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La Toscana nuova Marzo_2022

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La Toscana nuova - Anno 5 - Numero 3 - Marzo 2022 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 3. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074


Emozioni visive

a cura di Marco Gabbuggiani

Temporanei incroci di vita

Testo e foto di Marco Gabbuggiani

Niente è eterno e niente avrebbe significato se lo fosse. Immaginiamo

per un attimo di sapere fin da subito che quello che stiamo

vivendo sarà uguale per sempre. Ci aspetterebbe una vita piatta

ed insignificante che renderebbe l’esistenza una noia davvero

insopportabile. Faremmo tutto svogliatamente sapendo perfettamente

che ogni cosa rimarrebbe sempre e comunque com’è.

Una tristezza infinita! Chi crede al destino è convinto che il percorso

di vita di una persona sia in qualche modo segnato dalla

nascita, anche se è ben diverso il modo in cui si affronta questo

percorso talvolta tortuoso. Siamo come due fili in tensione che

vanno per la loro strada e che incrociano nel corso della vita altri

fili ed altre persone producendo, talvolta, quelle magiche scintille

che illuminano il percorso con il meraviglioso stato d’animo chiamato

amore. Un’enorme bellissima scintilla come due fili dell’alta

tensione che si toccano, la stessa scintilla che scaturisce tra

due persone innamorate. Una scintilla che facciamo di tutto per

vivere più a lungo possibile ma che sappiamo sarà inevitabilmente

destinata ad affievolirsi e spegnersi. Ci sono però uomini che

si aggrappano a questa scintilla in maniera morbosa ed egoistica

pretendendo che sia eterna e che la persona con cui entrano

in contatto non abbia il diritto di continuare a percorrere la propria

strada. E allora invece di fare di tutto per mantenerla viva nel

tempo con comportamenti adeguati, cercano di annodare quei fili

a sé stessi con violenza, arrivando addirittura ad interromperne

il percorso e… la vita. Quest’anno ho voluto esprimere il mio pensiero

sulla Festa della donna ricorrendo ad una metafora scaturitami

da una foto scattata un po’ di tempo fa. Forse proprio per

il fatto che il giorno dello scatto era l’8 marzo, forse perché quel

giorno ero mentalmente predisposto a questo argomento, sta di

fatto che la scattai perché mi sembrò che quei fili raffigurassero

una sorta d’incrocio di vite, immaginando i meravigliosi fuochi

d’artificio che sarebbero scaturiti se fossero arrivati a toccarsi tra

loro, esattamente come succede tra due persone che, incontrandosi,

si innamorano. Onestamente non so proprio capacitarmi di

come certi uomini possano pensare di annodare violentemente

a sé stessi i fili della vita della persona che dicono di amare fino

al punto di togliergli la vita, forti della loro maggiore prestanza

fisica. Contrariamente a come viene definita di solito ovvero

“sesso debole”, la donna, nella sua meravigliosa bellezza e grazia

(troppo spesso confusa con debolezza), diventa in questi casi

l’elemento forte della coppia mentre l’uomo assume il ruolo del

“debole” che, con l’emancipazione della stessa, non arrivando a

competerci mentalmente, ricorre tragicamente alla forza fisica.

E come rimediare a questo immane errore esistenziale? Con le

leggi? Anche. Queste servono per proteggere le donne, ma se si

vogliono davvero cambiare le cose occorre iniziare ad educare i

“maschietti” al rispetto della donna, alla parità, senza ricorrere alla

violenza in cui l’essere umano è solito cadere nel momento in

cui cerebralmente e verbalmente non riesce più a reggere il confronto.

E sperando che si possa arrivare a questo educando le

generazioni future, mando un abbraccio a tutte le donne che mi

leggono, chiedendo scusa per le violenze che subiscono a nome

di quei miei simili che, piccoli, meschini e debolissimi, pretendono

di “annodare” le loro vite usando la maggior forza che madre

natura gli ha, in questo caso, ingiustamente dato. Buona Festa

della donna a tutte!

marco.gabbuggiani@gmail.com

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MARZO 2022

I QUADRI del mese

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Opere dal XII al XIX secolo al Museo Diocesano di Arte Sacra a San Miniato

Roy Paci: dalla banda musicale di Augusta ai palcoscenici del mondo

La ricerca dell’invisibile attraverso il visibile negli scatti di Giorgia Fiorio

Ruth Orkin, una leggenda della fotografia che “cattura l’attimo”

Casa Schlatter, uno scrigno di arte e storia a Firenze

Curiosità fiorentine: il Carnevale, festività dell’allegria e della spensieratezza

I paesaggi di Lolita Valderrama Savage in dialogo con un’opera di Mascagni

Enzo Pizzimenti, promotore della cultura italiana nel segno del canto lirico

Intervista a Stefanos Koroneos, direttore artistico del Teatro Grattacielo a New York

Associazione Toscana USA-ONLUS: dal 1966 punto d’incontro con gli Stati Uniti

DaVinciFace: il genio di Leonardo rivive con l’intelligenza artificiale

Ai Musei Reali di Torino il mondo poetico della fotografa Vivian Maier

Dimensione salute: la risposta del cervello alla paura

Psicologia oggi: atti di sana prevenzione portati all’estremo

Il parere dell’esperto: l’importanza della diagnosi precoce nel glaucoma

Consigli del nutrizionista: gustare gli zuccheri in maniera consapevole

Il Torso del Belvedere, capolavoro dei Musei Vaticani che ha fatto scuola

Arte e psicologia: creare un mandala per entrare in contatto con le emozioni

Dal teatro al sipario: il percorso anticonvenzionale dell’artista eclettico Carlo Terzo

Notizie fiorentine: il restyling del Garage Europa Firenze dopo 94 anni di storia

Nuove sinergie nel 2022 per il Movimento Life Beyond Tourism – Travel to Dialogue

Tutela dell’ingegno: la rivoluzione del mondo dell’arte digitale con gli NFT

L’avvocato risponde: l’assegno unico, nuova forma di sostegno per i figli a carico

Personaggi: il Cece, artista del disegno umoristico

Il viaggio dentro sé stessi nella nuova raccolta poetica di Alex Pagni

Cappella Brancacci: al via il restauro degli affreschi nella chiesa del Carmine

Le opere “tecnologiche” di Zhang Leifu in mostra a Firenze

Archeologia: viola, un colore da re nei frammenti di Timna

Le sfide internazionali di Te-Sian Shih, artista e designer taiwanese

Il cinema a casa: La grande bellezza, la vacuità del mondo firmata Sorrentino

Polvere di stelle: Puccini e Frazzi, due maestri della musica universale

Arte del vino: il Gallo Nero torna a cantare nel calice

Itinerari del gusto: la tradizione fiorentina alla trattoria L’Ortone

Diario di un’esploratrice: al parco per una giornata insieme agli alpaca

Maris, un viaggio a colori da Siena a Schifano e oltre

Gelateria Dondoli, dal 1992 un’eccellenza a San Gimignano

Marco Razzolini racconta la professione di odontotecnico tra passato e futuro

Toscana a tavola: conchiglioni alla massese, un piatto della memoria

Il cibo nella storia dell’arte: intervista al professor Vittorio Sgarbi

I diari di viaggio pittorici dell’artista spagnola Ana Andras

L’iperrealismo non ortodosso di Zhaohui Wang al Caffè Letterario Le Murate

B&B Hotels Italia: l’apertura di una nuova struttura sul territorio romano

Benessere della persona: prendersi cura della pelle al cambio stagione

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A cura di

Ugo Barlozzetti

Percorsi d’arte

in Toscana

Museo Diocesano di Arte Sacra

Inaugurato nel 1966 a San Miniato, custodisce opere dal XIII al XIX secolo

di Ugo Barlozzetti / foto courtesy Museo Diocesano di Arte Sacra

Il Museo Diocesano di Arte Sacra di San Miniato è stato inaugurato

nel 1966 grazie all’impegno di Dilvo Lotti, artista sanminiatese,

nell’antica sagrestia della cattedrale dedicata a

Santa Maria Assunta e a San Genesio. Con l’obiettivo di valorizzare

la storia della città e del territorio è stato riorganizzato, nel

2000, l’allestimento del museo che conserva opere d’arte e suppellettili

liturgiche provenienti dalla chiesa cattedrale e dal territorio

della diocesi. Sono presenti parti di affreschi, tavole lignee,

bassorilievi, statue lignee, croci astili, bacili ceramici e un modello

raffigurante la chiesa del Santissimo Crocifisso. Inoltre sono

esposti, grazie alla donazione risalente al 1910 del cardinale

Alessandro Sanminiatelli Zabarella alla Canonica di Monte Castello,

dipinti del XVII secolo. Dalla facciata della cattedrale provengono

ventuno bacili in ceramica di bottega tunisina datati tra

il 1165 e il 1220. Di Giroldo di Jacopo da Como, sempre dalla

cattedrale, vi sono parti di un ambone. Vi è poi un pannello di

polittico con Santa Caterina d’Alessandria (1365-1370 circa) attribuito

a Jacopo di Cione (1325-1399), un San Girolamo nello

studio, opera datata 1411, di Cenni di Francesco di ser Cenni (Firenze,

notizie 1369-1415 circa), pittore e miniatore assai prolifico

tanto a Firenze che nel contado. Di Jacopo di Michele detto il

Gera (notizie a Pisa nella seconda metà del XIV secolo) vi è una

Flagellazione e Crocifissione. Un’Annunciazione e Santi è di Pier

Francesco Fiorentino (notizie dal 1444 al 1497), figlio del pittore

fiorentino Bartolomeo di Donato, che a 25 anni fu ordinato prete:

per questo è conosciuto anche come Pier Francesco Prete. Un

Redentore, scultura in terracotta, è del grande maestro Andrea

Verrocchio (1435-1488). Di Rossello di Jacopo Franchi (Firenze

tra il 1376 e il 1377-1456) è la tavola con Santa Caterina d’Alessandria.

Rossello fu allievo di Lorenzo Monaco e si distinse per il

gusto dei particolari e per la grazia delle sue opere. I frammenti

dell’affresco della Maestà, provenienti dal convento di San Francesco,

sono di un pittore indicato in precedenza come “Maestro

degli Ordini”, che è stato identificato solo nel 1972, da Luciano

Bellosi, come Jacopo di Mino del Pellicciaio (Siena 1315/1319 -

Uno dei bacini ceramici tunisini provenienti dalla cattedrale di San Miniato (1165 - 1220 circa)

Sala del Museo Diocesano di Arte Sacra

ante 1396). Attribuito a Agnolo di Polo è un busto in terracotta,

con tracce di policromia, di Gesù Cristo Redentore, attribuibile al

1465 circa. Del 1452 è la Madonna in Trono con Bambino e Santi,

del 1470-75 è La Madonna che dona la Cintola a San Tommaso,

opere di Neri di Bicci (Firenze 1418/1420-1492), ultimo esponente

di una bottega molto attiva tra il Tre e il Quattrocento a Firenze.

Le due pale d’altare nel museo sono tra le opere più significative.

L’Incoronazione della Vergine è del Maestro di San Miniato, attivo

in Toscana nella seconda metà del XV secolo. Di Jacopo Chimenti

(Firenze 1551-1650), pittore di successo, detto L’Empoli dal

nome del padre, è L’Annunciazione. Di un altro pittore toscano di

successo, Giovanni da San Giovanni (1595-1636), è un Redentore

con la Madonna. Attribuite a Abraham Bloemaert (1564-1651)

sono le Storie della Passione. Di Fra’ Bartolomeo (1472-1517),

celebre pittore e frate domenicano, è La circoncisione di Gesù,

mentre un nucleo importante di opere, dal Cristo deposto alla

Madonna col Bambino e San Giovannino, L’estasi di San Francesco

e Il sacrificio di Isacco, sono di Ludovico Cardi detto Il Cigoli

(1559-Roma 1613). Di Matteo Rosselli (Firenze 1578-1650),

personalità di grande prestigio e autorevolezza nel suo tempo, è

una Visitazione. Un sacrificio di Isacco e Agar nel deserto è attribuito

a Lorenzo Lippi (Firenze 1606-1665), pittore, poeta e scrittore.

Di un altro maestro del Seicento toscano, Domenico Cresti

detto Il Passignano (Passignano di Val di Pesa 1559-1638), è

un Ecce Homo. Tornando alla fine del Trecento, vi è una Madonna

con Bambino attribuita a Lorenzo Monaco (Siena o Firenze

1370 - maggio 1425 circa), pittore e miniatore ultimo esponente

importante a Firenze del linguaggio

tardo-gotico con persistenze di

antica matrice giottesca. Non mancano

testimonianze di Borghese di

Piero Borghese (1397-1463), di Filippo

di Benedetto Paladini (Casi in Val

di Sieve 1544 - Mazzarino 1614) e di

Casa della cornice

Giovanni Camillo Sagrestani (Firenze

www.casadellacornice.com

1660-1731).

MUSEO DIOCESANO

7


Personaggi

A cura di

Rosanna Bari

Roy Paci

Dalla banda musicale di Augusta ai palcoscenici di tutto il mondo

di Rosanna Bari / foto courtesy Etnagigante

Musicista di fama internazionale, Roy Paci nasce ad

Augusta, in Sicilia. Trombettista, cantante, compositore,

autore, arrangiatore, produttore, conosciuto

dal grande pubblico anche per la sua presenza fissa in Markette,

il programma di Piero Chiambretti su LA7, e come direttore

musicale a Zelig, su Canale 5, assieme agli Aretuska. Ha partecipato,

in coppia con Diodato, al Festival di Sanremo 2018

con il brano Adesso, mentre nellʼedizione del 2019, nella serata

dedicata ai duetti, si è esibito coi Negrita assieme ad Enrico

Ruggeri. Nel corso della sua carriera, tantissime sono state

le collaborazioni con importanti artisti dello scenario musicale

italiano e internazionale. Ripercorriamo ora, in unʼamichevole

conversazione, le varie tappe del suo percorso artistico.

Hai cominciato a suonare la tromba da piccolo, quanti anni

avevi?

Ho cominciato allʼetà di nove anni, ma già da diverso tempo

suonavo il pianoforte.

Ma per un bambino di nove anni non è uno strumento troppo

impegnativo?

Potrebbe anche essere impegnativo, ma non è detto, anche

perché ci sono bambini che cominciano addirittura prima,

lʼimportante è affidarsi nelle mani di un buon maestro.

Chi si è occupato della tua formazione?

Per me la fortuna è stata quella di entrare a far parte della

banda del paese molto presto, avevo dieci anni. È lì che mi

sono fatto le ossa e soprattutto ho imparato una cosa essenziale:

tenere la giusta postura nel suonare lo strumento.

Quindi possiamo dire che suonare nella banda è stata la tua

prima esibizione pubblica?

Sì certo, ed è stata per me unʼesperienza fondamentale e indimenticabile,

penso di dover essere sempre grato al mio maestro

Giuseppe Passanisi.

Cosʼè che ti ha portato a lasciare lʼItalia per esibirti in luoghi

lontani come il Sud America e lʼAfrica?

Ho vissuto in diciotto città diverse, anche del Nord Europa, da

musicista sentivo il bisogno di apprendere tutto quello che

non conoscevo, dovevo confrontarmi con il resto del mondo,

con le altre comunità e con tutte le altre culture.

Concerto in piazza duomo a Catania (ph. Antonio Triolo)

8 ROY PACI


Hai vissuto in tanti posti, qual è il paese che ti ha caratterizzato

di più?

Penso che, musicalmente parlando, il Sud America sia stato

fondamentale. Mi sono sempre sentito a mio agio, e questo

mi ha permesso di imparare in fretta la lingua. Quel periodo è

stato uno dei più importanti per la mia carriera: sono entrato

nel circuito radio-televisivo di Montevideo, in Uruguay, prima

con un programma in radio e poi in televisione.

Ti sei mai esibito a Firenze?

no successo. Perché gli strumenti musicali ti affinano, e se la

palestra ti definisce il corpo, lo strumento ti definisce lʼanima.

Fra le ultimissime novità, a coronamento di un sogno dʼamore,

il 22 febbraio Roy Paci ha sposato Rosaria Cretì, dj producer e

musicista, madre del piccolo Santiago Miles. A Siracusa, nella

splendida cornice di Castello Pupillo, il matrimonio è stato celebrato

dal cantautore siciliano Colapesce.

Etnagigante Management, Label & Publishing - Palermo

Quando sono tornato in Italia, nel ʼ92, sono entrato a far parte

dei Mau Mau, gruppo storico della scena alternativa italiana,

per tre anni circa ho fatto la spola tra Firenze e Torino, il

Tenax e la Flog erano le tappe fiorentine. Alla Flog ho lavorato

con Enrico Romero, direttore negli ultimi trentʼanni e, soprattutto,

un grande amico dei musicisti.

Come mai, dopo aver abitato in varie parti del mondo, alla

fine ti sei stabilito in Sicilia?

Perché a differenza di tanti, io dalla Sicilia non sono mai andato

via, ho solo seguito il flusso della mia vita e ho viaggiato

tanto, perché per un musicista “il viaggio è la più grande

lezione di musica”.

Cosa ha rappresentato per il tuo lavoro questo periodo di

inattività a causa della pandemia?

Questo periodo, nel quale si sono fermate tutte le esibizioni “live”,

alla fine non è stato un periodo di totale inattività. Superato

il primo momento e supportato dal mio team, sono riuscito a

concentrarmi e ho cominciato a scrivere per portare avanti tutto

il lavoro di preparazione per un nuovo album.

Roy Paci (ph. Marco Fato Maiorana)

So che in questo periodo cʼè stata anche unʼaltra importante

novità...

Sì, lo scorso novembre è nato il mio terzo figlio: Santiago Miles.

La sua nascita è stata come un segno della vita, una rinascita,

mi ha dato una grande carica e ho avuto unʼimprovvisa

accelerazione.

Se i tuoi figli volessero seguire le tue orme li asseconderesti

nella scelta?

Li lascerei completamente liberi di decidere. Su Santiago è prematuro

avere unʼidea, Roy jr ha 16 anni e da tanto è attratto dalla

robotica, penso seguirà una strada diversa. Invece Alma, la

più grande, che ha 19 anni, dal teatro è approdata alla musica

e con orgoglio annuncio che presto uscirà il suo primo singolo.

Dalla banda del paese ai palcoscenici di tutto il mondo,

consiglieresti lo studio di uno strumento musicale?

Certamente sì, a prescindere dal fatto che poi si possa avere o

Roy Paci & Aretuska (ph. Atraz)

ROY PACI

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I grandi della

fotografia

A cura di

Maria Grazia Dainelli

Giorgia Fiorio

Una fotografa alla ricerca dell’invisibile oltre il velo del visibile

di Maria Grazia Dainelli / foto Giorgia Fiorio

Come e quando nasce la tua passione per la fotografia?

Contrariamente a quanto si pensi, sin dall’inizio la fotografia

è stato non qualcosa che potessi scegliere di “rappresentare”,

ma una sorta di compulsione in cui al contrario si è stati

scelti. La chiave di accesso è una figura, la memoria dell’immaginario

di cose mai viste. Un immaginario “cieco”, colto da una

percezione interiore. Dietro alle mie fotografie, nonostante comportino

sempre molto studio, c’è un continuo senso di inadeguatezza

rispetto alla visione interiore. La fotografia non risponde, è

un orizzonte di interrogativi dinanzi al quale mi pongo tentando

di restituire qualcosa di quanto mi appare.

Come nasce il progetto Uomini?

Sono sempre stata invincibilmente attratta da ciò che mi era

inaccessibile. Il primo tra questi mondi è stato quello delle comunità

chiuse maschili, realtà apparentemente vicine ma per

me impenetrabili. Comunità rette da vincoli di fratellanza, da

codici d’onore come quelli della Legione Straniera, dei pugili

di colore, dei pompieri americani, dei toreri e tutti gli uomini

di mare. Ciò che cercavo era quella tensione compulsiva tutta

maschile del confronto con una condizione “estrema” di vita.

Una dimensione violentemente corporea, aliena dallo scorrere

del nostro quotidiano, vita messa in gioco in nome di un

ideale. Qui i soggetti sono tutti intenzionalmente fotografati

con lo sguardo rivolto frontalmente alla camera fotografica per

stabilire un contatto visivo che consenta loro di portarsi come

dinanzi a loro stessi, nel ruolo di protagonisti ciascuno del

proprio “film”. Soltanto dopo il quarto anno, sul percorso di

questo lavoro ho realizzato che si trattava in realtà di un solo

progetto, Uomini.

Quanto conta la tecnica nella tua narrazione visiva?

Le facoltà percettive della visione non bastano e sono per me

sempre governate dal rigore formale e da una precisione tecnica

nel controllo sottile del mezzo. Utilizzo il formato quadrato perché

è la forma perfetta che iscrive ogni dinamica, nell’irradiarsi

di una centralità che comanda la visione. Il giorno in cui ho guardato

in una camera quadrata è stato come se non avessi mai visto

prima di allora.

Ti riconosci in qualche maestro?

Nella fotografia il mio primo grande maestro è stato Don McCullin,

che mi ha trasmesso il senso etico della responsabilità dinanzi

ad ogni scatto nel rispetto profondo del soggetto. È stata

importante anche Mary Ellen Mark che ho conosciuto all’International

Center of Photography di New York e di cui ho sempre

ammirato il rigore formale che ho voluto fare mio. Ci sono poi

Sebastião Salgado, grande signore della fotografia e amico, che

per molto tempo ha ispirato il mio lavoro, e infine Mimmo Jodice,

la cui mirabile metafisica del lavoro intorno alle statue ha segnato

l’avvio del progetto Humanum. Ho avuto un incontro con

il Dalai Lama al quale chiesi se vivere secondo spirito o secondo

ragione. Sua Santità alla mia domanda rispose rivolgendomi

un’altra domanda: cosa intendessi fare nella vita. Allora non facevo

ancora fotografie ma la fotografia era il cammino che intendevo

perseguire: «Si ricordi – mi disse – la fotografia è uno

strumento di grande potere, proprio come un’arma». La sua risposta

mi lasciò intravedere per la prima volta il senso e il disegno

del percorso da intraprendere. Negli ultimi anni ciò che mi

guida è una dimensione interiore, una metafisica della figura dove

non si tratta di realizzare immagini – altre repliche di quanto

ci appare e di cui diciamo che “esiste” – ma la figura di ciò che è

velato tra le pieghe del visibile.

Come nasce il progetto Il Dono?

Se lo sguardo di Uomini è rivolto verso altri uomini in un interscambio

di esperienze, nel Dono è invece quello stesso sguardo

che ognuno rivolge verso l’invisibile, l’inconosciuto, dove l’io indaga

l’identità spirituale nella dimensione del mistero. Una ricerca

che interseca diverse civiltà, a partire dalle più remote origini

del credere, dinanzi al mistero dell’esistenza visto da prospettive

culturali e spirituali, tra loro distanti, sebbene tutte contemplino

un medesimo afflato, un solo stesso interrogativo. In questo

senso, “dono” è il termine di contatto tra le diverse dimensioni

del credere. All’inizio del progetto, la perentorietà della presenza

corporea dei soggetti fotografati confissa nella carne

tatuata, trafitta, adorna, denudata o coperta, mi fece presagire di

essere mossa dallo spirito che stavo perseguendo. È stato Vittorio

Sermonti a farmi capire invece quanto il corpo sia l’evidenza

stessa del mistero, in quanto testimone dei due poli estremi

dell’esistenza. Si trattava di capire come tutto volgesse attorno

a questo cardine in entrata e in uscita. Nei rituali propiziatori

10

GIORGIA FIORIO


della nascita o del culto dei morti in cui qualcosa di inspiegabile

e tuttavia visibile “veniva alla luce”; questo era ciò che occorreva

cogliere, fotografare. Questo è stato anche il mio codice di

esclusione e di scelta tra espressioni di alterità religiose apparentemente

remote e discordi ma pur sempre segnate da una

medesima identità del sacro. Per questo progetto, di cui il libro

ha ricevuto l’alto patrocinio dell’UNESCO nel 2009, ho lavorato in

trentotto diversi paesi nei cinque continenti, dall’India all’Etiopia,

Cina, Perù, Brasile, Spagna e Polonia, ma non in Italia, poiché allo

stesso tema ha lavorato Ferdinando Scianna e non ero certa

di avere nulla da aggiungervi.

Il progetto Humanum, con i volti scolpiti nella pietra, traccia

un nuovo itinerario di ricerca?

I polittici dei lavori Humanum non sono “rappresentazioni” statuarie

di qualcuno che è vissuto ma interrogano la figura originaria

di ciò che chiamiamo “umano”, la figura archetipica di ciò che

vive di là dall’esistenza corporea. È la “memoria della vita” che,

impigliata nella forma scolpita, si anima attraverso la luce. La

presenza di questa figura statuaria trapassa la storia e si proietta

di là dalla misura temporale di una vita umana; non è un concetto

da spiegare ma qualcosa che è presente in ognuno e per

questo da ognuno riconoscibile. Humanum contempla ciò che

c’è oltre il visibile, quanto è nell’ombra e che il mezzo della luce

rivela come espressione di una realtà interiore.

Qual è il fil rouge della tua poetica?

La vita non è qualcosa che si possiede; al contrario, ci possiede

e ci trapassa come un proiettile. Mi interessa questo attraversamento

che lega tra loro i tre progetti del mio percorso.

Di questi, il primo Uomini è segnato dalla dimensione sociale

dell’esistenza. Il Dono è invece mosso da un approccio umanistico;

infine, il progetto ancora in corso, Humanum, trascrive

l’epistemologia di ciò che codifica l’idea della figura umana.

Intravedo, infine, un ultimo lavoro, apparentemente agli antipodi

dei primi tre di cui è tuttavia la sintesi ultima, un lavoro intorno

ai poli terrestri. Non ho mai creduto alla fotografia come

rappresentazione ma come mezzo di conoscenza per indagare

l’inconosciuto e l’inconoscibile.

In una cultura sempre più improntata al potere delle immagini,

scattare “foto belle” è ancora sufficiente?

La massa di immagini che inonda i nostri giorni di copie del reale,

rischia di renderci ciechi non soltanto alla visione interiore

che ci guida, ma alla stessa realtà che ci accoglie e nella quale

sembra si sia dimenticato di essere immersi.

