04.02.2022 Views

La Toscana nuova Febbraio 2022

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

La Toscana nuova - Anno 5 - Numero 2 - Febbraio 2022 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074

UFFIZI DIFFUSI

A MONSUMMANO TERME


Emozioni visive

a cura di Marco Gabbuggiani

Luci o ombre?

Testo e foto di Marco Gabbuggiani

Sembra lo stesso titolo del mese scorso ma le parole,

se pur le stesse, sono volutamente invertite nell’ordine.

Esattamente come lo è la realizzazione completamente

opposta a quella di gennaio, quando le ombre disegnavano

il corpo della modella che scaturiva dal buio.

Adesso sono le luci abbaglianti e morbide che fanno

apparire il soggetto. Anche in questo caso si fa leva

sull’immaginazione di chi osserva la foto nel tentativo

di voler quasi completare con un pennello mentale

la sinuosità del corpo della ragazza per ammirarlo in

tutta la sua sagoma perfetta. Di diverso c’è quindi che

le luci quasi abbaglianti lasciano solo intravedere parti

del corpo come se ci si ponesse davanti ad una vera

e propria celestiale visione che scaturisce dalla luce.

Meccanismo simile alla precedente uscita ma con le

ombre più o meno marcate che rappresentano il soggetto

principale e creano quella profondità e tridimensionalità

voluta e cercata con due lampade, un lenzuolo

bianco e facendo avvicinare solo alcune parti del corpo

della modella al telo. Quindi, ombre come soggetto

principale, mentre la luce è la protagonista del risalto

delle stesse in questa visione che suggerisce all’immaginazione

qualcosa di idilliaco e quasi soprannaturale

come in un abbagliante sogno.

marco.gabbuggiani@gmail.com

Da oltre trent'anni una realtà per l'auto in Toscana

www.faldimotors.it



FEBBRAIO 2022

I QUADRI del mese

6

11

12

14

17

18

21

22

25

27

28

29

31

32

33

34

37

38

40

42

44

47

48

51

53

54

55

57

58

59

61

62

63

65

68

70

73

74

76

78

Uffizi Diffusi a Monsummano con le opere di Giovanni da San Giovanni

Museo Marino Marini, luogo d’arte con la vocazione al futuro

La pittura di Sergio Nardoni fra tradizione e spiritualità

Nino Migliori, il poeta del “non visibile” nell’immagine fotografica

Chiara Samugheo, diva della fotografia tra le dive del cinema

La retrospettiva in ricordo di Luciano Borin alla Casa di Dante

Il Cassero, “tempio” della scultura a Montevarchi

Archeologia: dai megaliti di Stonehenge ai percorsi sacri di Petra

Keith Haring “colora” Pisa con una mostra a Palazzo Blu

Tommaso Masini, novello Icaro con la macchina del volo di Leonardo

Dimensione salute: i progressi della scienza per vivere meglio

Psicologia oggi: il killer seriale di relazioni amorose

I consigli del nutrizionista: la dieta come “stile di vita”

I giganti dell’arte: Raffaello ne L’Incendio del Borgo in Vaticano

Arte e percezione: cosa succede quando osserviamo un’opera d’arte

Il paesaggio fuori, la natura dentro nelle opere di Lise Duun

Un ricordo di Anna Maria Biscardi, poetessa e scrittrice fiorentina

Ecologia e società: il rispetto degli animali, una conquista di civiltà

La tecnologia per la valorizzazione dei luoghi con Life Beyond Tourism

Ursula Schachschneider: scomposizioni cromatiche di una realtà dinamica

Innovazione tecnologica: gli eventi “phygital” tra reale e digitale

L’avvocato risponde: la validità giuridica del testamento orale

Il teatro, maestro di vita per i giovani nell’intervista a Gabriella Del Bianco

Panathlon Firenze: Maurizio Mancianti riconfermato presidente

Brevi storie: la grande stazione, luogo simbolo dell’incomunicabilità

Il cinema a casa: Nebraska, una storia di sconfitte, fallimenti e rinascite

Enrico Bandelli omaggia Dante e Firenze al Palagio di Parte Guelfa

Riflessioni sulla fede: il giardino dell’Eden alle origini della storia umana

La bomboniera dell’Arte, uno spazio a Roma per la cultura

Fabrizio Morosi, artigiano della narrazione per immagini

Sapori di Toscana: I’porto di Neno, la bontà del pesce a Dicomano

Polvere di stelle: Wanda Osiris, mito dello spettacolo di rivista

La poesia dello sguardo nei ritratti pittorici di Nadia Brogelli

Aneddoti di vita quotidiana: l’ombrello, oggetto antico sempre di moda

Villa di Poggio a Caiano, la più iconica delle residenze medicee

Toscana a tavola: l’eccellenza del Ronchì Pichi da Livorno a Lastra a Signa

Eccellenze toscane: l’anno Italia – Cina, una possibilità per le aziende

Firenze mostre: Dante in digitale nella Cappella Pazzi a Santa Croce

L’ospitalità di B&B Hotels sbarca ad Arezzo

Benessere della persona: proteggere le mani in modo naturale

Mirella Biondi, Maschere (2022), acquerello, cm 33x37

mirellabiondi38@gmail.com

In copertina:

Giovanni da San Giovanni,

Testa di donna di profilo (1630-33),

matita nera, matita rossa e sfumino su carta,

cm 24,4x16,3

Liliana Pescioli, Cuore di nonna, olio su tela, cm 60x40

liliana.pescioli@hotmail.it

Periodico di attualità, arte e cultura

La Nuova Toscana Edizioni

di Fabrizio Borghini

Via San Zanobi 45 rosso 50126 Firenze

Tel. 333 3196324

lanuovatoscanaedizioni@gmail.com

lanuovatoscanaedizioni@pec.it

Registrazione Tribunale di Firenze

n. 6072 del 12-01-2018

Iscriz. Roc. n. 30907 del 30-01-2018

Partita Iva: 06720070488

Codice Fiscale: BRGFRZ47C29D612I

Anno 5 - Numero 2 - Febbraio 2022

Poste Italiane SpA

Spedizione in Abbonamento Postale D.L.

353/2003 (conv. in L 27/02/2004 n, 46)

art.1 comma 1 C1/FI/0074

Direttore responsabile:

Daniela Pronestì

direzionelatoscananuova@gmail.com

Capo redattore:

Maria Grazia Dainelli

redazionelatoscananuova@gmail.com

Distribuzione:

Media Servizi srl

via Lombarda, 72 - Località Comeana

59015 - Carmignano (PO)

tel. 055 8716830

www.mediaservizi.net

Abbonamenti e Marketing:

abbonamenti.latoscananuova@gmail.com

Stampa:

Nova ArtiGrafiche srl

Via Cavalcanti 9/d - 50058 Signa (Fi)

tel. 055 8734952

Facebook e Instagram:

La Toscana nuova -

Periodico di attualità, arte

e cultura

www.latoscananuova.it

Testi:

Luciano Artusi

Ricciardo Artusi

Francesco Bandini

Rosanna Bari

Ugo Barlozzetti

Anna Maria Biscardi

Doretta Boretti

Fabrizio Borghini

Lorenzo Borghini

Miriana Carradorini

Viktoria Charkina

Jacopo Chiostri

Filippo Cianfanelli

Silvia Ciani

Julia Ciardi

Silvana Cipriani

Alessandra Cirri

Nicola Crisci

Maria Grazia Dainelli

Roberto Della Lena

Mara Faggioli

Aldo Fittante

Giuseppe Fricelli

Marco Gabbuggiani

Stefano Grifoni

Maria Concetta

Guaglianone

Stefania Macrì

Chiara Mariani

Moravio Martini

Stefano Marucci

Emanuela Muriana

Elena Maria Petrini

Antonio Pieri

Matteo Pierozzi

Daniela Pronestì

Andrea Sala

Stefania Salti

Barbara Santoro

Michele Taccetti

Franco Tozzi

Foto:

Francesco Bandini

Rosanna Bari

Samuele Becattini

Miriana Carradorini

Jacopo Chiostri

Filippo Cianfanelli

Piero Corsetti

Maria Grazia Dainelli

Roberto Della Lena

Marco Gabbuggiani

Simone Lapini (ADV

photo)

Carlo Midollini

Nino Migliori

Chiara Samugheo

Silvano Silvia

4


Giuliacarla

Cecchi

apre

la nuova

stagione…

Showroom: via J. da Diacceto, 14 - Firenze

Tel. 055218125 - Cell. 335437934

www.giuliacarlacecchi.com

polacecchi@gmail.com


Eventi in

Toscana

Uffizi Diffusi a Monsummano Terme

Al Museo della Città e del Territorio approdano quattro gioielli di

Giovanni da San Giovanni

Ne parliamo con la sindaca Simona De Caro e la vicesindaca Elena Sinimberghi

Testo e foto di Maria Grazia Dainelli

Lo scorso dicembre il rivoluzionario progetto Uffizi Diffusi,

voluto dal direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt

per creare una sinergia tra il celebre museo e altre

località significative della Toscana, è approdato a Monsummano

Terme, in provincia di Pistoia, al Museo della Città e del Territorio

con quattro gioielli di Giovanni Mannozzi, meglio conosciuto come

Giovanni da San Giovanni, provenienti

dal Gabinetto dei Disegni e

delle Stampe degli Uffizi. Ne parliamo

con la sindaca di Monsumanno

Simona De Caro e con la vicesindaca

Elena Sinimberghi.

Sindaca, può dirci con quali opere

il Comune ha aderito all’iniziativa

Uffizi Diffusi?

Si tratta dei disegni preparatori di

Giovanni Mannozzi per le lunette

affrescate nei portici della basilica

cittadina, il santuario di Maria Santissima

della Fontenuova, che rac-

Comune di

Monsummano

Terme

Una delle opere in mostra a Monsummano: Giovanni da San Giovanni, Miracolo della Madonna che libera un ragazzo

dal demonio facendogli vomitare chiodi (1630-33), matita nera, penna e inchiostro su carta bianca, cm 16,4x22,1

L’inaugurazione della tappa del progetto Uffizi Diffusi a Monsummano: da sinistra, il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, la sindaca Simona De Caro, il

direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt e la vicesindaca Elena Sinimberghi

6

UFFIZI DIFFUSI A MONSUMMANO TERME


contano le vicende della chiesa monsummanese. Negli anni

bui della peste, tra il 1630 ed il 1633, il Mannozzi (San Giovanni

Valdarno 1592 – Firenze 1636) fu attivo in Valdinievole e nel pistoiese,

terre nelle quali si rifugiò per scappare da una Firenze

devastata dal contagio. Oggi più che mai siamo vicini a questo

spirito artistico dato il periodo dell’emergenza Covid.

Perché è stato scelto quest’artista?

Ci siamo chiesti se Monsummano Terme, piccolo comune conosciuto

maggiormente per le sue terme, potesse ambire ad

ospitare opere degli Uffizi, e, a dimostrazione di come la passione,

la determinazione e le idee vincenti portino a risultati importanti,

il nostro sogno si è avverato. Non è stato semplice

superare la selezione perché la nostra proposta doveva essere

all’altezza delle aspettative. Abbiamo presentato un progetto

che avesse attinenza col territorio, verificandone la fattibilità e

le condizioni museali. Il direttore Schmidt è venuto a fare un sopralluogo

il 19 maggio 2021 insieme al suo staff che ci ha supportato

moltissimo in questo percorso. Dietro l’esposizione di

questi disegni c’è un lavoro importante anche a livello tecnico

perché, per la conservazione delle opere, occorre garantire un

giusto grado di umidità relativa, temperatura ed illuminamen-

to. Con questa iniziativa affrontiamo temi attualissimi come i

flussi turistici e il valore che le opere d’arte hanno per i cittadini,

sperando di valorizzare al meglio il nostro patrimonio artistico.

Quali altre opere importanti ospita il Museo della Città e del

Territorio di Monsummano?

Oltre alla mostra Arte in tempo di peste / Giovanni da San Giovanni

a Monsummano e oltre / 1630-1633 e alla famosa corona dei

Medici donata alla Madonna della basilica di Fontenova, questo

museo racconta la storia di tutta la Valdinievole con numerosi reperti

archeologici importanti per Monsummano, fino ad arrivare

alla suggestiva ricostruzione dell’ambiente del Padule di Fucecchio,

la più grande palude interna italiana. Vista la presenza di

fabbriche storiche sul territorio, soprattutto per quanto riguarda

Padule di Fucecchio (ph. Piero Corsetti)

UFFIZI DIFFUSI A MONSUMMANO TERME

7


il settore della calzatura, nelle collezioni del museo si trovano anche

alcuni esemplari dei primi mocassini, oltre a strumenti di lavoro

utilizzati nei secoli. C’è anche una sezione dedicata all’eccidio

del Padule di Fucecchio, avvenuto il 23 agosto del 1944, durante

il quale la barbarie tedesca sterminò centinaia di esseri umani.

Vicesindaca Sinimberghi, quali altri luoghi d’arte consiglierebbe

di visitare a Monsummano e nelle zone limitrofe?

Sicuramente il Museo d’Arte Contemporanea e del Novecento

di Villa Renatico Martini dove è da poco terminata una mostra

di grande successo su David Bowie realizzata dall’Associazione

A.I.R. (Aerografisti Italiani Riuniti) per ricordare l’artista scomparso

nel 2016. Attualmente lo stesso museo ospita la mostra

Di Vagare di quattro giovani artisti del territorio che propongono

la loro personalissima visione della natura e del paesaggio circostante

fino a tutto il mese di febbraio. A primavera ospiteremo

la mostra dal titolo Angeli e Demoni / Luci ed ombre personale

del pittore Rocco Normanno. Tra le bellezze del territorio, da non

perdere sono i borghi storici di Montevettolini e Monsummano

Alto, quest’ultimo con la famosa torre pentagonale, castelli da

Farmacia Grotta Parlanti s.r.l.

Via Francesca Nord, 556

51015 Monsummano Terme (PT)

Info: 0572387714

Monsummano Alto: la torre pentagonale

Lunette affrescate da Giovanni da San Giovanni nel portico della Basilica di Maria SS. della Fontenuova

8 UFFIZI DIFFUSI A MONSUMMANO TERME


Cave di Monsummano

visitare anche attraverso i percorsi CAI insieme alle Cave Rosse,

suggestive pareti per gli amanti delle arrampicate, che offrono

un percorso geologico tutto da scoprire. Luogo di grande attrazione

è, inoltre, la famosa Grotta Giusti, sede, dal 1853, di uno

stabilimento termale. Tra l’altro, proprio la Grotta Giusti sarà una

delle tappe del campionato italiano di E-bike Enduro che si terrà

il prossimo 3 aprile con un circuito che comprende anche Monsummano

Alto e Montevettolini. Degno di nota anche il Museo

Nazionale Casa Giusti, nato per tutelare e valorizzare la casa natale

di Giuseppe Giusti con un percorso sulla vita del poeta e sulla

storia del Risorgimento.

Questa amministrazione ha deciso che a Monsummano i

musei debbano essere ad accesso gratuito: come mai?

Vogliamo dare a tutti la possibilità di conoscere l’arte e l’importanza

educativa della bellezza. Per questo investiamo

molto anche nelle scuole, promuovendo visite ai musei e alle

chiese per consentire ai ragazzi di familiarizzare con l’arte.

Non si può lavorare sulla cultura come si farebbe con un prodotto

commerciale, i risultati non sono immediati, ma siamo

conviti che nel lungo periodo il nostro impegno verrà premiato.

Mi preme sottolineare inoltre che molti cittadini ci sostengono

economicamente in queste iniziative perché credono

fermamente nel valore dell’arte a beneficio della comunità.

Montevettolini

Rispetto alla promozione dell’arte e del territorio, quali

sono le iniziative in cantiere?

Abbiamo molte idee al momento solo a livello embrionale.

Vorremmo realizzare un progetto di studio sulle ville granducali

in Padule e sui casali di loro pertinenza, architetture apparentemente

minori che hanno segnato il territorio, anche

se oggi spesso sono ridotte allo stato di ruderi. In cantiere

anche la riqualificazione e rigenerazione di Montevettolini

e Monsummano Alto, antichi insediamenti di grande valore

storico ed artistico assolutamente da valorizzare. Tra i progetti

che l’amministrazione vorrebbe realizzare c’è anche la

creazione ed il potenziamento dei parchi d’artista, idea efficace

per abbellire e personalizzare gli spazi verdi. Infine,

puntiamo al potenziamento delle infrastrutture digitali per diventare

attrattivi anche per il mondo dei “nomadi digitali” e

per nuove forme di comunità.

UFFIZI DIFFUSI A MONSUMMANO TERME

9


Claudio

Secciani

I volti della realtà

claudio.secciani@virgilio.it


A cura di

Rosanna Bari

Note dʼarte

Museo Marino Marini

Un luogo dʼarte con la vocazione al futuro

Testo e foto Rosanna Bari

Lo scultore e pittore pistoiese Marino Marini (1901-

1980) si formò allʼAccademia di Belle Arti di Firenze

con Galileo Chini e Domenico Trentacoste, divenendo

uno dei maestri italiani più famosi nello scenario artistico

internazionale del Novecento. Dal 1919, durante i suoi

soggiorni parigini, conobbe gli autori del fervente rinnovamento

artistico del tempo, che lo portarono ad adottare i

nuovi linguaggi dʼespressione che si andavano via via delineando

nella città capitale mondiale dellʼarte. Il dopoguerra,

però, vedrà il suo stile subire un ulteriore mutamento: la

forma, sotto il peso di una forte tensione, arriverà alla deformazione,

e le sue opere si tradurranno in echi di unʼevocazione

dolorosa. Inaugurato nel 1988, il museo fiorentino

occupa lo spazio dellʼex Chiesa di San Pancrazio che si affaccia

sullʼomonima piazza. La collezione, dopo la morte

dellʼartista donata alla città di Firenze, vanta unʼesposizione

di quasi duecento opere dove il cavaliere e la pomona sono

i due soggetti ricorrenti. Gli architetti Lorenzo Papi e Bruno

Sacchi, nel periodo 1982-1986, si occuparono di tradurre

in forme moderne lʼinterno della chiesa, realizzando un

Giocolieri, bronzo policromo

Cavaliere, gesso policromo

Veduta del piano superiore del museo

equilibrato dialogo tra lʼantica struttura e gli ampi e moderni

spazi, in un sapiente alternarsi di piani atti a dinamizzare

il percorso di visita, arricchito da una scenografica visione

dallʼalto. Infine, un elegante gioco di spazi aperti e ampie vetrate

amplifica la luce naturale esaltando le semplici forme

delle opere osservabili da più punti di vista, concretizzando

così la poetica dellʼartista. La presidente del Museo Marino

Marini, Patrizia Asproni, alla richiesta di esprimere un

pensiero sulla sua gestione

e visione del museo risponde:

«Da luoghi dedicati alla

contemplazione e al mero

“consumo” culturale, i tempi

sono maturi affinché le istituzioni

museali diventino spazi

di azione e interazione in cui

immaginare nuovi scenari e

coinvolgere le giovani generazioni.

Il Museo Marino Marini

ha da sempre una vocazione

al futuro, per questo abbiamo

creato il “Playable Museum

Award”, una sfida ai creativi

di tutto il mondo per sviluppare

unʼidea di museo del futuro

in cui la tecnologia sia di

supporto alla creatività».

