco che Edo li riassume in un indice apposito in fondo

al libretto, con l’indicazione non della pagina, ma del giorno

in cui se ne fa menzione. Talvolta, qualcuno un po’ vanitoso

fra gli Edo-reader va subito a cercare nell’indice il proprio nome

per sapere se quell’anno è stato citato nel libretto, ma si

tratta di casi sporadici. In realtà ogni giornata di quel piccolo

triplice-decamerone è godibile proprio perché imprevedibile,

con la sua carica di suspense che non può e non deve abbandonare

il lettore fino da ultimo. Del resto, anche in un giallo,

52

EDOARDO ADACHER


La piscina del Leone Passante, il b&b di Adacher e di sua moglie in Sicilia

che senso avrebbe leggere subito il finale? Poc’anzi ho detto

vent’anni, ma i P.d.G. che fino ad oggi hanno visto la luce sono

solo 19. Il primo, relativo all’agosto 2001, è stato presentato

a luglio nel 2002 e così via, anno dopo anno, con lo

stesso iato temporale col quale si presenta all’Agenzia delle

Entrate la dichiarazione dei redditi dell’anno precedente. Il

P.d.G del 2019 ha dovuto aspettare il luglio 2021 per poter essere

presentato e distribuito a causa della pandemia che nel

2020 ha imposto la chiusura dei luoghi della tradizione edoardiana

a ciò deputati. Pare che il P.d.G 2020 ancora non sia

stato sottoposto al correttore di bozze, un altro amico intimo

di Edo, al quale, per il suo fisico tutt’altro che minuto, qualcuno

ha affibbiato l’ironico soprannome di Scricciolo. Quando

lo Scricciolo entrerà in possesso delle bozze del P.d.G. 2020,

speriamo che questo ottimo amico

e fine letterato si sbrighi a fare

lo spulcio prima che gli Edo-reader

vadano in crisi d’astinenza …

Altro punto di forza del P.d.G. sta

nelle strepitose copertine del Cece,

a colori fin dal 2009. Il Cece, al

secolo F.S., già pittore ufficiale del

nostro Ordine Goliardico PODVS

(Placido Ordine Della Vacca Stupefatta),

da sempre accompagna

il libretto di Edo con i suoi disegni,

illustrazioni e perfino strisce a fumetti,

che nulla hanno da invidiare

a quelle dei comics più famosi: le

tavole del Cece sono un ulteriore

e lauto valore aggiunto alla prosa

edoardiana. Ma sul Cece torneremo

in un’altra occasione. Quel

che preme dire adesso è che i pri-

Edoardo Adacher con la moglie Cinzia

mi numeri del P.d.G. sono ormai introvabili: il 2001 fu stampato

in bianco e nero in sole 50 copie, il 2002 in 70, il 2003 in

100: una sfida per i collezionisti! Per uno di questi numeri

posso offrire, come cambio alla pari, un numero di ETUD

(Eterno Tema Uomo/Donna), altro divertente opuscolo edoardiano

altrettanto introvabile: per soprammercato aggiungo di

mio una bottiglia di Chianti Classico Villa Calcinaia Riserva

2017 dei Conti Capponi, di cui l’ottimo amico Conte Sebastiano

Capponi, i.G. “Zeba”, mi ha graziosamente locupletato: se

non funziona neanche questo incentivo dovrò concludere che

i possessori dei primi P.d.G. ci tengono più a Edo che a Bacco…

Ora Edoardo risiede per lo più a Mazara con sua moglie

Cinzia, della antica e nobile stirpe degli Adamo, giunti a Mazara

nel 1317 con Giacomo, Cavaliere Gerosolimitano. Edo e

Cinzia hanno profuso ingenti risorse di tempo e di lavoro per

trasformare la residenza di campagna del padre di lei, Quintino,

in un bellissimo bed & breakfast con piscina, idromassaggio

e solarium a disposizione degli amici. Il Pala-Quintino ora

reca il suggestivo nome di Leone Passante (araldica creatura

di cui si fregia lo stemma degli Adamo) e si distingue per l’arredamento

classico e ricercato, per la minuziosa cura di ogni

particolare e per la diffusa presenza al suo interno di opere e

pezzi unici del M.A., il Museo Adacher, frutto di anni di appassionata

ricerca di Edo: sculture, ceramiche, dipinti, libri e rari

cimeli. La cucina, curata personalmente da Cinzia è il più bel

fiore all’occhiello di cotanta bontà e bellezza, densa dei sapori

e ricca dei colori della sua terra. Ideale per grandi e piccini,

il Leone è in posizione ottimale per scoprire le bellezze naturali,

artistiche e storiche di quella parte così affascinante

dell’isola. E, vivaddìo, anche del suo mare, prodigo di delizie

a chilometri tre, ché tale è la distanza fra il Leone ed il porto

peschereccio di Mazara ed il suo lungomare dove si affacciano

i migliori ristoranti di pesce fresco a prezzi sorprendentemente

convenienti. E quale migliore scenografia del gazebo

sugli scogli del mitico Funduq per scrivere, un agosto dopo

l’altro, un nuovo ed atteso capitolo della saga dei Personaggi

del Giorno? Dalla Trinacria è tutto: a voi, Firenze!

EDOARDO ADACHER

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Il cinema

a casa

A cura di

Lorenzo Borghini

Arancia meccanica

Il capolavoro di Kubrick compie cinquant’anni

di Lorenzo Borghini

A

dicembre 2021 è stato celebrato, un po’ ovunque,

il cinquantesimo anniversario del più scandaloso,

controverso e affascinante film di Stanley Kubrick,

Arancia meccanica. Per l’occasione Warner Bros ne ha autorizzato

un ritorno sul grande schermo come si fa solo

per i film che segnano la storia del cinema. Il film si apre

con lo sguardo di Alex, l’antieroe kubrickiano, il protagonista

del romanzo Clockwork Orange di Burgess, che ci guarda,

con ghigno malefico, da cane rabbioso, quasi a dirci

che assisteremo a qualcosa di tremendo. Siamo in Inghilterra,

in un futuro non troppo lontano; Alex e i suoi drughi

se ne stanno al Korova Milk Bar, con facce interdette e stomaci

pieni di Lattepiù – un mix di latte e mescalina – così

da poter irrobustire corpo e anima per il tanto amato esercizio

dell’ultraviolenza. Alex e i suoi compagni si dilettano

in pestaggi continui, stupri, torture fisiche e psicologiche;

il mondo che li circonda strabocca di violenza da tutti i pori

e loro ne fanno parte, sono figli del dolore della

società che li circonda. Il film di Kubrick è perfetto

dal primo all’ultimo minuto, lo spettatore non ha un

attimo di pausa, tutto si muove a ritmo di musica e

la spirale di ingiustizia e violenza parte da Alex che

commette i crimini più efferati a cuor leggero, felice

e pienamente consapevole di ciò che sta facendo. È

un personaggio spietato ma onesto, non nasconde

mai il piacere che prova nel far star male il prossimo,

pensare e agire sono quindi strettamente legati

da un nodo di purezza e autenticità. La musica,

oltre che da accompagnamento, funge pienamente

da linea conduttrice del film, sarà addirittura un input

scatenante reazioni e azioni da parte di Alex, come

nella fantastica scena lungo i bordi del Tamigi, in

cui il nostro antieroe Alex, sentendosi tagliato fuori

dalla leadership del gruppo, ci confessa in un monologo

interiore che la musica udita da una finestra,

la Gazza ladra di Rossini, gli ha aperto gli occhi: ora

sì che sa cosa fare e allora ciak, azione... ed ecco

partire un ralenti mozzafiato in cui Alex ristabilirà le

posizioni, picchierà i suoi drughi, li ferirà con bastone

e coltello, quasi a marchiare col sangue un segno

indelebile firmato Alex DeLarge. A circa metà film la

spirale si interrompe, arriva ad un punto critico, tutta

l’energia negativa assimilata fino a quel momento

verrà coagulata sul povero Alex che, finito in prigione

e condannato a quattordici anni di reclusione, si

offrirà volontario per la cura Ludovico, un nuovo metodo

studiato dallo Stato, dai medici delle alte sfere,

che sembrerebbe “guarire” i delinquenti dagli impulsi

di violenza. La personalità di Alex verrà annienta-

ta tramite la privazione del libero arbitrio che, come ci dice

il prete, è l’unica cosa che fa di un uomo un uomo. Alex

non potrà più produrre violenza, ma neanche ribellarsi alla

violenza stessa, non avrà più capacità di autodifesa in un

mondo che si dimostra più violento di Alex stesso. E allora

eccoci arrivare al momento catartico, al ritorno della forza

sprigionata da inizio film che, come un fulmine, piomberà

sul nostro “affezionatissimo” trascinandolo in un vortice di

soprusi a cui non potrà opporsi. Kubrick nel 1971 – quasi

dieci anni dopo il magnifico romanzo di Burgess – si prende

sulle spalle il peso di trasporre un testo complesso, dal

linguaggio immaginifico e sperimentale, consegnandoci

un film dalla potenza disarmante, una sinfonia in immagini

con protagonista una perfetta arancia meccanica, un frutto

morbido all’esterno – perché costretto ad esserlo – ma duro

all’interno, meccanizzato e composto da ingranaggi che

nessuno vorrebbe avere, perché difficili da digerire.