Fra le numerose docenze collabori anche con l’Università

Sant’Anna di Pisa...

della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e già direttore dell’Istituto

di Tecnologie della Comunicazione, dell’Informazione

e della Percezione della Scuola, ndr.) intorno allo sviluppo di

un nuovo paradigma tecnologico volto ad una fruizione introspettiva

del patrimonio dell’archeologia a partire dal progetto

Humanum. Ho inoltre lungamente collaborato con Lucio Milano

dell’Università Ca’ Foscari di Venezia intorno al capolavoro

sumero la Dama di Warka (IM 45434, Uruk 3200 BC), con il

quale abbiamo presentato un dispositivo museografico all’Iraq

Museum di Baghdad (2017-2018) che ha ricevuto il patrocinio

della commissione italiana dell’UNESCO. Inoltre, sin dall’avvio

del progetto Humanum, oltre ad Alain Schnapp della Sorbona,

mi ha accompagnato lo storico dell’arte Victor Stoichita, con

il quale ho tenuto un seminario al College de France nel 2018,

ospite della sua cattedra europea. Attualmente collaboro con

Giuseppe Vitiello, professore di Fisica Teoretica e della Teoria

di Campi Quantistici, che ha scritto un testo per il lavoro Humanum

e mi è di preziosa guida nello sviluppo del progetto intorno

ai poli terrestri.

Cosa ci insegna oggi la fotografia?

Ognuno è “bravo” soltanto a far ciò che sa fare. La fotografia

è un percorso maieutico dove più che di insegnare qualcosa,

si tratta di aiutare a individuare da sé i codici visivi attraverso i

quali vediamo ciò che si guarda. Accompagnare quindi la scoperta

di quanto consente ad ognuno di esprimere la propria

identità espressiva attraverso la fotografia.

www.giorgiafiorio.com

Più che docenze si è trattato di avere il privilegio di lunghe collaborazioni

in cui ragionare assieme a grandi accademici. Nel

caso del Sant’Anna è stato un fitto e prezioso dialogo con Massimo

Bergamasco (professore ordinario di Meccanica Applicata

alle Macchine presso la Classe di Scienze Sperimentali

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11


Patrizia Bacarelli

I colori della natura

Giaggioli - primavera (2020), olio su tela, cm 100x100

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A cura di

Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli

Spunti di critica

fotografica

Ruth Orkin

Una leggenda della fotografia che

“cattura l’attimo”

di Nicola Crisci / foto Ruth Orkin

Ruth Orkin nasce a Boston nel 1921, ma passa l’infanzia

ad Hollywood con la madre Mary Rubi, diva del muto di

cui segue le orme diventando cineasta oltre che fotografa.

Nel 1940, per un breve periodo studia fotogiornalismo al

Los Angeles City College e nel 1943 si trasferisce a New York

dove collabora con i maggiori giornali e fotografa i più grandi

musicisti del mondo catturando gli aspetti più intimi della loro

personalità. Si sposa con il fotografo e regista Morris Engel e

insieme producono due film. Il suo scatto fotografico più famoso

è American girl in Italy (1951) che ritrae una giovane studentessa

americana, Nina Lee Craig, mentre passeggia in piazza

della Repubblica a Firenze tra gli sguardi curiosi di un gruppo

di uomini. Questa foto racconta uno spaccato del dopoguerra e

di come l’Italia e gli italiani fossero visti allora in America. No-

I giocatori di carte (New York, 1947)

American girl in Italy (Firenze, 1951)

nostante il giornale a cui voleva vendere il servizio non abbia

voluto acquistarlo, l’immagine e la protagonista sono divenute

immortali, non solo perché si tratta di una delle foto più famose

scattate a Firenze, ma anche perché all’epoca andrò incontro

alle critiche delle femministe che la ritennero offensiva per

le donne. Ruth Orkin ha sempre spiegato che il messaggio dello

scatto voleva essere di solo ammirazione e curiosità: «La scelsi

perché era bella, luminosa e, diversamente da me, era alta: doveva

sembrare una Beatrice della Divina Commedia che passava

attraverso questa dozzina

di uomini». Nel 1953, insieme

al marito Morris Engel e a Ray

Ashley dirige Il piccolo fuggitivo,

vincitore del Leone d’Argento

al Festival del Cinema di

Venezia. Un’altra sua sequenza

famosa, intitolata Giocatori

di carte, con protagonisti

alcuni ragazzini impegnati in

una partita di carte, venne inclusa

nella mostra The Family

of Man, organizzata da Edward

Steichen al MoMa nel 1955.

Gradini imbiancati (New York, 1952)

Un ragazzo si tuffa nel fiume Hudson (New York, 1948)

RUTH ORKIN

13


Incontri con

l’arte

A cura di

Viktoria Charkina

Casa Schlatter

Uno scrigno di arte e storia a Firenze

di Viktoria Charkina / foto courtesy Casa Schlatter

Lungo il viale dei Mille a Firenze si trova Casa Schlatter,

un misterioso villino appartenuto al pittore spirituale

scomparso nella metà del Novecento, Carlo Adolfo

Schlatter. Nato a Roma, la sua particolare storia è fortemente

legata alla vicenda della sua famiglia. Il padre, Louis Gourges,

di origini nobili svizzere, si trasferisce in Italia alla metà dell’Ottocento,

dopo essere stato nominato console generale svizzero

dello Stato Pontificio. La vita serena di Louis Gourges va incontro

al declino quando, a seguito della presa di Roma e della successiva

proclamazione dell’Unità d’Italia, tutte le sue proprietà

vengono confiscate e annesse al nuovo Stato. I vari tentativi di

fare causa al governo e di richiamare la giustizia purtroppo non

portano a niente se non a provocare in lui la depressione. Così,

la perdita delle forze e della speranza conducono Louis Gourge

alla morte ad appena 51 anni. La moglie, Emilie De La Morte,

colpita dal tragico evento e rimasta sola con il piccolo Carlo

e altri due figli, decide di trasferirsi a Firenze dove raggiunge la

sorella, sposata con un altro dei fratelli Schlatter. Nella città toscana

la sua vita rivedrà ancora una volta la luce, quando, dopo

essersi recata regolarmente al Cimitero degli Allori sulla tomba

del marito, lungo il percorso incontrerà quello che diventerà il

suo secondo marito, restituendole amore e nuove forze vitali. Incredibilmente,

anche Carlo Adolfo incontra la sua futura moglie,

Emma Moni, percorrendo la stessa strada sul Lungarno. Conoscendo

la storia di suo padre, che aveva subito enormi sofferenze

a causa della perdita dei possedimenti materiali, Carlo Adolfo

decide presto di non cercare la felicità o la serenità nel mondo

materiale. Il suo percorso personale si concentra infatti sulla ricerca

della spiritualità e sul dialogo con l’eterno. Il mezzo per

aprire la propria anima al mistero diventa la pittura. Per quanto

dal punto di vista tecnico il suo linguaggio dialoghi con la produzione

dei Macchiaioli, del decadentismo e del simbolismo (in

particolare con l’opera di Arnold Böcklin, anche lui residente in

quel periodo a Firenze), l’artista conferisce alle proprie opere il

tono di una profonda ricerca teologica. La passione filosofica

e spirituale avrà esiti non solo nell’arte figurativa ma anche nei

numerosi manoscritti tutt’oggi reperibili nella sua casa museo.

Nonostante la stima verso altri pittori, le frequentazioni e le numerose

partecipazioni a mostre d’arte, il suo percorso umano lo

porta su una strada del tutto originale. Infatti, Carlo Adolfo decide

di non inserirsi pienamente nel panorama artistico, rifiutando

fin dall’inizio il mercato dell’arte. Decidendo di non mettere

mai in vendita nessuno dei propri quadri, vive una vita semplice,

traendo i profitti dal lavoro artigianale. È convito che le sue opere

siano cariche di grande spiritualità, per questo usa l’arte come

un mezzo per comunicare con l’eterno e lascia scritto ai suoi

eredi di continuare questa tradizione. I forti principi lo portano

ad una ricca produzione artistica ma anche agli scontri con la

famiglia della moglie. Anche lei di illustri origini, figlia di un ge-

Il salone di Casa Schlatter oggi

Uno scorcio degli interni

14

CASA SCHLATTER


nerale del corpo di armata, fu talmente colpita dal giovane Carlo

che finì diseredata. La devozione fu reciproca; ne è testimonianza

la scritta A Emma dedico la mia opera che fu sua per sacrifizio

e per amore all’entrata della loro casa sulla destra del corridoio

che porta nell’immenso doppio salone. Schlatter era convinto

che niente l’avrebbe mai separato dalla sua amata in quanto

per lui la vita terrena rappresentava soltanto l’inizio del percorso

vitale dell’anima. Rifiutando anche il rito del funerale in quanto

non credeva nella morte, oggi il pittore continua a vivere nelle

sue tele che lo rendono eterno e lo legano per sempre alla memoria

del capoluogo toscano. Oggi Casa Schlatter è un bed&-

breakfast che organizza anche visite guidate, permettendo

così di scoprire e di immergersi nelle opere e nello studio di

Carlo Adolfo Schlatter.

Casa Schlatter

Viale dei Mille 14 / 50131 Firenze

www.casaschlatter-florence.com

+39 3471180215

info@casaschlatter-florence.com

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Carlo Adolfo Schlatter, Autoritratto a trent’anni (1903), olio su tela, cm 69x90

C. A. Schlatter, Idillio (1897 ca.), olio su tela, cm 233x152

CASA SCHLATTER

15


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famosa artista esponente artista polacca polacca dell’Art Art déco Art Deco Deco Tamara Tamara de Lempicka de de Lempicka che è stata che che anche è è stata una stilista, anche una promotrice stilista , , promotrice di stile e una di delle

famosa

stile prime stile e una e donne una delle delle ed prime artiste prime donne impegnate donne ed ed artiste a artiste favorire impegnate l’emancipazione a a favorire femminile. l'emancipazione L’Autoritratto delle in Bugatti donne.Il verde suo è il motto dipinto

"Autoritratto di Tamara in Buggatti in e Buggatti l’emblema Verde” Verde” della divenne libertà divenne e il dell’indipendenza motto il motto dipinto di della di Tamara donna de moderna. Lempicka. Il premio ed ed emblema Tamara Art della Award è dedicato

libertà ed alla ed libera indipendenza interpretazione della della donna donna e rappresentazione moderna. Il premio Il della premio donna Tamara emancipata, Art Art Award proprio è è per dedicato ricordare alla la libera personalità di

Tamara interpretazione de Lempicka,

libertà

della della il suo rappresentazione carattere forte

di

e di donna

l’innato donna glamour emancipata, che ha influenzato proprio per per il ricordare look di tante

la la personalità donne. L’artista

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Tamara era

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legata de Lempicka, Lempicka, a Venezia,

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per i suoi frequenti viaggi studio sul manierismo toscano da lei tanto apprezzato. In occasione della seconda

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parte nell'ambito dell'evento "Tamara-glamour della donna eterna" organizzato da Studio un’ope-

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Artemisia e de Lempicka Estate. I venti finalisti che parteciperanno all'evento riceveranno le

Artemisia e de Lempicka Estate. I venti finalisti che parteciperanno all'evento riceveranno le

certificazioni personalizzate e saranno inclusi nel catalogo dell'evento .I primi tre classificati oltre

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prestigiose targhe premio, riceveranno alcuni dei seguenti riconoscimenti : pubblicazioni dedicate alla

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A cura di

Luciano e Ricciardo Artusi

Curiosità storiche

fiorentine

Il Carnevale

La più allegra e spensierata delle festività

di Luciano e Ricciardo Artusi

Questa antica festività, detta nell’uso

toscano anche “Carnovale”,

è quella gaudente scansione

di tempo che decorre dal giorno

successivo all’Epifania a quello antecedente

le Ceneri. Il Carnevale, in tempi

lontani, indicava non soltanto questo periodo

dell’anno ma anche tutte le manifestazioni

festose che avevano luogo in

tale particolare momento di allegria collettiva.

L’etimologia della parola Carnevale,

secondo alcuni storici, deriverebbe dal

vocabolo assai più antico “Carnasciale”

cioè “carne a scialo” consumata per l’occasione

in grande abbondanza (in modo

particolare a Berlingaccio), unitamente

alla voglia di divertirsi e di scherzare. Il

motto latino semel in anno licet insanire

sentenziava che almeno una volta all’anno

si potesse “impazzire” dalla gioia di vivere

ed i fiorentini, sempre pronti al divertimento ed alla gaiezza

spensierata, aggiungevano che “a Carnevale ogni scherzo

vale”, distinguendo però che le burle fossero lecite e non licenziose

in quanto era risaputo che lo “scherzo di mano” era

da sempre considerato “scherzo da villano”. E certamente

villano era l’uso dei giovani fiorentini popolani ma anche appartenenti

a nobili famiglie di mascherarsi nelle più strane

fogge ed andare in giro per la città passandosi fra di loro a

furia di calci, una grossa palla di stracci la quale, guarda caso,

finiva sempre per colpire qualche ignaro passante o finire

nelle botteghe di quegli artigiani che, nonostante la gioconda

festività, lavoravano imperturbabili. Il popolo si divertiva

di questo molesto gioco, specialmente quando le botteghe

prese a bersaglio erano quelle dei rigattieri e ferrivecchi in

Mercato Vecchio: la palla di stracci colpiva la merce esposta

generando un gran fracasso per il cascare di pentole, paioli,

padelle, alari, ferri che suonavano come campanacci. A volte

quei “giocatori di calcio improvvisato” prendevano di mira

Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo

Giovanni Signorin, Il Carnevale a Firenze in Piazza Santa Croce (1846), olio su tela, Galleria di Arte

Moderna, Palazzo Pitti

ragazze o distinte signore costringendole a fughe precipitose

in casa o nella chiesa più vicina. Scherzi, risate, fischi e

baccano erano gli ingredienti essenziali di uno sfrenato divertimento

che si ingentiliva quando venivano coinvolti anche

distinti ed importanti personaggi senza distinzione di

ceto, ordine e condizione. Per Carnevale era così dato modo

di divertirsi e di spassarsela: nelle vie si cantava, si ballava,

si cenava con carne a “scialo” senza risparmio. L’usanza

di mangiare la “ciccia” almeno nel giorno di Berlingaccio (ultimo

giovedì di Carnevale o giovedì grasso) era talmente in

uso nella nostra città da determinare il proverbio popolare:

Per Berlingaccio chi non ha ciccia ammazzi i’ gatto! Del resto

lo stesso termine “berlingaccio” aveva origine dall’antico

vocabolo “berlengo” che significava “tavola imbandita,

mensa, luogo dove si gozzoviglia”. In quei lieti giorni la città

era senz’altro più allegra e spensierata di sempre e personalità

come il letterato Benedetto Varchi, lo storico Jacopo

Nardi ed il cancelliere della Repubblica Fiorentina Niccolò

Cornici Ristori Firenze

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Via F. Gianni, 10-12-5r

50134 Firenze

Machiavelli amavano mascherarsi

e unirsi alle allegre brigate per

partecipare ai “canti carnascialeschi”

dove, accompagnati da

armoniose melodie, cantavano

canzoni licenziose o castamente

liete, oppure già famose come

quella nota scritta da Lorenzo il

Magnifico: «Quant’è bella giovinezza

che si fugge tuttavia. Chi

vuol esser lieto sia…».

IL CARNEVALE

17


Personaggi nel

mondo

Lolita Valderrama Savage

Artista internazionale da sempre legata a Firenze, ha preso parte con alcune opere al

progetto Tableaux of Amico Fritz promosso dal Teatro Grattacielo di New York

di Daniela Pronestì

Più volte, negli scorsi anni, le pagine di questa

rivista hanno raccontato la storia dell’artista

internazionale Lolita Valderrama Savage. Pittrice

di origini filippine da anni residente a Stamford,

nel Connecticut, Lolita è legata alla città di Firenze dal

1973, anno in cui vi si trasferisce, dopo vari spostamenti

in Europa, per frequentare l’Accademia di Belle

Arti. In questo periodo completa la sua formazione

artistica, grazie anche all’incontro con maestri come

Silvio Loffredo, ed impara ad apprezzare le bellezze

naturalistiche della Toscana, che da allora diventano

uno dei soggetti più ricorrenti nella sua pittura. Questo

lungo ed ininterrotto rapporto “d’amore” con la

città del giglio è stato suggellato anche da importanti

mostre in sedi istituzionali, come la personale nel

2019 nella sede del Consiglio Regionale della Toscana.

La incontriamo, in questa occasione, per parlare

di un’iniziativa che la vede coinvolta, insieme ad Enzo

Pizzimenti e Stefanos Koroneos – rispettivamente

presidente e direttore artistico del Teatro Grattacielo

di New York –, nella realizzazione di Tableaux of Amico

Fritz, progetto nel quale cinque suoi dipinti hanno

offerto lo spunto visivo per un riadattamento della celebre

opera lirica di Pietro Mascagni. A ciascun quadro,

è stato associato un brano de L’Amico Fritz e una

parola chiave attraverso la quale offrire al pubblico

uno spunto interpretativo.

Come hai conosciuto il Teatro Grattacielo?

Ho scoperto l’attività del Teatro Grattacielo grazie al

direttore artistico Stefanos Koroneos. Ho sentito par-

Lolita Valderrama Savage (ph. Carlo Midollini)

18

LOLITA VALDERRAMA SAVAGE


lare di lui dalla giornalista fiorentina Anna Balzani ed ho chiesto

di poterlo conoscere. Dopo di lui ho incontrato anche il

presidente del Teatro, Enzo Pizzimenti: era novembre 2021,

ci trovavamo entrambi a Firenze e ci siamo visti nella mia casa

in Piazza della Signoria. Sia di Stefanos che di Enzo mi ha

colpito fin da subito la loro autentica e profonda passione per

l’opera lirica e per l’arte. Sono rimasta affascinata dalla dedizione

con la quale portano avanti l’attività del Teatro, ponendosi

come obiettivo quello di diffondere non solo negli Stati

Uniti ma nel mondo la conoscenza della cultura italiana e di

supportare i giovani artisti.

Qual è il tuo rapporto con la musica?

Adoro la musica, non posso farne a meno. È una passione

che mi scorre nelle vene fin da quando ero bambina. Le mie

zie erano musiciste, mio padre componeva musica, sono cresciuta

in mezzo alle note e all’arte. La musica mi accompagna

sempre, anche mentre dipingo, senza di lei non potrei

mai creare. È per me una continua fonte di ispirazione; mi

emoziona, mi fa commuovere, mi fa sentire viva.

Cosa ti ha spinto a prendere parte al progetto Tableaux of

Amico Fritz?

Mi sono fatta letteralmente travolgere dall’entusiasmo di Stefanos,

che ha scelto le opere, e di Enzo. Non potevo dire di

no. È un progetto talmente bello che farne parte è per me motivo

di grande soddisfazione, non solo perché mi emoziona

l’idea di legare la mia pittura alla musica, ma anche perché

come artista ho sentito il dovere di dare un mio contributo

al superamento del drammatico periodo che abbiamo attraversato

negli ultimi due anni. La pandemia ci ha fatto capire

quanto l’amore sia fondamentale nelle nostre vite, quanto

sia bello trascorrere del tempo con gli amici, con gli affetti

familiari, riscoprire valori come la solidarietà, l’aiuto reciproco.

Lo scopo dell’arte è appunto quello di mettere insieme le

persone, offrire loro una speranza nei momenti difficili. Questo

progetto ha il grande merito di far comprendere, soprattutto

alle nuove generazioni, lo straordinario potere dell’arte

e della bellezza, due cose delle quali davvero non possiamo

fare a meno perché danno senso alla vita, nutrono la mente

e innalzano lo spirito. Insomma, ci rendono persone migliori!

Più volte nella tua carriera artistica hai aderito ad iniziative

che avevano come finalità quella di dare sostegno ai giovani.

Vale la stessa cosa anche in questo caso?

Sì, certamente. Uno degli aspetti che mi più mi piace di questo

progetto è il fatto che il Teatro Grattacielo metta a disposizione

delle borse di studio per alcuni dei giovani che vi

prenderanno parte. La trovo un’iniziativa meritoria, soprattutto

in un periodo critico come quello attuale. I giovani sono

stati senza dubbio i più colpiti dalla pandemia, quelli che più

di altri ne pagheranno le conseguenze psicologiche a lungo

termine. Gli è stata negata la possibilità di andare a scuola,

incontrare gli amici, socializzare, vivere con la spensieratezza

necessaria per la loro età. Molti di loro hanno perso la

Mercatale, olio su tela; quest’opera è stata inclusa nel progetto per richiamare il

concetto di “spiritualità”

Il raccolto, olio su tela; una delle cinque opere coinvolte in Tableaux of Amico

Fritz come rimando al concetto di “tradizione”

speranza, sono tristi e demotivati. Hanno davanti un futuro

incerto, minacciato da guerre, malattie, inquinamento, catastrofi

naturali. Il nostro compito come adulti è aiutarli a risollevarsi

e a realizzare i loro sogni. Sostenere i giovani artisti di

tutto il mondo, come fa il Teatro Grattacielo, è una missione

nobilissima, e mi onora poter dare il mio contributo.

Dopo Tableaux of Amico Fritz, la tua collaborazione con il

Teatro Grattacielo prosegue con un altro progetto…

È tutto merito di Stefanos, della sua vulcanica creatività. Mi

ha chiesto di mettere a disposizione per la messinscena del

Don Giovanni alcuni miei disegni realizzati mentre ero in Spagna.

Ovviamente, ho risposto di sì! E devo dire che mi ha

sorpresa vedere i miei disegni trasformati in installazioni luminose

così d’impatto ed affascinanti.

LOLITA VALDERRAMA SAVAGE

19


Personaggi nel

mondo

Enzo Pizzimenti

Presidente del Teatro Grattacielo di New York e fondatore della Camerata Bardi, promuove

iniziative in favore della diffusione della cultura italiana nel mondo

di Daniela Pronestì / foto courtesy Teatro Grattacielo

Calabrese di nascita, dal 1974 Enzo Pizzimenti vive negli

Stati Uniti, dove si è trasferito, in giovane età, per

completare gli studi. Ad una brillante carriera nel settore

del real estate, ha affiancato negli anni un’importante

attività a sostegno della diffusione della cultura italiana in

America. Profondo conoscitore dell’opera lirica – ha studiato

da tenore –, ha fondato la Camerata Bardi, accademia per

la formazione canora di giovani e adulti, e da due anni ricopre

il ruolo di presidente del Teatro Grattacielo di New York.

Lo abbiamo intervistato per farci raccontare, insieme alla sua

pluridecennale esperienza nella promozione delle eccellenze

artistiche italiane nel mondo, il recente incontro a Firenze

con l’artista internazionale Lolita Valderrama Savage per lavorare

insieme al progetto Tableaux of Amico Fritz promosso

dal Teatro Grattacielo. Gli abbiamo chiesto inoltre un parere

su come l’Italia possa meglio divulgare all’estero la conoscenza

del proprio patrimonio culturale, valorizzandolo anche

come fonte di ricchezza economica.

Quando hai iniziato ad appassionarti all’opera lirica?

Ho cominciato a studiare canto lirico come tenore da un maestro

italiano all’età di cinquant’anni. Penso che il canto sia

una delle forme d’arte più belle da imparare, fa bene non solo

allo spirito ma anche alla salute perché insegna a respirare

con il diaframma e quindi ad ossigenarsi meglio. Frequentando

quest’ambiente, mi sono appassionato all’opera ed ho

deciso di impegnarmi personalmente per divulgarne la conoscenza

al pubblico americano. Ho iniziato a promuovere

la cultura italiana con la Columbus Foundation della quale

faccio parte e due anni dopo ho fondato la Camerata Bardi,

un’accademia di canto lirico per giovani e meno giovani.

Ho scelto di chiamarla così per omaggiare le origini italiane

del “recitar cantando” attraverso quella che fu, nel XVI secolo,

l’attività della Camerata de’ Bardi a Firenze, città che amo

e dove mi reco spesso.

Come hai conosciuto il Teatro Grattacielo?

Il merito è del direttore artistico del Teatro Grattacielo Stefanos

Koroneos, che ho conosciuto perché era spesso ospite,

in qualità di cantante, di una compagnia di opera lirica della

quale sono presidente nella città dove abito. Due anni fa, è

venuto a trovarmi con la fondatrice del Teatro Grattacielo per

chiedermi di collaborare con loro. È stato talmente convincente

che non ho potuto dirgli di no. Ho accettato l’incarico di

presidente e insieme ci siamo messi a lavorare con dedizione

e passione per promuovere ed incrementare l’attività del Te-

Enzo Pizzimenti

atro Grattacielo. In poco tempo, siamo riusciti a farci conoscere

anche fuori degli Stati Uniti e ad oggi collaboriamo con

teatri e scuole in ogni parte del mondo. Abbiamo affiancato

l’attività del Teatro a quella della Camerata Bardi, e quindi la

realizzazione degli spettacoli all’attività didattica dell’accademia.

Sono due realtà distinte che però operano in sinergia

per far conoscere soprattutto alle nuove generazioni la bellezza

del canto lirico italiano.

E l’incontro con Lolita Valderamma Savage com’è avvenuto?

Mi è stata presentata dalla giornalista Anna Balzani mentre

mi trovavo a Firenze. Lolita è un’artista straordinaria, una

donna sensibile alla bellezza ed amante della cultura italiana.

La sua collaborazione con il Teatro Grattacielo mi rende

davvero felice, perché anche grazie a lei stiamo riuscendo a

far conoscere la nostra attività fuori dagli Stati Uniti.

Sostieni che l’opera lirica sia la più alta e compiuta espressione

del Made in Italy, perché?

Sì, è vero, sono convinto che tra tutte le “invenzioni” italiane

quella dell’opera lirica sia la più geniale e completa perché

comprende tutto: il canto, le arti visive, la storia, i costumi,

la prosa. Attraverso la messinscena di un’opera lirica possiamo

rivivere un’epoca lontana, ripercorre l’arte e la storia del

20

ENZO PIZZIMENTI


passato. È un modo anche per far sopravvivere la nostra lingua,

visto che tutti i cantanti lirici del mondo devono studiare

l’italiano per vocalizzare e leggere il libretto dell’opera. E poi

non dimentichiamo che si tratta di una forma d’arte totalmente

Made in Italy: l’abbiamo inventata noi, tutto il mondo ce la

invidia, dovremmo esserne fieri. Per tutti questi motivi penso

che non ci sia modo migliore e più efficace per divulgare la

cultura italiana all’estero se non attraverso l’opera lirica. Peccato

però che proprio in Italia i progetti del Teatro Grattacielo

fatichino ad essere accolti: ci chiamano da ogni parte del

mondo per mettere in scena i nostri spettacoli o aderire alle

nostre iniziative per le scuole. L’anno scorso in Grecia abbiamo

realizzato ben tredici spettacoli, mentre in Italia ancora

nessuno. E questo, da italiano che ama il proprio paese, mi

dispiace davvero tanto.