Rosanna Bari, guida turistica qualificata, ha lavorato in progetti di catalogazione

presso la Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Siracusa e di Palermo, il

Museo Archeologico P. Orsi di Siracusa e il Centro del Catalogo di Firenze. Scrive

articoli dʼarte per il periodico “San Sebastiano” della Misericordia di Firenze e cura il

blog Arte: i tesori di Firenze per il quotidiano online FirenzeToday.

+ 39 339 1667051

rosannabariguida@gmail.com

MUSEO MARINO MARINI

11


Incontri con

l’arte

A cura di

Viktoria Charkina

Sergio Nardoni

Una pittura in dialogo con la tradizione e la spiritualità

di Viktoria Charkina

Com’è nata la tua passione per l’arte?

Fin da bambino ho sempre disegnato. Mi ricordo

di aver dipinto il mio primo quadro ad olio all’età

di sette anni in casa della maestra elementare, pittrice

dilettante che mi insegnava a dipingere di domenica

quando suo marito andava allo stadio a vedere

le partite della Fiorentina. Anche se la mia formazione

artistica è nata presto, ha rischiato di interrompersi

poco dopo perché la mia famiglia era contraria alla

mia passione e preferiva che io conducessi la piccola

azienda paterna. Mi sono opposto e perciò ho dovuto

diventare indipendente, cominciando a fare svariati

lavori che mi hanno permesso di proseguire i miei

studi artistici. Così, dopo aver completato la maturità

artistica, mi iscrissi all’Accademia di Belle Arti,

compiendo poi ulteriori traguardi all’Università degli

Studi di Firenze, laureandomi al corso di Storia dell’Arte e arricchendo

in tal modo le mie conoscenze riguardanti gli artisti

del passato.

Nonostante fossi un artista legato all’arte figurativa, hai

deciso di dedicare la tua tesi a Giuseppe Chiari. Cosa ha favorito

questa scelta?

Ho scelto di dedicare la mia tesi ad un esponente del movimento

Fluxus perché non lo capivo e allora volevo approfondirlo.

Negli anni Settanta si viveva il clima dell’arte

Sergio Nardoni con Fabrizio Borghini in occasione della mostra dell'artista a Palazzo Malaspina

concettuale, ma io ero fra i pochi attratti da altre esperienze.

Ho cercato quello che ritenevo uno dei massimi esponenti

della nuova corrente artistica. Chiari si è dimostrato molto disponibile,

partecipando di persona alla discussione della mia

tesi. Nonostante tutto il lavoro di ricerca svolto, ho comunque

preferito non avvicinarmi all’arte concettuale che ritengo

di difficile interpretazione mentre per me è fondamentale

instaurare un dialogo con il pubblico che comprende le mie

opere.

Quali sono gli artisti che invece ti hanno maggiormente

ispirato?

I miei maestri, con i quali ho condiviso tante riflessioni artistiche,

sono stati Pietro Annigoni e Antonio Bueno, anche se

sono stato maggiormente ispirato dalle mie radici e dalla storia

del nostro paese. Cerco di donare ai miei quadri la luce divina

che incontriamo nelle opere di Beato Angelico, portando

lo spettatore in una dimensione superiore rispetto alla realtà.

Anche la metafisica di de Chirico ha contribuito alla mia visione

artistica e si è trasformata in vari omaggi nelle mie opere.

C’è anche un artista straniero al quale hai dedicato tanta

attenzione. Mi riferisco alla mostra A spasso con Edward

Nardoni al lavoro sulla volta della Chiesa di Santa Maria a Mare di Castellabate

www.florenceartgallery.com

12

SERGIO NARDONI


I nottambuli di Grosseto - Omaggio a Edward Hopper, olio su tela, cm 50x70

Hopper per Grosseto e dintorni che si è svolta nel 2019 a

Grosseto presso la Galleria Ticci – Arte Moderna e Contemporanea.

Sì, ho dedicato una serie di dipinti all’artista statunitense,

tentando di sconfiggere l’incomunicabilità e la solitudine dei

suoi personaggi. Sono ambientati a Grosseto in pieno giorno

con la luce che conferisce speranza e nuova vitalità. Il prossimo

anno queste tele saranno esposte a New York, instaurando

così un vero e proprio dialogo fra Grosseto e la città

americana.

La tua passione e la conoscenza della storia dell’arte ti

hanno portato anche ad insegnare. Ci racconti di questa

esperienza?

Ho insegnato in varie istituzioni tra cui la scuola media statale,

la sede fiorentina della Rutgers University, la State University

of New Jersey e la Facoltà di Belle Arti della Sichuan

Rifornimento a Montemassi - Omaggio ad Edwar Hopper, olio su tela, cm 80x120

Caffetteria Hopper - Omaggio ad Edward Hopper, olio su tela, cm 100x120

University of China. In Cina ho insegnato tre mesi l’anno, dal

2011 al 2015. In Asia ho avuto delle bellissime esperienze

anche espositive, riscontrando tanto ammirazione nei confronti

della mia arte. Anche se le mostre che mi stanno più a

cuore si sono svolte nella mia patria…

Come la mostra attualmente in corso a Palazzo Malaspina a

San Donato in Poggio?

Proprio così. Si intitola Il non allineato e, oltre alla sala principale

con i miei lavori, ci sono delle sale dedicate alla mia

scuola, dove sono esposti lavori di miei allievi sia italiani che

stranieri. Al secondo piano del palazzo invece si trovano le

opere dedicate alla celebrazione di 150 anni dell’Unità d’Italia

nel 2011 e la serie dei quadri dedicati a Hopper di cui abbiamo

appena parlato.

Hai eseguito un ciclo di dipinti per la volta del Santuario

di Santa Maria a Mare a Santa Maria di Castellabate, definendolo

come “l’opera della tua vita”. Per te l’arte

sacra rappresenta un modo per avvicinarti alla

tradizione e alla classicità alle quali ti ispiri oppure

ti serve per avviare un dialogo con la spiritualità?

Il ciclo di dipinti per la volta del santuario, intitolato

Una Storia di Popolo e costituito da sei dipinti che

narrano la storia della statua della Madonna con il

Bambino, è stato uno dei più importanti della mia vita

perché, essendo una persona credente, mi è servito

per instaurare un discorso con la spiritualità. A

parte quel ciclo, ho anche eseguito un importante

ciclo pittorico sull’arcone absidale del quattrocentesco

duomo di San Miniato in provincia di Pisa, rivolgendomi

nuovamente a Dio. In ogni mia opera,

sia di soggetto sacro che profano, cerco di inserire

una carica spirituale che mi accompagna e guida da

sempre nella vita.

SERGIO NARDONI

13


I grandi della

fotografia

A cura di

Maria Grazia Dainelli

Nino Migliori

Poeta del “non visibile” nell’immagine, è uno dei più autorevoli ed eclettici

sperimentatori italiani nel campo della fotografia

di Maria Grazia Dainelli / foto Nino Migliori

Quando si è avvicinato per la prima volta alla fotografia?

Ho iniziato settant’anni fa inviando una mia foto

ad un concorso che dava in palio una macchina fotografica

perché non avevo i soldi per acquistarne una. Fortunatamente

vinsi il primo premio ed entrai nel mondo della

fotografia amatoriale partecipando a numerosi concorsi e

alla vita attiva del Circolo Fotografico Bolognese. Ho preso

parte a mostre personali e collettive sia nazionali che internazionali

e questo mi ha dato l’occasione di allargare le mie

conoscenze in ambito fotografico. Per questo motivo, dopo

un po’ ho abbandonato la lezione del maestro Giuseppe

Cavalli, uno dei miei riferimenti all’epoca che proponeva un

concetto di fotografia “pura”, essenziale, dal tono “alto” ma

con un’estetica fine a se stessa, e ho iniziato ad interessarmi

invece ad una fotografia più comunicativa.

Com’è nata l’esigenza di documentare un’Italia in piena ricostruzione

nel dopoguerra?

Era finita la guerra e anche tutte le sofferenze legate alla

mancanza di libertà e all’isolamento. Nacque in me l’esigenza

di descrivere la rinascita economica e culturale per

vivere serenamente persone e luoghi. La quotidianità era

di nuovo ricca di possibilità di incontri, di scoperte, e la fotografia

per me rappresentava il mezzo più idoneo per raccontare.

Partii per il Sud della nostra penisola con il sacco

a pelo: volevo entrare in contatto con gli abitanti di queste

terre che erano più poveri ma avevano un grande desiderio

di socializzare. È così che ho realizzato il progetto Gente del

Sud (1956), nel quale ho documentato la vita di queste persone

cercando sempre di non farle sentire a disagio davanti

all’obbiettivo.

C’è qualche fotografo del passato da cui ha tratto ispirazione?

Il primo è stato Cartier-Bresson che ha senza dubbio influenzato

la mia generazione e che io ho avuto la fortuna di

conoscere a Parigi quando mi recai da lui per fagli vedere i

miei lavori. Mi propose una forma di collaborazione esterna

con la Magnum che rifiutai perché capii che sarei stato

schiavo delle committenze e soprattutto perché i lavori erano

retribuiti con tempi lunghi ed io invece avevo l’esigenza

di mantenere la mia famiglia. In più, volevo fare quello

che mi piaceva, soddisfare la mia curiosità, sperimentare in

campo artistico e dare forma alle mie idee e ai miei sogni.

Milano (© Fondazione Nino Migliori)

Come nascono le sue sperimentazioni fotografiche?

La curiosità di conoscere più a fondo il mezzo fotografico mi ha

spinto a condurre sperimentazioni sulla carta, sullo sviluppo, sul

fissaggio, sulla luce e sul colore. Questa rivisitazione di pratiche

classiche in chiave contemporanea mi ha coinvolto così profondamente

da trasformarsi in una vera e propria progettazione. Ho

studiato tutto ciò che m’incuriosiva, come ad esempio i cambiamenti

dei cromatismi attraverso l’esposizione alla luce e l’ossidazione

della carta, oppure facendo scorrere gocce d’acqua

sulla pellicola che poi stampavo traendone i cosiddetti “idrogrammi”.

Con le Polaroid ho realizzato le “Polapressure” ottenute

facendo segni, pressioni o cancellazioni in fase di sviluppo.

Che rapporto ha con la pittura? Ci sono dei pittori del passato

o del presente che hanno esercitato un’influenza su di lei?

Negli anni Cinquanta ho conosciuto e frequentato molti artisti.

Mi recavo spesso a Venezia allo studio di Emilio Vedova, di Tancredi

e nella residenza di Peggy Guggenheim dove si disquisiva

d’arte e fotografia. Sicuramente la mia voglia di sperimentare è

stata influenzata dal fatto di aver conosciuto e frequentato diversi

artisti. Con loro ho creato un rapporto diverso, un dialogo più

costruttivo rispetto a quello dei circoli fotografici, dove invece ci

si compiace soprattutto degli aspetti estetizzanti dell’immagine.

Sono sempre stato attratto dalla possibilità di emancipare le mie

14

NINO MIGLIORI


foto dagli aspetti “formali”, per così dire, perché mi interessa lasciare

una traccia della mia immaginazione e non solo un documento

della realtà. Oggi vengo considerato un artista ma io mi

sento più uno scrittore o un poeta che si serve della fotografia

per esprimere i propri pensieri e sentimenti.

Come nasce la serie fotografica dei Muri?

Da sempre, la figura umana è al centro del mio interesse anche

quando non si vede nell’immagine ma se ne avvertono le tracce.

L’altro tema che mi appassiona è il tempo. Con il progetto i Muri,

durato oltre vent’anni, dagli anni Cinquanta agli anni Settanta,

ho voluto raccontare un’epoca attraverso la matericità dei muri,

non solo perché, come una specie di diario collettivo, queste superfici

raccontano pensieri, emozioni e sentimenti delle persone

che vi ci scrivono sopra, ma anche perché il muro ci ricorda

in maniera evidente l’azione inesorabile del tempo, che sgretola,

corrode e trasforma ogni cosa. Successivamente ho iniziato

a scattare foto di manifesti strappati perché mi piaceva l’idea

di cogliere i tanti significati sottesi al gesto di “strappare”: disprezzo,

rabbia, noia e chissà che altro. Nel farlo, ho anticipato

di qualche tempo quello che sarebbe stato poi l’oggetto artistico

di Mimmo Rotella.

Potrebbe darci una definizione di fotografia?

La fotografia è una forma di scrittura per immagini del proprio

pensiero, un linguaggio che ci permette di trasformare stati d’animo

in racconti, un’interpretazione personale della realtà che

può suscitare nuovi interrogativi sulla percezione del reale.

In cosa consiste il progetto Lumen?

È nato nel 2006 quando Ivo Iori, preside della Facoltà di Architettura

dell’Università di Parma, mi ha chiesto di partecipare

con un mio lavoro alla collana editoriale Opere inedite di cultura.

Per l’occasione, mi è venuto in mente di fotografare le

formelle dello Zooforo dell’Antelami nella cattedrale di Parma

ricreando l’atmosfera del passato con l’illuminazione di candele.

Un risultato molto suggestivo, con i particolari del fregio

che, emergendo dal buio, creano forme inaspettate. In seguito,

il progetto è andato avanti con i leoni e le metope del duomo

di Modena, il Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell’Arca a

Bologna, il Monumento funebre a Ilaria del Carretto nel duomo

di Lucca e il Cristo Velato della Cappella Sansevero a Napoli.

Portatore di pane (© Fondazione Nino Migliori)

È stata un’esperienza coinvolgente che mi ha permesso di apprezzare

da vicino queste meraviglie e di toccarle per verificarne

i cambiamenti al minimo movimento della fiamma.

Ritratti alla luce di un fiammifero può considerarsi un’evoluzione

del progetto Lumen?

La metodologia operativa è la stessa perché per me i volti

umani sono monumenti irripetibili che narrano storie, esperienze,

emozioni, gioie e dolori. Tra il 2016 e il 2021, ho fotografato

nel mio studio seicento volti di donne e uomini, per lo

più amici o conoscenti, alla luce di un fiammifero per cercare

nuovi stimoli visivi. Sono venuti fuori ritratti sorprendenti che

ho raccolto in un libro.

In cosa consiste il progetto Favole di Luce?

È un lavoro nato da un percorso didattico fatto con i bambini

dai 2 ai 4 anni del Nido Scuola Mast di Bologna. Per due anni

e mezzo, li ho fatti lavorare direttamente con lo sviluppo e il

fissaggio e ho insegnato loro ad utilizzare tecniche off-camera

come ossidazioni, cellogrammi, polarigrammi, lucigrammi,

etc.. Questo gli ha permesso di scoprire come attraverso la fotografia

si possa non solo osservare il mondo ma anche

trasformarlo con metodo e fantasia. E i bambini

sono stati capaci di creare racconti stupendi, piccoli

capolavori esposti nella mostra Favole di Luce al MA-

XXI di Roma nel 2018.

FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK

www.universofoto.it

Via Ponte all'Asse 2/4 - 50019 Sesto F.no (Fi) - tel 0553454164

Uno scatto della serie fotografica Muri (© Fondazione Nino Migliori)

NINO MIGLIORI

15


Carla Nelli

I colori del mare

Le barche di Milazzo, olio su tela, cm 50x70

hello.picture57@gmail.com


A cura di

Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli

Spunti di critica

fotografica

Chiara Samugheo

Una “diva” della fotografia tra le

dive del cinema

di Nicola Crisci / foto Chiara Samugheo

Claudia Cardinale

Nata a Bari nel 1935 e deceduta lo scorso13 gennaio,

Chiara Samugheo si trasferisce a Milano nel 1953 dove

comincia a lavorare come giornalista di cronaca nera.

Dopo l’incontro con Federico Patellani, uno dei fotografi più

importanti di quegli anni, decide di collaborare con lui immortalando

grandi protagonisti dello star system. Realizza inoltre servizi

fotografici per i maggiori periodici, copertine per importanti

riviste anche internazionali e pubblica diversi libri di fotografia.

«Con le mie foto – afferma la Samugheo – volevo contribuire a

fare rinascere il paese. Immaginavo che le botteghe diventassero

industrie di cui essere tutti orgogliosi e che le informazioni

potessero scorrere veloci, capaci di sfamare quanti avessero

bisogno di approcci culturali per proiettarsi verso vite importanti.

Copertine e servizi devono documentare la figura della “diva”,

della donna cinematografica come oggetto del desiderio». Le

sue foto contribuiscono ad alimentare il mito del cinema americano

ed italiano e nel suo archivio ci sono praticamente tutti

i ritratti delle dive della seconda metà del Novecento, come Liz

Taylor, Joan Collins, Monica Vitti, Sophia Loren e Claudia Cardinale.

Il suo stile, giocato soprattutto sulle forti cromaticità, sulle

essenzialità delle linee, su sontuose acconciature, diventerà

un modello per la successiva fotografia di moda e di cinema

degli anni Ottanta. Fotografa di fama internazionale – ha lavorato

ad Hollywood, in Spagna, Russia e Giappone –, dopo aver

vissuto a Roma per diversi anni si sposta a Nizza, per poi rientrare

in tarda età in Puglia, sua terra d’origine. Buona parte del

suo archivio fotografico – più di 165.000 scatti – è conservato

al Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università

di Parma. La sua ultima mostra con ritratti di Raffaella Carrà

si è tenuta ad Avellino l’autunno scorso. I libri più recenti sono

dedicati in particolare alla Sardegna,

ma anche a Lucca, all’architettura

del Palladio, alla squadra

azzurra delle Olimpiadi, alla città

di Rio de Janeiro e ai Nebrodi in

Sicilia. Con la morte di Chiara Samugheo

si perde una donna capace

di raccontare le altre donne

con naturalezza e libertà, senza

le rigide pose da set fotografico,

e di offrire uno spaccato sugli anni

della dolce vita romana nel secondo

dopoguerra.