54

ARANCIA MECCANICA


Mostre in

Italia

Passo a due

A Borgo Valsugana il dialogo artistico tra Cristina Moggio e Riccardo Schweizer

di Barbara Santoro

Conosco Cristina Moggio da qualche anno. La sua

solarità mi ha subito conquistato. Poi ho scoperto

anche la sua sensibilità pittorica ed ho scelto per

questo di esserle amica. Nata a Borgo Valsugana, in Trentino,

Cristina Moggio custodisce dentro di sé tutta la bellezza

di quelle vallate che in un giorno di sole le hanno disegnato il

bel viso. Cresciuta lungo il Moggio, da cui ha preso il cognome,

da bambina giocava con le limpide acque del torrente,

manipolando sabbie e pescando pietruzze colorate rese lisce

dall’acqua. L’amore per la natura e la sensibilità giovanile si

sono poi rafforzati col tempo, fino a renderla l’ottima pittrice

di oggi. Negli anni Ottanta, conosce l’artista trentino Riccardo

Schweizer, pittore, scultore, fotografo e designer, autore,

tra l’altro, del dipinto San Lorenzo in gloria realizzato nel 1945

per il Comune di Borgo Valsugana. Schweizer, assistente di

Bruno Saetti, frequentava le avanguardie veneziane e conosceva

molte personalità di quel periodo. Nel 1950, decide

di recarsi in Francia dove incontra Picasso, Chagall, Léger,

Cocteau, Campigli e Le Corbusier. Nel 1958 il Museo Picasso

di Antibes gli dedica una mostra personale insieme a David

Orler. Dal 1960 si stabilisce in Costa Azzurra e comincia

a realizzare grandi opere murali per l’Istituto Editoriale di Milano

e per due alberghi di San Martino di Castrozza. Con un

pannello in ceramica progettato per le Terme di Levico, inizia

la sua collaborazione con la ceramica Pagnossin di Treviso

con la quale lavorerà fino al 1977. A San Michele all’Adige si

trova il famoso ristorante “Da Silvio” interamente decorato da

lui e considerato un gioiello del patrimonio culturale del Tren-

tino. La sua vita,

costellata di mostre,

premi e riconoscimenti

come

il titolo di Cavaliere

della Repubblica

conferitogli da

Azeglio Ciampi,

si è conclusa nel

2004, all’età di settantanove

anni. A

distanza di molto

tempo, Cristina

Moggio ha voluto

omaggiare questa

amicizia con una

mostra che l’ha

vista esporre insieme

a Riccardo

Schweizer a Bor-

Opera in mostra eseguita a quattro mani dai due

artisti nel 1999

Cristina Moggio con Riccardo Schweizer

go Valsugana. Intitolato Passo a due, l’evento si è svolto dal

5 dicembre 2021 al 9 gennaio 2022 allo Spazio Klein del comune

trentino. Seppure assai diverse, le loro visioni artistiche

si rivelano affini nella ricerca cromatica. Cristina Moggio

racconta un suo diario personale, in cui riaffiorano motivi e

sentimenti di un vissuto sereno ma con pulsazioni e frenate,

accelerazioni e pause che non possono lasciare indifferenti.

Superbi i suoi totem coloratissimi: frammenti di alberi

abbandonati che avrebbero finito col marcire e che invece riacquistano

nuova vita nei suoi quadri. Riccardo Schweizer fa

vedere, invece, come i ricordi trasferiti nel suo lavoro, sia su

tela che nella ceramica, siano legati ad emozioni del passato

vissuto tra varie esperienze pittoriche, cubismo, surrealismo,

espressionismo. Nessun schema preordinato ma sensazioni

interiori che rivelano una padronanza da grande artista. Un

sodalizio che vede la presenza in mostra anche di lavori eseguiti

a quattro mani, con opere pittoriche, gioielli, progetti e

interventi di entrambi i protagonisti su capi di abbigliamento

e tessuti.

PASSO A DUE

55


Civita Centola

I volti della storia

Ritratto di Cosimo de’ Medici, olio su tela, cm 60x40

civitinacentola@gmail.com


Ritratti

d’artista

Bruno Becattini

Scomparso di recente, ha raffigurato in pittura la bellezza

della natura incontaminata

di Doretta Boretti

Non puoi smettere

di dipingere,

il mondo

ha ancora bisogno

della tua arte. Questo

il pensiero che all’improvviso

è nato nelle

nostre menti alla notizia

dell’addio di Bruno

Becattini. Seduto

ad un tavolo, da poco

sparecchiato, accanto

ai suoi cari, con un

blocco bianco di carta

da disegno tra le mani,

in un attimo, prima

di lasciarci, ha tracciato

uno stupendo

volto di Gesù. È stato

l’ultimo saluto all’arte

che lui ha così tanto

amato. Quella natura

dipinta in centinaia

di quadri, quelle straordinarie

conchiglie,

quella frutta così viva,

così vera, lievemente

appoggiate su una

spiaggia finalmente

“incontaminata”,

e quel quieto mare

che continua a scorrere,

indisturbato, ma

adesso, “eternamente

nuovo”, solo per lui.

Bruno vive e vivrà oltre

il presente, le sue

opere continueranno

a raccontare la sua

bravura, ma anche la

sua grande umiltà, la

sua incredibile generosità

e la sua infinita

bontà. Arrivederci

caro amico del “per

sempre”, in quell’immenso

universo che

non potrà mai finire.

BRUNO BECATTINI

57


Concerto in

salotto

A cura di

Giuseppe Fricelli

Rubinstein racconta un concerto

davvero speciale…

di Giuseppe Fricelli

Una volta, il famoso pianista Arthur Rubinstein raccontò

un divertente episodio capitato durante la sua

lunga carriera artistica. Quando era giovane il maestro

fu invitato in una meravigliosa villa di una nobildonna a

tenere un concerto per una serata musicale privata. Il cachet

che gli era stato offerto era ottimo. Giunto nel grande e lussuoso

salotto dove si doveva svolgere il recital, Rubinstein

vide che il pianoforte era stato collocato di fronte a pesantissime

tende di broccato chiuse. Nell’ambiente non vi era

nessuno ed il maggiordomo pregò il pianista di dare inizio al

concerto. Mentre l’esecutore suonava pagine di Chopin, Rubinstein

sentiva giungere da dietro le tende mugolii insistenti

e felici. Il concerto si svolse solo alla presenza del cameriere

che al termine di ogni brano riempiva all’esecutore un calice

di ottimo champagne. L’artista suonò con impegno. Terminata

l’esibizione, il maggiordomo tirò le tende di broccato. Dietro

vi era la nobildonna sdraiata su un letto con un giovane ed

aitante amante. Rubinstein raccontò: «Avevo inconsapevolmente

fatto sì, con la mia esecuzione, che la padrona di casa

raggiungesse le più alte vette della felicità sessuale».

Arthur Rubinstein

Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi

in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e

camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche

di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso

i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.

58

ARTHUR RUBINSTEIN


Ritratti

d’artista

Gloria Campriani

L’arte di annodare il filo per dare forma ai pensieri

di Serena Gelli

L’artista certaldese Gloria Campriani usa il filo nelle

sue opere per dare forma ai propri pensieri. Per

lei il filo è simbolo di connessione, contaminazione

e legame tra gli eventi. La sua ricerca si basa spesso

sull’interazione fra l’individuo e il gruppo, con risvolti

nell’ambito della psicologia sociale. Formatasi nel laboratorio

artigianale tessile di famiglia, ha collaborato per anni

con i migliori marchi dell’alta moda internazionale. I suoi

primi maestri vanno cercati infatti fra i designer con i quali

è entrata in contatto durante la sua attività professionale,

inclusi stilisti come Versace ed Ermanno Scervino. Queste

esperienze sono state determinanti nella scelta del filo come

uno degli strumenti principali del suo percorso artistico.