Com’è l’Italia vista da un italoamericano che come te diffonde

la conoscenza delle bellezze artistiche del nostro

paese all’estero?

Se dovessi dare un voto da 0 a 10 al modo in cui l’Italia promuove

sé stessa al di fuori dei confini nazionali darei 1.

Questo perché, al di là degli istituti di cultura italiana, che

peraltro sono luoghi frequentati per lo più da emigrati italiani,

il nostro paese non fa granché d’altro per promuovere

il proprio patrimonio artistico all’estero. Una situazione a

mio parere inaccettabile, soprattutto perché potremmo fare

della cultura il vero motore dell’economia italiana. Purtroppo

l’Italia continua ad adagiarsi sulla grandezza del proprio

passato, a vivere di eredità, mentre dovrebbe invece darsi

da fare affinché l’immensa bellezza artistica che i nostri

avi ci hanno lasciato sopravviva nel tempo generando nuova

ricchezza. Spesso dimentichiamo che l’Italia rappresenta

soltanto lo 0,6% della popolazione mondiale: dobbiamo

quindi faticare di più per non farci schiacciare dalla concorrenza,

ma abbiamo dalla nostra parte delle opere incredibili

e un talento creativo unici al mondo. Il colmo è che

la cultura italiana piace di più agli stranieri che agli italiani

stessi. Posso farti l’esempio degli Stati Uniti, dove tutto ciò

che è arte e creatività italiana, è tenuto in grande considerazione.

Che altro aggiungere? Mi auguro che quest’intervista

serva ad aprire degli spiragli per iniziare a collaborare

anche con Italia, magari proprio con Firenze, madrepatria

del bel canto.

Un momento della messinscena de L’Amico Fritz di Mascagni da parte della compagnia del Teatro Grattacielo nel 2021 (ph. Gustavo Mirabile)

ENZO PIZZIMENTI

21


Personaggi nel

mondo

Stefanos Koroneos

Dopo una carriera internazionale come cantante lirico, da due anni è

direttore artistico del Teatro Grattacielo

Il suo obiettivo è divulgare la conoscenza dell’opera lirica italiana nel mondo coinvolgendo

soprattutto le nuove generazioni

di Daniela Pronestì / foto courtesy Teatro Grattacielo

Dopo una carriera internazionale come cantante lirico,

Stefanos Koroneos, greco di nascita, americano

d’adozione e italiano per amore del “bel canto”, da

due anni è direttore artistico del Teatro Grattacielo di New

York, che con lui ha preso un nuovo indirizzo, più orientato

all’integrazione dei linguaggi artistici e al coinvolgimento

dei giovani attraverso le nuove tecnologie. La sua profonda

conoscenza dell’opera lirica, l’entusiasmo e la passione

che trapelano da ogni sua scelta fanno di lui una delle figure

trainanti, insieme al presidente Enzo Pizzimenti, del Teatro

Grattacielo. In questa intervista racconta di progetti già

messi a segno e di altri ancora in corso, incluso Tableaux

of Amico Fritz, riadattamento per le scuole dell’opera di Mascagni

realizzato in collaborazione con l’artista Lolita Valderrama

Savage.

Raccontaci un po’ di te e di come sei arrivato a ricoprire il

ruolo di direttore artistico del Teatro Grattacielo.

Sono stato un cantante professionista per venticinque anni,

ho cantato un po’ dappertutto, in vari teatri del mondo,

anche se gran parte della mia attività si è svolta in Italia, a

Milano e specialmente a Parma con la Fondazione Toscanini.

Mi ha sempre incuriosito conoscere la parte amministrativa

dei teatri. Un po’ di anni fa mi fu data la possibilità

di affiancare la fondatrice del Teatro Grattacielo e di imparare

grazie a lei il lavoro di chi amministra una compagnia

teatrale. Quando la signora ha deciso di ritirarsi, mi è stato

chiesto dal consiglio di amministrazione del Teatro di assumerne

la direzione artistica, proposta che ho accettato molto

volentieri.

In che modo è cambiata l’attività del Teatro in questi ultimi

due anni?

Fino a due anni fa il Teatro Grattacielo è stata una compagnia

dedita alla messinscena di opere liriche italiane di

stampo verista in forma di concerto, con tanto di orchestra

e di libretto tradotto in inglese per il pubblico americano.

Personalmente, coltivo da sempre una grande passione

per le arti visive e per la possibilità di integrare i linguaggi

artistici in un’ottica multidisciplinare. Per questo motivo,

il mio lavoro con il Teatro Grattacielo in questi due anni è

stato volto a combinare diverse forme d’arte nella messin-

Stefanos Koroneos

scena degli spettacoli, coniugando il canto con opere di pittura

o scultura inserite nel racconto. Il primo spettacolo di

questo genere è stato la Fedora di Giordano nel 2020, il secondo

L’Amico Fritz di Mascagni nel 2021 e per il prossimo

giugno stiamo preparando Giulietta e Romeo di Zandonai.

L’altro aspetto sul quale ho lavorato riguarda la mission del

Teatro Grattacielo, che è quella di far conoscere l’opera lirica

alle nuove generazioni, le quali, come sappiamo, sono

solitamente convinte che l’opera sia un “pezzo da museo”,

un’espressione artistica antiquata e noiosa. Ho quindi cercato

il modo di incuriosirli, di catturare la loro attenzione.

22

STEFANOS KORONEOS


I due interpreti di Tableaux of Amico Fritz

Com’è nato il progetto per le scuole Tableaux of Amico Fritz?

È nato dopo aver conosciuto Lolita Valderrama Savage. La

sua pittura mi ha entusiasmato, ho pensato subito che avrei

dovuto coinvolgerla in un progetto. Per questa ragione, ho

individuato cinque suoi dipinti per me particolarmente significativi

e a ciascuno di questi ho abbinato un estratto

dell’opera di Mascagni, per una durata totale dei brani di

circa 13/14 minuti. Come trait d’union tra pittura e canto,

ho scelto cinque parole chiave, una per ogni dipinto, leggendo

le quali i ragazzi possono conoscere fin da subito

alcune tematiche che troveranno poi negli estratti dell’opera

lirica ma possono prima ancora commentare queste parole

filtrandole attraverso le proprie esperienze. L’intento è

renderli protagonisti, parte attiva del progetto e non soltanto

spettatori.

revo molto tempo in mezzo alla natura,

i miei migliori amici erano gli alberi,

i fiori, la terra. Allo stesso modo, la parola

traditions è densa di suggestioni:

mi è venuta in mente osservando il

quadro di Lolita in cui la raccolta del

grano richiama l’idea di una tradizione

contadina che si tramanda di generazione

in generazione. E quindi qualcosa

che ci lega saldamente alle nostre

radici familiari, culturali, etc. . Molto

importante è anche la quinta parola

chiave, il “potere dell’amore”, che in

un certo senso contiene tutte le altre,

proprio come accade ne L’Amico Fritz,

dove i due protagonisti, soprano e tenore,

si abbandonano alla forza dell’amore

dopo un percorso che li vede

riscoprire sé stessi, la propria interiorità,

l’attaccamento alle radici.

Quali sono queste parole chiave e in base a quali criteri le

hai scelte?

I giovani come hanno accolto questa tua iniziativa?

Stiamo avendo un’ottima risposta dalle scuole, sia in America,

a Miami, Chicago e Indianapolis, che all’estero, anche

in paesi lontani come le Filippine. Finora i feedback raccolti

sono più che positivi, e questo mi fa molto piacere. Non

volevo assolutamente che si riproponesse la situazione alla

quale mi è capito spesso di assistere durante ad esempio

le recite scolastiche, con i ragazzi in platea annoiati, distratti

dal telefonino o intenti a parlare tra di loro.

Secondo te, cosa cattura di più la loro attenzione?

In generale penso che i giovani siano attratti soprattutto

dalla parte artistica, e in particolare da quella che prevede

il ricorso alla tecnologia e ai linguaggi multimediali.

Le parole chiave sono earthiness, che in italiano

possiamo tradurre come “connessione

con la terra”, transitions (transizioni),

traditions (tradizioni), spirituality (spiritualità)

e power of love (il potere dell’amore).

Le ho scelte ispirandomi alle opere di Lolita,

che mi hanno molto emozionato e fatto

pensare a come avrei potuto legare questi

concetti, e quindi anche i relativi dipinti,

al capolavoro di Mascagni. Ciascuna di

queste parole sottende una grande varietà

di significati perché lo scopo non è dare ai

ragazzi un’interpretazione univoca ma offrire

loro un ventaglio di possibilità. La parola

earthiness, ad esempio, può voler dire molte

cose: a me personalmente ha fatto ricordare

quando da bambino, nel paesino del

Peloponneso dove sono cresciuto, trascor-

Un momento della registrazione del progetto Tableaux of Amico Fritz

STEFANOS KORONEOS

23


Per quanto riguarda Tableaux of Amico Fritz,

mi è capitato di assistere alla presentazione

del progetto in una scuola di Miami: ho notato

che i ragazzi, circa 200, erano contenti di

commentare le parole chiave, darne un’interpretazione

personale, ma la cosa ancora più

bella è stata notare la loro attenzione quando

è venuto il momento di ascoltare la parte

musicale. Non so quanti di loro continueranno

in futuro ad ascoltare musica lirica, se

qualcuno deciderà magari di studiare canto

o di approfondire la conoscenza dell’opera.

L’importante per me è fargli capire che la lirica

è un’arte che può parlare anche ai giovani;

non è qualcosa di vecchio o stantio ma è un

concentrato di creatività e bellezza che tutti,

a qualunque età, possono apprezzare.

Come si accede al progetto?

Per via del Covid, abbiamo pensato che rendere

il progetto fruibile online, attraverso l’interfaccia

del computer, ci avrebbe consentito

di arrivare ai giovani, nelle scuole, più facilmente.

Lo svolgimento è abbastanza semplice:

per prima cosa forniamo ai docenti un

testo illustrativo dei contenuti e degli obiettivi

da raggiungere; il passaggio successivo è il coinvolgimento

dei ragazzi, ciascuno dei quali fruisce dei contenuti

stando davanti al proprio computer. Per le scuole che lo volessero,

ci sono altre due possibilità: realizzare il progetto

in presenza con l’utilizzo di un proiettore oppure affidare

la presentazione a due professionisti del Teatro Grattacielo

che, collegandosi online con la classe, spiegano l’opera

ai ragazzi e interagiscono con loro. Alla fine dell’esperienza,

chiediamo agli studenti che lo vogliono di inviarci un loro

commento scritto. Agli elaborati migliori assegneremo due

borse di studio, 500 dollari ciascuna, appositamente istituite

dal Teatro. È importante ricordare che l’accesso al progetto

da parte delle scuole è totalmente gratuito.

La pandemia ci ha insegnato che le nuove tecnologie servono

anche per fare cultura; che impatto hanno avuto

sull’attività del Teatro Grattacielo?

Io sono totalmente a favore della tecnologia, i nostri spettacoli

prevedono sempre un elemento tecnologico perché

non hanno un set, una scenografia tradizionale. Ed è stata

proprio la tecnologia, durante questi due anni di pandemia,

a consentirci di far conoscere l’attività del Teatro Grattacielo

ad un pubblico internazionale e non più soltanto a quello

newyorkese. Grazie al Web siamo riusciti ad entrare nelle

case delle persone, a raggiungere gente che mai prima di allora

aveva sentito parlare di noi. E visto che il nostro obiettivo

è far conoscere, insieme alla lirica, anche la cultura e la

lingua italiana, la tecnologia può essere uno strumento molto

efficace e diretto per ottenere questo risultato.

La scultura a neon ispirata ai disegni di Lolita Valderrama Savage per l'opera Don Giovanni

A cosa stai lavorando adesso?

All’organizzazione dello spettacolo Giulietta e Romeo di Zandonai,

che verrà messo in scena il 4 e 5 giugno prossimi al

Wagner Park di New York. È un incarico molto importante,

un bel riconoscimento per il Teatro Grattacielo, sia perché

lo spettacolo ci è stato richiesto dal Lincoln Center, un’istituzione

newyorkese davvero prestigiosa, sia perché si terrà

nell’ambito di una delle manifestazioni culturali più importanti

dell’estate cittadina. La scelta dell’opera di Zandonai è nata

facendo il sopralluogo al Wagner Park: mi è bastato vedere

un muro, con mattoni rossi e due balconi, per pensare subito

alla vicenda dei due giovani protagonisti shakespeariani. Ho

previsto una messinscena molto particolare, con luci, proiezioni,

video, insomma qualcosa che, spero, emozionerà tanto

il pubblico. Il cast è enorme, ne fanno parte anche diversi

italiani, inclusi il direttore d’orchestra che è romano. Ovviamente,

tutto questo è possibile grazie al presidente del Teatro

Grattacielo Enzo Pizzimenti, senza il quale non avremmo

potuto raggiungere gli obiettivi messi a segno in questi ultimi

due anni. Enzo ama l’opera lirica e la cultura italiana più

di ogni altra cosa e s’impegna tantissimo, lavorando giorno

e notte, per portare avanti l’attività del Teatro. Altrettanto importante

è il contributo di Lolita, la cui arte è per me fonte

di continua ispirazione, tanto che, dopo l’opera di Mascagni,

l’ho coinvolta nella messinscena del Don Giovanni, che debutterà

prossimamente al Teatro Apollon di Ermoupolis a Syros,

con alcuni suoi disegni su carta che, trasformati in sculture

a neon da Tasos Protopsaltou, stage designer, e da Emorfili

Tsimplidou, lighting designer, fanno parte della scenografia.

24 STEFANOS KORONEOS


Associazioni in

Toscana

Associazione Toscana USA-ONLUS

Dal 1995 un punto d’incontro sociale, culturale ed economico tra la nostra regione e gli Stati Uniti

di Jacopo Chiostri / foto courtesy Associazione Toscana USA- ONLUS

Nonostante le difficoltà dell’emergenza pandemica, l’Associazione

Toscana USA-ONLUS è riuscita nel 2020 e

nel 2021 a condurre in porto buona parte delle proprie

iniziative tradizionali. In particolare, come tiene a sottolineare il

presidente dell’associazione, Maurizio Mancianti: «Siamo riusciti

a rimanere vicini con attività di raccolte fondi alla Croce Rossa,

Comitato di Firenze, per comprare uno scooter elettrico per

portare medicinali a chi risiede in luoghi difficili da raggiungere

con l’ambulanza, e alla Comunità Amore e Libertà ONLUS, fondata

da don Matteo Galloni in favore di bambini provenienti da

famiglie disagiate o abbandonati, in quest’ultimo caso con un

evento che si è tenuto nelle stanze della Karl Stengel Collection

a Palazzo Rosselli del Turco, che fu sede dell’ambasciata USA

ai tempi di Firenze Capitale». Fondata nel 1995 dall’onorevole

Sergio Pezzati, già ideatore della storica Associazione Filippo

Mazzei (medico toscano vissuto negli USA a cavallo tra XVIII e

XIX secolo) e grande conoscitore della società e dell’economia

americana, Toscana USA è un punto d’incontro sociale, culturale

ed economico tra la nostra regione e gli Stati Uniti allo scopo

di rafforzare, in stretto contatto con il Consolato Generale USA,

prima di tutto l’amicizia tra i due popoli; attualmente il presidente

è Maurizio Mancianti, fiorentino e dottore commercialista, e il

co-presidente è Andrea Davis, avvocato americano con studio

a Firenze; per statuto presidenti onorari sono il presidente della

Regione Toscana (Eugenio Giani) e il console generale degli

USA a Firenze (attualmente Ragini Gupta). Oltre a implementare

gli stretti legami fra Toscana e Stati Uniti, fin dal 1996 l’associazione

organizza eventi in occasione dell’Independence Day

(4 luglio), del Welcome Day per gli studenti americani in Toscana

con, in concomitanza, la consegna del Premio Toscana-USA,

premio nel tempo diventato autonoma manifestazione in Palazzo

Vecchio, così come organizza la festa in occasione del Thanksgiving

a novembre e la tradizionale festa degli auguri nel mese

di dicembre. Per capire correttamente lo spirito dell’associazione

possiamo ricordare, tra le tante iniziative, un memorabile convegno

svoltosi nel Salone delle Feste di Palazzo Bastogi, sede

della Regione Toscana, il 15 febbraio 2019, organizzato sul tema

Usa-Toscana: investire per crescere, cui presero parte, tra i tanti,

Eugenio Giani, il vicepresidente nazionale di Confindustria (Man-

Il Memorial Day (2019) al Cimitero Monumentale degli Americani ai Falciani

con il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, a sinistra, e il presidente

dell’Associazione Toscana USA-ONLUS Maurizio Mancianti

si), i presidenti di Confindustria (Salvadori e Ranaldo), il presidente

della Camera di Commercio di Firenze (Bassilichi), Lucia

Aleotti (cda Menarini), Elisabetta Fabri (presidente Starhotels),

Sandro Sartor (a. d. Ruffino) e altri imprenditori, con moderatore

Francesco Carrassi (direttore La Nazione). Un convegno economico

simile si svolgerà nei prossimi mesi sempre presso la

Regione Toscana, così come si terrà presso il Salone dei Cinquecento

in Palazzo Vecchio la cerimonia di premiazione dei due

vincitori del Premio Toscana-Usa che si sarebbe dovuta svolgere

a marzo 2020. Verranno consegnati il premio alla memoria a

Giuliana Plastino Fiumicelli, fondatrice e animatrice dell’Accademia

Internazionale Le Muse e degli omonimi Premio Internazionale

e Club, e il premio a monsignor Timothy Verdon, direttore

del Museo dell’Opera del Duomo. A breve si terrà anche una conferenza

sui progetti elaborati nei due anni di pandemia dalle socie

della Women’s Commitee, associazione nata nel 2007 come

forum di professioniste e imprenditrici USA che lavorano in Toscana

per interagire e allacciare relazioni con professioniste e

imprenditrici italiane. Con il patrocinio del Comune di Firenze e

assieme al consolato USA, la Women’s Commitee ha già organizzato

convegni tra professioniste nelle arti, nell’imprenditoria,

nella pubblicità, nella politica locale, nel mondo dell’hospitality.

Da ricordare lo scorso novembre il concerto di beneficenza nel

Salone dei Cinquecento col famoso violinista americano Robert

Mc Duffie e i suoi giovani allievi provenienti da tutto il mondo,

evento che, visto il successo, verrà ripetuto anche quest’anno.

L’assemblea dei soci (2021) dell’Associazione Toscana USA-ONLUS sulle rive

dell’Arno sotto il Ponte Vecchio al Circolo dei Canottieri di Firenze

La celebrazione del ventesimo anniversario dell’attacco alle torri gemelle con

l’attuale Console Generale degli Stati Uniti Ragini Gupta (Progetto Luxart)

TOSCANA USA-ONLUS

25


Arte e

tecnologia

DaVinciFace

Un progetto di Mathema per far rivivere il genio di Leonardo grazie

all’intelligenza artificiale

di Alessandro Bellini / foto courtesy Mathema

Èpossibile resuscitare lo stile dei grandi maestri del

passato (Leonardo, Michelangelo, Raffaello) e costruire

nuove opere d’arte con il loro stile? Il progetto

DaVinciFace ha cercato di dare una risposta concreta a questo

quesito, permettendo la creazione di un ritratto leonardesco

a partire da una semplice foto. Questo progetto è prima

di tutto un esperimento per misurare fino a che punto l’intelligenza

artificiale possa essere impiegata nell’arte. Per comprendere

le ragioni di questa iniziativa occorre ripercorrerne

brevemente la storia. Per prima cosa va precisato che DaVinciFace

è stato realizzato da Mathema, società fiorentina operante

nell’ambito dell’innovazione informatica dal 1987. Dal

2018 è una piccola e media impresa innovativa e, a partire

dall’anno in corso, ha deciso di orientare la propria attività

per lo più nel settore dell’intelligenza artificiale. Nel 2020, al

termine del primo lockdown, Mathema è venuta in contatto

con amici di Vinci che hanno segnalato la straordinaria storia

dell’antico borgo di San Pantaleo e della madre del genio toscano,

Caterina. Il borgo di San Pantaleo è la frazione di Vinci

dove abitava Caterina, data in sposa da Ser Piero, il padre

di Leonardo, ad un certo Attaccabrighe, da cui ebbe cinque figli,

e dove è presente una piccola chiesa in cui è stato portato

il dipinto di un nodo che Leonardo ha riprodotto nella Gioconda.

La piccola chiesa di San Pantaleo è oggi in decadenza e

avrebbe bisogno di urgenti restauri. Come aiutare San Pantaleo?

Come supportare la comunità di Vinci che ha sofferto

per la pandemia? Ecco un caso in cui mettere alla prova l’intelligenza

artificiale: i turisti non ci sono più ma possiamo in

un certo senso “resuscitare” Leonardo. Da questa ambiziosa

sfida è nato il progetto DaVinciFace. Dopo diciotto mesi

di lavoro è stato aperto il portale www.davinciface.com che

dà la possibilità di ottenere in modo gratuito un ritratto leonardesco

a partire da una semplice foto. Il portale all’inizio

Dalla foto originale (a sinistra) alla rielaborazione del ritratto in stile leonardesco

non è stato notato, perché il Web, si sa, è come un oceano e

un nuovo sito è come una goccia nel mare. Poi si è accesa la

luce grazie ad un’efficace campagna di marketing che ha fatto

decollare il progetto, tanto che alcune prestigiose riviste

di arte online lo hanno recensito molto favorevolmente. Il primo

è stato il celebre The Art Newspaper del Regno Unito, poi

Sky Arte e più di recente altre recensioni nel resto del mondo.

Produciamo oltre 1.000 ritratti al giorno destinati a Stati Uniti,

Regno Unito, Brasile, Francia, Russia, Iran, Cina e, ovviamente,

Italia. Il funzionamento, visto dall’esterno, è piuttosto semplice:

s’inserisce una propria foto e questa viene trasformata

in un ritratto nello stile delle opere di Leonardo. È difficile raggiungere

un compromesso tra preservazione dell’identità del

soggetto e acquisizione dello stile leonardesco. Alla fine, dopo

tante prove e tanto studio, abbiamo ottenuto risultati sorprendenti,

con ritratti anche di varie personalità del mondo

della politica, dell’arte e della cultura. Al di là delle fredde statistiche,

ciò che rimane impresso sono i commenti delle persone,

come quello di una giovane donna scozzese che ha così

commentato: «Sono bionda e mi ha fatto castana, ho gli occhi

celesti e me li ha fatti marrone, ma mi ha conferito un’aria

così profonda e piena di speranza

che potrebbe capitarmi di incontrare

un ricco mercante che mi sollevi

dalle fatiche del lavoro quotidiano».

È bastato questo commento a

farci capire di aver colto nel segno.

Se siamo riusciti a trasmettere alle

persone lo stile introspettivo di Leonardo

allora abbiamo adempiuto

alla nostra missione di far rivivere

con la tecnologia gli splendori del

nostro glorioso passato.

Benigni

Draghi

www.davinciface.com

www.mathema.com

26 DAVINCIFACE


A cura di

Maria Grazia Dainelli

Grandi mostre

in Italia

Vivian Maier

Ai Musei Reali di Torino il mondo

poetico della fotografa americana

Testo e foto di Miriana Carradorini

Nel 2007 l’agente immobiliare John Maloof, alla ricerca

di fotografie per illustrare un libro di storia locale, acquista

presso un deposito alcuni beni di una persona

sconosciuta, comprendenti fotografie, pellicole e negativi. Alcuni

anni dopo Maloof troverà, tra i vari oggetti, il nome della loro

proprietaria, Vivian Maier, una donna deceduta pochi giorni prima

che i suoi scatti venissero venduti. Osservando le fotografie,

l’agente fu colpito dalle capacità di Vivian, rimasta fino a quel

momento sconosciuta. Per questo motivo, nel 2011 organizza

la prima personale a lei dedicata, a cui seguiranno numerose altre

mostre in tutto il mondo, Italia compresa. Alcuni scatti della

fotografa statunitense sono stati mostrati per la prima volta al

pubblico italiano con l’apertura della mostra, il 9 febbraio scorso,

Vivian Maier inedita ai Musei Reali di Torino, in corso fino al 26

giugno 2022. Nelle Sale Chiablese il pubblico può scoprire la vita

della fotografa e l’evoluzione del suo linguaggio artistico attraverso

più di duecentocinquanta immagini per lo più inedite. Le

diverse sezioni tematiche mostrano quali furono i suoi interessi:

dalla fotografia umanista con cui immortalava le persone incontrate

nella sua vita alla street photography con immagini delle

città visitate. L’intero suo lavoro fotografico è caratterizzato da

autoritratti, immagini di bambini, della città e dei suoi abitanti,

che divennero anche soggetti di alcune pellicole e registrazioni

audio da lei realizzate. Lungo il percorso espositivo è possibile

vedere alcuni dei filmati girati dalla fotografa, ascoltare le registrazioni

e osservare gli oggetti a lei appartenuti che permettono

un coinvolgimento emotivo maggiore. Una delle sezioni della

mostra è dedicata al viaggio che Vivian Maier fece intorno al

mondo nel 1959; vi sono esposte anche le fotografie che realizzò

il 21 luglio del 1959 a Torino, catturando scorci della città che

il visitatore può riconoscere facilmente. È sorprendente come

L’ingresso alla mostra

attraverso gli occhi e gli scatti di quest’artista, che si potrebbe

definire “amatoriale” non essendo mai stata una fotografa professionista,

sia possibile emozionarsi e ripercorrere allo stesso

tempo alcune delle tappe fondamentali della storia del linguaggio

fotografico.

Vivian Maier inedita

Musei Reali Torino – Sale Chiablese

9 febbraio – 26 giugno 2022

Informazioni:

www.vivianmaier.it

+ 39 338 169 1652 – info@vivianmaier.it

Dr. Fabio Giannarini

Wealth Advisor

+39 347 3779641

fabio.giannarini@bancamediolanum.it

Alcuni degli scatti esposti

La macchina fotografica di Vivian Maier

VIVIAN MAIER

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Dimensione

salute

A cura di

Stefano Grifoni

La risposta del cervello alla paura

di Stefano Grifoni

Quando siamo impressionati da qualcosa o in corso

di forti paure entra in azione l’amigdala una

piccola struttura cerebrale a forma di mandorla.

