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Ritratti
d’artista
Gianni Panciroli
Un salto oltre il visibile attraverso il colore
di Jacopo Chiostri
Le opere di Gianni Panciroli sono una presenza frequente
nelle mostre promosse dall’associazione Toscana
Cultura allo Spazio Espositivo San Marco. Lui
non compare sempre. Un po’ perché abita fuori città, un po’
perché è persona schiva, addirittura riluttante ad accettare
complimenti. Se è presente, è certo che con lui c’è Lorenza,
compagna di vita e nume protettrice, che si occupa di salvaguardare
e promuovere il suo lavoro. Gli ultimi dipinti di
Panciroli, presentati di recente al “San Marco”, rappresentano
il punto di arrivo di un lungo percorso artistico fatto
di categorie, alcune riferibili a forme pittoriche classiche –
figurativo, concettuale, astratto, paesaggistico, materico –,
altre a quella sperimentazione, sia estetica che etico-sociale,
che è stata tanta parte del suo impegno: i manifesti, le
donne fumetto e soprattutto le inserzioni di fil di ferro e spaghi
che, con le loro evidenti simbologie, per un certo tempo
sono state una sorta di marchio di fabbrica e che, nei loro
grovigli, esprimono emozioni e riflessioni difficili da rendere
col linguaggio parlato. Racconta Panciroli che la sua passione
per l’arte risale alla frequentazione – siamo nel 1966
– di corsi serali di disegno, pittura, nudo, ritratto e alla bravura
dell’insegnante di storia dell’arte. I collegamenti tra forme
di espressione artistica e momento storico, di cui si parlava
in quelle lezioni, accesero all’epoca il suo interesse. Si
studiavano i pittori, e, tra quelli che conobbe in quel periodo,
Panciroli cita in primis William Turner, artista che, come
sappiamo, amava riprodurre la natura al massimo della
sua forza, quindi ben diversa dalle sue composizioni pae-
Nei tempi passati, acrilico su tela, cm 50x50
Nei tempi passati, acrilico su tela, cm 50x70
saggistiche così intime e frutto di una visione fortemente individualista.
Eppure nella cifra caratteristica di Turner, e in
particolare in quel disorientamento che accompagna il piacere
della visione delle sue opere, si ritrova una parte della
poetica di Panciroli, quella che, a parere di chi scrive, è bene
rappresentata dalla smorfia della prostituta messicana (e in
genere dagli sguardi e dalle espressioni dei personaggi che
ha ritratto) oppure dall’essenzialità dei paesaggi, con le case
strette le une alle altre. È il suo modo di raccontare il mondo,
disciplinato, civilissimo ma, in definitiva, non privo di una
certa disincantata amarezza. Le opere recenti appaiono un
compromesso tra rigore compositivo, gesto trattenuto e libertà
di un linguaggio personalissimo che adopera una sintassi
inedita che spetta all’osservatore fare propria. Sono,
forse, composizioni. Certamente rappresentazioni di visioni,
emozioni, riflessioni e di tutto quell’invisibile che la pittura,
al pari dei nostri sogni, della nostra immaginazione, è
chiamata a riprodurre. Su tutto domina il colore: scelto e dosato
da una mano sapiente, sfrutta la forza evocativa degli
accostamenti, conferisce profondità e personalità all’insieme
dei segni. Panciroli a volte costruisce, altre destruttura.
I suoi soggetti, anche quando hanno forme definite, non sono
riconducibili a qualcosa che conosciamo: sono creazione
allo stato puro. Eppure se riuscissimo a liberarci dei nostri
pregiudizi, non solo ottici, in queste campiture di colore potremmo
vedere tanto, anche più di quello che rintracciamo
nella figurazione che ci è tanto agevole. A guidare il gesto
pittorico è la sensibilità dell’autore: Panciroli chiede di essere
ascoltato, a noi trovare il coraggio di avventurarci per strade
sconosciute. I panorami più belli sui quali aprire gli occhi
richiedono di affrontare nuove sollecitazioni.
lorenza.guastalli@gmail.com
GIANNI PANCIROLI
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