La sua formazione multidisciplinare passa attraverso

lo studio delle lingue, la pedagogia, il teatro e l’arte, frequentando

corsi presso varie accademie. Il suo riferimento

è la corrente della Fiber Art, alla quale si ispira per la

tecnica off loom, ovvero l’annodamento a mano del filo,

senza l’uso del telaio. La Campriani, infatti, non si serve di

alcuno strumento per creare le sue opere, ma soltanto delle

mani, come dimostra in molte performance. Le sue col-

laborazioni con critici, direttori artistici e curatori hanno

dato luogo a mostre personali e collettive presso sedi istituzionali,

gallerie d’arte, università e musei. Si ricordano

in particolare: Magazzini del Sale (Siena); Museo Marino

Marini (Pistoia); Museo Nazionale di Palazzo Reale (Pisa);

Museo Archeologico Nazionale (Firenze); Museo Piaggio

(Pontedera); Museo degli Innocenti (Firenze); Biblioteca

Nazionale Centrale (Firenze); Fortezza da Basso (Firenze);

Institut Culturel Italien (Marseille); Consiglio della Regione

Toscana; Galleria Foyer (Firenze); Galleria 3D (Mestre);

Chiesa di Santa Maria Novella (Firenze); Palazzo Medici

Riccardi (Firenze); Basilica di San Francesco (Siena); Santa

Chiara (Siena); Palagio di Parte Guelfa (Firenze); Palazzo

Vecchio (Firenze); Palazzo Ca’ Zanardi (Venezia);

Museo Benozzo Gozzoli (Castelfiorentino); Palazzo Pretorio

(Certaldo); Istituto Italiano di Cultura a Praga; Palazzo

Ducale (Genova); Museo MART (Rovereto); Centro per l’Arte

Contemporanea “Luigi Pecci” (Prato); Museo Novecento

(Firenze), Museo CAMEC (La Spezia).

www.gloriacampriani.com

Gloria Campriani con una sua opera

GLORIA CAMPRIANI

59


Bria Marilinda scultrice

Home

Stylist

Con il termine Home Styling

si intendono tutti quegli interventi

che, attraverso l’uso di

colori, materiali, luci e arredi,

ridanno nuova vita agli spazi

abitativi, coniugando funzionalità

e personalizzazione

degli ambienti.

www.marilindabria.com

gioiello1962@gmail.com

+ 39 339 4614511


La voce

dei poeti

Le liriche di Gabriella Gentilini, poetessa

e storica dell'arte

di Lucia Raveggi

Nata a Firenze, Gabriella Gentilini è laureata in Lettere. In

qualità di storica dell’arte si occupa dell’organizzazione

e presentazione di mostre. Ha collaborato con importanti

istituzioni ed ha seguito molti artisti curandone mostre

e cataloghi. Innumerevoli le pubblicazioni realizzate, tra volumi,

monografie, articoli per riviste, saggi, prefazioni e racconti. È Accademico

d’Onore dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze,

dove ha curato diverse mostre. Nel 2015 ha costituito il

Centro Studi Leda e Gabriella Gentilini in memoria della mamma

Leda che le è sempre stata al fianco e del padre Giulio. Ha

realizzato uno spazio (lo Studiolo) adibito a biblioteca e ad ospitare

mostre ed incontri, dove fino al 2019 sono state allestite

Pioggia d’inverno

Esili rami spogli

protesi al cielo

la pioggia lieve

veste di perle.

Tesoro d’un giorno.

numerose mostre personali e

collettive di importanti maestri.

Nel 2019 al Centro Studi Leda e

Gabriella Gentilini è stato conferito

il Premio Toscana TV Incontri

con l’arte. In rari, particolari momenti,

Gabriella affida alla poesia

stati d’animo, ricordi, sguardi critici

o ironici sulla realtà.

www.centrostudigentilini.it

info@centrostudigentilini.it

Al tempo

Assopita vaga la mente

e stanco il corpo l’accompagna.

I giorni compiuti

spargono

un velo di ricordi.

Sorrisi inattesi

spengono

il fuoco dei rimpianti.

Ruba il vento

nella notte

al tempo definito.

Gabriella Gentilini

Vita di web

Beati voi

che non avete niente da fare

e state giorno e notte

a spippolare.

Se uno vi parla

non lo state ad ascoltare,

se vi chiama

non lo andare ad aiutare.

Perché... perché...

Perché dovete ciattare

perché dovete postare

perché dovete sparare

minchiate planetarie.

Ma

la lavatrice chi ve la fa...

lavare i piatti: ci pensa mammà

fare la spesa: chissà chi la fa...

Vita di web... vita di web... vita di web!

Chinàti verso i ginocchi

nessuno vede i vostri occhi,

non vede il vostro viso

né la luce di un sorriso.

Siete del tutto assenti

persino nei sentimenti.

Non vi staccate mai

finché non avete un like.

Perché... perché...

Perché dovete ciattare

perché dovete postare

perché dovete sparare

minchiate planetarie.

Ma

le commissioni chi ve le fa...

a cucinare: ci pensa mammà

a lavorare: chissà chi ci va...

Vita di web... vita di web... vita di web!

GABRIELLA GENTILINI

61


I libri del

mese

Terra e Segni

Emilio Carvelli e Lucio Bussolini sulle tracce dell’uomo nel

grande libro del creato

di Erika Bresci

Con le sue trentaquattro pagine di parole e immagini

fotografiche, Terra e Segni è un libro da decantare

con calma, sorbendone a piccoli sorsi il senso,

permettendo all’occhio e all’orecchio di assaporarne il

gusto del particolare prima di procedere oltre. Un canto

ancestrale si leva piano seguendo le cicatrici della terra

immortalata nel bianco e nero dei suoi ricami di linee incomprensibili

e misteriose, dilaga nelle ombre e nei contrasti

di luce di un terreno a riposo, nel quale la presenza

dell’uomo manca in forma fisica ma si percepisce nelle

forme modellate delle zolle, dei filari, delle siepi, finanche

dei tralicci della luce, delimita confini e si apre all’infinito,

coniuga profondità e altezza, morbidezza e ruvidità, geometrie

e elementi inattesi. E all’armonia essenziale delle

linee e dei chiaroscuri fa da controcanto – tempo che

si sposa allo spazio – la voce del poeta, figlia anch’essa

di cicatrici e confini e forme e luci e ombre millenari, che

ambisce a recuperare quell’attimo primigenio e puro, a riconoscere

di nuovo «i rapporti spirituali dell’universo creato».

La rivelazione di ciò che da sempre è nudo, sotto i

nostri occhi, ci svela Bussolini, può avvenire solo liberandoci

dagli orpelli e dalle incrostazioni che ci impediscono

di vedere. Nel quotidiano svolgersi degli eventi occorre allora

ritrovare una lente diversa

– come può essere una

lama di ghiaccio attraverso

cui si osservano le figure –

per scoprire la sostanza vera

dell’universo creato. Ma non

è solo il riconoscere il creato,

osannarne la perfezione,

mi sembra, l’intento di Terra

e Segni. Non è riscoprire una

semplice – nel senso di pura

non di superficiale, è ovvio –

contemplazione adamica di

un Paradiso terrestre ormai

definitivamente perso. Perché,

così come la terra silenziosa

e priva della concreta

presenza dell’uomo lascia

intravedere nelle immagini

fotografiche la sua operosa

attività, così in Suggestioni,

che apre lo scandire del discorso

lirico, l’uomo è colto

nel suo essere parte del cre-

ato, nel gioco di scambi, nella reciprocità delle rispettive

caratteristiche e identità in cui è possibile leggere metaforicamente

l’universo, gli elementi, gli esseri animati.

L’uomo è il creato. La terra è l’uomo. Le stesse cicatrici,

le stesse ombre, i medesimi tempi di attesa, gli identici

orizzonti da esplorare, lo stesso anelare alla vita. E anche

la stessa luce, nata dal contrasto con il buio, con le ombre.

Perché solo attraverso la notte si può raggiungere la

luce. Scrive Carvelli nel breve testo a conclusione del libro:

«Nel tempo qualcosa mi ha spinto ad andare oltre

la rappresentazione oggettiva di una scena e così ho iniziato

a cercare dentro di me qualcosa che mi rappresentasse.

Quello che cercavo l’ho trovato nei campi e sulle

colline del pisano, Santa Luce e Orciano Pisano, mi sono

entusiasmato nel vedere la lavorazione della terra e quei

segni che i contadini fanno sul terreno. Un vero interesse

hanno suscitato in me quei solchi e quei segni, io non

so bene perché li fanno, ma per me va bene così». Un po’,

questo, vale anche per le cicatrici e i solchi che ci portiamo

sulla pelle: pur non comprendendone spesso il senso,

fanno parte di noi, della nostra storia, dei nostri giorni. Se

siamo quello che siamo, lo dobbiamo anche ad essi. E va

bene così.