Lo stimolo prodotto dall’amigdala raggiunge i lobi

frontali del cervello dove viene svuotato della sua carica

terrorizzante. Nel giro di pochi secondi il cervello libera

nel sangue una trentina di ormoni che favoriscono lo stato

di allerta. Il respiro si fa affannoso, il cuore batte più velocemente,

le pupille si dilatano e iniziamo a sudare freddo.

Tra gli ormoni rilasciati quando abbiamo paura troviamo

anche endorfine e dopamina che ci aiutano ad affrontare il

dolore. Il cortisolo rafforza le memorie dell’evento negativo

e fa sì che durino anche quando la minaccia è passata.

Questa potrebbe essere la spiegazione del perché i bambini

e non solo hanno spesso incubi terrificanti dopo avere

visto un film di orrore. Troppi di noi non vivono i loro sogni

perché stanno vivendo le loro paure: le paure del giorno rubano

i sogni della notte.

Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso

dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi

e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale

della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione

per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico

dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.

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RISPOSTA ALLA PAURA


A cura di

Emanuela Muriana

Psicologia

oggi

Atti di sana prevenzione portati all'estremo

di Emanuela Muriana

Procedure indispensabili in ambito sanitario e nell’industria

alimentare, ma negli ultimi due anni caratterizzati

dalla pandemia siamo stati sollecitati ad

avere attenzioni speciali anche nelle nostre case per difenderci

dal virus Sars2 che non ci dà tregua. Così quel

surplus di igiene domestica e del corpo è diventato la regola.

Facciamo uso di detergenti battericidi, alcolici, saponi

speciali, etc. . Secondo i dati pubblicati da Assocasa

a far la parte del leone sono i disinfettanti, la cui produzione

è aumentata del 100%; la seconda categoria è quella

delle candeggine, cresciute del 53%. Seguono i detergenti

per superfici dure con un incremento del 38%. Questi comportamenti

necessari in un periodo particolare, possono,

come il virus, fare un passaggio di qualità e diventare un

bisogno irrefrenabile per avere il controllo sulla realtà. Atti

di sana prevenzione portati all’estremo innescano una

severa psicopatologia dove la prevenzione si trasforma in

misofobia, cioè la paura patologica

di venire a contatto con lo

sporco e con i germi, che spinge

a ricorrere a misure preventive

per evitare le situazioni, le

persone o gli oggetti che possono

aumentare il rischio di

contrarre malattie per evitare

qualsiasi tipo di contaminazione

fino ad aumentare le precauzioni

igieniche all’inverosimile.

«Disinfetto i contenitori della

spesa del supermercato perché

chissà chi li ha toccati».

Questa è la logica del pensiero

che sta alla base del severo disturbo

ossessivo compulsivo.

La casa, alcune parti del corpo,

l’auto, l’ufficio, etc. diventano

“il tempio della pulizia”.

Il dubbio di aver toccato una

maniglia che può essere stata

toccata da un presunto infetto

fa correre urgentemente

ai ripari con lavaggi ossessivi

delle mani, seguendo procedu-

re con sequenze inalterabili, oppure con l’abuso di detergenti

ritenuti quasi magici. L’ossessione può instaurarsi

nella mente in qualunque modo fino a divorare la sana ragionevolezza.

La preoccupazione, l’ansia e l’angoscia vengono

alleviate dal lavaggio rituale compulsivo. Questa è

la trappola “che funziona” del rito irrefrenabile, ma invalida

la vita personale e relazionale di chi è ostaggio della

fobia. Alla fine dell’emergenza pandemica temiamo che

molti rimarranno ostaggio del virus della mente, che fino

ad ora aveva assunto caratteristiche di adeguatezza alla

situazione. Il disturbo ossessivo compulsivo è considerato

dalla letteratura scientifica una delle patologie più invalidanti

e più resistenti al cambiamento, ma l’intervento

con la psicoterapia breve strategica ha mostrato ad oggi

un’efficacia ed un’efficienza media dell’86% che permette

di evadere dalla prigionia dell’assurdo mediante percorsi

strategicamente pianificati.

Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve

Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.

È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso

le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato

tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.

È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.

Studio di Terapia Breve Strategica

Viale Mazzini 16, Firenze

+ 39 055 242642 - 574344

emanuela.muriana@virgilio.it

DISINFETTARE TUTTO

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Il parere

dell’esperto

Glaucoma

L’importanza della diagnosi precoce per prevenire i danni

di una grave patologia del nervo ottico

di Paolo Santoro, già direttore dell'Unità di Oculistica dell'Ospedale Palagi

Il glaucoma è una patologia con danno cellulare e deficit

funzionale del nervo ottico. Le ultime stime riportano circa

il 2% oltre i 40 anni e tale incidenza aumenta con l’età

arrivando al 10% oltre i 70 anni. Annualmente la malattia provoca

4500 ciechi. Causa principale è la pressione endoculare.

All’interno dell’occhio viene prodotto un liquido, l’umor acqueo,

che defluisce attraverso particolari strutture. Se questo

deflusso è impedito si ha un aumento della pressione. Questa,

agendo nell’occhio, provoca sulla papilla danni gravissimi ed

irreparabili. Caratteristica della malattia è di essere asintomatica

e di dare segni di sé solo tardivamente a danni funzionali

ormai gravi ed irreversibili. L’aumento della pressione oculare,

l’escavazione della papilla ottica e le alterazioni del campo

visivo sono sintomi della malattia. La pressione normale è

tra i 12 e i 18 mmHg con tolleranza variabile; alcuni soggetti

sopportano pressioni di circa 25 mmHg, altri soggetti invece

hanno la tipica malattia con pressioni anche di 12 mmHg.

Quindi non è sufficiente dire “pressione nei limiti della norma”.

Se esiste un sospetto occorre eseguire altri esami. Possiamo

parlare di pressione “normale”

se due esami del campo visivo

a distanza di qualche mese non

evidenziano peggioramenti. Per

quanto riguarda l’escavazione,

la papilla ottica normalmente si

presenta piana, rosea e con una

piccola depressione centrale.

Oggi disponiamo di strumentazioni

che ci danno indicazioni

anche sulla funzionalità della

papilla. Sono esami computerizzati

fatti con l’OCT e l’HRT.

Questi apparecchi a scansio-

ne laser memorizzano la funzionalità del nervo e ne registrano

la forma. Il danno al campo visivo è direttamente legato al

danno anatomico. Non compare subito ma all’incirca quando

il 40% delle fibre nervose sono danneggiate. Il paziente si

accorgerà della malattia quando è ulteriormente progredita.

Oftalmoscopicamente si ha un cambiamento del colore della

papilla (pallore) e un aumento della depressione centrale in

ampiezza e profondità. Il danno anatomico si accompagna al

restringimento del campo visivo. Per esaminarlo si adoperano

apparecchi computerizzati che controllano in maniera automatica

la validità del test e lo mantengono nel proprio database.

Da quanto detto il glaucoma è sì una patologia in cui l’età

ha un ruolo rilevante ma molto importante è la familiarità presente

dal 15% ad oltre il 50%. Ecco il motivo del rilievo della

prevenzione. La tonometria è e deve esse un atto normale nelle

visite oculistiche ma è necessario informare il maggior numero

di persone sui pericoli. Una normale misurazione della

vista, senza altri esami, non ci mette sull’avviso per un possibile

glaucoma. Quindi è necessario che le persone controllino

il tono sempre più avanzando l’età. È per questo che la IAPB

Italia l’UICI della Toscana insieme al Rotary Firenze Nord organizzano

iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla

necessità di mettere in atto percorsi di diagnosi precoci per

tale grave patologia.

30 GLAUCOMA


A cura di

Silvia Ciani

I consigli del

nutrizionista

Gli zuccheri

Un piacere da gustare in maniera consapevole

di Silvia Ciani

Pensiamo agli zuccheri presenti nella nostra alimentazione

solo quando la nostra salute è già compromessa,

cioè quando vediamo gli esiti degli esami

ematici o ce lo dice il medico. È importante invece avere

una sana e corretta alimentazione fin da giovani in modo da

prevenire le patologie e le alterazioni metaboliche, oggi purtroppo

molto diffuse, associate ad un consumo eccessivo

di zuccheri (sovrappeso, diabete, carie dentale, etc.). Allora

vediamo di fare un riepilogo dei concetti base per un uso

consapevole e responsabile di questi importanti principi

nutritivi. Esistono fondamentalmente due categorie di zuccheri

che giocano un ruolo importante nella nostra alimentazione:

gli “zuccheri complessi” o amidi presenti in tutti i

cereali (frumento, riso, farro, orzo, mais, etc.) nelle patate

e nei legumi, e gli “zuccheri semplici” che si trovano principalmente

nel latte (lattosio), nello zucchero che usiamo

per dolcificare (saccarosio), nel miele e nella frutta (fruttosio).

Questi ultimi, in particolare, sono usati come ingredienti

(spesso in gran quantità) nella preparazione di dolci,

confetture, pasti pronti, oltre che in molte bevande e, poiché

non sono visibili in quanto si sciolgono nei liquidi o si

mescolano con altri ingredienti, non è facile percepirne la

quantità. Leggere l’etichetta nutrizionale può essere un valido

aiuto per iniziare a diventare consapevoli di questi zuc-

cheri invisibili. Secondo i livelli di assunzione raccomandata

di nutrienti per la popolazione italiana (dati del 2016), circa

il 45-60% delle calorie giornaliere devono essere assunte

sotto forma di zuccheri, ma solo il 15% di questi devono essere

“semplici” mentre i rimanenti devono essere “complessi”,

quindi derivare da pasta, cereali, etc. . Un apporto totale

maggiore del 25% è da considerare potenzialmente legato

ad eventi avversi sulla salute. Attenzione però: per arrivare

alla quota 10% di zuccheri “semplici” bastano due porzioni

di frutta, e già con un po’ di latte, la marmellata o qualche

biscotto la mattina a colazione e uno yogurt durante la giornata

se ne copre e se ne supera il fabbisogno. Va da sé allora

che in una dieta equilibrata il consumo di dolci e bevande

zuccherate debba essere considerato un’eccezione e non

una regola. E quando saltuariamente li consumiamo, , dovremmo

farlo in piccola quantità e sempre in sostituzione

di altri alimenti che contengono zuccheri: per esempio, una

fetta di dolce al posto dei biscotti oppure pane e marmellata

la mattina o per la merenda pomeridiana dei bambini; un

gelato al posto della frutta alla fine di un pasto o a merenda

prima di una cena leggera; un succo o una spremuta di

frutta al posto della frutta a colazione o a spuntino dopo un

allenamento, e via dicendo, sempre all’insegna di un consumo

attento e consapevole.

Biologa Nutrizionista e specialista in

Scienza dell’alimentazione, si occupa

di prevenzione e cura del sovrappeso

e dell’obesità in adulti e bambini attraverso

l’educazione al corretto comportamento alimentare,

la Dieta Mediterranea, l’attuazione di

percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo

e personal trainer.

Studi e contatti:

artEnutrizione - Via Leopoldo Pellas

14 d - Firenze / + 39 339 7183595

Blue Clinic - Via Guglielmo Giusiani 4 -

Bagno a Ripoli (FI) / + 39 055 6510678

Istituto Medico Toscano - Via Eugenio

Barsanti 24 - Prato / + 39 0574 548911

www.nutrizionistafirenze.com

silvia_ciani@hotmail.com

GLI ZUCCHERI

31


I giganti

dell’arte

Torso del Belvedere

Il capolavoro dei Musei Vaticani che ha ispirato intere

generazioni di artisti

di Matteo Pierozzi

Il Torso del Belvedere è un’opera custodita nei Musei Vaticani

che ha influenzato intere generazioni di artisti.

Reperto di età ellenistica di una statua dello scultore

ateniese Apollonio (I secolo a. C.), viene oggi considerato,

dopo innumerevoli ipotesi e dibattiti, una raffigurazione

dell’eroe greco Aiace Telamonio colto nell’attimo in cui

sta pensando di togliersi la vita, stremato dalla sconfitta subita

per mano di Ulisse. Impazzito, ha appena sterminato

un intero gregge di pecore, credendolo un gruppo di nemici;

adesso, seduto sulla pelle di un animale, medita il suicidio.

Capita che molti dei numerosi visitatori che ogni giorno

si riversano nei Musei Vaticani non rivolgano la giusta attenzione

a questo capolavoro, concedendogli solo uno sguardo

distratto mentre procedono verso la Cappella Sistina. Questa

statua in realtà ha cambiato la vita di molti artisti, da Rubens

a Michelangelo, da Cellini a Leonardo. Poche e incerte

le notizie sul ritrovamento della scultura: falsa è la notizia

che sia stata trovata al tempo di Giulio II a Campo de’ Fiori o

nelle terme di Caracalla, così come non dimostrata è la provenienza

dalle terme di Costantino. La prima traccia certa si

ha solo dopo il 1430 per tramite dell’epigrafista Ciriaco d’Ancona

che la cita come “singularissima figura” e riferisce il

nome inciso sulla pietra “Apollonios (figlio) di Nestor ateniese

fece”. Si narra che Michelangelo, artista prediletto di Giulio

II, rifiutò l’offerta del Papa di completare

l’opera che giudicò perfetta così, nella sua

incompiutezza. Il maestro trascorse giorni

interi ad ammirarla e ne fu talmente influenzato

da essere poi definito “discepolo

del Torso” come possiamo evincere dai nudi

della Cappella Sistina e del Giudizio Universale,

ma soprattutto dai Prigioni, statue che,

come il Torso, appaiono contratte in uno

sforzo di tormentata inquietudine.

Il Torso del Belvedere ai Musei Vaticani

32

TORSO DEL BELVEDERE


A cura di

Maria Concetta Guaglianone

PsicHeArt

Il mandala

Una forma d'arte per entrare in contatto con le emozioni

di Maria Concetta Guaglianone

Ogni qual volta si vivono esperienze che generano disagi,

conflitti e malesseri il carico emotivo può aumentare

fino a provare la sensazione di essere sopraffatti

dalla situazione. Diventa fondamentale la capacità di entrare

in contatto con le proprie emozioni, di gestirle e riconoscerne

il valore anche se percepite come “negative” e non funzionali.

Accoglierle e prendersene cura è il primo passo per giungere

ad una piena consapevolezza e conoscenza di sé. Essere

consapevoli significa riuscire ad auto-osservarsi, ascoltarsi in

modo non giudicante, entrare in contatto con il proprio mondo

interno ed esterno, aprirsi alle possibilità di risoluzione per

non rimanere bloccati in emozioni “sequestranti”, in “trappole

emotive”. Uno strumento che utilizzo nella pratica clinica per

lavorare sulle emozioni è il mandala, il cui merito dell’uso in

ambito psicoterapeutico è da attribuire a Carl Gustav Jung. I

mandala sono disegni e figure contenuti in un cerchio, simbolo

della vita e del tutto. L’etimologia della parola “mandala” deriva

dal sanscrito, letteralmente si traduce “disco” o “centro” e

il significato simbolico richiama il concetto di unità. Di origine

tibetana, diffusi nelle culture induiste e buddiste come strumenti

di meditazione e di preghiera, venivano realizzati sulla

sabbia colorata dai monaci buddisti per essere poi distrutti,

in un rituale attraverso il quale la creazione e la distruzione si

incontrano trovando equilibrio. Quando emergono contenuti

emotivi importanti ed intensi propongo alle persone di lavorare

con tale strumento che diventa contenitore di emozioni e di

significati simbolici, di rappresentazioni archetipiche del proprio

mondo interno. Chiedo alla persona di costruire il mandala

dell’emozione che sente in prevalenza e che caratterizza

la fase di vita che sta attraversando: ad esempio, se l’emozione

dominante è la rabbia, chiedo di creare il suo mandala

della rabbia. Si parte dal disegnare un cerchio su un foglio,

cartoncino o tela di colore bianco, per poi aggiungere disegni,

forme e colori rappresentativi dell’emozione. Disegnare e colorare

un mandala aiuta la persona a dare forma alla propria

rappresentazione ed espressione di sé. Il lavoro con il mandala

permette di stare nel momento presente, aiuta a ritrovare

uno stato di centratura, concentrazione, rilassamento, apertura

mentale, pace e armonia interiore. La sua funzione è quella

di riequilibrare uno stato di confusione, ristabilire un ordine lavorando

su tre piani di coscienza: quella fisica, psicologica e

spirituale. La persona esplora ed elabora la propria esperienza

emotiva, attiva un processo trasformativo che coinvolge

l’emozione stessa e la modalità con cui si rapporta ad essa. Il

mandala diventa un catalizzatore di energia che crea qualcosa

di nuovo, una vera e propria opera d’arte, un processo creativo

che permette alla persona di contattare il proprio centro,

l’io interiore, e di orientarsi attraverso la consapevolezza delle

proprie emozioni.

Psicologa specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Psicoumanitas di Pistoia, Maria Concetta

Guaglianone ha frequentato la scuola biennale di Counseling Psicologico presso Obiettivo Psicologia

di Roma, dove ha svolto anche la propria attività professionale collaborando come tutor nel Master di

Psicologia Perinatale. È autrice di numerosi articoli sul portale Benessere 4you - Informazioni e Servizi su Salute e

Benessere Psicologico. Attualmente svolge la propria attività professionale presso Spazio21 - Studi Professionali

di Discipline Bio Naturali e Psicologia (via dei Ciliegi 21 - 50018 Scandicci).

+39 3534071538 / + 39 348 8226351 / mariaconcetta.guaglianone@gmail.com

GESTIRE LE EMOZIONI

33


Dal teatro al

sipario

A cura di

Doretta Boretti

Carlo Terzo

Dal teatro agli spettacoli con il fuoco: il percorso anticonvenzionale

di un artista eclettico

di Doretta Boretti / foto Simona Di Pasquale

Abbiamo incontrato Carlo Terzo nel Salone dei Cinquecento

il 21 novembre 2021, quando Lucia Raveggi,

presidente dell’associazione Toscana Cultura, gli ha

consegnato il Premio Ponte Vecchio. Il suo nome, così ridondante,

non risponde realmente alla sua natura, se pur eclettica

e molto estroversa, in quanto ci troviamo di fronte ad una persona

semplice e di un’umanità disarmante. Artista del mondo

e della poesia della vita, i suoi spettacoli rappresentati nei teatri,

nelle piazze, nei vicoli di numerose città, raccontano la storia

della nascita “magica” del fuoco.

Quando hai intrapreso questa professione?

Il mio inizio, nell’arte della manipolazione del fuoco e delle

fiamme, lo dato nel 2002. In quel periodo studiavo e praticavo

il teatro già da diversi anni: facevo sia teatro d’avanguardia

che lirico. Da tempo avevo notato una scarsa affluenza di pubblico

nelle sale, così pensai: «Se la gente non viene a teatro

forse è il teatro a dover andare dalla gente». Sulla base di questa

intuizione, nonché conscio della potenzialità socialmente

benefica della cultura e dell’arte, proposi ai miei concittadini

palermitani, amici e conoscenti, un laboratorio per la realizza-

zione di un happening artistico, ispirato tanto dallo studio delle

esperienze degli Indiani Metropolitani, del Living Theatre e

dell’Odin Theatre, quanto dalla poetica. Mio primo maestro di

teatro fu Franco Scaldati. L’obiettivo (ambizioso ma raggiunto)

fu portare in piazza e dal vivo quante più forme espressive

possibili, quindi arti sceniche, visive, musicali e plastiche,

tutte accomunate da una partitura drammaturgica ispirata alla

storia di Spartacus. Nel corso del laboratorio conobbi dei

giocolieri che mi proposero di rappresentare la rivolta degli

schiavi con l’ingresso in scena degli attrezzi di giocoleria infiammati...

ed ecco l’incontro! Le fiamme erano entrate nella

valigia da teatrante dove tengo i miei strumenti espressivi.

Sei stato e sei a tutt’oggi direttore artistico della Compagnia

dei Fuocolieri…

Beh... sì! Dopo l’incontro con le “fiamme”, iniziai a sperimentarne

l’uso espressivo. Per circa tre anni feci spettacoli in giro

per la Sicilia come “artista singolo”. Ma sono sempre stato

convinto che l’espressione artistica abbia un enorme potere aggregante:

sperimentare, ricercare, lavorare, studiare, esprimersi

sono attività umane che, in un modo o in un altro, chiamano

In questa e nelle altre foto Carlo Terzo durante un suo spettacolo con il fuoco

34

CARLO TERZO


in causa altre persone. È grazie alle altre e gli altri che il nostro

mondo interno si manifesta in forme che culturalmente, e quindi

comunemente, definiamo artistiche. Avere presente questo

significa concepire la ricerca come una ricerca umana, anche

letteralmente, per questo nel 2005 ho voluto fondare una compagnia;

cercare altre persone accomunate da una visione confluente

e condivisa della vita, del mondo, dell’umanità con cui

crescere insieme nella reciproca espressione artistica. L’ho intesa

e ho cercato di dirigerla come una comunanza artistica.

Sono un umanista socialista e rivoluzionario, cerco la trasformazione,

la crescita con e per le altre persone, condividendo le

migliori qualità, capacità o competenze di ciascuno.

Il fuoco, a volte, può fare paura: è così?

Vero! Vengo da una terra devastata dagli incendi e sin da piccolo

ho assistito alla potenza distruttrice delle fiamme nelle

campagne o nei boschi siciliani. Tuttavia le fiamme ci uniscono

ed accompagnano la nostra specie da talmente tanto tempo

che ne avvertiamo palpitare la radice antropologica ogni

volta che le vediamo. Per questo il fuoco è così affascinante

e ci ipnotizza. Quanto può essere evocativo trovarsi intorno

ad un fuoco? Perché si prova così tanta ammirazione davanti

al baluginio delle fiamme? Per non parlare della meraviglia e

dello stupore della pirotecnica. Oppure pensiamo al focolare:

anche nel linguaggio viene evocata una dimensione intima e

confortante, benefica. È l’unico degli elementi che riusciamo

a ricreare e può essere tanto distruttivo quanto benefico. Pensiamo

alla luce, al calore. Il fuoco racconta la vita, illumina gli

aspetti migliori e fa scorgere le ombre; del resto ci ha accompagnati

fuori dall’animalità. Brucia, illumina, trasforma. In sé

non è né negativo né positivo, tant’è che si autoestingue; la

questione è come lo si pensa e lo si sente e quindi come si indirizza

ciò che genera e suscita.

È un’arte, la tua, aperta a numerose forme espressive: dalle

arti plastiche a quelle visive, alla musica…

Pur essendo intimamente legato alle sue opere, ogni artista

viene prima dell’arte e la persona viene prima dell’artista. Ci

si può armonizzare ed accordare fra persone, proprio come

un’orchestra. Trovarsi su valori umani quali la solidarietà, l’amicizia,

la cooperazione, l’accoglienza, la libertà d’espressione,

l’incontro, il dialogo, l’ascolto, il rispetto per il genere

femminile, per la dignità di ogni persona nella sua interezza

psicofisica. Come contrasto alla cultura della morte, della

violenza, della rassegnazione, dell’alienazione e della disumanizzazione

tecno/illogica, l’affermazione della vita e della

umanità favorisce un’armonia fra le persone, fra artisti, che

dà una forma estetica alle opere. Nella mia ricerca di equilibro

artistico fra forma e sostanza, parto dalla sostanza umana,

quindi dal nostro mondo interno, ciò che pensiamo sentendo

e sentiamo pensando. Dalla nostra interezza psicofisica discende

la forma che assumeranno le opere. Le persone prima

delle cose. Questo approccio mi ha arricchito tantissimo,

e amicizie, conoscenze, esperienze mi spingono a continuare

CARLO TERZO

35


a provare ad affermare una cultura della vita e della liberazione

per mezzo di forme espressive più disparate, come ci insegnano

le arti nella storia.

Conduci anche un corso di “arte di strada”...

L’arte di strada è anzitutto arte della relazionalità. Le persone

vanno a teatro, al cinema, alle mostre, ai concerti di loro iniziativa

ed in luoghi a ciò deputati; l’arte di strada coinvolge luoghi

non convenzionali e tempi “asincronici”. Quindi la prima

bravura dell’artista di strada sta nella capacità di coinvolgere

i passanti creando in loro uno straniamento nello svolgersi

della quotidianità. Così si risvegliano sentimenti, emozioni,

riflessioni, suggestioni che li trasformano in spettatori compartecipi

dell’opera o dello spettacolo. Non c’è immagine più

triste di un artista di strada solo in una piazza vuota. È come

in un gioco dove, se si gioca in tanti, è più divertente e nel gioco

i bambini e i ragazzi, se ascoltati e ben suscitati, sono maestri.

Inoltre l’attività fisica e psicomotoria prevista dalle arti

di strada non è finalizzata alla competizione, bensì alla cooperazione,

ed è funzionale all’espressione, alla conoscenza di sé

in relazione agli altri. Tuttavia, vista la pandemia che stiamo

vivendo e le restrizioni che comporta, in questo periodo ho deciso

di sospendere i corsi per dedicarmi principalmente all’actor

coaching e alla formazione ad personam di professionisti.

Che emozioni ti dà insegnare?

L’insegnamento l’ho sempre concepito come una grande responsabilità,

alcuni miei allievi sono diventati insegnanti a loro

volta e questo ne aumenta la portata. Attenzione però, per

responsabilità intendo anche continuare a venire stimolato

nella ricerca e nell’espressione, continuare a studiare, approfondire,

arricchire il mio bagaglio e le mie competenze. Non

può esistere un modo, un “metodo”, che vada bene per tutti e

sempre, quindi è necessario che io mi metta in gioco ed in discussione

ogni volta che mi trovo davanti a qualcuno in una

relazione pedagogica. Motivo per cui sono spinto all’ascolto e

alla ricerca del modo e delle tecniche per favorire l’espressione

di sé, di ciascuno. Nel mettermi in condizioni di favorire la

crescita umana, artistica, professionale altrui, cresco anche

io. È come continuare a stupirsi e meravigliarsi, continuare a

36 CARLO TERZO


vedere il mondo, interno ed esterno, con uno sguardo sempre

rinnovato ed aperto ad altre discipline, altre pratiche o anche

alle scienze, come ad esempio quelle cognitive, la fisica quantistica

e meccanica, la chimica. Inoltre chi inizia da giovane,

ha una freschezza e un’immediatezza intuitiva che, per definizione,

non sarà più la stessa andando avanti. È prezioso apprendere

da chi “principia”.

La tua espressività artistica non si ferma, continua ad aprirsi

a nuove conoscenze e adesso a percorsi naturalistici di

vita rinnovata. Ci puoi parlare dello studio e della realizzazione

di oli essenziali, unguenti curativi, tisane rilassanti?

Ho letto che la conoscenza è creazione autocosciente di sé.