Monica Vitti

Raffaella Carrà

CHIARA SAMUGHEO

17


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Luciano Borin

Una mostra retrospettiva per ricordarlo al

Circolo degli Artisti Casa di Dante

di Daniela Pronestì

Sulle spalle (1992), olio su tela, cm 80x80

Elisabetta (1975), olio su tavola, cm 80x105

Dal 22 gennaio al 3 febbraio 2022, il Circolo degli

Artisti “Casa di Dante” ha ospitato la mostra retrospettiva

dedicata all’artista Luciano Borin, scomparso

nel 2020 all’età di 69 anni. Per l’occasione sono state

riunite oltre trenta opere con l’intento di ripercorrere gli snodi

fondamentali della sua carriera dagli anni Settanta agli

anni Duemila, incluso il piccolo nudo realizzato poco prima

della scomparsa e scelto da Sonia Toncelli, moglie dell’artista

e curatrice della mostra, come immagine dell’evento. Lo

sguardo retrospettivo ha consentito di individuare, insieme

ai passaggi di stile, ai temi e ai cambiamenti espressivi avvenuti

negli anni, i valori rimasti sempre costanti in tutta l’opera

di Borin, a partire dal legame, di fatto mai sciolto, con

il linguaggio figurativo e con il disegno come elemento fondante

della rappresentazione pittorica. A questo si aggiunge,

fin dagli esordi, una forte quanto profonda fascinazione

per il colore inteso non come semplice strumento subordinato

al dato oggettivo ma come fattore capace di dare un

proprio fondamentale ed autonomo contributo all’armonia

dell’opera. Tutto il percorso di Borin sembra in effetti rivolto

a far dialogare figura e colore quali elementi che, seppur

dotati ciascuno di proprie specificità formali ed espressive,

concorrono insieme a determinare sia gli equilibri strutturali

che l’assetto narrativo del dipinto. In altre parole, nelle sue

opere il colore da un lato disciplina alcuni aspetti costruttivi

e valori percettivi dell’immagine, suggerendo ad esempio

una sensazione di profondità luminosa e di tensione dinamica

della scena, dall’altro aggiunge spessore emotivo al soggetto

rappresentato. I primi indizi di questa sintesi tra il dato

figurale e il significante cromatico si riscontrano in alcuni

studi di figura dei primi anni Settanta, nei quali le suggestioni

derivate da una riflessione sulle avanguardie d’inizio

Novecento – cubismo e futurismo in particolare – portano

Borin, allora da poco diplomato all’Accademia di Belle Arti,

a tagliare i ponti con certi schematismi della tradizione figurativa

– in primis con l’idea di uno sfondo prospetticamente

costruito – per adottare soluzioni che da lì a poco sarebbero

divenute centrali nella sua cifra stilistica. Tra queste la più

significativa è senza dubbio la compenetrazione di figure,

oggetti e forme astratte attraverso raffinati effetti di trasparenza

delle stesure pittoriche o dei passaggi chiaroscurali

nei disegni. L’obiettivo, in questa fase, sembra essere quello

di “smaterializzare” volumi e corpi non solo per azzerare la

tradizionale distinzione tra figura e sfondo, interno ed esterno,

vicino e lontano, ma soprattutto per creare una struttura

compositiva fluida, dinamica, con piani e livelli che, intersecandosi,

animano l’immagine di un’intensa vitalità. L’opera

intitolata Elisabetta (1975) ritorna su questo concetto con

la sovrapposizione di due elementi figurali (una bambina ed

una macchina) che amalgamandosi formano una terza unità

visiva – quella generata appunto dalla fusione della figura

e dell’automobile –, una presenza “misteriosa” nel quadro

che spiazza e disorienta le attese dell’osservatore. Durante

gli anni Novanta il rapporto tra figura e colore viene nuovamente

ripensato con il ciclo degli “strappi”, nel quale la

compresenza di due testi pittorici all’interno della stessa

opera – uno figurativo, l’altro astratto – crea una dialettica

più centrata sull’accentuazione del significato. In questo

caso, infatti, il colore può intendersi come una trascrizione

“astratta” della carica espressiva della figura, rispetto alla

quale le pennellate aggiungono non solo intensità emotiva

ma determinano anche l’atmosfera generale dell’opera. Con

18

LUCIANO BORIN


Riflessioni (2003), olio e foglia oro su tavola, cm 52x60

gli anni Duemila si arriva alla sintesi stilistica per la quale

Borin è maggiormente conosciuto, non senza però un passaggio

intermedio che lo vede coniugare il genere del ritratto

con uso ancora una volta libero e anticonvenzionale del

colore puro. Quest’ultimo, difatti, assolve il compito di isolare

le figure nello spazio dipinto, a significare una condizione

di incomunicabilità tra i soggetti della rappresentazione.

Le opere degli ultimi decenni portano a compimento una

sintassi visiva caratterizzata da colori saturi – soprattutto

i primari giallo, rosso e blu –, strati sovrapposti, accensioni

tonali, equilibri lineari e griglie geometriche che incorniciano

e talvolta inglobano la figura proiettandola in uno spazio

ormai del tutto mentale e simbolico. La sensazione è che la

ricerca di Borin in questi anni sia orientata a rendere protagonista

non tanto, o non solo, la figura, quanto invece la pittura

stessa e le istanze che questa pone non solo all’artista

ma più in generale ad una società in cui l’eccesso di codificazione

dei linguaggi spesso complica la comunicazione

anziché favorirla. Proprio a questo sembrano rimandare, nei

lavori grafici e pittorici di questo periodo, le lettere dell’alfabeto

e i numeri che incrociano i campi cromatici e le figure

come indizi di una scrittura nascosta all’interno dell’opera.

Merito della mostra è stato anche consentire una riflessione

sugli ideali e sui valori culturali che hanno orientato nel

tempo le scelte tematiche di Borin, portandolo a raccontare

la contestazione sociale e la protesta operaia degli anni Settanta,

l’emancipazione femminile, il fenomeno dei consumi

nell’era post-moderna e le “presenze” che all’interno del paesaggio

urbano – si pensi al ciclo dei turisti e a quello dei

viaggiatori in metropolitana – simboleggiano lo stile di vita

contemporaneo. Un ruolo particolare hanno sempre avuto le

donne e i bambini, soggetti entrambi depositari di una visione

tanto bonariamente ironica quanto convintamente ottimistica

dell’essere umano. Figure che hanno accompagnato

Borin nel costruire, anno dopo anno, la straordinaria eredità

pittorica documentata dalle opere in mostra e proiettata

– nonostante tutto – verso il futuro, in nome di valori umani

ed artistici incancellabili.

Le amiche (2017), grafite su carta, cm 50x70

In metropolitana (2017), olio su tavola, cm 97x130

LUCIANO BORIN

19


Davide Sigillò

Immagini senza tempo

Mercato in Piazza Santo Spirito, olio su tavola, cm 20x20

www.davidesigillo.eu

sigi78@libero.it

Davide Sigillò - Artist

davidesigi_artist


A cura di

Ugo Barlozzetti

Percorsi d’arte

in Toscana

Il Cassero a Montevarchi

Un museo esemplare per la scultura italiana dell’Ottocento e del Novecento

di Ugo Barlozzetti / foto courtesy Il Cassero

Montevarchi è indubitabilmente un luogo ricco di occasioni

culturali significative e di un’antica tradizione,

come l’Accademia Valdarnese del Poggio

dimostra, e quindi non sorprende che nel Cassero vi sia un

museo esemplare per molti aspetti, sia per le opere che per

i criteri espositivi. Le collezioni, che annoverano soprattutto

opere di scultura di maestri italiani dal 1895 al 1940, sono integrate

da adeguate schede di catalogo e fonti di documenti e

foto, frutto della ricerca di Alfonso Panzetta, una delle personalità

che più contribuiscono alla conoscenza di quel periodo,

e della validissima collaboratrice Federica Tiripelli, l’attuale

direttrice. Di Pietro Guerri (1865-1936) sono esposte tredici

sculture tra bronzi, terrecotte e gessi e sei grandi acquarelli,

di Odo Franceschi (1879-1958) sedici opere in gesso, di Ernesto

Galeffi (1917-1986) è documentata una produzione più

recente, dal 1957 al 1986, consistente in sessantacinque sculture

tra bronzi, legni e gessi e duemila disegni, oltre al materiale

documentario. Timo Bortolotti (1884-1954) ha centootto

sculture tra marmi, bronzi, terrecotte e gessi, oltre a centonovantadue

disegni. Di Michelangelo Monti (1875-1946) è esposta

la Gypsoteca con centosessantaquattro opere. Di Arturo

Stagliano (1867-1936) sono esposte sedici opere tra gessi,

bronzi e disegni, di Mentore Maltoni (1894-1956) quattro sculture

in gesso e bronzo, di Mario Bini (1909-1987) sette opere

in gesso degli anni Trenta. Di Francesco Falcone (1892-1978)

sono esposte quattro opere in bronzo, legno e gesso, di Firenze

Poggi (nato nel 1925) dodici opere in gesso patinato

e della quasi coetanea Dodi (Donatella Bortolotti, del 1926)

sessantasette opere tra terrecotte, ceramiche dipinte o maio-

Sala Timo Bortolotti

licate, bronzi e disegni datati tra il 1950 e il 2009. Di Massimo

Sacconi due sculture in gesso alabastrino e una in alluminio.

Le opere relative agli artisti citati con la documentazione raccolta,

costituiscono un importante “strumento” per lo studio

di percorsi, committenze, monumenti, non adeguatamente

frequentati per avere un panorama dell’arte del XX secolo in

Italia. Non mancano al Cassero anche materiali di altre personalità:

Diana Baylon, Ferdinando

Brambilla, Elio Galassi, Valmore Gemignani,

Quinto Ghermandi, Antonio

Maraini, Mario Moschi, Oreste

Pizio, Raffaello Romanelli, Dante

Sodini, Umberto Tirelli, Felice Tosalli,

Venturino Venturi.

Casa della cornice

www.ilcasseroperlascultura.it

www.casadellacornice.com

Sala Donatella Bortolotti

IL CASSERO A MONTEVARCHI

21


Quando tutto

ebbe inizio…

A cura di

Francesco Bandini

Dai megaliti di Stonehenge ai percorsi sacri di Petra

Testo e foto di Francesco Bandini

Moltissimi altri esempi

mettono in evidenza gli

straordinari giochi di luce

ed ombre legati a strutture architettoniche

che si verificano in

determinati periodi dell’anno come

l’ombra gettata ai solstizi ed

equinozi, esattamente definiti grazie

all’Analemma di Vitruvio (l’uso

dello “gnomone”), rielaborato in

Piazza San Pietro a Roma dal genio

del Bernini. Ed ancora, sempre

applicando la teoria vitruviana

dell’Analemma, nelle architetture

realizzate da colui che fu definito

lo “stupor mundi”, l’imperatore Federico

II di Svevia (vedi al riguardo

lo splendido Castel del Monte

in Puglia), tutto un linguaggio che

il vero “cielo perduto”, per citare

l’interessante studio di Guido Gossard,

tende ad evidenziare la nostra

incapacità contemporanea di

saper guardare a queste architetture

in rapporto a quelle luminose

degli astri, liberi di squarciare

il cielo. Così oggi noi crediamo di

catturare l’attenzione di quei nostri

progenitori, ingiustamente definiti

“primitivi”, soprattutto se consideriamo

i criteri che hanno guidato

quelle forme “EL-AL” – verso il

cielo – per citare non casualmente

il logo di una nota compagnia di

navigazione aerea israeliana. Proprio

in uno di questi luoghi leggendari,

la mitica valle di Petra, nella

città di Wady Mousa in Giordania,

ho avuto la fortuna di documentare

personalmente un’altra prova

archeologica dei Nabatei (Archeological

Petra Projet 1992/2000).

Già in precedenza avevo avuto

modo di visitare, nella località di

Kirbet Tannur, un luogo alto nella Francesco Bandini)

regione di Showbak, più precisamente

fra la città bizantina di Kyriapolis, l’odierna Dhat

Ras, e l’antica Augustopolis (Tafileh), uno splendido tempio

nabateo-ellenistico dove sono rappresentate, su fregi

e metope, alcune figure antropomorfiche a soggetto zodiacale.

Ma è soprattutto a valle del castello crociato di

2^ parte

El Khasneh al Faroun ovvero “Il tesoro del faraone”, tagliato nel I secolo a. C., è un monumento d’ispirazione

alessandrina, la cui iconografia testimonia influenze greche ed egizie (disegno tratto dal Diario di viaggio di

al-Wu-Ayra, dove opera da anni la missione archeologica

dell’Università di Firenze, che ho potuto documentare per

la prima volta e quindi produrre la relativa prova scientifica

di uno strano andamento di rocce dalla particolare

conformazione mammellare con tracce di una necropoli

22

PETRA


Quando nel 931 a. C. Petra emerse agli occhi dell’antichità, con l’attacco dei Macedoni, i Nabatei vi si erano già installati da tempo o forse da una o due generazioni;

la mancanza di documenti archeologici di questo periodo non dipende solo dallo stato incompiuto degli scavi di Petra, ma soprattutto dallo stile di vita dei Nabatei

che, in quanto popolo nomade, dal IV al II secolo a. C. non ha lasciato tracce

preistorica. Si tratta di un percorso sacro, che potremmo

definire liturgico-processionale, che pone in stretta relazione

la devozione dei morti con il culto degli adoratori

del Sole e dell’intero sistema astrale. Infatti, delle montagnole

sono collegate fra loro da una serie di gradini scavati

nelle pareti delle rocce, alla cui sommità si alternano

piccole tombe che si presentano a grotticelle con pozzetto

centrale d’ingresso oppure, fatto questo ancor più

stupefacente, presentano numerose “coppelle” scavate,

la cui distribuzione geometrica sembra riprodurre composizioni

astrali, cioè vere e proprie costellazioni zodiacali.

Un’ulteriore conferma che i Nabatei si dedicavano ad

investigazioni astronomiche e cercavano di leggere e interpretare

i segni del cielo. Questo percorso fu opportunamente

utilizzato come “camminamento di ronda” durante

il periodo in cui divenne fortificazione crociata; infatti,

dopo la prima fase di incastellamento (1106/1142), la

struttura difensiva venne conquistata da truppe persiane,

cui fece seguito l’immediata riconquista da parte di

Baldovino di Fiandra, divenuto, dopo la morte del fratello

Goffredo di Buglione, re di Gerusalemme. Dovendo allora

potenziare la linea di difesa della Signoria di Transgiordania,

utilizzò, oltre al castello di al-Wu-Ayra, questo naturale

sbarramento roccioso, installandovi torrette di guardia

proprio sulla piattaforma utilizzata in precedenza dai suoi

primitivi abitanti per i loro culti magico-astrali. Dopo aver

raccontato, nel mio diario di viaggio Dall’Ararat alle sorgenti

del Nilo Azzurro (Alinea, 2002) di questi siti, da Stonehenge

ai nuraghi sardi e cananei, da Babilonia a Ur dei

Caldei e ai percorsi sacri nella Wadi Araba, tentiamo ancora

una volta di leggere quella parte del libro che esamina

gli aspetti dell’astronomia, considerando i criteri che

hanno guidato le loro architetture. Viene fatto di pensare,

infatti, che in realtà questi “primitivi” non fossero affatto

gente rozza ma individui capaci di seguire certi ragionamenti

e soprattutto fossero consapevoli di vivere in sintonia

con la natura e con il cielo, per cui, alla fine, verrebbe

da dire che i veri primitivi siamo noi, scoprendo che per

gli antichi il cielo “era soprattutto la strada più diretta per

arrivare a Dio”.

PETRA

23


Libuse Babakova

La danza del segno

259 Frammenti (2018), acrilico su metacrilato, cm 80x80

libuse.babakova@gmail.com


A cura di

Maria Grazia Dainelli

Grandi mostre

in Italia

Keith Haring

Le opere del writer americano “colorano” Pisa con una

mostra a Palazzo Blu

Testo e foto di Miriana Carradorini

Nella parte espositiva di Palazzo Blu, a Pisa, dallo

scorso 12 novembre 2021 e fino al 17 aprile 2022,

è possibile visitare la mostra Keith Haring che, attraverso

le opere del writer americano, offre una visione

completa dell’artista e della sua attività. Per la prima volta

più di centosettanta opere, provenienti dalla Nakamura

Keith Haring Collection, museo giapponese dedicato all’artista,

toccano il suolo europeo, e la scelta di Pisa come sede

espositiva è legata al murale di Haring realizzato nel 1989

su una facciata del convento pisano di Sant’Antonio e intitolato

Tuttomondo. Una serie di omini colorati, tipici di Haring,

guidano turisti, curiosi e gli stessi abitanti della città

tra il murale e Palazzo Blu, riempiendo di colore e “persone”

una Pisa invernale e apparentemente vuota a causa del

Covid. La mostra, divisa in nove sezioni, porta il visitatore a

viaggiare nella variegata produzione di Haring partendo dalle

metropolitane newyorkesi, dove ha realizzato i suoi primi

disegni, i cosiddetti Subway Drawings (1981-1983), fino ad

arrivare alla sua ultima opera, una serie di diciassette serigrafie

dal titolo The Bluprint Drawings, pubblicata un mese

prima della sua morte. Il visitatore, che già conosce gli omini

colorati di Haring grazie alla loro riproduzione seriale su

vestiti, borse e qualsiasi altro oggetto, si sorprenderà nel vedere

i retroscena della loro realizzazione, legata all’impegno

sociale e politico di Haring. Infatti con la sua fantasia colorata

Haring vuole sensibilizzare l’osservatore su temi come

l’energia nucleare, il razzismo, l’uso delle droghe, la prevenzione

dell’AIDS e moltissime altre tematiche, argomenti che,

Palazzo Blu a Pisa, sede della mostra dedicata a Keith Haring

insieme ai suoi omini, fanno di lui uno dei simboli indiscussi

della cultura anni Ottanta. Molte di queste opere sono

presenti nella mostra insieme ad altre realizzate su commissione

come le copertine di album di cantanti del calibro

di David Bowie (Without You, 1983) e pubblicità come quella

dell’Absolut Vodka (1986). Il visitatore scoprirà anche gli

aspetti più sconosciuti e privati dell’artista, come la sua produzione

di libri e laboratori per bambini e le opere realizzate

nel periodo finale della sua vita, caratterizzato dalla malattia.

La mostra a Palazzo Blu, piena di colori e significati, traduce

a pieno l’intento di Haring, ovvero far sentire a proprio agio il

visitatore all’interno di un museo e accompagnarlo nella vita

di ogni giorno, con tinte vivaci e simpatiche figure stilizzate,

rendendo l’arte vita e la vita arte.

Dr Matteo Berna

Consulente finanziario

338 5647067

matteoberna@mediolanum.it

Alcune delle opere esposte

KEITH HARING

25


L’Agenda interventata

Un progetto d’artista per gli artisti

di Roberto Della Lena

Èla storia di una raccolta di disegni molto particolare,

a cui io e un gruppo di amici decidemmo di dare

il nome di Progetto agenda interventata, dove gli

interventi sono creazioni artistiche estemporanee. Ha una

data di inizio, il 25 giugno 1997, quando alcuni artisti accettarono

di buon grado di arricchire la mia agenda con propri

schizzi. Quell’agenda non ha terminato la sua esistenza

con il 31 dicembre 1997, ma è “sopravvissuta” ben più a lungo.

Infatti negli anni successivi i disegni sono andati via via

sempre aumentando; solo la mancanza di spazio ha di fatto

interrotto l’inserimento di ulteriori contributi. Sono più

di cento piccole opere, fatte da altrettanti artisti. Per motivi

di spazio, sono qui riprodotti solo una piccola parte. Tutti

sono per me importanti, ad ognuno di loro e al momento

che sono stati eseguiti è legato un ricordo. Sottolineo ancora

che vorrei nominarli e inserirli tutti. Lo farò sicuramente

in futuro; si consideri dunque il presente come un punto di

partenza per le prossime uscite.