62

TERRA E SEGNI


A cura di

Antonello Venticinque

Andar per

mare

Andar per mare

Al via una nuova rubrica per conoscere

meglio il variegato mondo della nautica

di Antonello Venticinque

Obiettivo di questa nuova rubrica è consentire a chi legge

di potersi districare meglio nel variegato ed articolato

mondo della nautica da diporto e non solo,

ponendo anche quesiti ai quali cercherò di rispondere. Meglio

orientarsi su una barca a motore o a vela? Natante piuttosto

che imbarcazione? Con bandiera italiana o straniera? Barca

marcata CE o non CE? Con scafo in legno o vetroresina se non

in altro materiale (lega leggera, composito in carbonio, in sandwich

o addirittura in fibrocemento)? Sono queste alcune delle

domande che mi vengono rivolte da chi è intenzionato ad acquistare

una barca per trascorrere qualche ora spensierata sul

mare o un lungo periodo di vacanza. E ancora, nel caso di “barca

a motore”, meglio con propulsione ad eliche subcavitanti o

di superficie o con gruppi entrofuoribordo, se non proprio con

motori fuoribordo amovibili? O addirittura più raramente con

idrogetti? Mentre invece, quando si tratta di una “barca a vela

con motore ausiliario”, meglio la trasmissione con l’ormai tanto

di moda saildrive o i più tradizionali asse ed elica a pale pieghevoli?

Insomma, tanti gli interrogativi che possono nascere,

anche se nelle costruzioni nautiche, e più in generale nell’intero

comparto dell’ingegneria navale, non esistono verità assolute.

La risposta è una sola: dipende. È tutto un compromesso,

un insieme di pro e contro che vanno attentamente esaminati,

studiati e posti tra loro in correlazione per le diverse esigenze

di ciascun acquirente-utilizzatore. Sarà solo alla conclusione

dell’intero processo di analisi (possibilmente supportato da

consulenti ed esperti di fiducia che sapranno scoprire eventuali

“vizi occulti” talvolta presenti anche nelle barche con marchio

più prestigioso ed in apparente ottimo stato di conservazione

per ottenere il giusto “sconto” dall’iniziale prezzo di vendita)

che ciascuno potrà infine dire: «Ecco, ho trovato finalmente la

barca perfetta per le mie esigenze, pagata il giusto prezzo e

che comporta i giusti costi di esercizio, manutenzione e rimessaggio

futuri». Va detto che nel mondo della nautica è invalso

il seguente motto: «Il più bel giorno fu quando la comprai ma

mai ci fu più bel giorno di quando finalmente la rivendetti». Le

barche sono come le donne (o gli uomini se il diportista appartiene

al gentil sesso): dispensano gioie e dolori. Non per nulla

gli inglesi, che indubbiamente di barche se ne intendono, attribuiscono

a questi bellissimi “oggetti del desiderio” (alias “giocattoli

da adulti”) il pronome personale femminile “she” (“lei”

in inglese) e non il neutro “it” perché le considerano come delle

persone dotate di un’anima. Ecco perché cambiare nome ad

una barca è pericoloso: potrebbe prendersela a male e vendicarsi,

proprio come potrebbe fare un essere umano. E vi assicuro

che la “vendetta” di una barca in navigazione, magari con

condizioni meteo avverse, è una cosa da non augurare neanche

al peggior nemico.

Ingegnere navale e meccanico, Antonello Venticinque è esperto

nautico e perito di varie compagnie assicurative italiane ed

estere, consulente e progettista di rinomati cantieri navali della

Toscana, oltre che ispettore e tecnico qualificato RINA (Registro

Italiano Navale) in operatività all’ispettorato RINA di Livorno.

ANDAR PER MARE

63


Sapori di

Toscana

A cura di

Filippo Cianfanelli

Ristorante Retrò

All’interno del Gran Caffè San Marco

la storia incontra l’alta cucina

Testo e foto di Filippo Cianfanelli

A

Firenze tutti conoscono il Gran Caffè San Marco, luogo

di ritrovo fondato nel 1870 come Caffè Fanti, dal nome

del generale Manfredo Fanti la cui statua campeggia al

centro di piazza San Marco. Non appena questa statua, realizzata

da Pio Fedi, venne inaugurata, con il generale avvolto nel

mantello ma a testa scoperta, un anonimo fiorentino scrisse

una curiosa poesia paragonandola alla statua di Pirro sotto la

Loggia dei Lanzi, opera dello stesso autore: «Col vento che qui

spira tutto l’anno / lei, generale, piglierà un malanno; / per evitare

un raffreddor di testa / guardi se Pirro un po’ l’elmo le presta.

/ E lei, per far le cose da cristiano, / gli presti un pezzettin del

suo pastrano». A quei tempi lì vicino si trovava il Ministero della

Guerra quando Firenze viveva il suo ultimo anno come capitale

d’Italia e il locale era la meta preferita dei ministeriali come

poi lo sarà dei militari della Regione Tosco Emiliana e naturalmente

di tutti coloro che si recavano alla Corte d’Appello di via

Cavour. Oggi i frequentatori sono soprattutto i tanti professionisti

che hanno gli uffici nella zona, oltre ai numerosi turisti che

si fermano per una prima colazione o un veloce pranzo. Proprietario

del locale Gualserio Zamperini, console generale della

Tunisia a Firenze, da decenni nel campo della ricezione alberghiera

e della ristorazione. Dal novembre 2021, all'ora di cena, i

locali del Caffè si trasformano, cambia l’intero staff della cucina

e il locale diviene come per magia un ristorante di alto livello,

il Ristorante Retrò. Numerose sale e salette sono arredate in

stile eclettico, con curiosi oggetti d’epoca molti legati al mondo

della musica o alla cucina delle bambole, oltre a stupende

porcellane Ginori Art Decò. Un grande Giardino d’Inverno è la

sala più spaziosa del ristorante, con una gradevole mescolanza

di grandi piante esotiche e le pareti coperte da un mosaico

di piante artificiali che rendono l’ambiente veramente unico. Gli

altoparlanti diffondono in tutte le stanze una gradevole musica

swing anni Quaranta, in perfetta sintonia con il nome del ristorante.

Il locale si presta anche a prestigiose cene aziendali e

Fassona al coltello con insalatina e pane croccante

Il Giardino d’Inverno

talora vengono anche organizzate delle cene a tema o vi si svolgono

eventi artistici accompagnati da degustazioni. Il maître è

Francesco Altomare, un grande professionista che avevo avuto

già modo di conoscere anni fa in un altro ristorante fiorentino

e che in passato ha lavorato in prestigiosi ristoranti italiani

e stranieri. La scelta dei piatti è piuttosto ampia e anche il rapporto

qualità prezzo è veramente ottimo. Interessante anche

il menù degustazione con cinque portate al prezzo di 45 euro.

La carta dei vini permette di scegliere bottiglie per tutte le tasche,

con etichette molto particolari, talora davvero di nicchia.

Preziosi i consigli del maître per i corretti abbinamenti. Ho voluto

assaggiare soprattutto i piatti che più mi incuriosivano e

l’aspettativa non è stata certo delusa. Fra gli antipasti ho particolarmente

apprezzato l’ottimo salmone marinato con fave di

cacao, accompagnato da maionese al ginger e sottili verdure

croccanti. A tavola anche l’occhio vuole la sua parte e il massimo

è stata la presentazione di una battuta di fassona al coltello,

presentata su uno strato di insalata di puntarelle alla romana

e accompagnata da artistici crostini di pane croccante con insalatina.

Ottimo anche il flan di carciofi morelli accompagnato

da una fonduta di parmigiano reggiano di 36 mesi. Fra i primi

piatti nessuno è stato banale e anche dei semplici cappellacci

al sugo sono stati resi unici dal ripieno di cavolo nero con

ricotta di pecora e dal condimento costituito da un ragù di anatra.

Coraggioso l’accostamento fra porcini e mirtilli come condimento

di un pregiato risotto Carnaroli, come pure una crema di

zucca con code di gamberi e olio al nero di seppia. Veramente

ottime le linguine di Gragnano con bottarga di muggine e squisito

Katsuobushi, il tipico ingrediente della cucina giapponese

a base di tonnetto essiccato e finemente grattugiato. I numerosi

secondi spaziano dalla classica bistecca cotta su brace d’ulivo

ad un’originale guancia di manzo cotta a bassa temperatura

accompagnata da patate mascè, un contorno ormai introvabile.

Ho voluto provate il curioso accostamento fra delle crocchette

di baccalà e una piccante salsa alla carrettiera. Come pure un

delicato coniglio porchettato con castagne e salsicce accompagnato

da una riduzione al Chianti. Confesso che una volta

giunto al dessert ho voluto provare solo il tiramisù, nella versione

classica e in una versione rivisitata con guarnizione di

marron glacé, e anche questa è stata all’altezza di tutto il resto.

Veramente un locale dove tornare in compagnia di amici,

una gradita sorpresa nel vasto panorama dei ristoranti cittadini.

64

RISTORANTE RETRÒ


I libri del

mese

Solo con te mi sento viva

L’amore come percorso introspettivo nel romanzo di Elena Marceddu

di Erika Bresci

Azzurra e i suoi sedici anni che valgono una vita intera.