Per coinvolgere il pubblico, oltre all’eclettismo delle forme, ho

sempre lavorato nella direzione del sincretismo sensoriale, fino

ad arrivare alla realizzazione di teatralizzazioni urbane, in

cui il pubblico è completamente avvolto da stimoli perché ne

diventa parte integrante. La combustione, oltre al fuoco e alle

fiamme, genera fumo che può essere profumato, bruciando

piante aromatiche o incensi, si può riscaldare cibo, da servire

durante una rappresentazione, o preparare tisane, a seconda

di cosa si sta narrando e cosa si vuole suscitare. Pur non

essendo un terapeuta, la mia indagine artistica mi ha portato

ad approcciarmi alla psicologia, alla cromoterapia, all’aromaterapia,

allo studio delle frequenze musicali, al Tai Chi. Procedendo

in questa direzione mi sono accorto che sia io che le

persone con me, prima durante e dopo gli spettacoli, stavamo

meglio. Tutto ciò è sfociato in un approccio sempre più

autenticamente olistico. Ho cercato di sperimentare la possibilità

di un equilibrio dell’unitarietà mente/corpo e relazionale,

per poterla offrire agli altri, a partire dai miei cari. Ecco

cosa mi ha mosso: la cura per e con le altre e gli altri. Poi mi

piace la botanica è uno studio che si presenta infinito. Quante

piante ci sono! La natura viene prima di noi, ne siamo emersi

come una specie speciale, ma lei ci precede, ci contiene e ci

costituisce: siamo fatti, in massima parte, di acqua ma anche

di minerali. L’aria ci è necessaria per la vita e produciamo calore

con processi biochimici. Tutto questo è in una relazione

di reciproca influenza con i nostri aspetti energetici, psichici,

emotivi, ideologici, sentimentali, relazionali, culturali. Siamo

inscindibilmente fisico e non. Riappropriarci di un sano stile

di vita (alimentare, culturale, relazionale), riavvicinarci alla

natura e ai suoi tempi, reimparare a sentire, a pensare sé

stessi e agli altri, recuperare competenze tecniche, mediche e

curative o di prevenzione, anche elementari, tutto questo credo

che sia una grande possibilità benefica e alla portata di

tutti. È affascinante e gravido di ispirazione osservare la biofilia

degli esseri viventi, piante comprese. È stupefacente vedere

come si trasformano gli elementi, le materie prime o le

sostanze, come è incredibile osservare il sentimento umano

che si muove ed interagisce, si manifesta concretamente, fra

le persone, per trovare una sistematizzazione, modi di procedere,

migliorando ulteriormente le possibilità di cura. Come

operatore e counselor olistico, ho da poco iniziato a frequentare

una scuola di naturopatia; mi diplomerò alla soglia dei

cinquant’anni. Pensare a questo traguardo mi diverte e mi entusiasma.

Giovani si diventa.

Come può contattarti chi fosse interessato alla tua attività

artistica?

Sono su Facebook alla pagina carloIII o La Compagnia Dei

Fuocolieri e su Instagram come carlo.terzo. È possibile inoltre

contattarmi via mail all’indirizzo info@la-cdf.com oppure su

WhatsApp al +39 328/8781940.

CARLO TERZO

37


Notizie

fiorentine

Garage Europa Firenze

Progettato nel 1928 da Pier Luigi Nervi, verrà sottoposto ad un importante

restyling in occasione dei novantaquattro anni di storia

di Fabrizio Carabba, responsabile Garage Europa Firenze / foto Maria Grazia Dainelli

Il Garage Europa a Firenze è il più antico e grande parcheggio

pubblico privato del capoluogo toscano, con i

suoi trecentocinquanta posti auto disposti su tre livelli,

più una terrazza panoramica dalla quale si può toccare con

mano il duomo della città e scorgere le colline circostanti.

È stato progettato nel 1928 dall’architetto Pier Luigi Nervi in

pieno stile Liberty ed è la prima struttura in cemento armato

della Toscana. Costruito con saggezza e lungimiranza, prevede

una rampa di risalita e una di discesa con altezze superiori

ai cinque metri di altezza, tanto da poter ricoverare

anche mezzi di una certa portata, cosa impossibile nei moderni

parcheggi che rasentano appena tre metri di altezza.

Nel 2022 il Garage Europa compie ben novantaquattro anni;

agli inizi della sua fantastica storia era una vera e propria cittadella

dell’auto, essendo stato non solo un parcheggio ma

anche la sede della prima concessionaria Opel della Toscana

con spazi dedicati sia alla vendita delle macchine che dei

pezzi di ricambio. C’erano poi due pompe di benzina, un autolavaggio,

un’officina meccanica e una carrozzeria. Insomma,

precursore dei tempi già allora, era un vero e proprio hub

di servizi per l’automobilista, concetto di grande attualità vista

l’importanza oggi di diversificare sempre di più i servizi

al cliente. Nel corso degli anni gran parte delle attività sono

state interrotte e dal 1985 il Garage Europa funziona esclusivamente

come parcheggio. A breve verranno avviati importanti

lavori di rifacimento che rinnoveranno completamente

l’edificio, con l’ambizione di renderlo il più bello, moderno ed

efficiente garage del gruppo Interparking in Italia. Il progetto

prevede la riqualificazione di tutti gli spazi ai piani, che verranno

dotati delle più aggiornate tecniche di posizionamen-

to e controllo delle auto e degli utenti. È stato previsto, tra

l’altro, un doppio ascensore, uno dei quali arriverà direttamente

sulla terrazza. L’obiettivo è realizzare almeno quattrocento

posti auto, ognuno dei quali verrà monitorato da una

consolle di regia e da telecamere che consentiranno di verificare

l’occupazione o meno degli stalli e di garantire l’assoluta

sicurezza del cliente e degli operatori. Verrà inoltre posta

attenzione alla mobilità elettrica con l’installazione ad ogni

piano di stalli e ricariche per le auto elettriche. Nel seminterrato

continuerà ad essere fornito il servizio di autolavaggio

per privati o aziende (autonoleggi) con o senza operatore.

Inoltre, la splendida terrazza diventerà location di eventi e

manifestazioni: i clienti potranno accedere al parcheggio, la-

In questa e nelle altre foto alcuni scorci del Garage Europa Firenze

38 GARAGE EUROPA FIRENZE


sciare l’auto al terzo piano e salire in cima all’edificio per

prendere parte agli eventi. Si tratta quindi di un grande investimento

volto a riqualificare un “fiore all’occhiello” non solo

del gruppo Interparking ma di tutta la città di Firenze. I lavori,

che dureranno un anno e mezzo, con la cantierizzazione

da aprile 2022 a luglio 2023, non interferiranno con l’attività

del garage, che continuerà ad essere garantita sia ai nuovi

clienti che a quelli ormai fidelizzati.

Interparking Italia

Garage Europa Firenze, Borgognissanti 96

www.garageeuropafirenze.it

GARAGE EUROPA FIRENZE

39


Movimento

Life Beyond Tourism

Travel To Dialogue

Carlotta Del Bianco è la nuova presidente

della Fondazione Romualdo Del Bianco

Le attività sinergiche tra Fondazione Romualdo Del Bianco e Movimento

Life Beyond Tourism - Travel to Dialogue

di Stefania Macrì

Il 2022 si presenta come un anno di svolta per il mondo e per

il Movimento Life Beyond Tourism - Travel to Dialogue si apre

con l’emozione di poter augurare alla nuova presidente della

Fondazione Romualdo Del Bianco la passione necessaria per

continuare l’opera di diffusione dei valori Life Beyond Tourism ® e

la grinta per superare le sfide di una contemporaneità così complessa.

Dopo le nomine dell’esperto UNESCO Mounir Bouchenaki

a presidente onorario e di Paolo Del Bianco a presidente

emerito della Fondazione Romualdo Del Bianco, l’arrivo di Carlotta

Del Bianco a capo dell’istituzione che ha dato i natali a migliaia

di progetti in Italia e nel mondo è il segno di un piacevole rinnovamento

nel solco della tradizione in fatto di competenze e visione

del futuro. Nelle parole di Carlotta Del Bianco, lanciate attraverso

un video messaggio, tutta l’emozione e il coinvolgimento per

questo nuovo incarico: «Un compito e una sfida importante nella

mia vita, ma sono davvero fiduciosa di continuare a diffondere

con successo il messaggio di conoscenza interculturale, dialogo,

rispetto e amicizia che ha caratterizzato la Fondazione sin

dal suo inizio». Accanto a lei la sorella Caterina Del Bianco nel

ruolo di vicepresidente della Fondazione fiorentina, i componenti

del consiglio e soprattutto il grande valore aggiunto della Fondazione

che è il network internazionale con legami in 111 paesi del

mondo. «Paolo Del Bianco, presidente emerito e grande padre,

Da sinistra, Paolo Del Bianco, presidente emerito della Fondazione Romualdo

Del Bianco, con Mounir Bouchenaki presidente onorario della stessa Fondazione

Da destra, Carlotta e Caterina Del Bianco, rispettivamente presidente e

vicepresidente della Fondazione Romualdo Del Bianco

continuerà a stare al mio fianco – prosegue la neo presidente

– con la sua lungimiranza e visione, il signor Mounir Bouchenaki

ha recentemente accettato di condividere con noi la sua straordinaria

esperienza e le sue relazioni nel patrimonio mondiale

come presidente onorario della Fondazione, anche per questo

sono pienamente consapevole e fiduciosa dei sentimenti di apprezzamento

e condivisione, di rispetto e amicizia reciproca che

la Fondazione ha maturato in questi decenni collaborando con

università e istituzioni culturali e con la rete internazionale di Life

Beyond Tourism info point network. Il mio sforzo sarà rivolto

a coloro che credono che tutti sia come singoli che come membri

delle comunità sociali, economiche ed educative possiamo

contribuire a diffondere lo spirito di conoscenza reciproca,

a promuovere i valori del patrimonio locale per sostenere il rispetto

delle diversità, per favorire uno sviluppo responsabile ed

etico delle comunità locali rispettoso dei principi umani di amicizia

e fratellanza». Proprio grazie alla visionaria attività della

Fondazione è nato il Movimento Life Beyond Tourism - Travel to

Dialogue che è ora al suo fianco come braccio operativo e creativo

delle attività e dei progetti che caratterizzeranno i prossimi

anni. Le proposte e gli strumenti arriveranno come sempre partendo

dalle solide basi delle Convenzioni UNESCO 1972, 2003,

2005 e dalla Carta ICOMOS di Ename per l’interpretazione dei siti

del patrimonio culturale, con la riflessione di oltre trent’anni di attività

e lo sguardo attento a cogliere i segnali di un futuro complesso.

La pandemia globale, i cambiamenti climatici e sociali,

i nuovi bisogni stanno disegnando nuovi scenari che speriamo

di interpretare insieme, promuovendo sempre la conoscenza e il

dialogo fra culture. Il Movimento LBT-TTD sarà accanto alla presidente

in questa nuova avventura che, siamo certi, affronterà con

il sorriso accogliente e la tenacia che abbiamo imparato a conoscere

in questi anni. Il rapporto tra la Fondazione Romualdo Del

Bianco e il Movimento LBT-TTD è da sempre sinergico e di colla-

40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE


Carlotta e Caterina Del Bianco mostrano un pannello fotografico e interattivo

del Festival

Il festival The World in Florence nella Galleria delle Carrozze a Firenze (25-28

novembre 2021)

borazione nell’ideazione, promozione e organizzazione di attività

internazionali all’insegna del dialogo tra culture, il rispetto per

le diversità culturali e la valorizzazione dei territori per la pace

tra le genti. Questo percorso ha definito la filosofia Life Beyond

Tourism ® di cui il Movimento LBT-TTD si fa portavoce e ne mette

in pratica i princìpi all’interno dei territori con il coinvolgimento

attivo dei loro attori: residenti, istituzioni culturali, pubbliche

amministrazioni, aziende, artigiani, artisti. Ci rivolgiamo anche ai

viaggiatori per sensibilizzarli al rispetto dei territori che li ospitano

e per stimolare la ricerca dell’essenza dei luoghi che visitano.

Il modello di viaggio LBT valorizza le tradizioni locali e supera

il turismo dei servizi e dei consumi, facendosi promotore di un

viaggio responsabile e sostenibile, in contrapposizione al turismo

di massa che sta “uccidendo” il nostro pianeta. Con i nostri

servizi, gli enti locali sono in grado di contribuire nella creazione

di economia all’interno dei loro territori attraverso l’unione e la

collaborazione con le realtà del proprio luogo. Creiamo eventi basati

sul dialogo tra il territorio e i viaggiatori. Supportiamo le realtà

locali nel racconto del proprio territorio. Queste attività hanno

portato alla definizione di prodotti a servizio della valorizzazione

dei territori che stanno avendo eco internazionale: dalla creazione

della rete Infopoint Life Beyond Tourism, che ad oggi conta

37 centri di diffusione LBT in 17 paesi del mondo (Azerbaigian,

Giappone, India, Italia, Kazakhstan, Kosovo, Kyrgyzstan, Lettonia,

Lituania, Marocco, Polonia, Repubblica Ceca, Regno Unito, Russia,

Slovacchia e Taiwan), alla mostra itinerante che sta portando

nel mondo Firenze e la Toscana, Florence in the World, dal festival

internazionale delle espressioni culturali del mondo The World

in Florence, allo strumento di narrazione e valorizzazione dei

territori che è Luoghi Parlanti ® . Una serie di progetti che vanno a

consolidare la diffusione delle buone pratiche e del modello di Life

Beyond Tourism che, siamo certi, donerà nuova linfa ai territori

per renderli poli di attrattività di viaggiatori curiosi e consapevoli

e fulcri di conoscenza nel mondo.

The World in Florence 2022: è online il bando di partecipazione

La seconda edizione del festival delle espressioni culturali

del mondo The World in Florence si terrà a Firenze nei giorni

16-18 novembre 2022. Al link www.theworldinflorence.com è

disponibile il nuovo bando di partecipazione per presentare

il proprio territorio attraverso un racconto culturale interattivo

che metta in evidenza le peculiarità dei luoghi, con le loro

tradizioni, i modi di dire, i personaggi famosi, le specialità culinarie

e cosa vedere. Candida il tuo territorio ed entra nella

rete internazionale del Movimento LBT-TTD.

Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società

benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism®,

ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere

e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme

alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che

custodiscono. Offre progetti e soluzioni di visibilità e rafforzamento delle

identità locali dei vari luoghi, crea eventi basati sul dialogo tra il territorio e

i suoi visitatori grazie a una rete di relazioni internazionali di alto prestigio.

Per info:

+ 39 055 290730

info@lifebeyondtourism.org

www.lifebeyondtourism.org

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE 41


La tutela

dell’ingegno

A cura di

Aldo Fittante

Non Fungible Token

La rivoluzione del mondo dell’arte digitale

di Aldo Fittante

Tre lettere di un acronimo sono

diventate uno dei termini che

ha fatto irruzione con più forza

nel 2021. Si tratta di NFT, ovvero Non

Fungible Token, un certificato digitale

di autenticità associato a un singolo

file digitale attraverso la tecnologia

blockchain, la stessa utilizzata nelle

criptovalute. La blockchain è una vera

e propria “catena di blocchi”, una tecnologia

che permette il trasferimento

di dati digitali in modo crittografato e

decentralizzato, che gli conferisce assoluta

sicurezza. Per questo motivo il

termine blockchain è sempre stato legato

al campo delle criptovalute e ora

anche a questo tipo di beni digitali.

L’acronimo NFT si riferisce a un “token

non fungibile”, vale a dire un asset digitale

che non può essere consumato

o sostituito. Ogni NFT, infatti, viene

registrato tramite uno smart contract milioni di dollari

che gli assegna un numero univoco e

assicura il proprietario contro il rischio di possibili repliche.

Questo registro contiene i dati del proprietario e del

Everydays - The First 5000 Days (particolare), il collage digitale di Beeple venduto come NFT a 69

creatore, il che consente di preservare equamente il diritto

d’autore. In breve, un NFT può essere un’immagine, una

42

NON FUNGIBLE TOKEN


Il meme conosciuto come Disaster Girl

grafica, un video, una musica o qualsiasi altro contenuto

digitale di cui qualcuno vuole entrare in possesso. La

vendita di NFT è un nuovo modo di guadagnare facilmente

con l’online, e sono già molti gli artisti, gli influencer,

le celebrità, le aziende e le organizzazioni che stanno cavalcando

un’onda che, nel 2022, promette di subire un’ulteriore

impennata. Questo perché tutto ormai può essere

un NFT: basti pensare che il fondatore di Twitter, Jack

Dorsey, ha venduto il primo tweet sulla piattaforma di sua

paternità all’inizio del 2021 come NFT per quasi 3 milioni

di dollari. Il famoso “Nyan Cat” in versione Gif è stato

scambiato per 600.000 di dollari e anche i video degli

highlights NBA hanno raggiunto prezzi stellari. In effetti,

questo franchise sportivo ha già una piattaforma per

scambiare i propri NFT, cioè NBA Top Shot, e questo vale

anche nel caso della European American Football League.

Lo sviluppo degli NFT cambia il modo di acquistare

e vendere le opere d’arte digitali. Uno degli esempi più

eccezionali è quello dell’artista Beeple, il cui collage digitale

intitolato Everydays - The First 5000 Days è stato

messo all’asta l’11 marzo 2021 per 69 milioni di dollari.

Sebbene ci siano copie e versioni su Internet, l’NFT

corrisponde al contenuto originale; al creatore viene garantito

il 10% delle transazioni future. Pertanto, mentre

l’acquirente possiede i diritti di proprietà, anche i diritti

d’autore vengono preservati. Tutto questo comporta inevitabilmente

un forte impatto sulla comunicazione

digitale. Internet e l’evoluzione

delle tecnologie mobili hanno portato le

persone a stabilire dialoghi quotidiani attraverso

risorse digitali come emoji, adesivi,

meme, gif e video. A parte i casi già

citati, recentemente è emersa la conversione

in NFT di uno dei più famosi videomeme

di Internet: Charlie mi ha morso il

dito. Questo video è stato venduto come

NFT per 650.000 di dollari a maggio 2021;

vi si vede un bambino di un anno che morde

il dito del fratello di tre anni, il quale si

lamenta ad alta voce. Il padre dei bambini,

divertito dalla scena, ha caricato il video

su YouTube dove è stato visualizzato

talmente tante volte da diventare uno dei

primi meme della piattaforma. Non meno

significativo il caso della foto di una

bambina che sorride in primo piano mentre

una casa brucia sullo sfondo. Meglio

conosciuto come Disaster Girl, questo meme è stato recentemente

venduto per quasi mezzo milione di dollari. I

meme sono un elemento fondamentale nella cultura pop

digitale di oggi e un mezzo di comunicazione che anche

brand e aziende sfruttano frequentemente nelle strategie

di marketing. Sulla carta, il funzionamento di un NFT

è semplice: qualunque sia il tipo di “prodotto” – immagine,

video, audio, testo o file compresso –, questo ottiene

un identificatore che registra il nome dell’autore, il valore

iniziale e la cronologia delle vendite, insieme agli altri

metadati. Questo bene non fungibile non può quindi essere

duplicato né consumato con il suo utilizzo, tanto meno

può essere sostituito da qualcos’altro. In altre parole, in

qualsiasi casa o ufficio potrebbe esserci una replica della

Gioconda incorniciata ed esposta, ma l’originale si trova a

Parigi al Museo del Louvre e la sua riproduzione è protetta

da copyright. Repliche e versioni continueranno quindi

ad esistere, perché così è il mondo di Internet, tuttavia

il contenuto originale, oltre ad avere dei “proprietari”, permetterà

di garantire ricompense basate sulla paternità. Il

fenomeno NFT è agli inizi e c’è ancora molta strada da fare

affinché la sua tecnologia diventi massiccia e gli utenti

siano pienamente consapevoli delle sue potenzialità. Certamente

però questa nuova frontiera tecnologica ha tutte

le caratteristiche per portare ad una vera e propria rivoluzione

digitale del modo di produrre e vendere arte.

Avvocato, docente di Diritto della Proprietà Industriale

all’Università degli Studi di Firenze e giornalista pubblicista

iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, Aldo

Fittante è promotore di molti convegni e autore di numerose pubblicazioni

scientifiche, articoli in riviste prestigiose, saggi e monografie

in materia di Diritto Industriale e d’Autore.

www.studiolegalefittante.it

NON FUNGIBLE TOKEN

43


Farmacia Mijno e

Farmacia Guandalini

Un programma per aiutare l’organismo a depurarsi

della dott.ssa Anna Rita Maroccini e del dr. Gabriele Guandalini

L’avvicinarsi della bella stagione è il momento giusto per

ritrovare benessere e energia. Uno dei modi è depurare

il nostro organismo, migliorando lo stile di vita e scegliendo

dei prodotti validi che aiutino gli organi emuntori nelle

loro funzionalità detossinanti. Molto spesso il termine detox,

che deriva dall’inglese, è associato esclusivamente a un regime

dietetico particolarmente rigido; in realtà indica proprio un

processo di detossificazione completo dell’organismo che è

consigliabile intraprendere per ribilanciare i processi fisiologici,

psicologici e correggere lo stile di vita. In questo percorso

di depurazione è fondamentale aiutare gli organi emuntori ovvero

fegato, reni ed intestino che insieme svolgono la funzione

di smaltimento delle tossine, in modo che la loro quantità non

sia superiore alla capacità dell’organismo di smaltirle. Spesso,

infatti, le accumuliamo a causa di scorrette abitudini tra le quali

una dieta sbilanciata, l’uso improprio di farmaci o forti periodi

di stress. Ricordiamoci che un carico tossico troppo elevato

potrebbe portare a uno stato di infiammazione cronica di basso

grado detta silente che, se pur asintomatica, può provocare

problematiche importanti. Invece quando il nostro organismo

è depurato, ci sentiamo bene: il sistema immunitario funziona

meglio, l’intestino è più regolare, la pelle risplende luminosa.

Quali sono i segnali che l’organismo invia per dirci che abbiamo

bisogno di un trattamento detox? Tra quelli a cui dobbiamo

prestare attenzione ci sono: digestione lenta, sonnolenza dopo

i pasti, irregolarità intestinale, alitosi, gonfiore addominale. Per

ritrovare l’energia che ci fa stare bene è consigliabile migliorare

il nostro stile di vita e prenderci cura di fegato, intestino e

reni, assumendo dei rimedi efficaci come integratori a base di

principi naturali detossinanti. Scegliere una farmacia specializzata

di fiducia è il primo passo per intraprendere un percorso

di depurazione personalizzato in base alle vostre esigenze.

Il team della Farmacia Guandalini

Il team della Farmacia Mijno

Vi aspettiamo nelle nostre farmacie specializzate nel mese di marzo per consigliarvi e supportarvi.

Possiamo accompagnarvi in questo percorso di recupero del benessere anche a distanza.

Chiamate per fissare una consulenza oppure passate a trovarci:

Farmacia Mijno, via Gramsci 5, Signa (FI), + 39 055 875639

Farmacia Guandalini, via 24 Maggio 3/5, Lastra a Signa (FI), + 39 055 8720090


A cura di

Alessandra Cirri

L’avvocato

risponde

L’assegno unico, una nuova

forma di sostegno per i figli

a carico

Dal 1° gennaio 2022 è entrato in vigore l’assegno unico

e universale per i figli che sostituisce e ingloba tutte

le forme di sostegno per i figli a carico, tra le quali

i bonus e gli assegni familiari. L’assegno unico sarà erogato

mensilmente dall’INPS a coloro che esercitano la responsabilità

genitoriale in presenza di figli, a prescindere dalla condizione

lavorativa. La misura riguarda i figli fino al compimento del ventunesimo

anno di età e i figli con disabilità; l’altra novità è che i

soggetti beneficiari possono essere anche i lavoratori autonomi,

gli imprenditori, i liberi professionisti e i disoccupati, quindi

non soltanto coloro che svolgono un lavoro da dipendente.

La platea di chi può far domanda aumenta rispetto ai soggetti

destinatari delle precedenti forme di sostegno. L’assegno unico

verrà corrisposto sulla base dei redditi e non solo, ma anche

in relazione e considerazione di tutto il patrimonio dei soggetti

beneficiari. Gli importi erogati dipenderanno dall’ISEE del nucleo

familiare dove vivono i figli, calcolati in base a delle tabelle

che prevedono scaglioni di fasce di reddito. Nel caso di genitori

separati, divorziati o non conviventi si pone il problema di chi

possa fare domanda e all’ISEE di quale genitore si dovrà far riferimento

per ottenere il sostegno previsto. Nella maggior parte

dei casi ad esercitare la responsabilità genitoriale sono due

genitori, ma solo uno dei due può presentare la domanda per

lo stesso figlio una sola volta all’anno. Il genitore che richiede

l’assegno unico deve indicare nella domanda tutti i figli per

i quali ha intenzione di richiedere il beneficio e per ciascuno di

essi dovrà fornire il codice fiscale dell’altro genitore. In base alla

normativa, l’assegno unico spetta ad entrambi i genitori al

50%, a prescindere dal fatto che il genitore versi o meno l’assegno

di mantenimento per i figli o da chi sia realmente convidi

Alessandra Cirri

vente con gli stessi. Tuttavia, la procedura permette anche di

scegliere che l’importo venga pagato al 100% solo al richiedente

che, però, deve dichiarare che la modalità di ripartizione del

beneficio è stata decisa di comune accordo con l’altro genitore.

Il genitore non richiedente non deve necessariamente confermare

la scelta del richiedente e può chiedere, in un secondo

momento, che la ripartizione avvenga nella misura del 50% per

ciascun genitore. La procedura in oggetto, come spesso accade,

potrebbe generare attrito tra i genitori che hanno diritto al

beneficio, soprattutto se non c’è accordo sulla divisione dei benefici

spettanti ai figli. Per tale motivo è consigliabile inserire

negli accordi di separazione o divorzio il criterio con il quale

verrà attribuito l’assegno, se al solo genitore convivente con i

figli e in quale misura. Per il modello ISEE, il genitore non convivente

va comunque aggregato al nucleo familiare del minore

per il quale si richiede l’assegno. Esistono però delle eccezioni:

se il genitore non convivente risulti coniugato con persona diversa

dall’altro genitore; se risulti avere figli con persona diversa

dall’altro genitore; se sia stato escluso dalla potestà sui figli

o sia stato adottato il provvedimento di allontanamento dalla

residenza familiare; se sia stato stabilito con provvedimento

dell’autorità giudiziaria il versamento di assegni periodici destinato

al mantenimento dei figli; se risulti accertata in sede giurisdizionale

o dalla pubblica autorità competente in materia di

servizi sociali la estraneità in termini di rapporti affettivi ed economici.