A cura di

Luciano e Ricciardo Artusi

Curiosità storiche

fiorentine

Tommaso Masini

Novello Icaro con la macchina del volo progettata da Leonardo

di Luciano e Ricciardo Artusi

Tommaso Masini detto Zoroastro da Peretola, figlio di

un ortolano, era un giovane di belle speranze, allievo

del grande Leonardo da Vinci, impegnato ai primi del

Cinquecento a dipingere la famosa Battaglia d’Anghiari in

Palazzo Vecchio. Con il maestro, l’aitante giovane di bottega

peretolino contribuì anche alla realizzazione del “grande

uccello” che per primo al mondo tentò l’avventura del volo. Il

volo, volare: un’idea che assillava Leonardo da quando, dopo

aver osservato a lungo il volo degli uccelli con le differenze e

le affinità dei vari soggetti, l’utilizzo del vento contrario, studiato

e disegnato le loro ali ed i movimenti che le mettevano

in azione, pensò che anche l’uomo potesse avere quella

forza necessaria per sollevarsi e sorvolare campi, colline e

fiumi. Trascorse giorni e notti di intenso lavoro, curvo ed assorto

sui suoi disegni che andava perfezionando di momento

in momento. Così, col volgere del tempo, nella mente del

genio si fece strada il progetto sempre più chiaro ed esatto

di un apparecchio che potesse volare; era talmente convinto

della funzionalità della sua macchina volante che egli

stesso profetizzò: «Piglierà il primo volo il grande uccello

sopra del dosso del suo magno Cecero, empiendo l’universo

Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo

di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture, e gloria

eterna al nido dove nacque». Il fedele Zoroastro, lasciati

pennelli, mortai e colori, si dedicò ad aiutare il maestro nella

costruzione del prototipo, che alla fine venne realizzato

così perfetto da convincerlo di poterlo collaudare personalmente

senza alcun timore, anche in virtù della fiducia riposta

nel maestro. L’apparecchio dalle grandi ali, dal quale Zoroastro

sdraiato sul carrello avrebbe dovuto produrre con gli arti

quella forza motrice necessaria per alzarsi in volo, fu portato

sulla sommità del Monte Ceceri, vicino a Fiesole, per

essere spinto verso il baratro e quindi librarsi nell’aria. Una

fulgida luce avvolgeva la collina di Fiesole. Tutto era pronto

per il lancio: un’energica spinta e giù il salto verso il fondo

valle. Compiuta una breve traiettoria in planata con alcune

inclinazioni d’ala, il volo del grande uccello aveva termine

fracassandosi al suolo, fortunatamente senza gravi conseguenze

per l’affezionato ed intrepido discepolo. Dopo l’infelice

esperimento che aveva evidenziato come l’eccessivo

peso e la forza motrice degli arti umani non fossero commisurati

alla necessità per manovrare quelle grandi ali di cigno,

Leonardo e Zoroastro, stanchi e delusi, fecero i bagagli

e se andarono a Milano. Dal dosso di Monte Ceceri, il meccanico

apparecchio leonardesco tentò per primo di spiccare

il volo nell’azzurro cielo che lo accoglieva come un trionfatore;

non ci riuscì del tutto, ma certamente aprì le porte a serene

prospettive per l’avvenire. A cinquecento anni di distanza

dall’evento del “primo volo”, il 28 marzo 2006 in via di Peretola

è stata inaugurata una targa marmorea in ricordo dell’ardimentoso

assistente di Leonardo, con questa dicitura: “In

questo borgo nacque Tommaso Masini detto Zoroastro da

Peretola che – allievo di Leonardo – sul magno Cecero sperimentò

la macchina per volare”.

Cornici Ristori Firenze

www.francoristori.com

Via F. Gianni, 10-12-5r

50134 Firenze

La macchina per il volo di Leonardo da Vinci

TOMMASO MASINI

27


Dimensione

salute

A cura di

Stefano Grifoni

I progressi della scienza per vivere

meglio e più a lungo

di Stefano Grifoni

Invecchiando aumenta il rischio di soffrire, morire e

sviluppare delle malattie. Per ridurre la probabilità di

ammalarsi in età avanzata occorre intervenire sulla

disfunzione mitocondriale delle cellule perché è proprio

questa che ci predispone ad una serie di malattie come

la demenza, l’ipertensione e le patologie cardiovascolari.

Oggi grazie alle nuove terapie e tecnologie in medicina gli

anziani vivono di più, anche oltre dieci anni. Le persone

continueranno a morire perché i progressi della scienza

non potranno impedire incidenti stradali, omicidi o morti

a causa dei virus per i quali non esiste vaccino. Una cosa

è certa: prevenire è meglio che curare. Questo comporta

incrementare la ricerca scientifica particolarmente per

identificare nuove cure e nuovi vaccini per contrastare la

morte per malattia che ogni giorno miete centinaia di vite

umane. La morte non è la più grande perdita della vita.

La più grande perdita è ciò che muore dentro di noi mentre

stiamo vivendo.

Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso

dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi

e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale

della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione

per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico

dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.

28

PROGRESSI DELLA SCIENZA


A cura di

Emanuela Muriana

Psicologia

oggi

Terminator

Un killer seriale di

relazioni amorose

di Emanuela Muriana

Un paziente un giorno mi scrive una e-mail dicendo

di aver messo a fuoco il meccanismo alla base delle

sue sfortune amorose e del fallimento sistematico

di tutte le sue relazioni importanti del passato. In preda

all’ansia per il ripetersi di dinamiche simili al passato in una

relazione appena iniziata, conclude: «Sì, ho avuto le stesse

sensazioni in tutte le mie passate relazioni ed ho attuato

sempre la stessa strategia di difesa: mi metto in disparte,

comincio ad abbuiarmi finché alla mia partner non è chiaro

che qualcosa non va. La sua domanda di chiarimenti diventa

l’occasione per esprimere il mio bisogno di conferme

con richieste più o meno pressanti di rassicurazioni circa i

suoi veri sentimenti nei miei confronti, apparentemente poco

trasparenti a causa di comportamenti non in linea con l’ideale

amoroso che puntualmente metto a confronto con la

dura realtà». Il meccanismo funziona così: lei magari è distratta

perché ha un periodo di stress al lavoro, problemi

familiari oppure semplicemente ha una brutta giornata. Indipendentemente

dalle cause che generano l’apparente distacco

e disinteresse da parte della partner, “terminator”

– questo è il nome che il mio paziente si è ironicamente attribuito

– comincia a ruminare sui possibili scenari negativi

che vi si celano e riflette sui suoi stati d’animo attribuendone

la causa alla relazione stessa. «Se lei è così distaccata

e pensierosa e non mi manifesta amore allora significa che

tra noi c’è qualche problema: magari pensa all’ex oppure le

piace un altro ma non ha il coraggio di dirmelo, forse mi tradisce;

pensa solo al lavoro e di me non le importa nulla. È

una storia destinata a terminare, prima o poi mi darà il ben

servito». Lucide strategie di difesa fallimentari che producono

sempre lo stesso risultato catastrofico; lucida consapevolezza

che spesso non basta a cambiare le relazioni. La

paura, emozione naturalmente connessa alla sopravvivenza,

innesca altre numerose risposte emozionali secondarie

come l’ansia, per evitare il pericolo o il dolore; la rimuginazione

con la messa alla prova del partner serve per tenere

sotto controllo il pericolo pensato. La paura dell’abbandono

crea il ciclo della vittima aggressiva che cerca continuamente

conferme. A volte il vittimismo ha manifestazioni

quiete, come appunto l’isolamento silenzioso in attesa che

la partner venga in aiuto a risollevargli il morale con le sue

rassicurazioni. Altre volte invece si manifesta in modo aggressivo,

con richieste pressanti di chiarimenti o rassicurazioni

circa l’esistenza o meno di passate relazioni irrisolte

o di altre presenti. Tutto è oggetto di intervento di mirate

strategie psicoterapeutiche gestite da un terapeuta esperto,

pena rimanere intrappolati in un meccanismo che come

una ruota gira sempre uguale su se stessa. Ma attenzione:

«Nell’amore le rassicurazioni valgono come annuncio del loro

opposto», scrive Elias Canetti.

Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve

Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.

È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso

le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato

tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.

È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.

Studio di Terapia Breve Strategica

Viale Mazzini 16, Firenze

+ 39 055 242642 - 574344

emanuela.muriana@virgilio.it

TERMINATOR

29


Dora Pianezzola

I volti del tempo

pianezzola.dora@virgilio.it

+ 39 348 6562357


A cura di

Silvia Ciani

I consigli del

nutrizionista

La dieta come “stile di vita”

di Silvia Ciani

Le evidenze scientifiche confermano come lo stile

di vita sano e la dieta mediterranea siano essenziali

per promuovere la salute e mantenerla.

Nonostante questo, gli errati stili di vita ed il sovrappeso

costituiscono una delle principali problematiche di salute

pubblica in tutto il mondo ed inoltre, nell’attuale situazione

pandemica, le persone in sovrappeso hanno maggior

rischio di ospedalizzazione, ricovero in unità di terapia intensiva

e morte per Covid-19. La dieta rimane la risposta

predominante per far sì che la persona in sovrappeso o

obesa possa recuperare salute perdendo peso. Arrivare ad

un peso ragionevole e mantenerlo nel tempo dovrebbe essere

l’obiettivo da perseguire. Sembra facile, ma non lo è.

Uno dei motivi che ci allontanano dal risultato è il fatto

che non tutti riescono a stare a dieta. Cosa significa la parola

“dieta”? Dal greco antico “diaita” ovvero “stile di vita”,

non è un regime dietetico, piuttosto è un modo di vivere in

cui l’atto del cibarsi è denso di altri significati come gusto,

socialità, cultura e tradizione. Oggi invece l’alimentazione

è un dovere, una pausa, una necessità e, quando degenera,

una compulsione o una dipendenza. Superare questo stato

di cose non è banale e spesso

non basta una semplice prescrizione

dietetica. Offrire una dieta

ad una persona obesa può infatti

non sortire gli effetti desiderati

e può rischiare di divenire un fallimento

(anche se si perde peso

all’inizio, poi lo si recupera con

gli interessi, oppure, nel caso di

un disturbo alimentare, potrebbe

addirittura peggiorare la patologia).

È mio obiettivo capire e

comprendere quali siano le motivazioni

che perpetuano e aggravano

la condizione di sovrappeso

del paziente, analizzare la sua

storia, il suo vissuto, le difficoltà

che ha verso il cambiamento. In

altre parole, scegliere per quella

persona un metodo che può an-

che essere diverso dalla solita prescrizione dietetica, che

abbia una connotazione più intima, personale, più attiva e

consapevole, che faccia presa sugli aspetti cognitivi e razionali

e valorizzi i punti di forza facendo riconoscere e affrontare

le proprie debolezze. Spesso faccio compilare un

diario alimentare per capire a fondo il comportamento della

persona: la ritengo una strategia molto utile poiché rende

il paziente consapevole delle proprie azioni (mangiare

fuori pasto, assumere cibi troppo elaborati o calorici, avere

ritmi irregolari, fame emotiva) e mi consente di analizzarle

e cercare il modo di modificarle in meglio. Al diario

si possono poi aggiungere altri strumenti quali indicazioni

nutrizionali specifiche per singola patologia oppure

riferimenti (immagini, grammature, tabelle) per un’alimentazione

equilibrata. A volte, invece, può essere necessario

affrontare le problematiche che riguardano il comportamento

alimentare (ossessioni, ansie, dipendenze, disturbi

alimentari) attraverso percorsi integrati con lo psicoterapeuta.

Non si tratta quindi di personalizzare solo la dieta

ma di individuare un percorso, talvolta anche complesso,

calibrato e modulato sul singolo paziente.

Biologa Nutrizionista e specialista in

Scienza dell’alimentazione, si occupa

di prevenzione e cura del sovrappeso

e dell’obesità in adulti e bambini attraverso

l’educazione al corretto comportamento alimentare,

la Dieta Mediterranea, l’attuazione di

percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo

e personal trainer.

Studi e contatti:

artEnutrizione - Via Leopoldo Pellas

14 d - Firenze / + 39 339 7183595

Blue Clinic - Via Guglielmo Giusiani 4 -

Bagno a Ripoli (FI) / + 39 055 6510678

Istituto Medico Toscano - Via Eugenio

Barsanti 24 - Prato / + 39 0574 548911

www.nutrizionistafirenze.com

silvia_ciani@hotmail.com

LA DIETA

31


I giganti

dell’arte

L’Incendio di Borgo

Uno dei capolavori di Raffaello nelle Stanze Vaticane

di Matteo Pierozzi

Anno 1508: papa Giulio II Della Rovere chiama a Roma

due grandi artisti. Uno è Raffaello Sanzio da Urbino,

l’altro è nientemeno che Michelangelo Buonarroti. Il

Papa commissiona a Raffaello, ragazzo di appena venticinque

anni ma già famoso, la pittura delle stanze del suo appartamento

privato. Uno di questi capolavori si trova nella

Stanza dell’Incendio di Borgo, che prende il nome da uno degli

affreschi che nella sala si ritiene interamente autografo

di Raffaello. Questa stanza aveva la funzione di triclinium,

ci dicono le fonti latine, cioè era la sala da pranzo del pontefice,

che qui riceveva i suoi più stretti collaboratori ed i suoi

ospiti più importanti. Nell’affresco di Raffaello si vede divampare

un terribile incendio che sta distruggendo il quartiere

di Borgo Pio e la Basilica di San Pietro, basilica costantiniana,

come ci appare prima degli interventi

cinquecenteschi. Incorniciata da architetture

classiche, è una scena drammatica in cui i

corpi che fuggono dalle fiamme contorti e disperati

sono i veri protagonisti. Papa Leone

X intanto dal fondo, invocato dai fedeli, ferma

l’incendio e benedice lo spettatore. Appare

limpida in questa parete ricca di figure

umane l’ammirazione provata dal maestro di

Urbino per Michelangelo.

L'Incendio di Borgo (1514), affresco, Musei Vaticani, Città del Vaticano

32

INCENDIO DI BORGO


A cura di

Maria Concetta Guaglianone

PsicHeArt

Psicologia e percezione visiva

Cosa succede quando osserviamo un’opera d’arte

di Maria Concetta Guaglianone

Ogni qual volta ci si trova davanti ad una rappresentazione

artistica si attiva un’esperienza soggettiva che

può avere impatti differenti in termini di intensità e

coinvolgimento e richiamare contenuti consci e inconsci. Per

comprenderne il vissuto vanno considerati processi psicologici

coinvolti nelle esperienze di produzione e di fruizione di

un’opera d’arte, l’attivazione e l’interconnessione tra aree e

funzioni del cervello, il sistema percettivo, visivo, cognitivo,

mnemonico, emotivo, di rappresentazione simbolica e di significato,

di immedesimazione e apprezzamento. Guardando

un’opera d’arte, come ad esempio un dipinto, si può avere

l’impressione di essere “catapultati dentro” la rappresentazione

artistica che diventa, per effetto dei neuroni specchio

e per l’attivazione di circuiti dopaminercigi, un’esperienza

emozionale e sensoriale. L’opera d’arte veicola stimoli che

provengono dall’esterno – visivi, olfattivi e uditivi – e dall’interno

come pensieri e sentimenti. A livello neurobiologico il

cervello si attiva richiamando due processi complementari:

il bottom-up, innato e riferito ai circuiti cerebrali dettati da re-

gole universali del sistema visivo che permette ad ogni persona

di estrarre le informazioni principali, come la forma, il

contrasto, il colore, la figura-sfondo, i contorni, la luce-ombra,

il volume, l’orientamento, la trama delle superfici; il topdown,

relativo a circuiti cerebrali che caratterizzano funzioni

mentali di ordine superiore come la memoria, l’attenzione,

le aspettative, le associazioni visive apprese nell’esperienza

psicologica soggettiva. In tal caso il cervello è impegnato

in un processo di integrazione di informazioni incomplete

o ambigue e richiama il sistema di significati propri della

persona. Considerando ad esempio l’arte figurativa, in modo

immediato si attiva un processo di riconoscimento, categorizzazione

e classificazione di elementi definiti; in caso di

arte astratta si attiva un processo “più creativo” con la produzione

di nuove associazioni in assenza di elementi riconoscibili.

E.R. Kandel, uno dei maggiori neuroscienziati, premio

Nobel per la medicina nel 2000, in Arte e Neuroscienze parla

della relazione tra creatività, razionalità e funzionamento

cerebrale. Proprio in merito all’arte astratta mette in evidenza

come l’astrattismo insegni a

guardare in modo nuovo, a cogliere

nuove prospettive e significati,

come da elementi indefiniti

si possa costruire un’immagine

rappresentativa sulla base della

propria esperienza. Il nostro cervello

elabora i segnali sensoriali

provenienti da un’opera d’arte

e, a partire da essi, costruisce significati,

come afferma lo stesso

Kandel: «Per l’artista il processo

creativo è anche interpretativo

e per chi guarda il processo interpretativo

è anche creativo».

Guardare, sentire e fare arte significa

creare, evocare e respirare

vita. E come una danza, tra

passi e figure, l’arte si muove e

smuove nel corpo, nella mente e

nelle emozioni.

Psicologa specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Psicoumanitas di Pistoia, Maria Concetta

Guaglianone ha frequentato la scuola biennale di Counseling Psicologico presso Obiettivo Psicologia

di Roma, dove ha svolto anche la propria attività professionale collaborando come tutor nel Master di

Psicologia Perinatale. È autrice di numerosi articoli sul portale Benessere 4you - Informazioni e Servizi su Salute e

Benessere Psicologico. Attualmente svolge la propria attività professionale presso Spazio21 - Studi Professionali

di Discipline Bio Naturali e Psicologia (via dei Ciliegi 21 - 50018 Scandicci).

+39 3534071538 / + 39 348 8226351 / mariaconcetta.guaglianone@gmail.com

PERCEZIONE VISIVA

33


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Lise Duun

Il paesaggio fuori, la natura dentro

di Daniela Pronestì

Di fronte ad un quadro di paesaggio poco importa

sapere dove si trovi esattamente lo

scorcio di mare rappresentato o se esista

davvero il tratto di campagna dipinto dall’artista: se

anche queste curiosità venissero soddisfatte, non

aggiungerebbero nulla all’emozione che scaturisce

da quelle immagini. Il senso del paesaggio si colloca

al di là del tempo e dello spazio, in una dimensione

in cui il visibile diventa anello di congiunzione tra

le cose della natura e lo sguardo interiore dell’artista,

tra ciò che l’occhio registra e ciò che il pensiero

di sé proietta in quegli scampoli di realtà. Può

accadere anche – ed è il caso delle opere dell’artista

danese Lise Duun – che paesaggi all’apparenza

reali siano invece il frutto di un esercizio d’immaginazione,

di un’interpretazione simbolica del mondo

naturale nella quale ciascun elemento incarna un

significato nascosto. Nei dipinti della Duun domina

un effetto di incantamento, di magia sottile, di

visione sognata, e in questa sospensione tra reale

e immaginario, l’aspetto “concreto” delle cose sfuma

per lasciare posto all’immaterialità dell’emo-

Forze del mare, olio su tela, cm 40x40

Lasciato indietro, olio su tela, cm 30x30

Finché il mare non ci separi, olio su tela, cm 40x40

34

LISE DUUN


La fine del mondo, olio su tela, cm 100x80

zione. Quando smettiamo di considerare la natura

come un contesto che lambisce le nostre vite senza

farne parte, scopriamo invece che niente più della

natura ci somiglia nel dare un volto al bisogno

dell’uomo di credere in qualcosa che duri oltre la

brevità dell’esistenza, di immaginare un altrove che

lo accolga alla fine dei tempi, di rimediare allo sgomento

generato dalla constatazione della propria finitudine

in confronto alla vastità dell’universo. Le

opere della Duun ci rammentano quanto importante

sia sperimentare questo profondo senso di unità

con la natura, con i segreti che la permeano, e al

medesimo tempo proiettare lo sguardo al di là del

contingente, superando cortine di nuvole, muraglie

d’acqua, filari d’alberi, decifrando il mondo come

una foresta di simboli. Non si tratta, quindi, soltanto

di contemplare lo spettacolo naturale avvertendo

tutto l’incanto che ci fa sentire “piccoli” di fronte

a tanta meraviglia, ma occorre anche “sfidare” questa

grandezza, entrarci dentro, attraversarla, con la

stessa forza che da sempre spinge l’essere umano

a superare i propri limiti. I paesaggi della Duun invitano

a vivere entrambe queste esperienze, chiamandoci

ad essere spettatori di un mondo magico

e allo stesso tempo fautori della “magia” che nasce

da uno sguardo capace di andare oltre le apparenze.