E una solitudine profonda che nasce dal sentirsi

non amata. Né dalla madre, con cui divide casa

e spazi vitali ingombrati dalla presenza di ospiti sgraditi –

il nuovo compagno di lei e i suoi piccoli, pestiferi figli –,

né dal padre, presenza assente da sempre. Azzurra, che

ha imparato presto a “fare da sé”. Tanto che, per mantenere

una sua autonomia, dopo la scuola si rimbocca le maniche

e lavora nel ristorante di Giulio e Caterina, due care

persone, genitori, loro sì, di un ragazzo ormai grande che

ha da tempo spiccato il volo fuori dal nido. Azzurra, che ha

una amica sola ma speciale, con la quale condivide sogni

e progetti, e anche la famiglia, quando il dolore di sentir-

si soli si fa troppo grande. Poi, un giorno, casuale, l’incontro

con due occhi verde smeraldo… occhi di un angelo di

carne, caduto in terra per restarle accanto, per farle vedere,

proprio attraverso quegli occhi, verità altrimenti coperte

dalla foschia del rancore e della rabbia, per farla sentire

importante, vera, unica, bellissima nella sua perfetta imperfezione.

Gli occhi di Leo, il suo cuore che nasconde un

dolore immenso, che solo Azzurra, per altre vie, in altro

modo potrà in parte sanare. Solo con te mi sento viva è un

romanzo che intreccia con la leggerezza di una storia d’amore

temi di estrema profondità. Quello della genitorialità,

ad esempio, vissuta – e non vissuta – nelle sue tante

diverse sfaccettature, problematicità, prospettive. Quanto

è difficile essere genitori! L’essere padre, madre

si può imparare? Basta il cuore, il sangue?

Esistono “schemi” che permettono un reciproco

comprendersi oppure il rapporto genitori-figli è

un qualcosa da costruire, da rinnovare, reinventare

ogni giorno? E poi l’adolescenza, in tutta la

sua fragile bellezza e sofferenza. Più volte, nel

corso della storia, Azzurra dice di se stessa “sono

sbagliata”, si chiede “in cosa ho sbagliato?”,

concentrando in questo nocciolo di frustrazione

una sostanziale incapacità di muovere un passo

in avanti, chiudendosi in una trappola di insicurezza

e testardaggine che spesso la lascia

senza respiro, precludendole sostanzialmente

una via d’uscita. Età di passaggio, di crisi – nel

senso greco di “separazione”, “scelta” –, l’adolescenza,

che spoglia la crisalide e la rende farfalla

dalle ali d’oro o povera, triste falena, età mai

come adesso difficile da vivere, quando anche

la bussola delle comuni certezze sembra impazzita.

L’amicizia, anche. Che “è un rapporto d’amore”,

quando è vero. Importantissimo sempre,

indispensabile nell’età difficile. Infine il destino.

Che nel romanzo prende le metaforiche sembianze

di un treno. Su cui si sale ogni mattina,

dal finestrino del quale si intravedono paesaggi

e case altrui, vite che scorrono, binari che si

perdono all’infinito, dal quale niente si pretende

di diverso da quanto scorto il giorno prima ma

che in un istante è invece capace di sconvolgere,

procurando quell’incontro che cambierà l’intera

esistenza. Un romanzo, Solo con te mi sento

viva, che proprio per la molteplicità dei punti di

vista, dei temi, dei protagonisti raccontati può

toccare il cuore e entrare nel profondo di un vasto

ed eterogeneo pubblico di lettori.

ELENA MARCEDDU

65


Romano Dini

Scultura esposta al Grand Palais di Parigi in occasione di Art Capital 2018

www.diniromanosculture.it

info@diniromanosculture.it


A cura di

Franco Tozzi

Toscana

a tavola

Zuppa inglese: un dolce dalle origini misteriose

di Franco Tozzi

Molte sono le leggende popolari che circolano sull’origine

della zuppa inglese, famoso dolce che venne

codificato da Pellegino Artusi nel suo intramontabile

ricettario. Un dolce versatile che viene adattato a seconda

dei gusti, conservando sempre lo stesso nome. Alla fine

dell’Ottocento la sua presenza è nota in Toscana, Emilia-Romagna

e Marche. I marchigiani la chiamavano così perché i

biscotti ben intrisi di liquori o vini aromatici o dolci erano paragonati

agli inglesi, conosciuti come forti bevitori di questi

alcolici. Per i fiorentini, il dolce ed il nome derivano dall’uso

degli inglesi di prendere il tè o degustare vini dolci o aromatizzati

accompagnandoli con pasticceria secca: le donne a servizio

recuperavano i biscotti non consumati, i liquori avanzati e

La ricetta: zuppa inglese

Ingredienti:

- latte 5 dl

- zucchero 85 gr

- farina 40 gr

li mischiavano con cioccolato o crema, mangiando quindi una

zuppa con gli avanzi degli inglesi. Altri riferimenti storici si rifanno

addirittura a dolci presenti sulla mensa dei reali inglesi

fin dal Seicento,

dove veniva servito

un dolce a

base di un particolare

pan di

Spagna bagnato

con vini liquorosi

e coperto con

crema, panna ed

altri ingredienti.

- 4 uova

- pavesini 140 gr

- 1 bustina di vanillina

Accademia del Coccio

Lungarno Buozzi, 53

Ponte a Signa

50055 Lastra a Signa (FI)

+ 39 334 380 22 29

www.accademiadelcoccio.it

info@accademiadelcoccio.it

Mischiare lo zucchero con i rossi d’uovo, aggiungere

la farina ed infine il latte a “filo” (lentamente). Quando

il miscuglio è pronto, metterlo a fuoco medio, girando

con un mestolo di legno, sempre nello stesso verso

e con lo stesso ritmo: ogni variazione può creare dei

bozzoli di farina che rovinano la crema. Girare fino a

farla assodare, poi levarla e lasciarla raffreddare. Per

quanto riguarda il “supporto”, in tante ricette si parla

di savoiardi. In questo caso, invece, utilizzeremo i pavesini,

sia perché, anche se bagnati nel liquore, restano

rigidi quando vengono composti per creare la base,

sia perché, essendo più sottili, lasciano maggiore spazio

alla crema. Munirsi di uno stampo alto e scannellato,

ungerlo con il burro e creare la base, inzuppando

i pavesini nell’alchermes e foderando con questi anche

tutto lo stampo. Iniziare poi stendendo un primo

strato di crema alternato ad uno di pavesini, sempre

inzuppati nel liquore, fino a riempire lo stampo; la chiusura

sarà sempre con i pavesini inzuppati. Lo stampo

“scannellato” può favorire la fantasia perché consente

di alternare, nelle scanalature e negli strati, pavesini

inzuppati nell’alchermes a pavesini inzuppati nel caffè,

nello strega, nel maraschino, etc., dando così una colorazione

variegata alla zuppa una volta tolta dallo stampo

e servita in tavola. Per rendere ancora più goloso il

tutto, è possibile unire alla crema delle gocce di cioccolato

fondente, altra alternativa ad un dolce eccezionale

per semplicità e gusto.

ZUPPA INGLESE

67


Rita Brucalassi

Le suggestioni del paesaggio

Tramonto su Punta Ala, acrilico su tela, cm 60x80

Rita Brucalassi

Via Emilio Bicocchi 1 / 58022 Follonica (GR)

+ 39 3331612980

rita.brucalassi@libero.it


A cura di

Stefano Marucci

Storia delle

religioni

La cacciata degli angeli dal Paradiso

di Stefano Marucci

Su questo numero la pittrice Maria Lorena Pinzauti

Zalaffi, già protagonista di altri articoli della stessa

rubrica, presenta l’opera La cacciata degli angeli

ispirata alle parole del profeta Isaia: «Come mai sei caduto

dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora? Come mai sei

stato steso a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi:

salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò

sul monte dell’assemblea, nelle parti più remote

del settentrione; salirò sulle regioni superiori delle nubi,

mi farò uguale all’Altissimo. E invece sei stato precipitato

negli inferi nelle profondità dell’abisso». Dalla Bibbia

sappiamo che Dio ha creato prima gli angeli e poi il

cosmo. Il mistero della creazione giunge al culmine con

la creazione dell’uomo che, in quanto essere intelligente

e libero, è in grado di attribuire significato al mondo

materiale. Gli angeli, invece, creati da Dio al vertice della

perfezione, sono dotati di bellezza, bontà e splendore.

Nonostante questo, alcuni di loro si sono ribellati a Dio,

com’è avvenuto con Satana. Ma chi è Satana? La tradizione

rabbinica asserisce che era lo spirito di maggior importanza

davanti al trono di Dio, dotato di dodici ali, ossia

del doppio di quelle degli stessi serafini. Dio non ha creato

Satana, perché egli, infinitamente buono, non poteva

creare un essere malvagio. Satana è divenuto tale per

scelta propria, perché, «non

avendo perseverato nella verità»,

come afferma Gesù nel

Vangelo di Giovanni, ha pervertito

se stesso. «Il diavolo

e gli altri demoni sono stati

creati da Dio naturalmente

buoni, ma da sé stessi si

sono trasformati in malvagi»

(San Giovanni Damasceno).