La nuova misura dell’assegno unico, che assorbe tutti i

precedenti incentivi per le famiglie con figli, ha inoltre mantenuto

inalterata la possibilità di portare in detrazione nelle dichiarazioni

dei redditi tutte le spese per i figli a carico, ovvero per

quelle sanitarie, di istruzione e per l’attività sportiva.

Laureata nel 1979 in Giurisprudenza presso l’Università

di Firenze, Alessandra Cirri svolge la professione

di avvocato da trent’anni. È specializzata in diritto

di famiglia e minori, con competenze in diritto civile. Cassazionista

dal 2006.

Studio legale Alessandra Cirri

Via Masaccio, 19 / 50136 Firenze

+ 39 055 0164466

avvalecirri@gmail.com

alessandra.cirri@firenze.pecavvocati.it

ASSEGNO UNICO

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Personaggi

Il Cece

Un artista del disegno umoristico

di Andrea Cafaggi

«

Ognuno di noi ha il suo Dio, che lo regala ogni

giorno di un povero immenso dono». Così scriveva

l’autore dell’Epistula ad Matriculas che

tanto mi commosse ai miei verdi anni, ed oggi più che mai

mi fa tornare il groppo in gola di quella commozione. Certo

quel dono, quale che sia, alcuni lo ignorano, altri lo trascurano,

altri ancora lo vivono come il contrastato amor

di Catullo (fieri sentio et excrucior), altri infine lo coltivano

anche a prezzo di enormi sacrifici. Fra questi ultimi, voglio

rendere speciale omaggio e onore al grande Cece, che

da sempre vive con sereno e divertito distacco il suo dono

di saper disegnare stupende tavole e vignette per gli amici,

rubando ore al sonno, senza alcun tangibile corrispettivo

ma contentandosi di godere, di riflesso, della gioia

che procura ai destinatari delle stesse. Il vasto pubblico,

pedestremente, conosce il Cece col suo nome d’arte, o

meglio nessun vasto pubblico lo conosce proprio, al di

fuori della cerchia dei suoi amici. I quali, per contrappasso,

non ricordano quasi più il suo vero nome, quello dei registri

dell’Anagrafe, Francesco Sciacca. Eppure, secondo

me, il nome di “Cece” meriterebbe invece la massima fama

e risonanza: questo puro bisillabo iterativo dovrebbe

rincorrersi sul labbro delle genti d’ogni paese. E dovrebbe

essere pronunciato con rispettosa venerazione, dai cultori

del disegno d’arte contemporaneo, al pari di quello dei

più celeberrimi Moebius, Muñoz, Pazienza, Fremura, etc.:

perché non meno grande di essi è il nostro Cece! Spesso

attorno ad un artista in auge volteggiano sciami di letterati

che sfornano a getto continuo recensioni mirabolanti

per illustrare ogni sua opera come capolavoro di assoluta

originalità e genialità: il tutto, ovviamente, per finalità

commerciali. Il Cece, al contrario di tanti meno bravi di

lui ma più introdotti negli ambienti giusti, non ha mai venduto

quadri o disegni, né ha mai cercato alcun garante o

sponsor per decollare nel mondo dell’arte grafica o della

vignetta satirica sui giornali. E per questa sua modestia

è rimasto semplicemente il Cece, umbratile genio negletto

dal grande mondo ma faro di luce per noi che gli vogliamo,

e ai quali lui vuole, un bene sincero. Inoltre, siccome

non ha mai chiesto alcun compenso, né alcuna recensione

ai tanti per i quali ha profuso tavole, vignette e strisce,

per poter sbarcare il lunario ogni giorno, il Cece ha dovuto

Il domatore di calamari

Provolo, Gran Caiordo

46

IL CECE


L'assaggiatore

confinare nelle ore notturne il tempo da dedicare alla sua

arte. Ma il genio del Cece vola ben più in alto di ogni miseria

e di ogni interesse materiale, e il sole non scioglie

la cera delle sue ali poiché esse non sono posticce. Lui,

con quelle ali, c’è nato. Ars gratia artis, proprio come recita

il motto della Metro-Goldwyn-Mayer. Poiché non c’è bisogno

di intermediari, fra la sua Arte e i felici mortali cui

tocca la gioia di fruirne: essa non chiede compensi, non

ha bisogno di alcuna spiegazione, eppure tutte le parole

del mondo non basterebbero a spiegarla né a riprodurre

in vitro la beatitudine che dagli occhi scende a riscaldare

i precordi di chi la osserva con animo puro. E quindi dico

al Cece: non lasciare che la tua Arte mai languisca, rinnova

ogni giorno per i nostri occhi deliziati e stupiti il miracolo

del tuo tratto semplice e sublime! Ripeti per noi mille

volte ancora le tue liete e sognanti trasfigurazioni di una

realtà che senza di esse ci parrebbe insopportabilmente

prosaica e materiale. Continua a trasportare nel tuo cielo

limpido e fantastico il nostro anelito di bellezza e di armonia

per questo mondo. Poiché questo è ciò che cerchiamo

di attingere e di testimoniare con ogni nostra piccola

o grande sofferenza umana: questo, che lottiamo per realizzare

qui ed ora. E possano i tuoi segni (segni di segni

come direbbe Eco/Adso da Melk) aiutarci a vivere e a sognare

ogni giorno il mondo buono e sereno che è proprio

dietro l’angolo della tua – e della nostra – fantasia. Con

affetto, Cafax senior.

Polpo alla catalana

Nicola I. G. Terry

IL CECE

47


PREMIO I MURAZZI 2022

X EDIZIONE

SCADENZA 15 APRILE 2022

Poesia singola - sezione A

Silloge inedita - sezione B

Poesia edita - sezione C

Poesia edita femminile opera prima - sezione D

Prosa inedita - sezione E

Prosa edita - sezione F

Saggistica inedita - sezione G

Saggistica edita - sezione H

La quota di iscrizione per ogni sezione

e per ogni opera inviata è di € 20,00

per info e regolamento visitare il sito

https://www.elogiodellapoesia.it/Bando22.pdf

tel. 0113092572 / 3290060705

info@elogiodellapoesia.it


I libri del

mese

Alex Pagni

Un viaggio dentro sé stessi attraverso la poesia

di Erika Bresci

«

Mentre io son qui, / In questa isola, sperduta sul

mare. / Sognando soltanto un sussulto di vele

/ O la fresca carezza d’una strofa del vento».

Scavare nella profondità di questi quattro versi tratti dalla poesia

Il porto solitario, presente nella raccolta, aiuta a prendere

per mano il viaggiatore, seguirlo nei suoi percorsi più

arditi, fermarsi con lui nelle inevitabili, spesso dolorose soste,

scegliere i bivi, ascoltare le voci, gustarne i silenzi, vestire

gli stessi panni di erratico stupore. «Io sono qui», scrive

il poeta. E la distanza dal “là”, rappresentato dal chiassoso,

quasi sempre insulso muoversi delle nostre grigie, anonime

città, delle frenetiche strade che accompagnano i passi indaffarati

del quotidiano, pare incolmabile. In mezzo, Pagni ci

racconta per immagini quel mare nel quale l’isola è immersa,

una distesa d’acqua immensa, brulicante di vita, così lontana

dal «padule d’abitudini, stagno di “vita”» cui la cecità del

lavorio odierno ci condanna. Un luogo “oltre”, dove è possibile

ancora sognare, perché «chi non sogna più è morto ormai

da tempo…». Scopriamo allora che il viaggio cui ci invita

Alex Pagni non è una mutatio loci – che, sappiamo benissimo

con i maestri latini Orazio e Seneca («Devi cambiare d’animo,

non di cielo»), non garantisce lo star bene, il ritrovare la pace,

la serenità –, ma un camminare dentro sé stessi per ricercare

la radice della propria essenza. Un viaggio dal buio alla luce.

Dall’aridità alla fecondità. Proprio nello sviluppo di questo

tema centrale è possibile notare come il rispetto filiale, l’eredità

che Pagni mutua dai grandi della poesia, primo fra tutti

Dante, non si risolve in semplice eco di voci già ascoltate. Il

viaggio che Dante fa partendo dalla porta della città infernale

di Dite, fino ad arrivare alla visione estatica del Paradiso, in

un progredire e in un sentire tutto di fede, in Pagni diventa un

percorso che identifica nella vita stessa l’inferno da attraversare

– «“Questa è la vita.” / Veggi sovra l’entrata dell’arcana

dimora» –, per poi giungere all’approdo nel “giardino”, al recupero

di un rapporto privilegiato e puro con la natura e i suoi

elementi: «Latteo sentier portommi dinnanzi all’antico portal,

/ Spinse mio cammin, ancora ed ancora… / Perenne silenzio

vagheggiava tra zagare ed allori. / Decisi di andare, dissi addio

all’umano mondo / Ed aprii ‘l celestial portone…». Non cori

angelici e Rosa mistica ma un giardino dell’Eden dove l’uomo

possa riscoprire la propria ingenuità adamitica, possa comunicare

con gli altri abitanti del creato, possa loro rendere grazie,

e custodire, e ammirare, e amare. Un privilegio, questo,

che è possibile sperimentare anche in questa valle di lacrime.

E anche in questo Pagni ci offre un metodo, una via. La «fresca

carezza d’una strofa di vento», citata all’inizio, racchiude

in sé le due chiavi per aprire questo scrigno delle meraviglie:

la prima è senz’altro il rapporto con la natura: un fiore, un giovane

olivo, una rondine, un gabbiano, una foglia, l’erba dei

Alex Pagni, Il viaggio (Laura Capone Editore, 2021)

campi parlano al cuore e agli occhi di chi sa “vedere”; la seconda

è la voce usata dalla natura, che si fa poesia nelle mani

del poeta. La poesia è il linguaggio che mette in comunione

l’uomo con il creato, «la Poesia è istinto di vita, / Eterna fiamma

arder nell’animo, / … / Scelta del ciel, salvezza di spirto».

La poesia è salvifica perché ha la capacità di attingere al pozzo

delle emozioni, di farne emergere acqua sorgiva, fonte di

vita da regalare a sé e a quanti sosteranno nel silenzio del

proprio dolore per dare ad esso significato e valore. La poesia

di Pagni, si diceva, è intessuta di rimandi classici, rielaborati

però in una visione del tutto personale e propria. Così

Dante della Commedia, Leopardi del colle dell’Infinito, Pascoli

e la sua rondine di X Agosto, ma anche Omero, cantastorie

e veggente, offrono quel terreno di coltura dal quale prezioso

fluisce originale e puro il canto del poeta. Raramente, oggi,

la poesia viene sponsorizzata dal mondo editoriale, ancor

più raramente si decide di investirci sopra. Il viaggio di Alex

Pagni rappresenta, anche in questo, forse per quanto ricordato

in sintesi, una piacevole eccezione.

ALEX PAGNI

49


Arte e restauro

in Toscana

Cappella Brancacci

Al via il restauro del capolavoro di Masolino e Masaccio nella

chiesa del Carmine a Firenze

Sarà possibile accedere ai ponteggi per ammirare gli affreschi da una prospettiva inedita

di Barbara Santoro

Èiniziato lo scorso gennaio il restauro degli affreschi della

Cappella Brancacci, gioiello dell’arte fiorentina nella

chiesa del Carmine. La particolarità è che durante

il restauro il pubblico potrà accedere alla cappella e, grazie ai

ponteggi, ammirare il capolavoro di Masolino e Masaccio da distanza

ravvicinata e da una prospettiva del tutto inedita. Un’occasione

unica per guardare negli occhi i protagonisti degli

affreschi, come Adamo ed Eva tentati dal serpente e poi cacciati

dal Paradiso. Il ciclo fu commissionato da Felice Brancacci,

ricco mercante di seta e politico fiorentino, già patrono della

cappella posta nel transetto fin dal 1367. Per rispettare le disposizioni

testamentarie dell’avo Pietro, Felice fece eseguire

l’imponente ciclo pittorico dedicato alla vita di San Pietro, protettore

della famiglia. L’opera fu realizzata a più mani da Tommaso

di Cristoforo Fini, meglio conosciuto come Masolino da

Panicale (1383-1447), e da Masaccio, soprannome di Tommaso

di ser Giovanni di Mone di Andreuccio Cassai (1401-1428),

suo allievo. Masolino era già un pittore affermato, mentre Masaccio,

appena ventiduenne, figlio di un notaio e nipote di un

costruttore di cassoni, si stava facendo conoscere. Nel 1428

Masaccio sostituì definitivamente il maestro che era stato chiamato

in Ungheria per un incarico importante, ma morì poco

dopo all’età di 27 anni. Felice Brancacci, essendosi schierato

contro i Medici nel 1436, fu esiliato e forse la cappella fu svuotata

da ogni riferimento alla famiglia per volontà, si ipotizza,

degli stessi frati del convento. Venne quindi dedicata alla Madonna

del popolo e fu posta sull’altare una Madonna con Bambino

del 1268 a ricordo dell’anno di fondazione della chiesa. Con

molta probabilità, la scena del martirio di San Pietro dipinta dietro

l’altare fu cancellata. Oggi gli affreschi di Masolino solo in

minoranza, ma in origine si trovavano anche sulla volta a crociera

e su una delle due lunette superiori andate distrutte, con un

effetto d’insieme completamente diverso dall’attuale. Sembra

che Masolino e Masaccio lavorassero separatamente ma insieme

su un unico ponteggio, dipingendo scene contigue in modo

da evitare una netta separazione fra le loro opere. Le parti mancanti

furono poi completate tra il 1481-1483 da Filippino Lippi

(1457-1504), al quale si deve il ripristino e l’integrazione delle

scene mancanti. Scampata all’incendio del 1771, che devastò

l’interno della chiesa, la cappella fu acquistata dai Riccardi

che ne rinnovarono l’altare e il pavimento. Gli affreschi trascurati

per tutto l’Ottocento, vennero sottoposti alla spolveratura

nel 1904, ma fu soltanto l’accurato restauro effettuato negli anni

Ottanta del Novecento a permettere il recupero del magnifico

ciclo di affreschi. L’intervento di restauro e valorizzazione messo

a punto da Comune di Firenze, Soprintendenza, Cnr-Ispc di

Vista d’insieme della Cappella Brancacci

Firenze, Opificio delle Pietre Dure e Fondazione Friends of Florence,

in compartecipazione con Jay Pritzker Foundation, durerà

un anno. «Poter quasi toccare gli affreschi di solito visti

solamente dal basso verso l’alto è davvero emozionante – dichiara

il sindaco e assessore alla Cultura del Comune di Firenze

Dario Nardella – e nei prossimi mesi visitatori e turisti potranno

approfittare di questa opportunità davvero unica. L’alternativa,

ovvero chiudere la Cappella Brancacci per tutto il tempo del

restauro, ci pareva un danno davvero grande, soprattutto dopo

il prolungato periodo di lockdown per i nostri musei a causa

del Covid. Siamo grati a restauratori e tecnici per aver consentito

questa possibilità di accesso e siamo particolarmente felici,

inoltre, di avere di nuovo a fianco la Fondazione Friends of Florence

che davvero si dimostra “amica” della città avendo così

a cuore i suoi beni artistici». La presidente della Fondazione,

Simonetta Brandolini d’Adda, ha così commentato l’iniziativa:

«Friends of Florence sostiene l’intervento agli affreschi della

Cappella Brancacci attraverso il dono di alcuni fra i sostenitori

più vicini alla nostra Fondazione, in particolare Dan Pritzker

50 CAPPELLA BRANCACCI


Parete ovest della cappella

Masaccio, Battesimo dei neofiti (particolare)

della Jay Pritzker Foundation, membro del board di Friends of

Florence, Janet e Jim Dicke II, membro anche quest’ultimo del

consiglio di amministrazione e sostenitore insieme alla moglie

da 23 anni dei progetti della nostra fondazione, Peter Fogliano

e Hal Lester Foundation, donatori di Friends of Florence da oltre

15 anni. Siamo molto grati a tutti loro per la vicinanza e il sostegno

all’iniziativa e siamo felici di cominciare questo intervento,

consapevoli dell’importanza che la Cappella Brancacci ha per

la cultura fiorentina, italiana e internazionale. Il nostro grazie

va anche al Comune di Firenze, alla Soprintendenza Archeologia

Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze

e le province di Pistoia e Prato, al

CNR e all’Opificio delle Pietre Dure,

enti con i quali collaboriamo da anni

e la cui sinergia sarà fondamentale

per lo sviluppo dell’intero progetto».

Nel novembre 2020 gli affreschi sono

stati sottoposti ad un primo monitoraggio

che aveva messo in luce

alcune criticità dal punto di vista

della conservazione e la necessità

di stabilizzare alcuni potenziali fenomeni

di deterioramento presenti

sul ciclo pittorico. Grazie all’attuale

cantiere è oggi possibile svolgere

una nuova campagna diagnostica,

più approfondita ed esaustiva della

precedente. Le tecniche utilizzate,

completamente non-distruttive,

consentiranno di conoscere approfonditamente

i materiali utilizzati,

gli aspetti pittorici e i fenomeni di alterazione/degrado: informazioni

indispensabili per una corretta pianificazione dell’intervento

di restauro. Allo stato attuale sono in corso indagini di

imaging fotografico nelle varie bande dello spettro elettromagnetico,

dal visibile all’infrarosso, in alta definizione e a luce radente,

finalizzate ad identificare le aree con anomalie altrimenti

impercettibili allo sguardo. Le attività successive sono mirate

ad aumentare il livello di dettaglio conoscitivo sui particolari

identificati nella fase diagnostica precedente. Dopo il restauro

la cappella tornerà ancora più godibile di prima e sarà certamente

meta sia dei fiorentini che dei turisti.

I ponteggi del restauro attualmente in corso (ph. Gino Carosella)

CAPPELLA BRANCACCI

51


Firenze

mostre

Zhang Leifu

Protagonista allo Spazio Espositivo San

Marco con opere realizzate attraverso

l’intelligenza artificiale

di Jacopo Chiostri

Zhang Leifu, giovane artista cinese, nato a Hunan nel

1992, attivo nel campo dell’A. I. (intelligenza artificiale)

painting, è stato ospite a inizio marzo dello Spazio Espositivo

San Marco (Toscana Cultura). La mostra, curata da Luca

Xie e Rosanna Ossola e presentata da Jacopo Chiostri, ha avuto

una vasta eco per la sua originalità e innovazione. Zhang Leifu

si è laureato all’Accademia Centrale di Belle Arti con specializzazione

in Pittura a olio nel 2018, e attualmente segue un dottorato

in estetica presso l’Università di Tsinghua. Grazie a software da

lui stesso creati, propone nuovi media tramite l’utilizzo di bracci

robotici che mettono in relazione, evidenziandone punti di contatto

e differenze, estetica artificiale ed estetica meccanica. Le

opere, proposte in genere in spazi pubblici, sono realizzate con

algoritmi “istruiti” in ambiente di deep learning, algoritmi evoluti

capaci di imparare e dialogare tra loro, e i dipinti, riferibili alla

nostra realtà sociale, pongono in sovrapposizione realtà virtuale

e realtà fisica. In mostra, a Firenze, quarantasette ritratti eseguiti

con una A. I. Painting man-machine, uno strumento di cui

l’artista è coautore e con il quale sono stati elaborati disegni

eseguiti da altrettante persone, interpretando ed elaborando i loro

singoli stili: è stato chiesto al pubblico di interagire con un

braccio robotico disegnando, con linee e schizzi, un ritratto; poi,

i dati raccolti da telecamere da diverse angolazioni, sono stati

elaborati dalla macchina (i lavori in mostra al “San Marco”, tra

l’altro, hanno confermato che agli algoritmi è richiesta una soglia

di conoscenza molto alta, simile, peraltro, a quella della ritrattistica

della pittura tradizionale). Zhang Leifu evidenzia due

aspetti centrali del suo lavoro: il primo relativo ai benefici della

ricerca che conduce, benefici che, in forma tangibile, producono

nuove frontiere per scienza e tecnologia nei campi della

matematica, della statistica e dell’intelligenza artificiale; l’altro,

intimamente connesso al suo lavoro di artista, la necessità di

offrire in ambito pittorico una risposta sistematica alla frattu-

Zhang Leifu

ra verificatasi tra pittura tradizionale e società contemporanea.

I momenti più significativi del percorso artistico di Zhang Leifu:

2014 partecipazione alla mostra del 65° anniversario della China

Artists Association sul tema “Doppie Cento Figure” (pittura

a olio); 2017 progetto di cooperazione tra il Palazzo Imperiale e

l’Accademia Centrale di Belle Arti per un ritratto di lavoratore inteso

come simbolo nazionale; aprile 2018, ha collaborato alla realizzazione

del disegno per un ritratto ufficiale di Deng Xiaoping

per il 30° anniversario della riforma e dell’apertura, che è stato

raccolto dal Museo di Deng Xiaoping nella città di Guang’an;

agosto 2018, su invito della National Ice Hockey Association of

the State Sports General Administration, ha realizzato dipinti a

olio per la Chinese Ice Hockey Association; sempre nel 2018,

su invito del Ministero degli Affari Esteri, ha dipinto un ritratto

di Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite e presidente

del Forum Boao per l’Asia, che è stato donato allo stesso

Ban Ki-moon; agosto 2018, ha dipinto un ritratto di Li Zhaoxing,

l’ex ministro degli Affari Esteri; settembre 2018, è stato invitato

dal Ministero del Commercio a dipingere un ritratto per Hun Sen,

l’ex primo ministro di Shupu Zhai; dicembre 2018 ha ritratto Yang

Liwei, un eroe spaziale.

Jacopo Chiostri, giornalista, presenta la mostra

Il giornalista Fabrizio Borghini intervista Rosanna Ossola, co-curatrice della

mostra insieme a Luca Xie

52

ZHANG LEIFU


A cura di

Francesco Bandini

Quando tutto

ebbe inizio…

Viola, un colore da re

Rinvenuti a Timna, nel sud di Israele, frammenti di tessuti tinti di viola: un ritrovamento

unico che racconta la storia della regione com’era tremila anni fa

Testo e foto di Francesco Bandini

Oggi nelle ricerche archeologiche s’incrociano competenze

diverse: dai geologi agli archeo-botanici,

dai fisici agli antropologi, ai chimici. In uno scavo,

dunque, vengono utilizzati tutti quei patrimoni di metodi di

lavoro e di tecnologia che provengono dalla collaborazione

con numerose altre discipline. Uno scavo archeologico non

è più soltanto un ambiente dove operano architetti, restauratori,

epigrafisti ed esperti di lingue antiche ma è un luogo

in cui s’intersecano competenze diverse, dai geologi ai

paleozoologi, ai fisici, che studiano, per esempio, i pollini e

quindi la vegetazione antica e sono in grado di ricostruire

il clima e i cambiamenti del tempo. Tante professionalità

ci hanno permesso di svelare quelli che per troppo tempo

abbiamo chiamato “misteri dell’archeologia”; grazie a loro

abbiamo potuto capire cosa è sepolto sotto il piano di

campagna di territori nei quali sono vissute antiche civiltà,

facendo passi avanti enormi nella comprensione e nella

ricostruzione della vita e del costume di quelle comunità.

Un esempio concreto ci viene dai riferimenti letterari, religiosi

e botanici che oggi hanno documentato una scoperta

unica: i ricercatori che lavoravano sui tessuti nel sito archeologico

nella valle di Timna, all’estremità meridionale

di Israele, sono rimasti sbalorditi per la recente scoperta

di tessuti e fibre di lana tinti di porpora reale, da non confondere

con il rosso porpora, una tintura estremamente costosa,

citata anche nella Bibbia, il cui colore viola è ancora

intenso, anche se vira verso il porpora in alcuni punti. I pezzi

di stoffa non sono molto grandi ma il loro colore non inganna:

una datazione di carbonio-14 li fa risalire intorno al

1000 a. C. . Il periodo corrisponde alle monarchie di Davide

e Salomone a Gerusalemme. «Il colore – ha dichiarato il

28 gennaio scorso il professor Ben Yosef in un comunicato

dell’Autorità Isrealiana per le Antichità e dell’Università di

Tel Aviv – ha immediatamente attirato la nostra attenzione,

ma fatichiamo ancora a credere di aver trovato del viola antico

di tremila anni fa». In Israele prima d’ora non erano mai

stati trovati resti di questa tintura, nota come “argaman” o

“porpora di Tiro”. Nell’antichità i capi di abbigliamento viola

erano associati alla nobiltà, ai sacerdoti e ai reali. Le magnifiche

tonalità del viola e la difficoltà nel produrre questa

tintura, che si trova in quantità minime nei corpi dei piccoli

molluschi, per lungo tempo lo hanno reso il più prestigioso

dei coloranti. «Il porpora reale era più costoso dell’oro»

spiega Naama Sukenik, curatrice delle scoperte organiche

per le antichità. Fino ad oggi erano stati trovati solo i gusci

dei molluschi e il materiale utilizzato per estrarre i pigmenti

dalla piccola ghiandola situata nel loro corpo. Questi

molluschi sono chiamati “murici” e sono stati utilizzati anche

per produrre il blu azzurro da cui si ricava il viola a se-

Uno dei frammenti di tessuto viola rinvenuti a Timna

conda di come i pigmenti sono esposti al sole. Questi due

colori sono spesso citati insieme nelle fonti antiche; i sacerdoti

del Tempio, Davide, Salomone e Gesù sono tutti descritti

mentre indossavano abiti tinti di viola. Trovati nel

sito di produzione del rame di Timna, questi frammenti di

tessuto testimoniano la ricchezza della popolazione nomade

che abitava quello che un tempo era il regno di Idumea.

I re governavano società complesse, formavano alleanze,

relazioni commerciali e si facevano la guerra. La ricchezza

di una società nomade non si misurava nei palazzi, ma

in cose non meno apprezzate nel mondo antico, come il rame

prodotto a Timna e la tintura viola che veniva commerciata

con essi.