È importante saper predisporsi all’ascolto della

realtà, riconoscerne i segnali, decodificarne i significati,

per vedere apparire le cose sotto una nuova

luce. Tempeste marine, paesaggi ghiacciati, sentieri

di nebbia compongono un linguaggio cifrato, un modo

per rendere visibile ciò che di per sé non ha né

corpo né sostanza: stati d’animo, emozioni, pensieri.

Nulla è come sembra nei dipinti della Duun: l’acqua

non è acqua, il cielo non è cielo, gli alberi non

sono alberi. Il paesaggio stesso non è più paesaggio

ma un insieme di simboli che narrano storie, danno

forma a momenti di vita vissuta, interpretano la realtà

offrendone possibili chiavi di lettura. E insieme

a strade da percorrere, mari da solcare, morbide luci

dalle quali farsi avvolgere, l’artista ci consegna una

visione ottimistica del mondo, un racconto intessuto

di stupore verso tutto ciò che nella vita è mistero,

armonia e bellezza.

www.galleriduun.dk

La nebbia si sta alzando, olio su tela, cm 70x50

LISE DUUN

35


Scuola di Scrittura Creativa Ciampino

organizza la

3^ edizione del Concorso Letterario Nazionale

di Poesia e Narrativa per ragazzi e adulti

"LE PAROLE DEL GECO"

Tema 2022:

"UNA GOCCIA NEL MARE"

IL CONCORSO LETTERARIO

"Le parole del geco" è un concorso letterario che nasce nel 2019, con lo

scopo di far riflettere gli autori su argomenti di particolare interesse.

Le prime 2 edizioni sono state un omaggio ai genitori dell'organizzatrice.

Per quest'anno il tema è: "Una goccia nel mare". Questa volta si vuole

stimolare il "sentire" degli autori. Alla luce della stringente attualità

come ci si sente di fronte ai mutamenti climatici, alla crisi sanitaria ed

economica, ai problemi di inclusione o di bullismo? Una goccia nel mare

quale nullità in un'inarrivabile immensità o una goccia nel mare come

parte di immenso tutto?

PARTECIPAZIONE

La partecipazione è gratuita fino a 18

anni, per i maggiorenni invece

la quota è di 6 euro.

Bando e regolamento

www.concorsiletterari.net

Scadenza: 31 marzo 2022

I testi vincitori saranno inseriti in

un'antologia messa in vendita

per beneficenza a favore

dell'Associazione

"Il sorriso di Mok Italia",

impegnata da anni

nel sostegno di bambini in Africa.

GIURIA E PREMI

La Giuria è composta da

8 giurati:

4 esperti del settore

4 allievi della Scuola di Scrittura

Presidente di giuria

il poeta romano

Giovanni Gentile

Premi per i vincitori:

targhe e pergamene

Attestato di partecipazione

per tutti gli altri

La premiazione si terrà a

Ciampino all'inizio dell'estate 2022

Info e contatti

leparoledelgeco@libero.it

www.concorsiletterari.net

"Le parole del geco - concorso nazionale"

le_parole_del_geco_concorso

339/68.29.867

LA STORIA DELLA

"SCUOLA DI

SCRITTURA CREATIVA

CIAMPINO"

Ideatrice della scuola,

Elisabetta Piras vive e

lavora a Ciampino come

docente di scuola primaria.

Funzionario comunale per

32 anni, approda infine alla

scrittura e all'insegnamento,

sue grandi passioni.

Su richiesta scrive

fiabe e racconti "su misura"

da donare in occasione di

compleanni, nascite,

occasioni speciali.

Grazie alla sua esperienza di

scrittrice "on demand" ha

creato, nel 2012, i corsi di

scrittura per bambini e

ragazzi, con lo scopo di

appassionarli alla scrittura.

I suoi corsi si tengono nelle

scuole del territorio.


La voce

dei poeti

Anna Maria Biscardi

Poetessa e scrittrice, ha raccontato con raffinata sensibilità la vita e i sentimenti

di Mara Faggioli

Mi giunge inaspettata la triste

notizia della scomparsa

di Anna Maria Biscardi,

poetessa, scrittrice, musicista, molto

conosciuta e apprezzata dalla critica

e dal pubblico, tra i nomi più significativi

nel panorama letterario.

Raffinata, colta e sensibile, amante

della cultura, ha pubblicato ben undici

libri. In Passaggio a Mezzogiorno

(Guida Ed.), con la sua voce potente

e nello stesso tempo delicata, ha

raccontato con coraggio, forza e determinazione

i problemi e i drammi

vissuti dalle donne del Sud nel secondo

dopoguerra, libro autobiografico

dal quale scaturisce la forza di

volontà e la fierezza di Anna Maria, la

sua capacità di rialzarsi sempre anche

di fronte alle avversità della vita.

Particolare interesse rivestono le

biografie di personaggi illustri come

Mario Luzi, note di vita dall’archivio Anna Maria Biscardi

della memoria (Ed. Polistampa) con

la prefazione di Sergio Zavoli e Colloqui amichevoli con Geno

Pampaloni (Ed. Polistampa). Ha scritto, inoltre, saggi e poesie,

sempre con la sua innata eleganza, ed ha ricevuto molti

premi e riconoscimenti prestigiosi per la sua attività letteraria.

Le ultime due sue pubblicazioni sono dei veri e propri “atti

d’amore”, rappresentano un abbraccio alle persone più care:

nel 2016 esce una raccolta poetica insieme ai figli Marivana e

Patrizio Del Duca dal titolo Tre percorsi dell’anima (Ed. Masso

delle Fate) e nel 2018, sempre con Masso delle Fate, Lettere

di un innamorato. Questo libro potrebbe essere definito l’ultima

“fatica” letteraria ma in questo caso penso che la parola

“fatica” sia del tutto inappropriata dato che è scaturito dal

cuore di Anna Maria di getto, come una sorgente di acqua pu-

Ho imparato stasera

qualcosa importante,

gioire con te

delle cose del mondo,

scoprire che anche

il più piccolo istante

può essere eterno

se tu sei con me…

(da La luce dei ricordi di Anna Maria Biscardi)

ra e cristallina, e sono certa che le parole le siano sgorgate

prorompenti come un torrente, pagina dopo pagina, attraverso

le lettere del suo amato Sergio e i ricordi della loro intensa

storia d’amore. Dopo 25 anni di un amore così profondo,

la scomparsa della persona amata ha fatto perdere la voglia

di vivere ad Anna Maria e la stesura di quest’opera è stata catartica

perché l’ha aiutata a sopportarne la sofferenza. Era

desiderio di Anna Maria presentare questo libro nella città

dove viveva, Scandicci, ma gli ultimi due anni hanno frenato

molte attività e, purtroppo, non è stato possibile. Un’amicizia

di alcuni decenni mi lega ad Anna Maria, ricordi intrisi di poesia

nei salotti letterari e nei circoli culturali, i lunghi viaggi

per cerimonie di premiazione che rappresentavano il pretesto

per stare insieme, ma anche serate in allegria e spensieratezza

come le briose cene da Alfio Vanni, conosciuto come

“Moscerino”, lo showman di Signa al quale Anna Maria ha dedicato

un libro. Troppo spesso non ci accorgiamo che nella

vita tutto è precario: crediamo e desideriamo di possedere

sempre qualcosa e, invece, sono le cose che possiedono noi

ed alla fine, quello che di vero e reale ci resta, sono i sentimenti

d’amore e le emozioni vissute, sono gli attimi che erroneamente

credevamo “fuggenti” ma sono proprio quelli che,

invece, restano impressi indelebili per sempre nel nostro cuore.

Anna Maria lo sapeva ed è riuscita a descriverli perfettamente

con le sue parole, con i suoi versi e con la narrativa,

lasciandoci per sempre un’eterna testimonianza d’amore.

ANNA MARIA BISCARDI

37


Ecologia e

società

Dallo sfruttamento al rispetto degli animali:

una conquista di civiltà

di Moravio Martini

Mi piace molto leggere ma principalmente possedere

i libri. Ho la casa piena di libri e ciò mi gratifica

molto. L’ultimo libro che ho letto s’intitola Sorella

scimmia e fratello verme scritto da quel genio che si chiama

Piergiorgio Odifreddi per la casa editrice Rizzoli. Questo libro

ha accentuato e confermato il mio atteggiamento di sempre

in favore degli animali e il pessimo comportamento verso

di loro dell’umanità. Il libro comincia con il citare la creazione

dell’uomo e della donna – la Genesi –, ai quali Dio disse

di dominare sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sulle

bestie domestiche e quelle selvatiche e su tutti i rettili che

strisciano sulla terra. Di poi, aggiunge, che l’Occidente giudaico-cristiano

ha creduto a questo editto divino e ha legalizzato

le pretese di sfruttamento intensivo degli animali a

suo uso e consumo. Questo ha scritto Odifreddi e io concordo

pienamente. Non so se sia vero che mangiare carne abbia

permesso l’evoluzione dell’uomo, personalmente non ci credo.

Ma andiamo avanti trascurando tale ipotesi. Noi siamo

una comunità che vive grazie alla sopraffazione degli animali

e al loro sterminio. Uno sterminio, un genocidio giornaliero

che, in confronto, l’olocausto nazista è poca cosa. Il mondo,

per gli animali, è una eterna Treblinka! L’umanità, eppu-

re, conosce questa mattanza ma finge di non sapere da dove

vengono tutte le cose che quotidianamente usiamo. Tutto ci

sembra dovuto, normale, concesso, naturale; l’assuefazione

ci ha reso indifferenti allo scempio di cui siamo complici.

Dice ancora Odifreddi: sapete quanti animali, pesci, volatili

vengono uccisi? Oltre 1200 miliardi l’anno! E ogni anno, a ciascuno

di noi, toccano centocinquanta animali! Forse non ne

siamo consapevoli ma l’ignoranza è una giustificazione molto

comoda per la coscienza. Gli animali sono esseri viventi

capaci di sentimenti, capaci di avvertire il dolore e la morte,

che noi, sordi ai loro belati, torturiamo e uccidiamo (così come

facemmo ai nativi americani del sud e del nord). Eppure

è a loro che dobbiamo tutto: il cibo (i valori nutritivi), gli indumenti,

il lavoro, la compagnia, il divertimento, etc. . La macellazione,

dicono, deve avvenire subito, senza ritardi, onde

non sentire i belati dell’animale che vede morire gli altri e

ha la percezione del pericolo e della sua morte. Il loro istinto

di conservazione e quello di riproduzione è uguale a quello

dell’uomo, uguale a noi, ossia la paura della morte e l’istintivo

desiderio sessuale (sopravvivenza e riproduzione). L’interno

dei macelli è una fucina, una macelleria e un mattatoio.

Un insieme di belati e muggiti di animali che attendono il loro

38 RISPETTO DEGLI ANIMALI


turno. Odori forti come quello del sangue e dello sterco di cui

si insudiciano per premonitoria paura. L’animale viene stordito

con una pistola provvista di una punta di ferro di 6 centimetri

che nel cranio produce stordimento ma non la morte

(bovini ed equini). Oppure con l’elettronarcosi alla testa (sedia

elettrica?) che produce la mancanza totale di sensibilità,

perdita della coscienza (!), dei riflessi ma non la respirazione

e la circolazione sanguigna quindi il dissanguamento e

la relativa morte (suini). Per i volatili si ricorre a una vasca

d’acqua elettrizzata e l’immersione della loro testa. Lo stoccaggio

delle carcasse viene conservato in celle frigorifere a

meno 4 gradi centigradi al fine di frollare i nervi e renderli

morbidi. Si definisce carcassa un animale morto, carogna se

putrefatto. È oggetto di dispute se chiamare l’animale morto

anche cadavere. Indubbiamente tale voce sarebbe efficacissima

per ricordarci che cosa stiamo mangiando. Il filosofo

Lucrezio (vissuto prima di Cristo) diceva che gli esseri viventi

vivono grazie all’Animus, ossia la respirazione (soffio divino)

esercitata dalla psiche e dallo pneuma (inspirare ed espirare)

da cui deriva che gli esseri viventi che respirano sono “Animali”.

Siamo anche noi animali e si nasce come loro sporchi

del sangue vischioso delle mucosità della madre. Non è facile

cambiare questo stato di cose coinvolgenti investimenti

commerciali, finanziari, base della società mondiale fatta

di egoistici interessi, ma occorre rivedere questa triste situazione

prima possibile ascoltando il nostro senso di giustizia

e di pietà. Iniziativa non facile se ricordiamo che alla fine

dell’Ottocento e i primi del Novecento furono pensati e realizzati

gli “zoo umani” dove impresari bianchi esibivano gente

di colore (catturata ed esportata dalla loro terra natia) come

attrazione per soddisfare la curiosità degli europei. Ospitati

in recinti, venivano comandati come animali da circo. Sintomatico

il cartello “non dare da mangiare ai neri, sono nutriti”.

Ancora atrocità, questa volta perpetrate da singole persone o

in gruppo, sono quelle contro gli animali domestici, oggetto

di spregi quali picchiarli, abbandonarli sulle autostrade o nei

cassonetti. Oggi la caccia dovrebbe essere soppressa perché

si uccide per soddisfare il malvagio che è in noi e non per

bisogno alimentare. Attualmente, in Europa, ci sono iniziative

tendenti a regolare e cambiare gli atteggiamenti verso gli

animali. Auguro l’affermazione di tale iniziativa, in segno di

riparazione e civiltà.

RISPETTO DEGLI ANIMALI

39


Movimento

Life Beyond Tourism

Travel To Dialogue

The World in Florence e Luoghi Parlanti®:

due strumenti a servizio dei territori

L’interazione tecnologica per la valorizzazione dei luoghi del

mondo con Life Beyond Tourism

di Stefania Macrì

A

seguito del successo del primo festival internazionale

delle espressioni culturali del mondo The World in

Florence, tenutosi nella Galleria delle Carrozze e nelle

sale dell’ex circolo ricreativo di Palazzo Medici Riccardi nei

giorni 25-28 novembre 2021, il Movimento Life Beyond Tourism

- Travel to Dialogue e la Fondazione Romualdo Del Bianco

stanno già lavorando alla seconda edizione della manifestazione

in collaborazione con il Centro Studi e Incontri Internazionali.

È stata, infatti, da poco pubblicata e diffusa la Call

for Participation 2022 per coinvolgere realtà territoriali

italiane e internazionali in un esercizio di narrazione

dei propri luoghi, attraverso immagini evocative e descrizioni

testuali emozionanti, per immergere il visitatore

nello spirito del luogo, alla scoperta del sapere e del

saper fare che ogni territorio custodisce e preserva. The

World in Florence fa parte di un programma quinquennale

di attività internazionali di promozione e comunicazione

dei territori che parte da Firenze, viaggia per il

mondo e torna a Firenze arricchendosi di nuovi racconti

e nuovi contenuti. Per conoscere i dettagli della nuova

edizione del Festival ecco il sito ufficiale dell’evento:

www.theworldinflorence.com. Il territorio si racconta grazie

all’unione della narrazione fotografica e testuale alla tecnologia

di interazione NFC (Near Field Communication) che, attraverso

l’utilizzo del proprio smartphone/tablet, consente al

visitatore di scoprire il territorio che sta visitando; al contempo

il viaggiatore può pianificare i propri itinerari in anticipo

sul sito www.lifebeyondtourism.org dove troverà le informazioni

che i locals hanno definito, di concerto con l’ente locale

di riferimento.

40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE


Luoghi Parlanti ®

Questo principio di storytelling interattivo dei luoghi ben si

inserisce all’interno dei piani di marketing dei territori che il

Movimento LBT-TTD ha sviluppato attraverso il prodotto a

servizio dei territori Luoghi Parlanti ® . I luoghi “parlano” attraverso

una cartellonistica dotata di tag NFC. Il viaggiatore

dovrà semplicemente avvicinare il proprio smartphone alla

segnaletica per essere reindirizzato a contenuti interattivi

che raccontano il luogo di interesse con cenni storici, culturali,

di folklore o artigianato locale. In questo modo i territori

si possono raccontare in modo più approfondito, immediato

e veloce, aumentando la consapevolezza del viaggiatore

sulla cultura locale e incentivandolo a scoprire ulteriori punti

di interesse, a volte meno noti e difficili da trovare. Diventa

inoltre possibile suggerire itinerari o prodotti tipici per indirizzare

il flusso dei viaggiatori e dare un impulso alle attività

artigianali e commerciali dell’area. I Luoghi Parlanti ® attualmente

presenti su www.lifebeyondtourism.org sono: Unione

Montana dei Comuni del Mugello, la Fondazione Francesco

Saverio Nitti di Maratea, il Comune di Pratovecchio

Stia e Palazzo Coppini di Firenze. A questi si aggiungono

gli hotel della catena B&B Hotels Italia che hanno aderito

al progetto, vale a dire: Bolzano, Firenze, Napoli, Roma,

Verona. La sfida che il Movimento LBT-TTD ha avviato con

questi progetti è avvincente e ricca di spunti per poter realizzare

il viaggio dei valori Life Beyond Tourism che metta

le espressioni culturali dei luoghi al centro dell’attenzione

dei viaggiatori, coinvolgendoli e trasformandoli in residenti

temporanei dei territori.

Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società

benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism®,

ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere

e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme

alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che

custodiscono. Offre progetti e soluzioni di visibilità e rafforzamento delle

identità locali dei vari luoghi, crea eventi basati sul dialogo tra il territorio e

i suoi visitatori grazie a una rete di relazioni internazionali di alto prestigio.

Per info:

+ 39 055 290730

info@lifebeyondtourism.org

www.lifebeyondtourism.org

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE 41


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Ursula Schachschneider

Scomposizioni cromatiche di una realtà dinamica

di Daniela Pronestì

Uno dei principali meriti delle avanguardie d’inizio

Novecento è stato introdurre un nuovo modo di

rendere in pittura concetti come il movimento, la

tridimensionalità di un corpo nello spazio, la rifrazione

della luce e, più in generale, tutti quegli aspetti che restituiscono

il senso di una visione mai statica – come l’immagine

dipinta in sé suggerisce – ma soggetta invece a

incessanti cambiamenti. Nei pastelli dell’artista tedesca

Ursula Schachschneider, la scomposizione degli elementi

visivi prendo spunto dalla lezione cubista – incrociandola

con quella raggista e futurista – per trasferire sulla

tela l’idea di un mondo dinamico, caleidoscopico, percorso

da forze ed energie sottili. Un mondo fatto soprattutto

di luce, con raggi che deformano, scompongono, suddividono

figure, oggetti e spazio, generando griglie geometriche,

giochi lineari, accordi cromatici. Viviamo in una

realtà in perenne trasformazione – sembra dire l’artista

– nella quale la luce determina il nostro modo di percepire

le cose, distinguere una forma dall’altra, orientarci

nello spazio, interagire con gli altri; cosa non meno importante,

la luce ci permette di godere dello spettacolo

della natura così come delle bellezze dell’arte. Se potessimo

vedere la luce sotto forma di raggi che si propagano

nello spazio, si riflettono sulle cose o le attraversano,

la nostra percezione del reale cambierebbe: vedremmo il

cielo trasformarsi nella vetrata di una cattedrale, i palazzi

vestirsi di mille colori, le strade intersecarsi o moltiplicarsi

come i lati di un prisma; noi stessi saremmo diversi,

con fasci di luce a disegnarci i volti, a scolpirci i corpi.