Il grande drago, il serpente

antico, colui che chiamiamo

il Diavolo o Satana, fu precipitato

sulla terra e con lui furono

precipitati anche i suoi

angeli. Che cosa significa?

San Tommaso d’Aquino scrive

che Satana desidera essere

simile a Dio e partecipe

della sua beatitudine, non

per dono di grazia, ma appropriandosene

con la forza.

Geloso di Dio, vuole ottenere

lo splendore della divinità,

non accogliendolo con

umile sottomissione, ma rapinandolo

con orgogliosa

Maria Lorena Pinzauti Zalaffi, La cacciata degli angeli dal Paradiso

presunzione. Il suo peccato è la brama di avere di più e di

possedere di più. Si tratta quindi di un peccato di superbia,

col quale l’angelo ha tramutato se stesso in un demonio.

In origine, quindi, Satana era la creatura principale

creata da Dio, il principe di tutta la creazione. Una volta

che si è ribellato a Dio, con tutta la pienezza del suo essere

e della sua volontà, con una rivolta totale e perfetta,

senza ritorno, è diventato l’essere più lontano da Dio.

Quali le conseguenze di questa ribellione? Satana, per

il primato e l’autorità che godeva, ribellandosi all’ordine

morale e spirituale di Dio, si è trascinato dietro non solo

quegli angeli che hanno voluto seguirlo, ma anche molti

uomini sedotti dalle sue lusinghe. Dio non rinnega mai le

sue creature: sarebbe come rinnegare se stesso. Così la

potenza che Satana aveva, la possiede ancora: ecco perché

è stata necessaria l’incarnazione del Verbo, venuto

a distruggere le opere di Satana e a riscattare il mondo

col sangue della sua croce. Questa prefazione per meglio

comprendere l’opera di Maria Lorena Pinzauti Zalaffi, che

interpreta la lotta tra bene e male, tra Dio e Satana senza

rappresentare alcuna figura ma soltanto servendosi del

contrasto tra colori tenui, “paradisiaci” e colori accesi che

scandiscono la trasformazione degli angeli in demoni e la

caduta di questi nell’abisso.

LA CACCIATA DEGLI ANGELI

69


Ritratti

d’artista

Franco Curvo

Pittura digitale tra algoritmi e

citazioni del passato

di Jacopo Chiostri

Franco Curvo, matematico appassionato d’arte, è un

“pittore digitale algoritmico”, non artista digitale, come

vengono comunemente definiti coloro che si servono

del computer per la propria espressione artistica, bensì appunto

“pittore”. Del resto è lui che così si autodefinisce perché

– spiega – le sue opere non sono realizzate con uno degli innumerevoli

dispositivi di “computer graphic” confezionati e utilizzati

per l’arte digitale, ma con uno strumento da lui creato, che,

detto in parole semplici, consiste nell’utilizzo di algoritmi con i

quali istruisce il computer a colorare in modo corretto le singole

celle che compongono l’immagine e alle quali, una per una,

è assegnato un colore. In pratica, è come se il video del computer

sul quale dipinge fosse un foglio quadrettato composto

da celle, non decine o centinaia, ma decine di milioni di celle da

colorare, operazione che per un umano ovviamente non sareb-

Natale in pandemia, pittura digitale algoritmica, cm 50x100

Guardando in libertà il telegiornale, pittura digitale algoritmica, cm 75x94

be possibile, mentre lo è per un computer che la completa in

tempi ragionevoli. L’abilità consiste nell’avere chiaro il dipinto

da realizzare ed essere capace di dialogare fattivamente con

la macchina: mentre in genere l’arte digitale consiste nel “prendere”

forme già esistenti, magari deformarle, lui le crea ex novo.

Curvo non nasconde che vi è ancora molta diffidenza nei

confronti dell’arte digitale, considerata dai puristi superficiale,

facile, fredda e che il “nuovo” sbrigativamente si liquida come

frutto di un approccio approssimativo, privo di profondità

e spessore. «Non è così» replica e, anzi, ricorda come gli ci siano

voluti sette anni prima che quello iniziato come un percorso

personale – siamo attorno al 1998 – nato dal suo amore

per l’arte, sfociasse nella decisione – nel 2005 – di “uscire allo

scoperto” e partecipare a manifestazioni ed eventi. Con i suoi

algoritmi, dipinge oggetti, più o meno reali, spesso antichi per

accentuare il collegamento tra contemporaneità e classicità, e

altrettanto frequentemente replicati allo scopo di creare ambientazioni

surreali e metafisiche che sono caratteristiche salienti

del suo lavoro. I temi che indaga, e che animano la sua

ricerca, sono essenzialmente la classicità, la donna, l’amore, la

stessa arte e il tempo; la sua qualità più evidente è la capacità

di bypassare l’impassibilità impersonale di tanta arte digitale,

che sembra contentarsi del proprio aspetto inconsueto, per

creare invece immagini coinvolgenti, ricche di pathos, meditate

e pregne di suggestioni offerte all’osservatore. Di sé, del suo

lavoro, spiega che la sperimentazione, che porta avanti ormai

da anni, è la direzione che segue e che intende seguire; la realtà

che propone è solo a prima vista fedele a quanto conosciamo,

mentre, a ben vedere, questi lavori ci propongono un’altra

possibile interpretazione, un nuovo punto di vista. Particolarmente

corposo il numero di riconoscimenti e di partecipazioni

a mostre: tra i premi si ricorda la medaglia di bronzo da poco

conseguita nell’ambito del XXXVIII Premio Firenze 2021.

frcurvo@tin.it

www.circoloartisticasadante.com/franco-curvo

70

FRANCO CURVO


A cura di

Manuela Ambrosini

I segreti del tema

a natale

Rigore e determinazione: le caratteristiche

dell’eroe “saturniano”

di Manuela Ambrosini

IIn astrologia definiamo i tipi umani riferendoci ai pianeti.

Grazie alla lettura del proprio assetto planetario, ogni

persona può conoscere le tipologie eroiche che gli appartengono

e riconoscere se stesso nel disegno astrologico. Ne

è un esempio il tema natale di Salvatore Sardisco, il nostro

eroe, artista d’eccellenza, di cui oggi prendiamo in considerazione

gli aspetti saturniani, collegati con il mese di gennaio.

Utilizzerò ogni mese questo tema natale per descrivere, man

mano, quello che emerge in una lettura individuale prendendo

Sardisco, in arte StYluS, come esempio. Salvatore, ha una

Luna in Capricorno, congiunta a Saturno in Capricorno. Ricordiamo

che il Capricorno è governato da Saturno che è il suo

signore. Il lato saturniano del carattere di StYluS emerge benissimo

nella cura da perfezionista che mette nel delineare

gli sguardi e i particolari dei suoi ritratti. L’eroe saturniano, infatti,

è rigoroso e determinato. La definizione dei dettagli lo

fa sentire al sicuro. Come se potesse trovare il proprio spes-

Anche Marco, il parrucchiere unisex, crea nella minuzia delle sfumature

del taglio di capelli il profilo saturniano, quando definisce senza

errori la testa del cliente.

Il suo salone di parrucchiere unisex si trova in Piazza del Popolo

209 a Monsummano Terme

+39 340 779 9202

Marco Parrucchiere Unisex

@marcoparrucchiereunisex

Il tema natale di Salvatore Sardisco

Salvatore Sardisco, Autoritratto

sore attraverso la rigidità di una disciplina continua del sé, il

saturniano, ha un temperamento militare. Le abitudini cadenzate

assicurano un assetto interiore ordinato e calmo. L’uscita

dagli schemi provoca tensione. Il saturniano è anche

il signore del tempo ed è collegato con la ciclicità naturale.

Tutto ciò che ha continuità è conforme, le anomalie vanno

corrette. Così, chi è fortemente segnato dai valori di Saturno

eccelle in quelle arti che implicano disciplina, austerità,

determinazione e continuità. In particolare, quando è la Luna

ad essere interessata da Saturno, e nel tema di Sardisco lo è

in modi molteplici: infatti la Luna è in Capricorno, che è il segno

di cui Saturno è il governatore, e inoltre è congiunta a Saturno

stesso, anche questo in Capricorno. Possiamo cogliere

la capacità di disciplinare e dirigere le proprie emozioni verso

un flusso ordinato e ciclico. StYluS dimostra di saper fare

questo sia nelle opere artistiche che nelle arti marziali cui si

dedica per quarant’anni insegnando, ma anche nella professione

di specialista in riabilitazione: a lui capitano casi che

vengono dati per incurabili dalla medicina. La capacità che

Sardisco possiede, e che lo rende così abile nel perfezionare

ciò che ha difetti definendo minuziosamente i particolari, viene

proprio da quella Luna che gli permette un distacco emotivo

notevole, nonostante il suo appassionato sole in Cancro.

