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A cura di
Alessandra Cirri
L’avvocato
risponde
L’assegno di mantenimento dei figli maggiorenni
Il principio dell’autoresponsabilità come condizione per corrisponderlo
di Alessandra Cirri
Il mantenimento del figlio maggiorenne è un obbligo che
grava su entrambi i genitori e si protrae fino al raggiungimento
della condizione di autosufficienza economica.
Tra i diritti del figlio maggiorenne rientra anche il mantenimento
diretto, laddove non conviva con un genitore. La legge
non stabilisce un limite di età e quindi l’obbligo persiste
in astratto per tutto il tempo in cui risulti necessario assicurarlo.
L’art. 337 septies cod. civ. stabilisce che “il giudice,
valutate le circostanze, può disporre a favore dei figli maggiorenni
non indipendenti economicamente il pagamento di un
assegno periodico”. In tal modo il legislatore ha previsto che
l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non perduri
all’infinito, ma la sua durata deve essere valutata caso per
caso. La questione è stata molto dibattuta in dottrina e in
giurisprudenza, dato che fino ad oggi non c’era un’età oltre la
quale cessava l’obbligo di mantenimento dei genitori. In altre
parole, il genitore separato o divorziato non convivente
con il figlio doveva continuare a corrispondere l’assegno di
mantenimento all’altro genitore anche dopo che il figlio aveva
compiuto i 18 anni e ciò perdurava fino al raggiungimento
da parte del figlio della sua indipendenza economica. Il genitore
obbligato a corrispondere l’assegno, per poter ottenere
l’esonero da tale obbligo, doveva dimostrare che il figlio
era diventato economicamente autonomo, oppure che il figlio
non era diventato autonomo per colpa sua (ad esempio perché
aveva rifiutato un lavoro, ritardato il conseguimento del
corso di laurea prendendosela comoda, abbandonato il lavoro
senza un valido motivo). Con la recente sentenza n. 17183
del 14.08.2020, la Corte di Cassazione ha ribaltato la relazione,
in termini di diritti e obblighi tra genitori e figli, intervenendo
e modificando anche quest’altro versante familiare (come
ebbe a fare con la famosa sentenza Sez. Unite n. 18287 del
11.07.2018 per l’assegno divorzile). Questa volta la Suprema
Corte lo ha fatto anche in maniera ancor più esplicita e decisa,
proponendosi di dettare “in coerenza al proprio compito
di nomofiliachia ex art. 65 ord. giud., alcuni parametri di riferimento
ai fini di uniformità, uguaglianza e più corretta interpretazione
ed applicazione della norma”. La Cassazione
anche questa volta ha sottolineato “il mutamento dei tempi”
e il peso del “principio dell’autoresponsabilità”, onde evitare
forme di parassitismo ai danni dei genitori, sempre più avanti
con l’età. L’autoresponsabilità del figlio si rivela già al mo-
mento della scelta del percorso da compiere: “ex ante, sin
dagli esordi del corso di studi che ha l’onere di ponderare, in
comparazione con le proprie effettive capacità personali, di
studio e di impegno, oltre con le concrete offerte e opportunità
di prestazioni lavorative”, nonché con “le condizioni economiche
dei genitori”. Autoresponsabilità significa che non è
più concepibile il “diritto ad ogni possibile diritto”, il ricorso
all’assistenzialismo, slegato dal dovere, “man mano che l’evoluzione
dei tempi induce ad accentuare i legami tra pretesa
dei diritti e l’adempimento dei doveri, indissolubilmente legali
già nell’art. 2 della Costituzione”. La Cassazione ha ridisegnato
i rapporti fra genitori e figli, orientando i primi verso
processi educativi che valorizzino l’importanza del sacrificio
come mezzo per ottenere una conquista. L’autoresponsabilità
non può che essere frutto, infatti, di un percorso educativo.
La funzione educativa del mantenimento è nozione idonea a
circoscrivere la portata dell’obbligo di mantenimento, sia in
termini di contenuto sia di durata, avendo riguardo al tempo
occorrente e mediamente necessario per l’inserimento nella
società. I genitori hanno l’obbligo di educare, istruire e mantenere
i figli, ma lo specifico obbligo di mantenimento trova
come limite la conclusione del percorso educativo-formativo
che rende esigibile l’utile attivazione del figlio nella ricerca
di un lavoro. La qualità del lavoro, la retribuzione, la stabilità
dell’occupazione non dipendono dal genitore e, come opportunamente
osservato, “non può il figlio di converso, pretendere
che a qualsiasi lavoro si adatti soltanto il genitore”.
Laureata nel 1979 in Giurisprudenza presso l’Università
di Firenze, Alessandra Cirri svolge la professione
di avvocato da trent’anni. È specializzata in diritto
di famiglia e minori, con competenze in diritto civile. Cassazionista
dal 2006.
Studio legale Alessandra Cirri
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO
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