Oltre ad essere un valore formale da cui dipendono gran

parte delle scelte compositive, in questi dipinti la luce

assolve anche una funzione narrativa, ponendosi come

strumento di una “rivelazione” grazie alla quale è possibile

conoscere non soltanto il mondo ma anche sé stessi in

maniera autentica. Lo scopo è anche quello di far convivere

nell’opera figurazione e astrazione geometrica, cercando

da un lato di semplificare lo spazio, ridurre tutto a

forme bidimensionali, accentuare il dinamismo con linee

Sailing, pastello, cm 38x50

Downtown, pastello, cm 32x50

42 URSULA SCHACHSCHNEIDER


curve o oblique e dall’altro lato mantenendo

la rappresentazione sempre nella

sfera del visibile, con temi che vanno

dalla città – intesa sia come spazio di

vita che depositaria di memorie antiche

– al paesaggio naturale. Il risultato è un

ritmo cadenzato, quasi musicale della

composizione, che induce lo sguardo

a muoversi di continuo da un punto

all’altro dell’immagine, rimbalzando dalla

guglia di una cattedrale all’albero maestro

di una nave, calandosi giù nelle

profondità marine o percorrendo strade

del centro urbano. In questa danza di linee,

forme e colori non manca la sensazione

che tutto improvvisamente possa

cambiare, gli equilibri compositivi e cromatici

scombinarsi e ricomporsi in una

nuova immagine. E se anche accadesse

non sarebbe un capriccio, ma un’espressione

di libertà; un modo per ricordarci

che, in pittura come nella vita, l’avventura

della conoscenza si rinnova sempre,

perché è la conoscenza l’unica opera

che non può mai avere fine.

Waterbuck, pastello, cm 53x50

www.u-schachschneider.de

Saints Peter and Paul Greven broich, pastello, cm 38x50

Quirinus Münster Neuss, pastello, cm 35x50

URSULA SCHACHSCHNEIDER

43


Innovazioni tecnologiche

post Covid

A cura di

Aldo Fittante

L’era del “phygital”

Un modo nuovo di organizzare eventi tra reale e digitale

di Aldo Fittante

L’emergenza Covid ha senza dubbio messo a dura prova

il mondo degli eventi, ma ha allo stesso tempo

permesso una vera e propria accelerazione alla digitalizzazione,

con la possibilità di ampliare l’offerta convertendo

tutti gli eventi fisici in digitali. Per questo motivo la parola

d’ordine diventa “phygital”, la soluzione che ha permesso a

molte aziende di vari settori di organizzare eventi anche di

grandi dimensioni in un periodo in cui il rispetto delle regole di

sicurezza rappresenta un’assoluta priorità. I “phygital” – parola

derivata dall’unione di “physical” ovvero fisico e “digital” digitale

– sono veri e propri eventi ibridi, all’interno dei quali vi

è una parte di pubblico presente fisicamente in sala e un’altra

collegata online da remoto. Questa modalità innovativa raggiunge

un duplice risultato: evitare gli assembramenti, assicurarsi

che gli ospiti indossino la mascherina e rispettare i limiti

imposti sulle capienze delle sale, permettendo però allo stesso

tempo la partecipazione di un pubblico molto più ampio.

In Italia, il 68% delle aziende ha dichiarato di aver aumentato

i propri eventi grazie alla soluzione phygital, e sempre più numerose

stanno diventando le location che offrono questo innovativo

servizio, con tanto di team di professionisti che si

occupa delle riprese video e dello streaming. Una di queste si

trova proprio in Toscana, nella zona nord della città di Firenze,

a soli 3 km dall’Aeroporto Amerigo Vespucci. Si tratta della

Florence Learning Center, una location tecnologicamente

avanzata e all’avanguardia pensata per piccoli e grandi eventi

aziendali che mette a disposizione ben quindici spazi, tra

cui un auditorium da duecentoquattro posti, varie sale meeting

modulabili e piccole aule per incontri più intimi. L’auditorium

è senza dubbio lo spazio più tecnologico, dotato di

schermi LED da cento pollici e sistema di traduzione simultanea:

proprio da qui è possibile video-riprendere l’evento in HD

e trasmetterlo in diretta streaming ai partecipanti connessi

da casa. Sono molti i settori che già nel 2021 hanno realizzato

eventi phygital. Ad ottobre 2021 a Pisa si è tenuto l’Internet

Festival, evento che mette al centro il Web e le sue declinazioni,

con più di dieci aree tematiche scandagliate in numerosi

incontri e dodici sedi sparse per la città. Per la Milano

Fashion Week di settembre molti stilisti hanno optato per questa

nuova modalità che fonde l’esperienza digitale con quella

reale. La celebre White Milano, ad esempio, collaborando con

Velvet Media, nota azienda veneta specializzata in marketing,

non si è fermata a causa dell’emergenza sanitaria e, oltre alla

storica location di via Tortona nella città meneghina, ha cre-

44

PHYGITAL


ato una vera e propria aula virtuale in grado di ospitare più di

quaranta brand internazionali, totalmente in diretta, con talk,

speaker e più di dodici ore di presentazioni e interviste online.

Alessio Badia, direttore di Velvet Fashion, afferma: «Superando

ogni barriera di distanziamento sociale, abbiamo attuato

una fruizione delle nuove collezioni superando ogni limitazione

spaziotemporale. Al di là delle soluzioni di connessione

fisico virtuale, abbiamo curato tutta la parte della diretta

streaming, con le presentazioni dei brand e i talk. L’obiettivo

è creare giuste occasioni per ciascuno di avere contatti diretti

e, attraverso le chat attivate, di sviluppare le opportunità di

networking. Il tutto per dare il necessario impulso all’intera

filiera della moda per un rilancio dopo i complessi mesi del

lockdown». Come in tutte le innovazioni, gli aspetti riguardanti

l’organizzazione di eventi necessitano di modifiche poiché

influenzati dal fatto che il pubblico presente fisicamente ha

esigenze e comportamenti diversi rispetto a quello connesso

da remoto. Per questo motivo sta diventando sempre più richiesto

il digital event creator, una nuova figura professionale

nata proprio per soddisfare al meglio le esigenze degli eventi

ibridi, quali la scelta della piattaforma streaming dove realizzare

l’evento online, la scelta della location, la creazione dei

contenuti prima durante e dopo l’evento, tutti i supporti tecnici

e tanti altri elementi necessari per ottenere il successo

sperato. Oltre ad offrire un’esperienza completamente diversa

rispetto alla partecipazione fisica, la tecnologia ha molti

altri vantaggi legati alla promozione delle interazioni digitali,

basti pensare all’abbattimento dei costi di organizzazione

e alla risoluzione dei problemi logistici. Può anche aiutare gli

organizzatori di eventi a raggiungere un pubblico più ampio

che prima del Covid-19 magari non partecipava a causa dei

costi di viaggio significativi. Il futuro degli eventi? Proprio come

ci siamo adattati alle chiamate Zoom, alle riunioni in Microsoft

Teams e, su scala più ampia, alle conferenze virtuali, il

settore degli eventi e delle fiere si sta adattando al mondo virtuale.

Con i giusti accorgimenti, questa modalità può riempire

il vuoto mentre aspettiamo di poter tornare a partecipare dal

vivo. Se è vero che l’emergenza Covid ha dato l’impulso per un

importante salto tecnologico in avanti, fornendo l’occasione

di ripensare le attività sulla base delle numerose opportunità

offerte dal mondo del Web, forse questo è un primo passo

verso una nuova èra tutta all’insegna del digitale.

Avvocato, docente di Diritto della Proprietà Industriale

all’Università degli Studi di Firenze e giornalista pubblicista

iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, Aldo

Fittante è promotore di molti convegni e autore di numerose pubblicazioni

scientifiche, articoli in riviste prestigiose, saggi e monografie

in materia di Diritto Industriale e d’Autore.

www.studiolegalefittante.it

PHYGITAL

45


Vince

Guardar fuori, guardar dentro

di Andrea Sala

Senza titolo (2022), tecnica mista, cm 70x100

Notoriamente gli artisti sono persone che prestano

un’attenzione diversa dagli altri al mondo in cui sono

immersi: con un occhio guardano fuori, con l’altro

osservano dentro sé stessi. Il principio è un po’ quello cui inneggiava

lo psicologo Carl Jung (seppur riferendosi a tutt’altra

disciplina): «Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si

sveglia». È ormai chiaro come le opere di Vince traggano origine

da quei materiali, umili e largamente diffusi, che sono

le “fondamenta” del nostro tempo. Quello di cui però non si

è ancora parlato è che cosa comporti il processo di trasformazione

e assemblaggio. L’impulso artistico di Vince ha anzitutto

una finalità estetica. Fedele al mantra per eccellenza

dell’arte, ossia che fare arte significhi prima di tutto creare cose

belle, il suo intento primario è quello di ottenere un risultato

che sia gradevole agli occhi dell’osservatore. I materiali

che lui utilizza sono prodotti dell’industria, grezzi e antiestetici

per loro natura. Il primo passo della creazione artistica

consiste quindi nel privare questi elementi della loro origine

industriale e della loro valenza edile, per trasferirli in una sfera

diversa da quella per cui sono stati creati. Soltanto dopo

aver fatto ciò può avere inizio la ricerca di un assemblaggio

che soddisfi esigenze di armonia visiva. Dato questo proposito,

si può quindi asserire che nelle opere di Vince la forma

precede l’idea. Dietro l’ostinatezza di questa ricerca estetica,

si nasconde però un sottobosco di significati e di scopi ulteriori

della sua arte. Se quindi per certi versi si può pur affermare

che l’arte di Vince coincide essenzialmente con la sua

forma, dall’altro bisogna essere cauti nel conferire tanta leggerezza

apparente alle sue creazioni. Anche perché di leggero,

qui, non c’è un bel niente.

vinceart60@gmail.com


A cura di

Alessandra Cirri

L’avvocato

risponde

La validità giuridica del testamento orale

di Alessandra Cirri

Nel nostro ordinamento giuridico la successione è regolata

da due modalità: legittima o testamentaria.

Si tratta di successione legittima, in assenza di un

testamento e, pertanto, disciplinata dalle norme del codice

civile, dove l’interesse privato è mitigato dall’interesse pubblico.

Ovvero, la libertà dell’individuo per tale istituto trova

un limite dettato da norme di natura garantistica, che impediscono,

a differenza di altre legislazioni straniere, che si possano

derogare le norme del codice civile. Il formalismo ha

sempre rivestito un ruolo importante nella fenomenologia dei

negozi giuridici sia inter vivos che mortis causa ed ha rappresentato

un elemento di netta differenziazione tra i sistemi di

“common law” e sistemi di “civil law”. In questi ultimi (come il

nostro) si è passati da un intransigente formalismo, tipico del

diritto romano, ad una concezione di libertà di forma, più vicina

ai sistemi di “common law”, per poi ultimamente approdare

ad un nuovo tipo di formalismo: quello informatico della

firma digitale. Nel nostro ordinamento esistono negozi in cui

la ratio risiede proprio nella forma, come nel testamento che

consiste nella manifestazione dell’autonomia negoziale mortis

causa; ogni norma prevista dagli artt. 601-623 cod. civ,

nonché dalla L. 387/1990, è finalizzata a guidare l’interprete

nella ricerca delle intenzioni del testatore. Il testamento

difatti viene definito un negozio solenne, poiché per redigerlo

sono necessarie forme stabilite dalla legge. La ragione del

formalismo risiede nell’importanza sociale dell’atto e nell’intento

di salvaguardare la genuinità e spontaneità nell’interesse

generale; tali norme sono di ordine pubblico. Le analisi di

questi rilievi sul formalismo testamentario hanno consentito

di ricondurre nella norma codicistica molte fattispecie incerte,

quali la lettera testamentaria, la bozza di testamento,

l’olografo scritto su materiale non cartaceo, etc. . Tra queste

fattispecie rientra il testamento nuncupativo, che è sempre

stato oggetto di studi dottrinali e pronunce giurisprudenziali,

foriere di teorie più disparate. Il testamento “nuncupativo” altro

non è che un testamento orale che sussiste non sulla carta,

ma nella memoria dei testi, da ciò ne deriva la nullità, ma

non l’inesistenza del testamento. A differenza della normativa

contrattuale (ex art. 1423 c.c.), in materia testamentaria

è l’art. 590 c. c. che tratta esplicitamente della conferma

delle disposizioni nulle, mediante dichiarazione o esecuzione

consapevole e volontaria da parte di eredi o legatari. Ne

consegue che, pur inficiata da una causa di nullità e quindi

astrattamente non meritevole della tutela della legge, la

volontà testamentaria è fatta salva attraverso l’esecuzione

dell’erede, che, nonostante l’anomalia, abbia eseguito la disposizione,

palesando il proprio incondizionato ossequio ad

essa. La ragione ispiratrice dell’art. 590 c. c. consiste nel salvare

le volontà che il de cuius non seppe o non poté esprimere

in modo efficace e valido secondo l’ordinamento; da qui la

possibilità di convalidare le disposizioni testamentarie nulle,

da qualunque causa di nullità dipenda, cioè da ragioni di

forma che di sostanza. Per tali ragioni la dottrina attribuisce

unanimemente la valenza di favor testamenti a tale norma,

sottolineando il carattere liberale del testamento e l’esigenza

della conservazione dell’atto. In conclusione, la tesi della

confermabilità del testamento nuncupativo si basa, oltre che

sull’esigenza pratica di ordine etico-sociale, sulla necessità

di rispettare la volontà liberale del de cuius, quali che siano

le modalità giuridiche attraverso cui quella volontà si è manifestata.

Inoltre, in ottica internazionale, è opportuno ampliare

la visuale ad ordinamenti vicini, sia in senso geografiche

che giuridico; Germania e Austria prevedono la figura del testamento

nuncupativo.

Laureata nel 1979 in Giurisprudenza presso l’Università

di Firenze, Alessandra Cirri svolge la professione

di avvocato da trent’anni. È specializzata in diritto

di famiglia e minori, con competenze in diritto civile. Cassazionista

dal 2006.

Studio legale Alessandra Cirri

Via Masaccio, 19 / 50136 Firenze

+ 39 055 0164466

avvalecirri@gmail.com

alessandra.cirri@firenze.pecavvocati.it

TESTAMENTO ORALE

47


Dal teatro al

sipario

A cura di

Doretta Boretti

Il teatro, maestro di vita per i giovani

Ne parliamo con la scrittrice, regista ed attrice Gabriella Del Bianco, fondatrice di una

scuola di recitazione per bambini e ragazzi nel quartiere di Coverciano a Firenze

di Doretta Boretti / foto courtesy Gabriella Del Bianco

Ci troviamo nel retro della chiesa fiorentina di Santa

Caterina da Siena, nel quartiere di Coverciano,

dove, da molti anni, grazie all’impegno del parroco

don Luciano Genovese e della comunità parrocchiale,

si erge un teatro stabile. Gabriella Del Bianco, scrittrice,

regista e attrice, ha dato vita ad una scuola di teatro per

adulti e successivamente per ogni fascia di età.

Gabriella Del Bianco è un nome che ricorre spesso nelle

pagine dei quotidiani, nella sezione spettacolo, e tra

gli abitanti di Firenze. Sono molti anni che ti “occupi” di

teatro?

La passione per il teatro è stata sempre una costante della

mia vita. Più di trent’anni fa ho desiderato approfondirla

a trecentosessanta gradi conseguendo il diploma

triennale di recitazione e regia. La mia prima messa in

scena, La Nemica di Dario Nicodemi, vinse il Premio “Progetto

Donne alla Regia” in collaborazione con l’assessorato

alla Cultura della Provincia di Firenze. Scoprii così

anche il fascino magico se pur faticoso della regia.

Quando ti è venuto il desiderio di aprire la tua scuola ai

giovani?

Stavo occupandomi di molti progetti e varie collaborazioni

quando venni chiamata da don Luciano così appassionato

di teatro da volerne uno, all’interno del centro

parrocchiale, bello, attrezzato e completo. Mi espresse

il desiderio di far nascere un corso di teatro per bambini

e così, a novembre del 1998, iniziai la bella avventura

del Laboratorio Ludico con un piccolo gruppo. Subito

dopo, nel 1999, fondai anche Labad (Laboratori Teatrali

Adulti) con corsi di vari livelli per tutte le età e specializzazioni

come il “potere della parola” e la “lettura drammatizzata”

a una o più voci e in coro col metodo mimico di

Orazio Costa.

È faticoso lavorare con i bambini?

I bambini sono una ricchezza inesauribile per chi ha la fortuna

di lavorare con loro. Si riceve sempre di più di quello

che si dà, basta mettersi al loro livello, dimenticare che

In questa e nelle altre foto, una galleria di immagini degli spettacoli di Gabriella Del Bianco con i ragazzi della scuola di Coverciano

48

IL TEATRO


Il teatro ha delle basi tecniche, imprescindibili nell’insegnamento,

che valgono per tutte le età: respirazione corretta,

uso della voce, postura, movimenti e relazione con

il gruppo. La differenza sta solo nelle modalità dei giochi

teatrali che si adottano, a seconda dell’età,

per perseguire ed ottenere un buon risultato

finale. Per questo ho immaginato tre

percorsi: Ludico baby (4-5 anni) che ho affidato

a Cristina e Maria Bica, “tate maestre”

adorate dai piccolissimi che con loro

cantano, ballano e creano storie; Ludico

elementari (dai 6 agli 11 anni) per il quale

ho ideato uno speciale iter ludico- pedagogico

personalizzato e rivolto a ciascun

bambino per favorire un’armonica crescita

emotiva e tanta sicurezza nel recitare;

Ludico adolescenti, infine, coincide con il

momento di affrontare l’analisi del testo e

lo studio sul personaggio ma la priorità per

loro è il lavoro di gruppo per crescere, confrontarsi,

aiutandosi e divertendosi reciprocamente.

È fondamentale la scelta del

testo che permetta loro di sperimentare un

lavoro corale e coinvolgente e allo stesso

tempo di arricchirlo

con la propria personale

vena creativa.

Ritieni che imparare a

recitare sia un percorso

utile alla formazione

di un giovane?

Assolutamente fondamentale:

vorrei scriverlo

a caratteri cubitali! A

mio avviso dovrebbe diventare

materia scolastica

curricolare a tutti

gli effetti: è un percorso

formativo continuo

e permanente utilissimo

per lo studio, per

la socializzazione tra i

giovani nonché per la

futura vita lavorativa e

per le loro quotidiane

relazioni.

stiamo insegnando, scendere dalla cattedra, stimolare e

gratificare la loro autostima: in una parola tornare bambini

e giocare “seriamente” con le loro energie, creatività e fantasie

che li faranno salire poi con gioia sul palco.

Che differenze ci sono nell’insegnare agli adolescenti

rispetto ai piccoli?

Dei numerosi allievi che hai avuto in questi anni di attività

alcuni hanno poi intrapreso la carriera artistica?

Sicuramente sono stata ringraziata moltissime volte per

aver trasmesso loro l’amore per il teatro e la passione a

proseguirne lo studio. Il mio primo allievo aveva 14 anni

e so che ha poi insegnato e diretto molti spettacoli in una

buona compagnia fiorentina. Altri hanno scelto di iscriversi

ad una accademia teatrale o al Dams di Bologna. La cosa

però che mi gratifica maggiormente è quando mi viene

detto, da uomini e donne ormai adulti, che il più bel ricordo

della loro infanzia è l’esperienza vissuta con me a teatro.