È così che cura, è così che insegna arti marziali, è così che

dipinge, canalizzando il flusso delle proprie disordinate emozioni

in un territorio saturniano, dove l’emozione non interrompe

ma prende un ordine calmo e diventa eccellenza.

Astrologa, professional counselor, facilitatrice in costellazioni

familiari, è fondatrice del metodo di crescita personale Oasi di

Luce e insegnante di Hatha Yoga. Vive e lavora a Monsummano

Terme, effettua incontri individuali di lettura del tema natale astrologico

e di counseling ed è insegnante del corso online di astrologia

umanistica Eroi di Luce.

+ 39 3493328159

www.solisjoy.com

manuela.ambrosini@gmail.com

Solisjoy

Manuela coccole per l’anima

EROE “SATURNIANO”

71


Mauro Mari Maris

Mauro Maris con un suo quadro

www.mauromaris.it

mauromaris@yahoo.it

+ 39 320 1750001


A cura di

Michele Taccetti

Eccellenze toscane

in Cina

L’importanza per le aziende italiane

di avere una sede in Cina

di Michele Taccetti

Molte piccole e medie imprese che guardano a mercati

lontani e difficili come la Cina si preoccupano

principalmente di capire se il proprio prodotto sia

vendibile su quel mercato e cercano di promuoverlo spendendo

il meno possibile. Così una delle prime azioni che programmano

è la partecipazione ad una fiera di settore che ritengono

utile per trovare un partner con cui sviluppare una strategia di

approccio al mercato. Questo purtroppo è un errore che spesso

conduce al fallimento dell’iniziativa, esponendo l’azienda a

costi maggiori di quelli che avrebbe sostenuto con un’azione

più diretta e mirata. Il rischio è quello di essere indebolita nei

confronti dei concorrenti stranieri e locali mal posizionando

il proprio brand. Le aziende dovrebbero quindi programmare

un’azione a medio e lungo termine e cercare di capire, oltre ai

feedback sul prodotto, gli aspetti culturali, macroeconomici,

burocratici e soprattutto doganali del paese di destinazione

scegliendo poi gli strumenti più idonei. L’azione di penetrazione

nei mercati esteri non può essere tarata in base alle dimensioni

aziendali, ma deve essere pianificata in base alle

regole di marketing internazionale con la specifica personalizzazione

che i diversi mercati richiedono. Una delle prime

azioni da svolgere è la formazione: è importante, infatti, conoscere

tutto del paese che s’intende affrontare, sia che si

voglia acquistare che produrre o soprattutto vendere. L’altro

step necessario è la tutela della proprietà intellettuale con la

registrazione dei marchi e dei brevetti, conditio sine qua non

che un’impresa deve considerare se decide di essere presente

nel mercato internazionale con il proprio marchio e know-

how. Spesso le aziende vedono questa necessità solo come

conseguenza di un’azione di export, poche si preoccupano di

tutelarsi nei paesi dove delocalizzano la produzione di linee

dei propri articoli. È fondamentale, invece, difendere i propri

marchi e brevetti anche soltanto per partecipare ad una fiera,

unendo a questo un’adeguata azione di marketing. Dal primo

gennaio 2022 la Cina richiede nuove regole per l’importazione

dei prodotti alimentari e si rende necessario per le imprese

straniere procedere alla registrazione della propria azienda

presso gli uffici statali cinesi competenti. Questa politica rivela

la sempre maggiore attenzione del Governo di Pechino nel

limitare l’importazione di prodotti qualitativamente non elevati

o provenienti da aziende che non hanno un’alta reputazione

e adeguate certificazioni. Da queste normative si evince come

l’importanza del marchio e del know-how sia un elemento

di selezione per l’ingresso nel mercato più importante del

mondo. Tutte queste considerazioni sottolineano la necessità

di avere una presenza stabile e professionale in Cina, con

una propria sede per la promozione e la vendita dei prodotti

Made in Italy oppure un ufficio acquisti per selezionare e controllare

i fornitori cinesi. Questa strategia non è realizzabile

solo dalle grandi imprese ma anche da quelle piccole e medie

qualora queste riescano ad aggregarsi in gruppi di acquisto

o gruppi di vendita. Aggregazione e dialogo sono la vera sfida

del futuro. Creare alleanze e sinergie nei propri territori con

realtà complementari che si propongono e si rendono visibili

nei mercati di destinazione, è determinante per aprirsi alla cooperazione

tecnica, commerciale e culturale internazionale.

Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il

Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici

Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di

marketing ed internazionalizzazione.

michele.taccetti@china2000.it

China 2000 srl

@Michele Taccetti

Michele Taccetti

Michele Taccetti

SEDE IN CINA

73


B&B Hotels

Italia

Vacanze in Italia tra natura e arte con B&B Hotels

di Chiara Mariani

L’inverno porta con sé l’arrivo di giornate più corte, del

freddo e della frenesia lavorativa. Uno dei modi per

combattere lo stress quotidiano e dare un impulso

positivo alla settimana è l’organizzazione di un week-end alla

scoperta delle eccellenze italiane. Approfitta dell’aria natalizia

che ancora si respira o preparati per un San Valentino

romantico: B&B Hotels, catena internazionale con oltre 580

hotel in Europa e Brasile e 49 in Italia, ti aspetta per accoglierti

in totale sicurezza e flessibilità in più di 30 destinazioni

sul territorio. Per chi desidera invece passare qualche giorno

tra natura e svago, il B&B Hotel Affi Lago di Garda si rivela

la scelta perfetta. Situata a soli 10 km dal Lago di Garda, la

struttura è circondata da tantissime attrazioni turistiche che

lo rendono perfetto anche per le famiglie: Parco Natura Viva,

le Grotte di Catullo, la Pieve di San Giorgio di Valpolicella, il

sentiero panoramico Busatte-Tempesta, la Funivia Monte Baldo.

Da non perdere anche i parchi termali di Aquardens e Terme

di Colà. Il B&B Hotel Passo Tre Croci Cortina, incastonato

tra le vette ampezzane, a 1.858 metri di quota, fra le pendici

del Monte Cristallo a nord e dei monti Sorapiss e Faloria a

sud, si trova in una posizione ideale per partire alla scoperta

del territorio patrimonio dell’Unesco. Da scoprire il ristorante

dedicato e il B&Bistrot, nuovo concept della catena e location

ideale per sorseggiare cocktail o cenare con piatti tipici

della tradizione, una moderna area laundry/ironing, una ski

room a disposizione di tutti gli ospiti e un’area shop targata

B&B Hotels che, oltre a fornire prodotti strategici ed essenziali

per ogni viaggiatore, presenta una ricca selezione di snack,

barrette energetiche, bevande e prodotti per la cura della persona.

Tra i gioielli fiorentini dove regalarsi un momento da favola,

un posto d’onore è riservato allo splendido Hotel Firenze

Laurus al Duomo, immerso nel centro storico cittadino, circondato

dai più famosi simboli della città, a due passi dai migliori

negozi e ristoranti. Tra le possibilità offerte dal gruppo

B&B Hotels,, anche il suggestivo Hotel Firenze Pitti Palace al

Ponte Vecchio, situato nella duecentesca Torre Rossi, e a soli

5 metri dal Ponte Vecchio, punto di partenza ideale per visitare

Firenze e scoprire il suo patrimonio artistico e culturale.

B&B Hotel Affi Lago di Garda

74

B&B HOTELS


Su B&B Hotels

Dal design moderno e funzionale, con bagno spazioso privato

e soffione XL, le camere B&B Hotels dispongono di Wi-Fi

in fibra fino a 200Mb/s, Smart TV 43” con canali Sky e satellitari

di sport, cinema e informazione gratuiti, nonché Chromecast

integrata per condividere in streaming contenuti audio e

video proprio come a casa. Per un risveglio al 100% della forma,

B&B Hotels propone una ricca colazione con prodotti dolci

e salati per tutti i gusti.

B&B Hotel Passo Tre Croci Cortina

Hotel Firenze Pitti Palace al Ponte Vecchio

B&B HOTELS

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A tavola

con...

A cura di

Elena Maria Petrini

Marco Masini

Intervista al celebre cantautore fiorentino innamorato

della musica e della buona cucina

di Elena Maria Petrini / foto Luca Brunetti e Luisa Carcavale

Fiorentino doc, Marco Masini sperimenta

l’amore per la musica fin da

piccolo, ereditandolo sia dalla madre,

che da giovane cantava con piccole orchestre

nelle aie delle campagne, che da uno zio

emigrato in Argentina dove suonava e lavorava

nel mondo degli strumenti musicali. Nel

1969, a soli quattro anni, per Natale gli viene

regalato un “organetto” giocattolo a due

ottave, giusto per cominciare a familiarizzare

con le note. Più avanti i suoi genitori decidono

di mandarlo a scuola di musica. Un

passaggio importante anche se la più grande

scuola per lui – afferma – sono state la

musica stessa e la continua voglia di sperimentare.