VIOLA, UN COLORE DA RE

53


Nuove proposte dell’arte

contemporanea

A cura di

Margherita Blonska Ciardi

Te - Sian Shih

Le sfide internazionali dell’artista e designer taiwanese conosciuta e

apprezzata nel mondo

di Margherita Blonska Ciardi

Te - Sian Shih è un’artista grafica e designer taiwanese

che da diversi anni vive e lavora a New York. I suoi lavori,

che uniscono le necessità commerciali della società

contemporanea alla cultura, riscuotono molto successo

in varie parti del mondo. Spesso le sue opere evadono dal

linguaggio materialista della pubblicità per immergersi nel

regno della poesia, della musica e dei sentimenti umani. In

questo modo il suo design è sempre attuale e tocca il cuore

del pubblico classificandosi come opera d’arte. Te - Sian

ha una preparazione professionale a trecentosessanta gradi,

essendo inoltre specializzata nel packaging e nel branding

delle aziende e dei marchi. Queste conoscenze e il naturale

intuito artistico le hanno permesso di sviluppare uno stile

molto personale, in cui la tecnica e la geometria incontrano

una fertile fantasia con l’obiettivo di approfondire la conoscenza

della psicologia collettiva. La scelta delle composizioni

e dei colori è sempre dettata dallo scopo che l’artista

vuole ottenere per guidare le reazioni del pubblico. Ha lavorato

per clienti molto importanti come il maestro di musica di

fama mondiale Cho-Liang, e ha collaborato con il festival di

Lin’s Taipe Music Accademia e con diverse istituzioni tra cui il

Ministero della Cultura del Taiwan. I suoi progetti grafici sono

visibili in diversi supermercati di New York City e alcuni suoi

lavori sono stati presentati nel 2019 nell’ambito della mostra

d’arte promossa dall’UNICEF presso l’Oculus del World Trade

Center. L’artista ha partecipato alla Biennale di Firenze 2019

e alla Biennale di Genova 2021. Inoltre, i suoi progetti di design

sono stati esposti nel 2021 nella mostra d’arte a Taiwan

dedicata al mondo delle orchidee, con il supporto dell’Ufficio

Economico e Culturaledi Taipei e del Ministero della Cultura

di Taiwan. Nel 2019 è stata invitata, insieme a altri undici artisti,

a partecipare ad una collettiva nel quartiere Chelsea di

New York curata dalla famosa artista Catherine Lan. Te - Sian

è stata intervistata dai quotidiani Voice of America e World

Journal e ha vinto numerosi premi negli Stati Uniti come

graphic designer negli anni 2019 e 2021. Nel 2022 prenderà

Echoes (2021) Éne (2018)

54

TE - SIAN SHIH


Loving message (2020)

parte ad un’esposizione a Bruxelles e presenterà le proprie

opere a Venezia nella seconda edizione di Tamara Art Award,

che si svolgerà tra fine maggio e inizi giugno, e alla quarta

esposizione internazionale Aqvart che si terrà, sempre nel capoluogo

veneto, il prossimo settembre e sarà dedicata al tema

della laguna e dell’ambiente.

TE - SIAN SHIH

55


Il cinema

a casa

A cura di

Lorenzo Borghini

La grande bellezza

La vacuità del mondo firmata Sorrentino

di Lorenzo Borghini

Èda poco diffusa la notizia che È stata la mano di

dio, ultimo film di Paolo Sorrentino, è entrato in

cinquina agli Oscar quale miglior film straniero. A

distanza di otto anni dall’Oscar vinto nel 2014, La grande

bellezza non perde lo smalto di un tempo anzi, acquisisce

ancor più valore. Dopo molteplici visioni tutte le piccole

sfumature vengono a galla e un senso di grande bellezza

ci assale, proprio come nel film, in cui il fascino della

città eterna colpisce un turista asiatico facendolo crollare

in preda ad un malore. Sorrentino prende a pretesto un

microcosmo composto da galleristi d'arte, nobili decaduti,

direttori di prestigiose riviste, maschere al botulino, ricchi

e arricchiti di ogni specie per una riflessione assai più

ampia. La grande bellezza non è un film su Roma e sull’Italia,

e soprattutto non è un film per il quale dobbiamo scomodare

il grande maestro Federico Fellini. Non che questi

riferimenti siano inesatti, ma Sorrentino dà al suo film un

carattere universale. Se ci distacchiamo per un attimo dai

piccoli provincialismi italiani, chiudendo gli occhi possiamo

vedere la rappresentazione dello squallore quotidiano

intriso di vacuità, la rincorsa forsennata a quell’apparire

che ormai dilaga in tutto il mondo, le continue bugie

per evitare di ferirci ancor di più; e dentro questo vortice

di mondanità si aggira l’antieroe Jep Gambardella (Toni

Servillo), re dei mondani, come si proclama in uno dei

tanti monologhi interiori, circondato sempre da centinaia

di persone ma allo stesso tempo solo come l’eremita

che sta sulla montagna. Jep, napoletano con mille aspettative,

parte in giovane età per quella Roma che tanto promette

ma poco mantiene. Durante la sua ricerca di quella

purezza – che scoprirà non esistere – lascia, un po’ per superbia

e un po’ per pigrizia, che il vuoto della chiacchiera

e della mondanità anestetizzi il suo cuore dolente facendolo

diventare indifferente e impermeabile a tutto, perfino

alla tanto amata scrittura. L’unica bellezza che sembra intravedere

è quella lontana centinaia di chilometri, decine

di anni, la grande bellezza che ormai alberga solo ne suoi

ricordi: il mare, il primo amore che non ritornerà più, quella

spensieratezza che appartiene a un’epoca passata, sotterrata

da bugie, cinismo, scopate e feste con persone che

fingono di stare bene ma, come dice Jep, i trenini delle loro

feste sono i più belli d’Italia proprio perché non vanno

da nessuna parte. Ma poi incontrerà Ramona, spogliarellista

a fine carriera che gli dirà quel “Volemose bene” che

ci fa pensare a due anime sole, due anime disincantate

che uniranno le loro solitudini senza nemmeno il bisogno

di toccarsi. Ma la morte, cinica e spietata, gli sottrarrà Ramona

poco dopo, strappandogli di dosso quel bagliore di

pace che sembrava aver ritrovato accanto alla ragazza, im-

maginando, insieme alla donna, un mare placido sul soffitto

che placa per un momento le sue paure e le brutture

della sua esistenza quotidiana. In questa Roma decadente

e decaduta c’è anche molto di sacro, una santità perduta,

profanata da tutti noi, perché guardando La grande bellezza

dobbiamo farci forza e riconoscere i vizi, le oscenità, i

difetti, il ridicolo che è in tutti noi, le sconfitte dell’animo,

e da lì ingoiare il boccone amaro, rialzarci e ripartire dalle

“radici” per raccontarci la verità che tanto ci appartiene.

Jep alla fine del film ci confida quasi timidamente il suo

mondo e il nostro in un monologo che lascia gli spettatori

spiazzati e ammutoliti a riflettere su ciò che ci è stato appena

mostrato. «È tutto sedimentato sul chiacchiericcio e

il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura,

gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza e poi lo squallore

disgraziato e l’uomo miserabile». Quindi lasciatevi cullare

da La grande bellezza proprio come Jep fa con il mare dei

suoi ricordi, lasciatevi cullare come il bambino dalla mamma...

BLA BLA BLA.

56

LA GRANDE BELLEZZA


A cura di

Giuseppe Fricelli

Polvere di

stelle

Puccini e Frazzi

Due maestri della musica universale

di Giuseppe Fricelli

Ho avuto la fortuna ed il piacere di essere stato allievo

di Armonia e Composizione di uno fra i più

grandi maestri e musicisti italiani del Novecento:

Vito Frazzi. Ho tanto ammirato in Frazzi la dolcezza

e l’incoraggiamento che sempre, e dico sempre, metteva

nel suo insegnamento. Sono molti i suoi allievi che hanno

svolto un’attività di compositori con successo, basta

citare Luigi Dalla Piccola, Bruno Rigacci, Carlo Prosperi,

Angelo Francesco Lavagnino. Un giorno un nipote di Frazzi

mi raccontò che Giacomo Puccini, ascoltando un brano

del mio maestro e rimanendo attratto da quella idea musicale,

chiese a Frazzi, persona squisita che amava l’arte

di Puccini, di poter utilizzare lo spunto musicale del suo

brano. Il grande docente rispose a Puccini che ne sarebbe

stato onorato e gli chiese dove avrebbe potuto ascoltare

e ritrovare quello spunto musicale. Il musicista di Lucca

gli rispose che stava lavorando al Trittico (1918) e quindi

avrebbe ritrovato il suo inciso in una delle tre opere. Voi

non ci crederete ma Frazzi, ascoltando più volte le splendide

pagine pucciniane, non riuscì ad individuare la sua

melodia. Il meraviglioso artista lucchese aveva talmente

filtrato, personalizzato e realizzato l’idea musicale di Frazzi

che lo stesso autore non riusciva a scoprire e ritrovare

il suo scritto.

Vito Frazzi

Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi

in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e

camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche

di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso

i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.

PUCCINI E FRAZZI

57


Emo

Formichi

L’arte di far rivivere

le cose quotidiane

Atelier e studio: via Secondo

Risorgimento 1 - 53026 Pienza (SI)

+ 39 0578 758624

Pinocchio (2018), bronzo, h cm 130


Cavallo (1997), metalli vari e plastica, h cm 180


Arte del

vino

A cura di

Paolo Bini

Il Gallo Nero torna a cantare nel calice

Testo e foto di Paolo Bini

Non sembra vero: torna la primavera,

tornano i profumi

più freschi, torniamo a respirare

scampoli di normalità verso

un recupero ordinario delle nostre vite.

Cambiati forse sì, ma non nella

nostra essenza. Questo è accaduto

anche all’universo vino, un sistema

che ha tentato di rinnovarsi e che ha

saputo resistere alle difficoltà cercando

nell’innovazione di comunicazione

e marketing la soluzione alla

transizione fra epoca pre-Covid e un

futuro ancora tutto da scrivere. Tornano

anche le anteprime toscane,

quegli appuntamenti per operatori di

settore e appassionati che presentano

le nuove annate in commercio

delle principali denominazioni regionali.

Tranne il Consorzio del vino Brunello

di Montalcino, che ha deciso di

anticipare per poi spostare definitivamente

le sue date a novembre di ogni

anno, i vini più noti di Toscana cercano la definitiva “rampa di

rilancio” al pubblico in questo mese di marzo 2022 (nuova era,

anno II) e sa di storia, di gioia e di bello il constatare la coincidenza

con i giorni che un tempo chiudevano l’anno vecchio e

aprivano quello nuovo così come si fece a Firenze fino al 1750.

E proprio nel capoluogo, alla Leopolda, tornerà a presentarsi

il Chianti Classico, con la sua “Collection” e il suo “Gallo Nero”

emblema di oltre 300 anni di tradizione che lo scorso anno

scelse il chiostro di Santa Maria Novella per la degustazione

in anteprima delle nuove annate in commercio. Troviamo curioso

che ancor oggi si confonda la denominazione del Chianti

Classico con quella del Chianti e probabilmente è colpa anche

un po’ della storia stessa. Ad oggi sono soltanto otto i comuni

Chianti Classico Collection 2021

Chianti Classico Collection 2020

compresi fra le province di Firenze e Siena che possono vantare

vigne discendenti da quelle che Cosimo III nel 1716 decantò

per qualità nel suo bando con cui definì le zone dei vini più

buoni del granducato, compresa appunto quella del Chianti.

L’aggiunta dell’appellativo “classico” è arrivata con la legislazione

del ventesimo secolo per rimarcarne l’esclusività, eppure

il pubblico generico tende tutt’oggi a fraintenderne areali

e peculiarità. Un vino adesso fatto esclusivamente da uve a

bacca nera, prevalentemente se non totalmente sangiovese,

che con le sue tre tipologie riesce ad accompagnare un pasto

completo, quantomeno se a base di carne e verdure. Il Chianti

classico “annata” sa completare antipasti rustici, salumi e paste

al ragù. La versione “riserva” è maggiormente complessa

negli aromi e nel corpo così da saper sostenere

meglio primi piatti sostanziosi e carni cotte

secondo tradizione. Il Chianti Classico “Gran

selezione” è in vetta alla piramide qualitativa e

nasce dalle migliori uve aziendali dopo trenta

mesi di invecchiamento. Come il “riserva” può

rimanere a lungo nella vostra cantina ma è una

gioia poterlo stappare per abbinarlo ai secondi

piatti forti, dallo spezzatino allo stracotto

e all’umido. Sono preparazioni che saprà domare

con la sua densità gustativa fruttata, la

tipica astringenza e la lunga persistenza aromatica

da grandissimo vino toscano. È giunta

l’ora che il Gallo Nero torni a cantare nel calice:

si rinasce.

60

GALLO NERO


A cura di

Filippo Cianfanelli

Itinerari del

gusto

Trattoria L’Ortone

La tradizione fiorentina nel quartiere

di Sant’Ambrogio

Testo e foto di Filippo Cianfanelli

Domenica d’inverno a Firenze, quartiere di Sant’Ambrogio,

è l’ora di pranzo e in piazza Ghiberti si vedono molte

famiglie di fiorentini che passeggiano con bambini

piccoli per la mano, poco distante una signora anziana, elegantemente

vestita, accompagnata dalla figlia. Tutti hanno lo stesso

desiderio e lo stesso obiettivo: pranzare in un luogo tranquillo

con persone che si prendano cura di loro e sappiano consigliarle

sui piatti più adatti ai loro gusti. La trattoria L’Ortone è lì per loro,

accanto al Complesso Universitario di Santa Verdiana, dove le

monache dell’antico convento avevano l’accesso ai loro orti murati

oggi diventati piazza Ghiberti. Da qui il nome del locale L’Ortone,

come quello dell’omonima strada adiacente. Decidiamo di

accomodarci all’interno della trattoria dove si nota l’accuratezza

nell’arredamento che esalta le antiche architetture. Il ristorante

è stato completamente ristrutturato nel 2015 dal suo nuovo proprietario

Federico Tacconi, “Fede” per tutti, che ha creato un ambiente

unico, su due piani, con cucina a vista su due lati. Dietro

il vetro lo staff di cucina si muove tra i fornelli seguendo tutte le

norme di igiene sotto l’occhio vigilie del mitico Jack, il cuoco che

sa creare delizie partendo sempre da ingredienti freschi possibilmente

del territorio fiorentino. Fede ha voluto riprendere antiche

ricette di famiglia rivisitandole secondo un’idea di cucina attuale.

Il pane e la schiacciata calda sono fatti in casa, così come la pasta

fresca. Il menù è molto vario, con piatti anche per vegetariani.

La carta dei vini è piuttosto ampia e il personale sa consigliarti

per il meglio. Come sempre ho preferito farmi portare piccoli assaggi

per poter provare soprattutto i piatti più caratteristici. Fra

gli antipasti, oltre alla loro specialità, la lingua fritta con cipolla

caramellata e maionese al lime, ho apprezzato soprattutto l’uovo

poché con crema di sedano rapa e acciughe del cantabrico,

un piatto veramente speciale. Non potevano mancare le tartare,

quella di bistecca e soprattutto quella di ricciola con erba cipollina

e maionese all’arancia, che ho particolarmente apprezzato. Al

L’interno della trattoria

momento di scegliere i primi ho dovuto limitare la scelta a quelli

più originali: ho provato così la vellutata di porri con fonduta di pecorino

e prosciutto San Daniele croccante. Fra i primi di pesce ho

scelto i ravioli di gambero rosso con un’ottima bisque agrodolce

e crema di ricotta al prezzemolo. Fede ha voluto portarmi anche

una specialità del locale, gli gnocchi di patate al ragù di ossobuco

e animelle fritte, veramente da provare. Arrivati ai secondi la

curiosità era tanta, ma ho dovuto escludere alcuni patti che avrei

volentieri provato come il carré di agnello laccato al miele con cime

di rapa oppure l’invitante filetto di ricciola che ho visto servire

ai miei vicini di tavolo. Ho optato invece per la squisita guancia di

manzo brasata con purè di patate e soprattutto per il piccione al

tegame, uno dei piatti che più adoro. Devo dire che quest’ultimo

era davvero perfetto, con petto correttamente poco cotto ma, come

tutto il resto, avvolto da una scorza perfettamente rosolata e

croccante. Il tutto servito su un millefoglie di patate viola che dava

una pennellata di colore al piatto. I dolci sono tutti fatti in casa

e, come è mia abitudine, ho voluto provare il cheesecake crudo

senza né cioccolato né frutti di bosco per apprezzarne meglio il

gusto. Ottime anche le pere cotte con crema di zabaione e naturalmente

la loro specialità: la torta di cioccolato con caramello

salato. Tutti i piatti sono stati di mio gradimento, oltre alla bontà

ne ho apprezzato la cura nei particolari. Un ristorante al contempo

elegante e familiare, un’esperienza da ripetere al più presto.

Ravioli di ricotta al prezzemolo

Uovo poché

TRATTORIA L’ORTONE

61


Diario di

un’esploratrice

A cura di

Julia Ciardi

Al parco per trascorrere una giornata

in compagnia degli alpaca

Testo e foto di Julia Ciardi

Negli ultimi mesi ho sentito spesso parlare

di allevamenti di alpaca presenti

in Italia. Anche qui in Toscana sono

approdati gli alpaca, animali originari del Perù

che vivono sulle Ande a oltre 5000 metri di altitudine

dai tempi dell’imperatore Kuzko. Da

questi animali si ricava una lana pregiatissima

chiamata anche “lana degli dei”. Per conoscerli

più da vicino è possibile recarsi nel Parco Albus

Alpaca a Sasso d’Ombrone, in provincia di

Grosseto, dove questa curiosa specie – un mix

perfetto tra il “katalicammello”, personaggio

dell’omonima canzone dello Zecchino d’Oro, e

i Bantha di Star Wars – è pronta a sorprendere

i visitatori con il suo aspetto buffo. In questo

posto si può trascorrere una piacevole giornata

con i bambini all’insegna della natura, del relax

e della scoperta di questi esseri viventi dal

lungo collo, cugini del lama ma non altrettanto

maleducati da sputare addosso a chiunque,

a meno che non siano spaventati o maltrattati.

Per loro è una forma di comunicazione che

serve a stabilire i confini e l’ordine sociale: una

pratica tanto insolita, quanto geniale per molti

aspetti. Gli alpaca emettono diversi suoni, il

più comune è “l’hamming” che ricorda un ronzio

e serve per comunicare all’interno del gregge.

È un animale dal carattere diffidente ma

curioso, insegna la pazienza e il rispetto. Molto

docile, attento ed educato, viene impiegato

nella pet therapy per la sua intelligenza e la capacità

d’interazione con le persone. Nel Parco

Albus Alpaca si possono fare diverse attività:

dar da mangiare agli animali, coccolarli e

scattare delle foto con loro (la visita dura un’ora

e mezza); fare una breve camminata (all’incirca

2,5 chilometri) in compagnia degli alpaca

attraverso campi, vigneti e boschi per arrivare

alla sponda del fiume Ombrone (percorso

consigliato per bambini con età inferiore a 10

anni); fare una passeggiata più lunga e impegnativa

(circa due ore e mezza di cammino), la

cui riuscita dipende, oltre che dalla predisposizione

degli animali in quel giorno, anche dalla

capacità dei partecipanti di “condurli” e da altre

variabili come lo stato dei sentieri. Due delle

principali attività degli allevamenti di alpaca

in Italia sono la tosatura e lo stoccaggio della

lana che, nel caso specifico del Parco Albus

Alpaca, viene utilizzata per realizzare una linea

62

ALPACA


Ph. Nicky Pe

di abbigliamento venduta in tutta Italia. Gli

alpaca, infatti, non sono animali da soma

ma vengono allevati per la loro lana pregiata,

utilizzata per tessere coperte e poncho.

Ne esistono due razze: la più comune, Huacaya,

la cui lana è fitta, sottile, uniforme,

a ciocche, con molte tonalità del mantello,

e la Suri, con il pelo lungo, che cade lungo

la schiena e dà all’animale un aspetto

longilineo. Chi lavora a maglia conosce la

qualità di questa lana, calda e leggera, assai

più morbida al tocco di quella delle pecore

perché, non contenendo lanolina, non

crea allergie o irritazioni. Dal 2014 è attiva

in Italia la Snael (Società nazionale alpaca

e lama), il cui obiettivo è diffondere la conoscenza

e il rispetto di questi animali davvero

speciali. Vale la pena quindi prenotare

una visita per trascorrere una piacevole

giornata in compagnia di questi simpatici

amici pelosi.

Per informazioni e prenotazioni:

info@passeggiateconalpaca.it

+ 39 3791171940

albusalpacas

ALPACA

63


Ritratti

d’artista

Maris

Un viaggio a colori da Siena a Schifano e oltre

di Roberto Della Lena

Ho conosciuto Maris nel 2012 in occasione dell’inaugurazione

della sua mostra personale Apocalisse

presso il Gruppo Donatello di Firenze; in

quell’occasione parlammo a lungo delle sue opere e del

suo percorso artistico. Ci siamo incontrati anche successivamente;

ho avuto modo di ascoltare con interesse

i suoi racconti, ho più volte rivisto ed apprezzato i suoi

quadri in esposizione e nel suo studio, ho anche letto il

suo libro autobiografico ritrovando cose che avevo già saputo

da lui e scoprendone di nuove. Un destino curioso

lega le nostre vicende. Entrambi siamo approdati a Firenze

dopo aver vissuto a Siena ed entrambi siamo arrivati

a Siena dalla provincia. Curiosamente sia a Siena che

a Firenze abbiamo vissuto e viviamo nella stessa zona.

Prendo proprio lo spunto da queste coincidenze che furono

argomento di conversazione nel lontano 2012 in occasione

della già menzionata mostra personale. Siena è

una città piccola per superficie e numero di abitanti, ma

grande e molto importante per arte, turismo, tradizioni.

Tra queste ultime una in particolare: il Palio, un evento

che si comprende soltanto se si vive a Siena, e probabilmente

del tutto lo si capisce soltanto se a Siena si è

nati. Ma perché prenderla così larga e parlare di Siena?

Non solo per l’approdo prima senese e poi fiorentino legato

a trasferimenti e traslochi, ma anche perché in quella

discussione – e in tante altre successive – ci siamo

chiesti se e quanto due elementi abbiano influenzato la

fantasia di tanti artisti ed anche la nostra: i colori senesi

delle varie contrade e l’onnipresente rosso delle case.

Queste discussioni sul tema “emigrazione-città-provincia-cambiamento”

e sul “potere del colore” non hanno in

effetti avuto definitiva risposta, ma hanno continuato ad

incuriosirci e si sono riproposte nel tempo. Maris ha praticamente

dipinto da sempre; un evento è

stato per lui particolarmente significativo,

ovvero la sua frequentazione con l’importante

artista Mario Schifano che lo ha

indubbiamente e positivamente influenzato,

come egli stesso testimonia nell’autobiografia:

«Mario Schifano mi invitò nel

suo studio nei pressi di Arcetri […] mi dava

utili consigli sulla tecnica pittorica, in

particolare riguardo la miscelazione delle

vernici e nell’uso degli smalti per ottenere

particolari effetti cromatici […] mi incitava

a dipingere con spontaneità privilegiando

l’immediatezza del gesto». Ho più volte

riletto queste frasi e ho sempre pensato

– osservando anche opere molto datate –

che quanto Schifano gli suggeriva, Maris

lo avesse, almeno in parte, autonomamente già posto in

essere. Naturalmente la guida di Schifano lo ha rafforzato,

gli ha dato conferme, lo ha convinto che la strada intrapresa

fosse quella giusta. L’esplosione del colore – e

non è un modo di dire – è pressoché sempre protagonista

nelle tele di Maris, e, accanto al suo naturale istinto creativo

e alla lezione di Schifano, anche i colori delle contrade

senesi forse hanno davvero influenzato la sua pittura.

La produzione pittorica di Maris è enorme; probabilmente

nemmeno lui sa quanti quadri ha dipinto dagli inizi degli

anni Settanta ad ora. Troppe sarebbero le mostre da

ricordare, dalla già citata Apocalisse alla personale al Baraka

di Firenze, ad altre personali a Cremona, Montecatini

e in molte altre città italiane e anche all’estero. Altri colori,

quelli della vita, sono stati tracciati – stavolta non con

i pennelli, ma con la penna – in un libro autobiografico dal

titolo Vita… vita che ebbi a leggere alcuni anni fa, proprio

poco dopo la pubblicazione. È in quel libro molto sintetico

ma ad un tempo molto esaustivo, che si comprende

appieno la vicenda artistica e umana di Maris. Un libro

che ripercorre una vita intensa, fatta di arte, di trasmissioni

antesignane sulle TV private, di gallerie come espositore

ma anche come gallerista (nel 1972 fondò la San

Frediano nell’omonima strada fiorentina). Un libro dove

accanto alla cronaca, agli eventi, usando una metafora, si

affacciano e sfilano i colori della vita: il rosso dell’entusiasmo,

le tinte fosche di giorni più difficili, il verde della

speranza. Un Maris dunque artista a tutto tondo, che scrive,

ti parla e ti racconta ora ricevendoti nel suo bellissimo

studio lungo l’Arno ora davanti ad una tazzina di caffè,

sempre con lo stesso entusiasmo e con la stessa passione.

Dunque alla prossima mostra, al prossimo libro, alla

prossima chiacchierata!

64

MARIS


Arti e mestieri

in Toscana

Gelateria Dondoli

Dal 1992 un’eccellenza a San Gimignano

di Serena Gelli

Quando si visita San Gimignano non si può perdere

l’occasione di gustare un gelato alla famosa Gelateria

Dondoli di Sergio Dondoli, la cui storia è ricca

di curiosità, come lui stesso racconta: «Ho iniziato

a fare il gelataio in Germania nel 1984; ero proprietario di

due ristoranti che mi impegnavano molto, mentre mio cognato,

che possedeva una gelateria, poteva permettersi di

andare in ferie quando voleva, per questo motivo ho deciso

di cambiare lavoro e di aprire anche io una gelateria». È

stato il cognato, quindi, ad insegnargli come fare il gelato,

e nel 1984 il Dondoli ha aperto la sua prima gelateria. Inizialmente

non è stato facile farsi conoscere e soltanto nel

1986 l’attività ha iniziato a funzionare. Nel 1988 il rientro in

Italia e l’apertura nel 1992 della Gelateria Dondoli nel cuore

di San Gimignano. «La mia gelateria – spiega il titolare – è

diventata famosa grazie ad un giornalista tedesco che, durante

un viaggio in Toscana, ebbe modo di assaggiare il mio

gelato al cioccolato e di innamorarsene tanto da farmi co-

noscere prima in Germania e poi anche nel resto d’Italia». Il

gelato di Dondoli è stato gustato non solo da celebri personaggi

del mondo dello spettacolo, come Claudio Baglioni,

Giorgio Panariello, Carlo Conti e Christian De Sica ma anche

dal leader politico britannico Tony Blair, ospite nella tenuta

della famiglia Guicciardini Strozzi di San Gimignano. Il

successo del Dondoli è confermato anche dai tanti riconoscimenti

ricevuti negli anni. Nel 2016 il presidente della Repubblica

Mattarella lo ha insignito del prestigioso premio

Maestro d’arte e Mestiere, mentre nel 2020 il Senato della

Repubblica gli ha conferito il premio Ambasciatore nel mondo

del Made in Italy. A questo si aggiungere l’apertura di una

scuola a San Gimignano, già cinque anni fa, rivolta a quanti

per professione o per diletto vogliano imparare l’arte di fare

il gelato. Il prossimo ambizioso progetto è aprire una gelateria

a Parigi nella sede della Galleria Continua di San Gimignano.