IL TEATRO

49


Hai scritto e adattato molti testi teatrali sia per bambini

che per adolescenti. Cosa stai preparando in questo momento

che ci vede purtroppo ancora “contingentati” ?

La scelta del testo è molto impegnativa: bisogna tener

presente l’età e il percorso fatto da ciascun bambino, oltre

alle specifiche peculiarità per comporre un armonico

puzzle dove ogni attore si incastri perfettamente nello

spettacolo, e sottolineo spettacolo: completo di luci, suoni,

scenografie, costumi trucco e parrucco per far vivere

al massimo la magia del teatro. Ho scritto, adattato e

tradotto molti testi ad hoc per bambini e adolescenti: Sogno

di un litigio di mezza estate, Il giro del mondo in 80

giorni, Il fantasma di Canterville, I Menecmi, Sisters Attack,

Le signorine omicidi, e tanti altri, ben più di sessanta

spettacoli ad oggi. Abbiamo aderito a rassegne teatrali

al Teatro Lumiere e al Teatro Rifredi e ad un evento commemorativo

speciale al Teatro Dante Carlo Monni che ha

visto la numerosa partecipazione dei miei allievi junior di

ogni età. Purtroppo questo periodo ci ha rallentati ma non

certo bloccati, e ottimisticamente sto lavorando con loro

su due testi per la prossima primavera: una favola senza

tempo e un giallo comico. Quindi, incrociamo le dita e viva

il teatro sempre!

50 IL TEATRO


Eventi in

Toscana

Panathlon Firenze

Maurizio Mancianti confermato nel ruolo di presidente dell’associazione a

servizio della cultura sportiva

Testo e foto di Jacopo Chiostri

L’assemblea dei soci dello

scorso 25 gennaio ha confermato

Maurizio Mancianti nella

carica di presidente del Panathlon

Firenze. Mancianti, dottore commercialista,

è al secondo mandato dopo

essere subentrato nel 2019 ad Andrea

da Roit, ora governatore dell’area

“sei” di Panathlon Italia. È stato

dunque Mancianti, lo scorso anno, a

celebrare i settant’anni di Panathlon

Italia, la cui nascita avvenne a Venezia

il 14 giugno del 1951. I club Panathlon,

la cui struttura organizzativa

ricorda quella dei Lions e Rotary, sono

associazioni no profit e di “servizio”.

La missione, secondo anche il

riconoscimento ufficiale del CIO, è

approfondire, divulgare e difendere i

valori dello sport e la diffusione della

cultura e dell’etica sportiva. «Un tema

quest’ultimo – ricorda Mancianti

– di particolare attualità stante gli

ultimi spiacevoli episodi di cui hanno

dato conto le cronache e che riguardano

non solo gli atleti ma anche i genitori». Interlocutori di

Panathlon sono le società sportive, le scuole, le amministrazioni

locali oltre che, naturalmente, i cittadini ai quali è indirettamente

rivolta l’azione sociale dei club. Nel primo biennio

del suo mandato, con gli inevitabili “stop and go” legati all’emergenza,

Maurizio Mancianti ha messo in atto una serie

d’iniziative di grande respiro su temi di attualità. Così il 24

febbraio 2020, presso l’Hotel Rivoli, si svolse una cena sociale

nel corso della quale fu presentato, presente l’autore Luca

Giannelli, il libro I lungarni fiorentini si raccontano. Nel luglio

dello stesso anno, lunedì 20, il grande convegno sull’annosa

questione dello stadio, al quale presero parte il Comune di Firenze,

i sindaci di Campi Bisenzio e Bagno a Ripoli, il sovrintendente

Andrea Pessina, l’Ordine degli architetti, Maurizio

Francini, direttore del Centro tecnico di Coverciano, il presidente

del Quartiere Due, Michele Pierguidi. Le conclusioni del

convegno, durante il quale emerse l’indicazione di restyling

del Franchi, sono quelle poi recepite tra i quattordici progetti

inseriti dal Comune nell’utilizzo delle risorse del PNRR. A settembre,

mercoledì 9, a Scarperia, si tenne l’iniziativa Il Gran

Premio di Formula 1 nel Mugello, cui parteciparono, tra gli altri,

il sindaco di Scarperia, Nicola Armentano in rappresentanza

della Città Metropolitana, l’assessore regionale Stefano

Ciuoffo, il presidente dell’autodromo del Mugello, il presiden-

Un momento dei festeggiamenti per i 70 anni di Panathlon nella sede dell’assessorato allo Sport del Comune di

Firenze: da destra, il vicepresidente di Panathlon Calogero Cirneco, il presidente di Panathlon Maurizio Mancianti,

l’assessore allo Sport Cosimo Guccione e Salvatore Vaccarino, membro del direttivo Panathlon e presidente

regionale dell’Associazione Stelle al Merito

te di Aci Firenze. Fu poi il Gran Caffè San Marco ad ospitare

la ripresa degli incontri conviviali del club, il 24 maggio del

2021, con ospite Antonio Cincotta, all’epoca allenatore della

Fiorentina Woman’s. Sull’onda delle prestazioni dei vari Sinner,

Berrettini e di Camila Giorgi, al Circolo del Tennis alle Cascine,

il 20 ottobre scorso si discusse de Il risveglio del tennis

italiano, relatori il giornalista Ubaldo Scannagatta, lo scrittore

Luca Giannelli e il presidente del CT Carlo Pennisi. Nel settecentesimo

della morte del sommo poeta non poteva mancare

una riflessione sulla “Commedia”, e fu la volta dell’incontro

Dante e lo sport nella Divina Commedia. Infine, il 21 dicembre

scorso, la tradizionale Festa degli auguri presso il Centro

Tecnico Federale di Coverciano, massima sede sportiva a Firenze.

Quella sera, la città fece sentire la sua vicinanza al Panathlon

con tante e qualificate presenze di autorità cittadine,

sportivi, imprenditori, nomi della moda e dell’arte, come il vicepresidente

di Panathlon International Leno Chisci, Marcello

Marchioni presidente Assi Giglio Rosso, rappresentanze

di USSI (Unione Stampa Sportiva Italiana), di Stelle al Merito

Sportivo, dell’Unione Nazionale Veterani dello Sport. Nei

programmi del biennio che si apre, si terranno incontri con le

società sportive per un’informazione aggiornata su questioni

fiscali e gestionali e sui benefici dagli investimenti pubblici,

aspetti fondamentali per la crescita e la tenuta.

PANATHLON FIRENZE

51


Marco Da Campo

Teorie dell’albero

marcodacampo@gmail.com

+ 39 348 2831584

marcodc_arte


Brevi storie da

raccontare

La grande stazione

Il luogo per eccellenza dell’incomunicabilità

di Fabrizio Borghini / foto Maria Grazia Dainelli

Una grande stazione è la summa della nostra esistenza.

Nella grande stazione si incrociano, ma non

s'incontrano, migliaia e migliaia di persone. Nella

grande stazione si concentrano tutte le contraddizioni della

società dei consumi, gli estremi convivono senza contaminazioni.

Il grande lusso, le grandi marche, le luminose e

ricche vetrine sono distanti pochi centimetri dalla disperazione,

dall’accattonaggio, dall’emarginazione sociale, dal degrado

ambientale. E come nella vita di tutti giorni questi estremi

si sfiorano rimanendo estranei gli uni agli altri. Le classi sociali

possono convivere pacificamente, ma non sempre, perché

la stazione è strutturata come la società, ha un posto per

tutti, una collocazione per tutti. Chi vuole il comfort non ha

che da scegliere: Italo, Freccia Azzurra, Freccia Rossa, Freccia

Argento… Chi non se lo può permettere ha un cartone in

terra o una panchina… Chi se lo può permettere può pranzare

o cenare in un ristorante di gran lusso, chi ha meno soldi disponibili

può andare al Mac Donald… Chi non ne ha per niente

può rovistare nei cassonetti dell’immondizia. La società

dei consumi non nega niente a nessuno… Nella grande stazione

si va di corsa se si deve prendere un treno (ma si va

di corsa anche quando si scende da un treno perché gli impegni

ci aspettano) ma si può anche stazionare perché non

si ha nulla da fare, perché non si sa dove andare, perché bene

o male la grande stazione offre un tetto ai senzatetto, offre

affetto ai senzaffetto, offre una compagnia virtuale a chi

è solo. Se vai da solo alla grande stazione, puoi essere sicuro

che rimarrai da solo, che ti sentirai ancor più solo perché

la grande stazione è il luogo della solitudine in mezzo

alla moltitudine. La grande stazione è il luogo per eccellenza

dell’incomunicabilità: non comunichi con le migliaia di persone

che incroci, non comunichi con gli addetti ai lavori perché

tutto è automatizzato, non c’è più un referente umano; perfino

la voce dello speaker è computerizzata. Se una persona

non corre frettolosamente verso una qualsiasi meta e ti viene

incontro è per chiederti se hai una moneta, una sigaretta oppure

se vuoi comprare un ombrello, delle salviette, un accendino

o un paio di calzini. E se rifiuti l’offerta ti manda a quel

paese dimostrando che a lui, come a tutti gli altri, di te non

gliene frega assolutamente nulla. Per questo la grande stazione

ti può offrire tutto ma di questo tutto non ti rimane assolutamente

nulla.

LA GRANDE STAZIONE

53


Il cinema

a casa

A cura di

Lorenzo Borghini

Nebraska

Una storia di sconfitte, fallimenti e rinascite

di Lorenzo Borghini

Alexander Payne è un regista che è passato spesso

inosservato dalla critica, ma dal 2005 in poi, con

il suo primo grande centro Sideways, ha iniziato un

trend positivo degno di nota. In quasi tutti i suoi film Payne

ci mette davanti ad un passato che riemerge lentamente

da angoli bui, quasi dimenticati, un passato che riaffiora solo

per far prendere coscienza ai protagonisti di quanti fallimenti

si siano lasciati alle spalle, di quanti rimpianti avranno

per sempre, lo stesso meccanismo attanaglia e stritola Nebraska

fino a rilasciare una forza mai così ben espressa in

nessuno dei suoi film precedenti. Una strada lunga, un vecchietto

cammina con passo sciancato verso lo spettatore,

quasi in cerca di aiuto, la polizia lo troverà e chiamerà il figlio

perché vada a riprenderlo. Il vecchio scontroso Woody Grant

(uno straordinario Bruce Dern) ha vinto un milione di dollari,

o meglio pensa di averli vinti, attratto dall’inganno spietato

di una pubblicità per allocchi, ma Woody crede

nella vincita, è deciso a raggiungere Lincoln, il Nebraska,

partendo dal Montana e attraversando ben

cinque stati a piedi se necessario. La moglie e l’altro

figlio Ross (un ottimo Bob Odernkirk) lo prendono

per pazzo, affermano in continuazione che

se continua così dovranno rinchiuderlo in una clinica,

ma il figlio David (Will Forte) no, si rende conto

che non conosce affatto suo padre e che i giorni

che potrà passare con lui non saranno infiniti, per

questo decide di accompagnarlo in macchina nella

sua sgangherata odissea. Payne sceglie il bianco e

nero per raccontare un’America che ha ormai perso

i colori e lo smalto di un tempo. I due si fermeranno

ad Hawthorne, piccola cittadina di provincia,

paese natio di Woody e culla dei suoi ricordi, ricordi

che stanno ormai scomparendo insieme ai pochi

momenti di lucidità che gli sono rimasti. Payne

ci mostra una provincia addormentata in un sonno

primordiale, inebetita dalla scatola parlante che

per molti è diventata un surrogato di quello che ci

sta intorno. I parenti di Woody lo accoglieranno a

braccia aperte, come i pochi amici che gli sono rimasti,

e le apriranno ancora di più non appena la

notizia da un milione di dollari sarà di dominio pubblico.

Verranno fuori scheletri dall’armadio, tenuti

nascosti per tantissimo tempo e l’avidità circonderà

il povero Woody che, con il volto traumatizzato

di chi ha sofferto, non si renderà conto di molte

delle situazioni che lo circondano. Woody ha capito

di non aver fatto abbastanza, oltre ad aver sperperato

soldi bevendo a più non posso; per questo

vuole il milione, per ridare senso alla sua esisten-

za, ma vuole anche un furgone e riacquistare dignità, perché

il passato – come ci dice Payne – è passato, ma il presente,

quello sì che è a portata di mano. Dopo essersi sentito dire

che non è il vincitore, Woody, sguardo duro, scolpito nel tessuto

della vecchiaia e del dolore, accetterà di tornare a casa.

Di ritorno avrà la sua rivincita sulla vita, su una provincia anchilosata

dal tramonto del sogno americano, senza il suo milione

in tasca, ma con un pick-up sotto al sedere. Payne ci

racconta una storia di sconfitte, fallimenti, rinascite, facendo

parlare molto i suoi personaggi; ma i momenti più belli restano

i silenzi, quello strato di non detto che abbozza sentimenti,

che lascia la libertà allo spettatore di immaginare storie, passati

solo affiorati, legami apparentemente flebili che si dimostrano

forti come catene, catene che uniscono padri e figli,

facendoli sbattere contro le difficoltà della vita ma tenendoli

saldi, incatenati l’uno a l’altro fino alla fine del viaggio.

54

NEBRASKA


Firenze

mostre

Enrico Bandelli

Protagonista al Palagio di Parte Guelfa di una mostra omaggio a Dante e a Firenze

di Ugo Barlozzetti / foto Roberto Della Lena

Enrico Bandelli ha offerto, con la recente

esposizione al Palagio di Parte Guelfa, un

sorprendente, coerente, esempio sul tema

del rapporto con Firenze anche attraverso il ricordo

di Dante Alighieri. La mostra, aperta il 10 gennaio, ha

il titolo La mia Firenze ed è accompagnata da un bel

catalogo ricco di illustrazioni a colori che riproducono

particolari delle opere. I testi, sia pur sintetici, sono

di Luciano Artusi e dell’abate di San Miniato al

Monte padre Bernardo e introducono la mostra con

un contributo di attenta capacità critica. Grazie a una

ricerca che ha approfondito gli aspetti più originali

della propria produzione artistica, Bandelli ha realizzato

un vero e proprio percorso con le tele organizzate

e realizzate con la tecnica del rilievo. I monumenti,

emblematici di Firenze, come le facciate delle basiliche

e dei luoghi connotati storicamente e artisticamente,

sono in rilievo e riconducibili nei particolari

in un bianco che è quello della memoria e del loro

ruolo nella civiltà. Tali bassorilievi sono fissati su un

fondo blu scuro che ne esalta le qualità. In qualche

caso riemerge la citazione della natura sotto forma

del volatile, segno “bandelliano”. Il nesso con Dan-

te è proposto, con leggerezza calviniana, nell’interruzione

d’una linea rossa, anch’essa in rilievo e di spessore minimo.

Questa linea, l’unica appunto interrotta, è una di quel-

le, di vari colori che, a distanza regolare e con inclinazioni

diverse, dialogano con il candore delle facciate, riportandoci

alla contemporaneità, risolta in una sintetica e razionale

trama che può essere interpretata come simbolo

delle presenze di grandi personalità nella costruzione

dei capolavori che hanno reso Firenze

punto di riferimento universale, quasi integrazione

dei monumenti citati come risultato e

contenitori. Opere dense, quindi, queste nuove

tele di Bandelli, intense nell’ordine intellettuale

testimoniato dall’astrazione rigorosamente

geometrica dell’andamento e angolazione, sia

pure diversificata, delle linee, a seconda delle

singole tele. Non posso sottrarmi nel percepire

come opera unitaria tutto il materiale esposto,

un’opera di poesia epica perché di memoria

e d’orgoglio civico. Insomma, Bandelli, che ho il

privilegio di frequentare al Gruppo Donatello, ha

capito come la radice dell’Umanesimo e del Rinascimento

sia in Dante Alighieri e nel doloroso

paradosso del suo esilio. Un omaggio e un’indicazione

al tempo stesso del rischio del consumismo

e della riduzione a vulgata di aspetti

fondanti come la ragione e il rapporto tra le generazioni,

per il futuro e con, al tempo stesso,

l’arte, quella che tramuta con il “saper fare” la

poesia nel pensiero forte delle opere.

ENRICO BANDELLI

55


Franco Carletti

Racconti tra realtà e fantasia

Il cielo in una stanza (2022), smalti su policarbonato alveolare, cm 80x80

francocarletti54@gmail.com


A cura di

Stefano Marucci

Riflessioni

sulla fede

Il giardino dell’Eden

Le origini bibliche della storia dell'umanità

di Stefano Marucci

Il giardino dell’Eden, qui rappresentato nel quadro di Maria

Lorena Pinzauti Zalaffi, è il primo grande dono che Dio ha

fatto all’uomo e alla donna. Questo luogo, descritto nella

Bibbia, rappresenta il cambiamento nella relazione con Dio;

sappiamo infatti che, dopo il peccato originale, l’uomo ha perso

il privilegio di poter vivere nel Paradiso terrestre. Nel libro

della Genesi, il giardino dell’Eden viene descritto come un luogo

che Dio creò per tutti gli esseri viventi; tra questi vi erano

anche Adamo ed Eva, la prima coppia fatta a sua immagine e

somiglianza. Questo giardino si trovava ad Oriente, nell’attuale

striscia di Gaza, e da esso usciva un fiume che si divideva

in quattro rami: il Tigri, l’Eufrate, il Ghihon e il Pishon. Eden è

una parola sumera che significa “campagna”, in ebraico invece

significa “paradiso”, ed è proprio dall’unione di questi due

significati che deriva la particolare simbologia di questo giardino.

Una delle principali caratteristiche dell’Eden era l’assoluta

felicità: qui l’uomo poteva godere di pace e armonia e

convivere in equilibrio con tutte le altre creature. La sofferenza,

la malattia e la fatica erano bandite così come la morte e

tutti i sentimenti negativi; al suo interno si trovavano “l’albero

della vita”, simbolo del legame tra cielo e terra, e “l’albero

della conoscenza del bene e del male”. Adamo ed Eva potevano

cibarsi di ogni pianta e di ogni frutto presenti nel giardino

e godersi l’immortalità, l’immunità dallo scorrere del tempo,

dalle malattie e dalla vecchiaia. Nel corso dei secoli sono state

avanzate diverse ipotesi sull’origine del giardino e sul fatto

che potesse trovarsi in un’area geografica reale. La domanda

che ci poniamo ora è: dove si trovava il giardino? Una risposta

a questo quesito può venire dal libro della Genesi: «E

l’Eterno Iddio piantò un giardino in Eden, in Oriente, e quivi pose

l’uomo che aveva formato… E un fiume usciva d’Eden per

adacquare il giardino, e di là si spartiva in quattro bracci. Il nome

del primo è Pishon, ed è quello che circonda tutto il paese

di Havila, dov’è l’oro; e l’oro di quel paese è buono; quivi si

trovano pure il bdellio e l’onice. Il nome del secondo fiume è

Ghihon, ed è quello che circonda tutto il paese di Cush. Il nome

del terzo fiume è Hiddekel (Tigri), ed è quello che scorre a

oriente dell’Assiria; il quarto fiume è l’Eufrate». Si tratta di una

descrizione molto precisa con riferimenti che, con ogni probabilità,

sono simbolici e non geografici. Ad una prima analisi, si

può pensare che l’Eden fosse situato in una valle fluviale, forse

in Mesopotamia. In effetti questa regione era attraversata

dai fiumi Tigri ed Eufrate, luogo in cui oggi si trovano l’Iran, la

Turchia, la Siria e l’Iraq. Qui la vegetazione era rigogliosa, anche

grazie alle inondazioni

dei fiumi, tanto da ricevere

il nome di “mezzaluna fertile”.