Come nasce la tua passione per la musica?

Le passioni non nascono, esistono di già. Credo

conti molto la predisposizione naturale verso

alcune cose che fin da piccolo senti già che

fanno parte di te. Io avevo tre anni quando fischiettavo

e canticchiavo le musiche che sentivo

in giro. Mia madre mi portava spesso alle

giostre lungo il Mugnone a Firenze dove mettevano

una canzone che s’intitolava Luglio,

della fine degli anni Sessanta, di Riccardo del

Turco, cantautore, e Giancarlo Bigazzi, produttore,

compositore e paroliere. Quest’ultimo,

poi, è diventato il mio produttore e mi ha seguito

anche nel percorso di cantautore.

A cosa ti ispiri per scrivere i testi delle

canzoni?

Non scrivo mai da solo, ma sempre con altri

autori. L’ho fatto con Giancarlo Bigazzi, Beppe

Dati, il primo con il quale ho cominciato a scrivere,

Marco Falagiani e Mario Manzani. In seguito

ho iniziato a collaborare con autori più

giovani come Daniele Coro, Federica Camba,

Tony Iammarino, Virginio Nero, Diego Mancino,

Emiliano Cecere e Veronica Rauccio. Con

questi ultimi due ho scritto la canzone vincitrice

della 64ª edizione dello Zecchino d’Oro intitolata

Superbabbo.

Marco Masini

76

MARCO MASINI


Che esperienza è stata quella dello Zecchino d’Oro?

È stata una grande soddisfazione. Ho avuto a disposizione

l’Antoniano di Bologna, con il suo coro diretto da Sabrina

Simoni, e lavorare con tutti i bambini e soprattutto con la

bambina in gara, Zoe Adamelli che ha vinto con la canzone

Superbabbo, è stato davvero un enorme piacere. Stare a contatto

con i bambini permette di riscoprire la parte di sé stessi

più pura ed ingenua. Spesso nel nostro settore siamo obbligati

a lavorare con tempi e budget molto stretti e ci si deve

confrontare in modo anche perentorio con la casa discografica.

Allo Zecchino d’Oro, invece, ci sei tu col bambino e la maestra,

e quindi tutto assume un valore diverso, lontano dai

rigidi parametri del settore discografico.

(Sul podio dello Zecchino d’Oro al secondo posto Veronica

Marchese con la canzone Ci sarà un po’ di voi, testo di Maria

Francesca Polli e musica di Claudio Baglioni, e al terzo posto

Vittoria Spedaliere con la canzone Potevo nascere gattino,

testo e musica di Lodovico Saccol. ndr)

Quale musica ascolti con più piacere?

La musica non ha tempo e non ha genere, quando è bella,

è bella. Ci sono musiche che vanno ascoltate in alcuni

momenti ed altre in altri. La musica pop è il genere che più

mi appartiene e che ascolto anche per rimanere aggiornato

sulle costanti evoluzioni di questo stile. Ascolto anche

un po’ di jazz, di rock e qualcosa di trap che oggi è diventato

il nuovo pop.

Pensando al tuo “cibo della memoria” quale ricordi con più

emozione?

Ripensando alla mia infanzia, ricordo quando con mio cugino

escogitavamo strategie di distrazione per rubare i

crostini col fegatino alla nonna. Andavamo il fine settimana

ad Empoli perché di lì era originaria la famiglia di

mio padre. Al momento di andare a tavola, dei dieci crostini

preparati ne rimanevano solo tre e mia nonna li doveva

rifare tutte le volte. È un aneddoto che ricordo con particolare

emozione perché mi lega a mio cugino, un fratello

maggiore per me, e, dopo la scomparsa di mio padre,

anche un secondo babbo. In generale, penso che prestare

attenzione all’alimentazione sia importante. Io lo faccio,

seguo una dieta, ma ammetto che se dovessi andare

in trattoria in centro a Firenze non rinuncerei ad una buona

bistecca.

Hai anche altre passioni?

Sì, mi piacciono l’astrofisica, sulla quale leggo libri di Stephen

Hawking e di Margherita Hack e guardo documentari, e

la pesca. Sono anche appassionato di calcio.

MARCO MASINI

77


Ritratti

d’artista

Luciano Faggi

Fino al 14 gennaio protagonista di una personale allo

Spazio Espositivo San Marco

di Jacopo Chiostri

Lo Spazio Espositivo San Marco ospita, dal 4 al 14

gennaio 2022, la personale di Luciano Faggi che,

con l’occasione, espone anche i suoi lavori più recenti.

In effetti la mostra è una retrospettiva in cui, a fianco

dell’ultima produzione, l’artista ripropone opere di varie

epoche, testimonianza di un percorso artistico che ha toccato

forme di espressione ben diverse tra loro. Così nelle

sale del San Marco spazia dalla pittura astratta (con evidenti

incursioni nell’informale) alle composizioni geometriche,

alla paesaggistica. Il successo dell’esposizione è decretato

non solo l’affluenza di pubblico, ma ancor più il record

di vendite, che specie in un’epoca di “vacche magre” come

questa non sarà facilmente replicabile. Ed è questo dato, a

parere di chi scrive, la più evidente conferma che, alla lunga,

la coerenza paga. Faggi, pittore di lungo corso, pittore innamorato

della sua arte, nei tanti anni di lavoro, infatti, non

è mai venuto meno alla propria indipendenza intellettuale,

evitando di abdicarvi per seguire la moda del momento,

senza, per questo, rinunciare a seguire nuove suggestioni.

Dicevamo della sua produzione più recente. Intanto sono

opere che sorprendono chi da tempo segue il suo lavoro per

quanto sono distanti dai dipinti che conoscevamo. Pittura

astratta con incursioni nell’informale, dicevamo. Il segno è

più riconducibile alla libertà espressiva, al gesto libero, dissacratorio

dell’informale, la contenutistica con un’evidente

dose di substrato intimistico è invece ancora assegnabile

all’alveo della buona pittura astratta. Faggi per queste

opere ha usato molto poco il pennello, invece ha modulato

il colore, gli ha dato forma, lo ha arricciato e controllato

con l’uso di un semplice utensile: un phon! Sono opere che

emanano una grande forza, la forza che sprigiona l’armonia

quando si avverte che questa controlla il disordine. In un

precedente scritto definimmo Luciano Faggi un demiurgo,

colui che crea. E mai, come in questi dipinti, l’atto creativo

fa intendere che qualcosa si manifesta, inedito, davanti ai

nostri occhi, una nuova forma di vita, una nuova idea, una riflessione.

Magari non sono opere di facile lettura, ma, come

sempre per la pittura che propone un proprio linguaggio personale

quindi non già acquisito, la comprensione è affidata

alla familiarità con quelle che sono le peculiarità, universali,

del medium: composizione, colore, impatto visivo. Al San

Marco, la saletta Barbano ospita i quadri di paesaggi. Alcuni

noti ai lettori de La Toscana Nuova, che conoscono Faggi

da sempre, tutti all’insegna di una riproduzione fantastica

della realtà. Non ci sono figure in queste opere. Il loro significato

è piuttosto affidato a simbologie silenti, come accade

in una marina dove vediamo il mare che ghermisce la riva

con onde lenti, metodiche ma di grande potenza; sullo sfondo

appare un villaggio con tante piccole finestrelle cieche:

un’opera di chiaro significato metafisico. Luciano Faggi non

organizza i suoi dipinti, non disegna prima la propria scenografia,

si affida all’istintività del gesto strettamente connesso

ai comandi della mente, a sua volta messa in moto dai

meccanismi del suo io interiore, da quello che questi percepisce

nella vita che scorre imperturbabile al nostro fianco,

all’impossibilità di fermare il tempo, per noi umani, ma non

per il pennello di un artista cui spetta il privilegio di cristallizzare

l’attimo. Nei quadri della personale, compare una sola

di figura, di spalle, ma non per questo meno riconoscibile:

un Dante che s’intuisce crucciato, sdegnato, forse in procinto

di tornarsene volontariamente in esilio, sconfitto da un

mondo pieno di contraddizioni. Luciano Faggi lo propone

piccolo, emblematico, per dirci che dovremmo fare un uso

migliore dell’arte e dei suoi messaggi.

fagluc2006@libero.it

78

LUCIANO FAGGI


Franco Cappelli

Studio sculture: viale Vittorio Veneto, 35 - 51100 Pistoia

francocappelli@hotmail.it

+39 349 6849862


Una banca coi piedi

per terra, la tua.

www.bancofiorentino.it

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