«Un’iniziativa – dichiara Dondoli – che spero segni

l’inizio di altri futuri importanti progetti».

Sergio Dondoli

GELATERIA DONDOLI

65


Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale

Bianca Miriam Ferretti

Nata a Milano nel 1956, dopo il liceo, Bianca

Miriam Ferretti intraprende studi con indirizzo

artistico e lavora come grafica in vari

settori fra i quali quello editoriale a Firenze dove si

trasferisce nel 1978. Proprio nel capoluogo toscano

inizia il percorso come decoratrice

del legno, restauro classico

e “alternativo”, quest’ultimo relativo

ai suoi mobili dipinti. Impara le

tecniche del finto marmo dai decoratori

dell’Oltrarno, l’affresco, la

laccatura antica e altre tecniche

che, unite alla passione per i colori

e per l’arredamento di interni, la

portano a realizzare mobili e oggetti

particolari, tutti pezzi unici.

Partecipa a molte fiere in Toscana

e fuori regione, come Artigianato

a Palazzo a Firenze, e alla

Versiliana a Marina di Pietrasanta.

Qualche anno dopo approda alla

pittura vera e propria, con quadri ad olio e a tempera

su tela e su tavola. È molto impegnata tra il

lavoro, la famiglia, i nipoti, ma l’amore per l’arte in

ogni sua forma l’accompagna sempre, in una continua

e appassionante ricerca.

Dalia e le sue piume

Armadio giungla

Bianca Miriam Ferretti

di LUCHINI LUDOVICO & NUTI SIMONE s.n.c.

Via del Colle, 92 - 50041 Calenzano (FI)

Tel. 055 8827411 - Fax 055 8839035

www.carrozzeriailcolle.it info@carrozzeriailcolle.it

Africa

66 BIANCA MIRIAM FERRETTI


Gualtiero Risito

Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Margherita Hack, olio su tela, cm 90x80

Gino Bartali, olio su tela, cm 100x70

Pamela Villoresi, olio su tela, cm 70x100

Pierfrancesco Listri, olio su tela, cm 60x80

GUALTIERO RISITO

67


Mestieri del settore

sanitario

Marco Razzolini

La professione di odontotecnico tra passato e futuro

di Doretta Boretti

In questa intervista a Marco Razzolini, titolare di un laboratorio

di odontotecnica in via Vincenzo da Filicaia 21 a

Firenze, parliamo delle competenze necessarie per intraprendere

la professione di odontotecnico, anche alla luce delle

nuove tecnologie digitali.

Può spiegarci che differenza c’è tra un odontotecnico e un

odontoiatra?

L’odontoiatra è un laureato in Odontoiatria e Protesi Dentaria,

quindi si occupa della prevenzione, della diagnosi e della

cura delle patologie del cavo orale. Un odontotecnico, come

me, non ha un contatto diretto con il paziente, eccetto alcuni

specifici momenti, tipo la presa del colore in caso di protesi.

Per esercitare la mia professione non bisogna conseguire

una laurea.

Che tipo di studi occorrono per diventare odontotecnico?

Dopo la scuola secondaria di primo grado, si deve frequentare

una scuola professionale di tre anni più due. Al termine dei

tre anni, lo studente può conseguire un diploma di Operatore

Meccanico nel settore odontotecnico, mentre frequentando

altri due anni, come ho fatto io, dopo un esame abilitativo,

è possibile intraprendere la professione odontotecnica. Questo

permette di essere titolari di un laboratorio.

È un mestiere difficile? Cosa è cambiato oggi rispetto al

passato?

In questi cinquantatré anni di attività ho visto un’evoluzione

incredibile nel mio settore, con una velocità, negli

ultimi anni, veramente esponenziale. Adesso il digitale è

entrato nelle tecniche di costruzione. Il nostro mestiere

prima era il mestiere di un artigiano per cui veniva fatto

tutto con l’uso delle mani. Adesso, con la presenza dei fresatori

e del digitale, aumenta la qualità del prodotto, ma

tanta manodopera sparirà perché una parte del lavoro lo

faranno le macchine. Il percorso è molto variegato. Occorre

predisposizione, una base preparatoria, ma anche numerosi

corsi, molto professionali, che non finiscono mai,

tanta esperienza e tanto amore. Quindi sì, non è un mestiere

facile.

Alla luce della sua lunga esperienza, consiglierebbe questa

professione ad un giovane?

Si tratta di un lavoro indubbiamente interessante, ma che

richiede forti investimenti. Quindi se il padre di un giovane

ha un laboratorio, con le tecniche attuali, già avviato da

tempo, allora è una cosa, mentre invece se un ragazzo deve

partire da zero, senza una base, allora vedo soltanto lacrime

e sangue.

68 MARCO RAZZOLINI


A cura di

Franco Tozzi

Toscana

a tavola

Conchiglioni alla massese

Un piatto della memoria

di Franco Tozzi

Questo piatto di pesce non ha una sua storia, ma

era una ricetta che un’amica di mia madre originaria

di Marina di Massa ci preparava quando an-

davamo a trovarla durante le vacanze estive a Cinquale.

Ricetta che anche mia madre ci riproponeva, ma senza

eguagliare l’originale.

La ricetta: conchiglioni alla massese

Ingredienti:

- 1/2 chilo di conchiglioni

- 3,50 etti di vongole veraci

- 3 etti di cozze

- 3,50 etti di gamberi

- 3,50 etti di moscardini

- 2 etti di passata di pomodoro

- 3 spicchi di aglio

- 1 bicchiere di vino bianco secco

- olio, sale, pepe, peperoncino e prezzemolo

Si comincia pulendo il pesce e tagliando i moscardini in piccoli

pezzi. In una padella rosolare l’aglio con il peperoncino

e gli steli del prezzemolo tritati (le foglie non sono adatte alla

cottura, si usano sempre per guarnire e il gambo ha più

sapore); poi aggiungere i moscardini e cuocerli per una decina

di minuti, sfumando con il vino. Lasciare sul fuoco ed

aggiungere la passata, proseguendo la cottura per altri dieci

minuti. A questo punto aggiungere i gamberetti e le vongole,

cuocendo a fuoco medio fintanto che, una volta aperte

le vongole, bisogna togliere i gusci e levarle dal fuoco. Nel

frattempo lessare i conchiglioni e metterli a scolare su di un

panno; una volta freddi, si procede prima riempiendoli con la

parte più soda della “farcia” (metà del totale), poi sistemandoli

in una teglia da forno e versandoci sopra il liquido rimasto

in padella. Infornare a temperatura media per 15 minuti.

Intanto riscaldare il sugo rimasto, sfornare, condire il tutto

con il sugo caldo, le foglie di prezzemolo a pioggia, pepe e

servire in tavola.

Accademia del Coccio

Lungarno Buozzi, 53

Ponte a Signa

50055 Lastra a Signa (FI)

+ 39 334 380 22 29

www.accademiadelcoccio.it

info@accademiadelcoccio.it

CONCHIGLIONI ALLA MASSESE

69


A tavola

con...

A cura di

Elena Maria Petrini

Il cibo nella storia dell’arte: intervista

al professore Vittorio Sgarbi

di Elena Maria Petrini / foto courtesy ufficio stampa Vittorio Sgarbi

Questo nuovo appuntamento della

rubrica dedicata al “cibo della

memoria”, ospita il professor

Vittorio Sgarbi, critico e storico

dell’arte, saggista, politico, personaggio

televisivo ed opinionista. Ferrarese

di origine, ha iniziato alla Soprintendenza

di Venezia come storico dell’arte ed

ha ricoperto molti incarichi istituzionali,

sia come sindaco (oggi in carica a Sutri)

che come parlamentare ed europarlamentare.

Che legame c’è secondo lei tra il cibo e la

cultura dei luoghi?

Il cibo è una componente caratteristica

dei luoghi, un sistema, una sorta di endiadi.

Durante l’Expo del 2015 a Milano fui

chiamato da Oscar Farinetti per condividere

il suo padiglione tecnico di Eataly

con i prodotti di tutte le regioni; feci una

mostra piena di capolavori con circa 250

opere, divise regione per regione, sottolineando

il tema della biodiversità dei cibi,

parallelamente alle opere d’arte che andavano

dal Trecento al Novecento. Ogni

regione ha una cultura che rispecchia una

produzione artistico-letteraria idealmente

fusa assieme a quella dei prodotti della

terra e della gastronomia.

Il cibo è sempre stato un protagonista

nella storia dell’arte, vero?

Certamente, ci sono banchetti, nature

morte, tavole imbandite: basti pensare

all’Ultima Cena di Leonardo o anche la

Cena di Emmaus, le varie cene citate nel

Vangelo, ma anche tutti i banchetti legati

ad un tema non religioso, tipo quello fiammingo.

È uno dei temi di maggior esibizione

del virtuosismo e delle capacità degli

artisti di misurarsi con la rappresentazione

dei prodotti gastronomici, ma soprattutto

il rapporto con il tema eucaristico

che è quello altamente simbolico dell’ultima

cena.

Vittorio Sgarbi

70

VITTORIO SGARBI


Leonardo, Ultima Cena, affresco

Qual è il suo rapporto personale con il cibo? Le piace cucinare?

Non ho mai cucinato niente in vita mia, neanche un uovo; la

cucina è un’arte femminile anche se oggi con gli chef è diventata

maschile. Detto questo, però, non ho mai preparato

niente, nemmeno un caffè, ma sono un “primista”, mi piacciono

molto i primi piatti.

Predilige qualcosa in particolare della cucina toscana?

La ribollita e la pappa al pomodoro ma anche la finocchiona.

Nella sua memoria ci sono

cibi che la ricollegano agli

affetti o ad un particolare

momento di convivialità?

Caravaggio, Cena in Emmaus, olio su tela

Da bambino ho mangiato

una intera pianta di fagioli

facendo un'indigestione,

ed ora non mangio più

fagioli. Poi mi ricordo che

non mangiavo la minestra

in brodo e mia madre, per

rendermela gradita, me la

riempiva di formaggio, tanto

che avevo più formaggio

che brodo. Mi piacevano e

mi piacciono tuttora, e sono

tra le cose che prediligo,

i rapanelli, che non

sono così frequenti: il rapanello

è qualcosa che mi

dà piacere, come le ciliegie,

rapanelli e ciliegie sono

due cibi molto attraenti;

e l'unico vino che bevo è il

lambrusco.

VITTORIO SGARBI

71


Elena Gheri

Un nuovo Rinascimento

gherielena@libero.it


A cura di

Margherita Blonska Ciardi

Nuove proposte dell’arte

contemporanea

Ana Andras

Suggestive facciate e scorci architettonici nei diari pittorici

dell’artista spagnola

di Margherita Blonska Ciardi

San Marco

Burano

L’artista Ana Andras è nata a Madrid

dove ha iniziato gli studi di

disegno al carboncino e pittura

ad olio, approfondendo successivamente

la propria formazione durante prima negli

Stati Uniti, poi in Inghilterra e a Tarragona.

Ha inoltre studiato smalto e oreficeria

a Barcellona presso la scuola d’arte

La Massana. Pur continuando la propria

ricerca pittorica, Ana si è dedicata anche

alla produzione di una linea di bigiotteria

in argento e rame fuso, aprendo nel

2006 un laboratorio e una galleria a Calafell.

La sua attività artistica l’ha vista

esporre in Italia, Francia, Miami, Lituania

e Olanda. Nel 2019 si trasferisce definitivamente

a Miami Beach dove, accanto

alla dedizione alle nuove tecniche orafe,

approfondisce la passione per il disegno

e l’acquarello. Diventa membro dell’associazione

Urban Sketchers nel 2020, ispirandosi

sempre di più alla bellezza delle facciate di edifici

importanti e alla vitalità che attirano attorno a sé. Si appassiona

in particolare ai palazzi e alle ville in stile Art déco

di Miami. Questa ricerca la porta a trattare l’edificio rappresentato

in maniera singolare, come se fosse un ritratto

in cui, con pennellate veloci di acquarello e freschezza

del gesto, riesce a rendere l’atmosfera e la vera espressione

del luogo. Il suo stile, consolidatosi a Miami, unisce il

paesaggio della città balneare con

l’architettura e con l’ambiente naturalistico

circostante come la

spiaggia, il mare e gli alberi. Nati

come appunti pittorici, i suoi schizzi

diventano successivamente veri

e propri diari di viaggio, nei quali

illustra ed annota le atmosfere e

l’incantesimo degli scorci architettonici

ammirati durante in Europa.

Ogni schizzo è arricchito dalle sue

impressioni personali scritte con

una bella calligrafia. A settembre

2022 parteciperà alla quarta edizione

di AqvArt a Venezia, mostra

che raduna artisti internazionali

sensibili alle problematiche ambientali

e all’equilibrio tra la città

e il mare. In questa occasione, la

pittrice spagnola presenterà i lavori

eseguiti nel 2021 a Venezia durante

un workshop en plein air.

ANA ANDRAS

73


Firenze

mostre

Zhaohui Wang

L’iperrealismo non ortodosso dell’artista cinese in mostra al

Caffè Letterario Le Murate

di Jacopo Chiostri

Per la pittura di Zhaohui Wang dobbiamo, seppure con

una certa licenza interpretativa, parlare di “iperrealismo

non ortodosso”. La tecnica non lascia dubbi, ma

Wang non annulla la soggettività interpretativa che è invece

uno dei punti cardine di quella forma di espressione artistica.

Anzi con le sue pitture, così impattanti con la sensibilità

Panettone impacchettato, olio su tela, cm 70x100

Per Natale, olio su tela, cm 68x98

Dipingere rifiuti in plastica come fossero oggetti preziosi

di Rosanna Ossola, curatrice della mostra

Difficile restare indifferenti davanti alle opere pittoriche di

Zhaohui Wang che evidenziano una tecnica ed un’abilità

assai rara. Per quanto restio a mostrarsi in luoghi non dedicati

esclusivamente all’arte più canonica, sono riuscita

a convincerlo ad esibire le sue più recenti opere in due locali

alternativi, che però ben si legavano al suo attuale ed

estremamente contemporaneo filone di ricerca: dipingere i

contenitori di plastica, che devono poi essere smaltiti con

danni all’ambiente, con una precisione ed un realismo quasi

ad elevarli ad oggetti preziosi. Il critico Jacopo Chiostri,

che ha presentato entrambe le mostre, lo ha infatti giustamente

definito un “iperrealismo non ortodosso”. Nei mesi

di gennaio e febbraio le opere di Zhaohui sono state esposte

dapprima nella Enoteca “P” di via San Gallo e poi nel

frequentatissimo Caffè Letterario Le Murate. Un pubblico

non convenzionale ha ammirato ed apprezzato con entusiasmo

la sua eccezionale bravura e questo ha reso orgogliosa

anche me, che lo conosco e lo stimo da molti anni.

74

ZHAOHUI WANG


Zhaohui Wang, Autoritratto, olio su tela, cm 50x60

Zhaohui Wang ( 王 朝 晖 ), conosciuto in Italia come Giorgio Wang, è nato

in Cina, nel Fujian, il 25 settembre 1962. Laureato in Arte alla Fusjian

Normal University, è stato un professionista in ambito scolastico per cinque

anni. Nel 1993 si è trasferito a Firenze per lavorare come pittore e

coltivare una forte passione per l’arte antica, in particolare per i maestri

del Rinascimento.

dello spettatore, propone una riflessione su tematiche

attuali che, semplificando, si possono

riassumere nella denuncia del consumismo

sfrenato e dei danni ambientali che derivano da

tanti nostri comportamenti scellerati. È in questo

senso che lo dobbiamo considerare un pittore

contemporaneo ed è per questo che la sua

esposizione al Caffè Letterario Le Murate si era

intitolata So contemporary, perché, bypassando

le diverse interpretazioni su cosa si può considerare

contemporaneo in pittura, Wang è un artista

saldamente ancorato e partecipe al mondo

e alla società nei quali opera, quindi assolutamente

contemporaneo. Si avverte nelle sue

opere una religiosità sacrale, non militante, bensì

universale. Nella mostra precedente a questa

intitolata Strappo divino era esposto un Cristo

crocifisso, dipinto in cui, anche da un punto coloristico,

si contrappongono alla figura simboli

consumistici, e considerato che l’opera è stata

esposta in un periodo di poco antecedente

al Natale, la scelta fece scalpore: Cristo che nel

momento in cui viene al mondo è già sulla croce;

ma quello che vuole dirci Wang è che siamo

noi, con la nostra indifferenza e il nostro

egoismo a crocifiggerlo. Nei suoi dipinti, supera

la “dannazione” della pittura iperrealista, cioè

la nemesi della bravura tecnica che, talvolta, si

spinge fino alla provocazione visiva. Lo fa come

i grandi sarti londinesi di Savile Row che lasciano

sempre un qualcosa d’imperfetto nelle loro creazioni. Le

imperfezioni di Wang sono simboliche: gli squarci nella materia,

il suo essere accartocciata che contribuisce a dare forza al

messaggio, a farci male, e non consente di mollare l’attenzione.

Non si tratta di un esercizio stilistico o di un’esibizione virtuosa,

ma del contraltare delle infinite possibilità dell’arte con

il suo dover fare i conti con le miserie degli umani. Wang rifiuta

la retorica dell’antiretorica, il suo è un messaggio piano, privo

di fronzoli ed è la sua stupefacente capacità artistica che lo

rende così essenziale e autentico. Si tratta di una preghiera, come

quella che sentiamo nel suo autoritratto: lo sguardo rivolto

al cielo, il volto coperto da una mascherina che, oltre a ricordare

che l’artista sta supplicando di essere liberati dal dramma della

pandemia, rappresenta l’implorazione per un mondo migliore.

Plastica n.5, olio su tela, cm 60x100

ZHAOHUI WANG

75


B&B Hotels

Italia

L’apertura del B&B Hotel Pomezia Roma

di Chiara Mariani

B&B Hotels, catena internazionale con oltre 600 hotel

in Europa, amplia ulteriormente la sua presenza in

Italia con una nuova apertura, il B&B Hotel Pomezia

Roma, portando così a 7 le strutture presenti sul territorio romano.

Situato a solo 1,5 km dal centro cittadino (via Roma),

a 2km dall’area commerciale e a pochi minuti dai principali

punti di interesse della zona, come i parchi a tema di Cinecittà

World e Zoomarine, la struttura è inserita in un’area che

è ad oggi oggetto di virtuose operazioni di architettura volte

al recupero del patrimonio urbanistico e immobiliare. L’hotel

si posiziona così come un ulteriore tassello nel progetto

di rivalutazione della zona volto a rendere il territorio attrattivo

sia per il turismo business e che per quello leisure. Il B&B

Hotel Pomezia Roma si pone in una posizione strategica sia

per chi deve organizzare un viaggio d’affari - essendo a soli

30 minuti dall’aeroporto di Fiumicino e in uno dei principali

poli farmaceutici italiani presidiato da grandi multinazionali

- sia per chi desidera riscoprire il litorale laziale e l’area dei

Castelli Romani, partendo da via Pontina, a pochi metri dalla

struttura. La struttura ha previsto un forte intervento di ristrutturazione

basato sul riuso dell’esistente, in un’ottica di

riduzione delle risorse e di immissione di rifiuti nell’ambiente

con un esemplare esempio di riciclo e gestione consapevole.

I materiali utilizzati per la ristrutturazione sono tutti ecosostenibili

e riciclabili al 100%: l’utilizzo di vernici all’acqua

e impianti performanti danno all’edificio un’impronta green,

così come pannelli solari, illuminazione a led e rubinetteria

a basso consumo d’acqua rendono l’edificio in linea con la

tendenza attuale. Il nuovo B&B Hotel Pomezia Roma dispone

di 75 camere interamente rinnovate, ciascuna dotata di

ogni comfort e servizi, tra cui climatizzazione autoregolabile,

minibar e cassaforte elettronica. Garantiti anche i migliori

servizi smart: ogni ospite dispone di una connessione Wi-Fi

a 200 Mb/s illimitata e gratuita anche nelle camere e di una

Smart TV 43” con Chromecast integrata per godersi al meglio

i canali Sky gratuiti e avere la libertà di proiettare ogni sorta

di contenuto multimediale personale sulla TV per una visione

più comoda. Inoltre, grazie alla Smart TV, è possibile navigare

nelle sezioni dedicate e scoprire i ristoranti nei dintorni,

ricevere informazioni sul territorio e tutto ciò che serve per vivere

al meglio l’esperienza del viaggio. Alle 79 camere si aggiungono

anche 3 appartamenti per long stay.

In questa e nelle altre foto alcune stanze ed ambienti del B&B Hotel Pomezia Roma

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B&B HOTEL POMEZIA ROMA


Su B&B Hotels

Dal design moderno e funzionale, con bagno spazioso privato

e soffione XL, le camere B&B Hotels dispongono di Wi-Fi

in fibra fino a 200Mb/s, Smart TV 43” con canali Sky e satellitari

di sport, cinema e informazione gratuiti, nonché Chromecast

integrata per condividere in streaming contenuti audio e

video proprio come a casa. Per un risveglio al 100% della forma,

B&B Hotels propone una ricca colazione con prodotti dolci

e salati per tutti i gusti.

B&B HOTEL POMEZIA ROMA

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Benessere e cura

della persona

A cura di

Antonio Pieri

Marzo: prendersi cura della pelle durante

il cambio di stagione

di Antonio Pieri

La primavera è alle porte, adesso come non mai è importante

non smettere di idratare e nutrire la nostra

pelle. Infatti utilizzare prodotti naturali e biologici

per prenderci cura di noi stessi è una buona abitudine che

va mantenuta durante tutto l’anno, soprattutto nei cambi di

stagione durante i quali si verifica uno sbalzo repentino delle

temperature.

I tuoi alleati per la cura della pelle

Prendersi cura della propria pelle in maniera naturale è semplice,

basta scegliere i prodotti giusti. Noi di Idea Toscana

proponiamo tre tipi di prodotti essenziali per una corretta cura

della pelle: una crema corpo idratante, un burro corpo e un

olio corpo rilassante. Tutti e tre prodotti naturali ed ottimi,

ma ognuno è adatto ad una tipologia di pelle e svolge un’azione

specifica, quindi è bene capire quale utilizzare in base

alle proprie necessità.

Crema, burro, olio: quale scegliere?

Se si vuole ottenere un effetto idratante ed elasticizzante

– per rilassare la pelle – è più indicato l’uso di un olio che

abbia proprio la funzione di ammorbidire la pelle. In questo

caso è utile massaggiare due o tre gocce con le mani e, una

volta ottenuto un certo calore, applicarlo sulla zona interessata

dopo una doccia o prima di andare a dormire. Il vero

segreto dell’utilizzo di un olio con ingredienti naturali come

l’olio di oliva toscano IGP biologico è che risulta perfetto anche

per chi ha la pelle grassa, proprio per la capacità di questo

ingrediente di essere sebo – regolarizzante. Dunque un

olio è più adatto a pelli grasse che pelli secche. L’olio corpo

rilassante della linea Prima Spremitura è stato creato proprio

con la funzione di idratare e tonificare la pelle senza ungerla,

rendendola morbida e liscia. L’effetto “rilassante” è dato

proprio dalla miscela di oli essenziali naturali che amplifica

la sensazione di benessere e freschezza sul corpo. La crema

corpo invece permette di prevenire secchezza e macchie

della pelle se utilizzata con cadenza quotidiana. L’esclusiva

formulazione della nostra crema fluida idratante della linea

corpo Prima Spremitura, arricchita di principi attivi vegetali

quali l’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico, il burro

di karité e di cacao, regala alla pelle nutrimento e benessere.

Molto facile da stendere e di rapido assorbimento, lascia

sul corpo un piacevole effetto vellutato. Indicata in particolare

per le pelli secche, aiuta a ristabilire l’equilibrio idrolipidico

dell’epidermide conferendole un aspetto compatto e

luminoso. I toni olfattivi presenti nella preziosa miscela di

oli essenziali naturali regalano durante il massaggio un profondo

senso di energia e benessere. Infine il burro corpo permette

di idratare la pelle in profondità. Il nostro burro corpo

fondente della linea Prima Spremitura contiene ingredienti

emollienti come il burro di karité e di cocco e oli naturali come

quello di jojoba e ha come principio attivo principale l’olio

extravergine di oliva toscano IGP biologico. La sua composizione

permette di creare una barriera tra gli agenti esterni

e la pelle proteggendola dall’inquinamento e dalle varie condizioni

ambientali. Inoltre permette di mantenere l’idratazione

della pelle, penetrando in profondità e mantenendone lo

strato superficiale liscio ed elastico. Avendo una consistenza

semi solida, al fine di migliorarne la stesura si consiglia di

conservare il barattolo in bagno per ammorbidirlo e massaggiarlo

sulla pelle ancora calda dopo la doccia. Si assorbirà

completamente in pochi istanti. Per la sua capacità di protezione

dell’epidermide è particolarmente efficace nell’idratazione

della pelle di viso, mani e corpo. È ottimo anche come

crema post depilatoria, infatti grazie alla sua formula particolarmente

ricca di nutrienti, aiuta a lenire la pelle irritata dalla

depilazione, lasciandola morbida e liscia.

Ti aspettiamo nel nostro nel nostro punto vendita in Borgo Ognissanti

2 a Firenze o sul sito www.ideatoscana.it per aiutarti a

prenderti cura della tua pelle in maniera naturale e biologica.

Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl

e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici

naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.

Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,

ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.

antoniopieri@primaspremitura.it

Antonio Pieri

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CAMBIO DI STAGIONE


Idradazione Naturale per il Benessere della pelle

Natural moisturising for the well-being of the skin

IDEA TOSCANA - Borgo Ognissanti, 2 - FIRENZE | Viale Niccolò Machiavelli, 65/67 - SESTO FIORENTINO (FI) |

Tel. 055.7606635 |info@ideatoscana.it | www.ideatoscana.it


Una banca coi piedi

per terra, la tua.

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