Altri studiosi ritengono

invece che il Paradiso terrestre

si trovasse più a nord,

Maria Lorena Pinzauti Zalaffi, Il giardino dell'Eden

considerando che dal giardino uscivano quattro corsi d’acqua

e la loro sorgente poteva trovarsi a nord rispetto al Tigri e

all’Eufrate. Ancora oggi molte persone credono che l’Eden si

trovasse in origine nella Terra Santa, in Israele. Secondo questa

teoria, il fiume che scorreva nel giardino era in realtà il

Giordano. Probabilmente questo fiume era molto più lungo e

poteva trovarsi a nord della Galilea, ai confini con la Samaria

e a sud del Lago Tiberiade. Secondo altri studiosi, invece,

il giardino coincideva con l’Egitto, identificando in quei fiumi

il Nilo che, grazie alle sue esondazioni, rendeva fertile la terra.

Infine, alcune interpretazioni escludono ogni possibile implicazione

geografica e considerano il giardino dell’Eden solo

una chiave di lettura nella cacciata di Adamo ed Eva. Questa

interpretazione colloca il giardino nella Terra Santa, luogo da

cui venne cacciato il popolo di Israele, perdendo così la comunione

con Dio. Al di là della sua reale esistenza e della sua

collocazione geografica, il Paradiso terrestre è un simbolo importante

per la storia dell’uomo non solo perché da questo

luogo tutto ha avuto inizio ma anche perché ci ricorda la bellezza

del creato e della vita.

IL GIARDINO DELL'EDEN

57


Spazi

dell’arte

La bomboniera dell’Arte

Nel cuore di Roma uno spazio dove la cultura è di casa

di Barbara Santoro

L’associazione culturale Spazio Mecenate ha sede

a Roma, a pochi passi dal Teatro Brancaccio, in un

piccolo spazio di 50 m quadri e ha lo scopo di promuovere

e divulgare la cultura proponendo mostre d’arte

e spettacoli dal vivo. Fra i tanti eventi realizzati dal 2016

al 2020 uno spettacolo in particolare è rimasto nel cuore

dei romani: Il miracolo della neve. Secondo la leggenda

era il 5 agosto del 358 d. C. quando Roma si svegliò

sotto una coltre di candida neve. La Vergine era apparsa

in sogno a Papa Liborio e al patrizio Giovanni chiedendogli

di costruire una basilica nel luogo che avrebbe indicato.

Al risveglio, il pontefice, trovando l’Esquilino coperto

di neve, comprese il messaggio e fece

erigere la basilica di Santa Maria

Maggiore dedicata alla Madonna proprio

in quel luogo. Dal 2016 al 2020 si

è ricordato questo miracolo con proiezioni

di luci e immagini sulla grande

basilica, scenografie stellari e fluorescenza

lunare sulla piazza. Le statue

della facciata sono state illuminate in

modo da ruotare nell’incanto e nella

suggestione scenica del prodigio, circondate

da musiche classiche. Alla

mezzanotte bianchi fiocchi sono scesi

dal cielo e hanno coperto il suolo

con uno spettacolo davvero unico ed

imperdibile, che solo tecnici preparati

riescono a realizzare per galleristi

esigenti. La sede dell’associazione ha

preso il nuovo nome de La bomboniera

dell’Arte per le piccole dimensioni

ma non per la qualità. Infatti, qui

arte e cultura sono di casa grazie ad

un titolare che da sempre ne ha fatto

le proprie ragioni di vita. L’associazione

vuole promuovere il dialogo fra

arte e storia contemporanea, attraverso

pittura e scultura e testimonianze

della più sincera ricerca espressiva

e formale. Fondamentale fino ad oggi

è stato l’appoggio della rivista FSM

che ha riscosso successo e grande

entusiasmo nel mondo degli artisti

e dei collezionisti. L’arte non svolge

una funzione decorativa ma si propone

come strumento fondamentale per

rappresentare, testimoniare e interpretare

il proprio tempo e, con esso,

i più significativi autori, pittori e scul-

tori. All’alba del 2022 trovare chi ancora investe sull’arte,

cenerentola da tempo bistrattata, quando non vessata

e derisa, è una scelta degna di persone valorose, proprio

come il responsabile de La bomboniera dell’Arte Gianni Erriani

de Nosto, che offre agli amici artisti fiorentini la possibilità

di esporre, sia pittori e scultori già affermati che

giovani e valide promesse. Dopo il lungo periodo di pandemia

dobbiamo credere in questi personaggi coraggiosi

che hanno deciso di riaprire le loro gallerie nonostante

il momento non facile. Saranno gli artisti fautori e sostenitori

di questa nuova crociata? C’è da augurarsi che sia

davvero così.

L'ingresso dello spazio culturale ed espositivo

58 LA BOMBONIERA DELL’ARTE


Ritratti

d’artista

Fabrizio Morosi

Un artigiano della narrazione per immagini

di Jacopo Chiostri

Per parlare della sua arte, Fabrizio Morosi, pittore,

fumettista, scultore, usa una definizione invero

suggestiva: «Sono un artigiano della narrazione

per immagini. Racconto storie, talvolta vissute, altre inventate».

Morosi coglie l’attenzione di chi guarda le sue

opere con la simbologia di cui le dota, ed è così che da

vicende personali, vicende a lui familiari oppure costruite

sulla spinta della propria interiorità, magari frugando

nella memoria, il racconto si fa universale, e, anche se

ci entriamo in punta di piedi per non svilire quella grazia

velata spesso di malinconia che caratterizza la rappresentazione,

lo riconosciamo come nostro. Pittura ricca di

simbologia, dicevamo. Vi sono più elementi che concorrono

a suggerire la giusta lettura dei dipinti: intanto un’attenta

e convincente rappresentazione dello stato d’animo

dei personaggi affidata alle loro posture e agli sguardi;

poi inconfondibili ambientazioni oppure, come nel caso

di una bambina con in braccio un peluche o di un’anziana

alla macchina da cucire, l’elemento scenico forte che

tutto definisce e controlla. E non è solo questo. La pittura

di Morosi è pittura attuale, e, come tale, chiede allo spettatore

di non restarsene passivo ma di impegnarsi nella

comprensione del significato recondito del lavoro. E allora,

nel caso per esempio dei bambini, soggetto ricorrente,

occorre non fermarsi ad una prima chiave di lettura.

Perché, se ci pensiamo bene, il bambino rappresenta tante

cose; anzitutto, ovvio, il tempo che è passato, ma an-

che una riflessione sui mutamenti avvenuti attorno a noi,

nel mondo nel quale abitiamo, e infine, non ultimo, l’invito

a recuperare un po’ di quella spensieratezza che abbiamo

lasciato assieme alla fanciullezza, quella spensieratezza

e quel non prendersi troppo sul serio che Morosi richiama

inserendo nei dipinti una carta da gioco. Una seconda

firma che rappresenta il caso: a ognuno la carta che

pesca. La pittura di Morosi propone atmosfere molto particolari;

per definirle si serve della luce, discreta, ma ciononostante

densa, e della colorazione, monocromatica o

particolare, forse in ragione anche della sua daltonia. Le

suggestioni, i rimandi sono tanti: dalla grande lezione del

cinema neorealista a certi racconti di Rigoni Stern e, per

quanto riguarda la fotografia, ad artisti “pescatori d’immagini”

come il francese Robert Doisneau, il lituano Izis. È

senza dubbio pittura figurativa che del figurativismo schiva

però l’essenza stessa laddove la presenza della figura

non è l’intento primario, bensì necessario. Non si tratta

di istantanee, piuttosto di fotogrammi, di accenni, sufficienti

però a immaginare un prima e un dopo, che tengono

dietro ad un impulso della memoria oppure a un percorso

della psiche che da un frame costruisce una storia ricca

di forza. A colpire l’osservatore è la similitudine coi murales

che bene si sposa ad un senso di antico, di vissuto.

Morosi, oltre che grazie ad effetti luminosi, la ottiene con

un’attenta preparazione della tela per cui si serve di garze

per gessi usati in ortopedia; il segno su quella superficie

così trattata simula la graffiatura

su di un intonaco. I lavori

di Morosi spaziano dal fumetto

alla pittura, alla scultura;

di recente si è cimentato nei

videosocial. Al disegno si è

appassionato fin da giovanissimo;

nel 2005 si è diplomato

con il massimo dei voti alla

Scuola Comics di Firenze, e

in questo campo ha tenuto diverse

mostre e vanta una serie

di collaborazioni con case

editrici francesi. L’approdo alla

pittura è successivo e nel

2015 comincia ad esporre alla

galleria ArtShopGallery di

Pistoia, ancora oggi la sua

galleria di riferimento.

L’attesa (2021), tecnica mista con gesso ortopedico, cm 70x50

La bambina dagli occhi azzurri (2018), tecnica mista su

cartone applicato alla tela, cm 100x70

fabrizio.morosi@yahoo.it

FABRIZIO MOROSI

59


Maria Grazia Fusi

La pittura della realtà

Salvi per un attimo, olio, cm 100x100

eno.graziella@gmail.com


A cura di

Filippo Cianfanelli

Sapori di

Toscana

I’ Porto di Neno

La bontà del pesce a Dicomano

Testo e foto di Filippo Cianfanelli

Dicomano è una cittadina della Valdisieve che conta poco

più di 5000 abitanti. Oggi fa parte della Comunità

Montana del Mugello e da sempre è stata il punto di

partenza per i viaggiatori che dovevano recarsi in Romagna, tra

questi il più famoso è stato sicuramente Dante Alighieri dopo

l’esilio da Firenze. La fluitazione del legname dai boschi dell’Appennino

Tosco-Romagnolo in passato è stata una delle principali

attività degli abitanti di questa zona, oltre naturalmente

all’agricoltura collinare. L’ansa del fiume Comano all’interno del

paese nel secolo scorso prese il nome di Porto di Neno: da qui

transitavano i grandi tronchi d’albero che, attraverso la Sieve e

poi l’Arno, giungevano a Firenze per costruire i palazzi cittadini.

Il nome deriva da un certo Neno che svolgeva un’altra attività

tipica dei paesi lungo i fiumi, quella di renaiolo. A Dicomano,

a pochi passi dal palazzo comunale, si può trovare un ristorante

di pesce che non sfigurerebbe sul lungomare di Viareggio.

Un ambiente raffinato, con due ampie sale tutte sui toni del grigio,

dove i bellissimi, e ottimi, piatti di pesce nei loro accostamenti

cromatici sembrano vere opere d’arte. All’ingresso del

locale si fanno notare due grandi tele dell’artista Carlo Ciucchi

raffiguranti proprio l’ansa del Comano che dà il nome al locale:

I’ porto di Neno. Sebastian Modafferi, proprietario del ristorante,

ha coraggiosamente aperto questo locale nel novembre

2021, durante la pandemia, a pochi metri da un suo altro locale

dove invece si possono trovare ottime pizze, schiacciate ripiene

e il re della cucina di strada fiorentina, il lampredotto. Il menù

de I’ porto di Neno si apre con un ottimo gran piatto di crudités

di pesce: ostriche, alcune tartare, carpaccio di salmone e gamberi

freschissimi. Anche gli antipasti cucinati sono altrettanto

buoni e bellissimi all’occhio, come i gamberi racchiusi in pasta

kataifi con riduzione di soia o il polpo piastrato servito su un letto

di crema di patate al tè macha. La carta dei vini comprende

circa venticinque etichette sapientemente scelte per associarsi

ad ogni portata di pesce. Fra i primi piatti, oltre alla paella o agli

spaghettoni alle vongole veraci e scorza di limone, da segnalare

un originale minestrone di calamari, gamberi e ostriche con

cardi in brodetto di cozze. Molto buoni anche gli gnocchetti di

patate allo zafferano serviti con polpa di dentice e burro di erbe.

Originali i ravioli di baccalà su vellutata di ceci. Dopo uno squisito

sorbetto al limone, ci sono stati proposti i secondi di pesce.

Abbiamo provato la frittura di calamari e gobbetti con verdure

croccanti, oltre ad un medaglione di tonno con impanatura di pistacchi,

il tutto servito su un letto di rucola. Nel menù anche l’astice

con gratinatura di agrumi servito con insalatina e cipolle

di Tropea marinate, oltre alla classica grigliata mista con chips

di patate. Anche i dolci sono tutti preparati in cucina e spaziano

dal classico tiramisù alla crema bruciata al caffè, fino a proposte

più originali come il delicato budino di latte di mandorle con

composta di prugne fatta in casa, veramente originale e delicato.

Un’esperienza davvero piacevole da ripetersi in compagnia

di amici, ricordando che il locale è aperto a cena solo da merco-

La sala del ristorante

Le crudités di pesce

L’antipasto

ledì a sabato, mentre la domenica è aperto anche a pranzo. La

prenotazione è sempre consigliata.

Per prenotazioni: + 39 055 003 0175

I’ PORTO DI NENO

61


Polvere di

stelle

A cura di

Giuseppe Fricelli

Wanda Osiris

Un mito dello spettacolo di rivista

di Giuseppe Fricelli

Wanda Osiris fu la soubrette numero uno del teatro

di rivista italiano. Dal 1942 apparve in una serie di

spettacoli famosi riscuotendo successi trionfali.

Dal 1960 recitò in vari lavori teatrali impersonando ruoli minori

ma significativi. Ebbi modo di ammirarla in scena due volte

e ricordo l’eleganza con cui scendeva lunghe scalinate. L’artista

indossava abiti affascinanti, usava profumi conturbanti che

giungevano in platea inebriando l’olfatto del pubblico. La signora

Osiris aveva un personalissimo modo di cantare canzoni

scritte da ottimi musicisti come Frustaci, Mascheroni, Trovajoli.

Voglio ricordare brani come Sentimental, A Copa Cabana, Ti parlerò

d’amor, Luna d’Oriente che potrete riascoltare in vecchie incisioni.

Il grande attore fiorentino Renzo Ricci disse dell’Osiris:

«Ha tanto mestiere e tanta classe da insegnare qualche cosa

anche a noi attori». Indro Montanelli la descrisse come l’ultima

regina d’Europa. Andreina Pagnani disse: «Quando le donne

parlano di charme dovrebbero vedere Wanda e rassicurarsi che

con la classe ed uno stile proprio si può essere sempre attraenti».

Wanda Osiris è stata unica, il suo modo di muoversi, cantare,

parlare, recitare era molto personale ed irripetibile. Wanda:

un vero mito indimenticabile dello spettacolo di rivista.

In questa e nella foto sotto, Wanda Osiris in due momenti della sua carriera

Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi

in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e

camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche

di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso

i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.

62

WANDA OSIRIS


Ritratti

d’artista

Nadia Brogelli

La poesia nascosta in uno sguardo

di Jacopo Chiostri

Nadia Brogelli, pittrice autodidatta, racconta di avere

preso in mano un pennello la prima volta ormai

mezzo secolo fa. Ha imparato da sola ed è andata

avanti smentendo, col lavoro, con l’impegno e con l’esercizio,

quell’insegnante di disegno che, con molto poco garbo, ai

tempi della scuola media, decretò che per la pittura la vedeva

irrimediabilmente negata. La storia di quest’artista è esemplare

prima di tutto per il racconto che ella stessa fa della sua

vicenda personale. Ed è una storia dove l’elemento che primeggia

è la passione. Ed è anche la storia di una donna che

ha iniziato a lavorare a quattordici anni, senza particolari titoli

di studio, che ha lavorato quarantadue anni come “amministrativa”

e in tutto questo lungo tempo si è trovata, tra impiego

e famiglia, ad avere pochissimo tempo per coltivare l’amore

per la pittura, amore però che è poi riesploso dopo la pensione.

Inizialmente l’artista ha frequentato per un paio di mesi lo

studio di una pittrice, ha preso anche qualche lezione col maestro

Renzo Regoli, insegnamenti utili che gli sono però serviti

per capire che quello che intende esprimere non può insegnarglielo

nessuno. D’altra parte le scelte su “cosa le piace dipingere”,

cosa vuole trasmettere con le sue opere, la Brogelli le

ha compiute da tempo, fin dai suoi inizi, quando, ancora giovanissima,

dopo aver dipinto alcuni paesaggi, capì che non

era quello il soggetto che le permetteva di esprimere la pro-

Donna con bambina, olio su tela, cm 40x50

Arabo, olio su tela, cm 30x40

pria visione sul mondo, e, forse proprio per questa ragione,

si rese anche conto che il risultato era lontano da quello che

aveva in mente. Così ora che ha ripreso la sua strada, si è affidata

a reinterpretare immagini che l’hanno interessata soprattutto

per uno sguardo particolare, intenso, espressivo dei

personaggi. Il suo soggetto, questo l’ha capito da tempo, sono

i volti, senza preclusioni: persone di tutte l’età e di qualsiasi

etnia. «Quando inizio un quadro – spiega la pittrice – la

prima cosa che dipingo sono gli occhi, è da questi che capisco

se riuscirò ad esprimere quell’espressività che vedo nel

soggetto e che voglio trasmettere. Dopo gli occhi, cerco le rughe,

le vene, insomma tutti quei particolari che ci distinguono

gli uni dagli altri». Sul mondo che ruota attorno alla pittura,

la Brogelli dà un giudizio disincantato: troppe gelosie, troppe

invidie. Ora invece è approdata al mondo di Toscana Cultura,

conscia dell’importanza di avere nella sua “navigazione”

un riferimento su cui contare. Dopo qualche mostra nella zona

di Poggibonsi dove è nata e risiede, di recente, a metà gennaio,

ha partecipato allo Spazio Espositivo San Marco ad una

delle collettive periodicamente organizzate da Toscana Cultura.

Nello spazio di via San Zanobi erano presenti quattro sue

opere; naturalmente volti, ciascuno con quella specie di calamita

che è la cifra caratterizzante della sua arte: lo sguardo

del soggetto, occhi espressivi, occhi che raccontano storie,

che catturano l’osservatore e sembrano seguirlo. «Oggi – dice

– sono consapevole delle mie capacità, sono orgogliosa di

quello che ho fatto recentemente, ora si tratta di acquisire uno

stile tutto mio, sto lavorando per questo».

mmancianti@alice.it

NADIA BROGELLI

63


Mariella Rossi Tonelli

I colori delle stagioni

Volto di donna, olio su tela, cm 25x35

mariellatonelli@live.it


Aneddoti di vita

quotidiana

L’ombrello

Un oggetto dalla storia antica mai passato di moda

di Doretta Boretti

In una giornata di pioggia intensa vi è

mai capitato di chiedervi quanto sia

utile l’ombrello e chi abbia inventato

questo oggetto così indispensabile? Se vi

metterete alla ricerca scoprirete che l’ombrello

per ripararsi dal sole esisteva in Cina

già nel XII secolo a. C. . Se poi cercherete

l’ombretto parapioggia, quella è una notizia

di cui non siamo certi. Sembra che nel Settecento

in Francia fosse già in uso, mentre

in Italia sia comparso un secolo dopo. Fino

ad alcuni anni or sono è stato un oggetto

duraturo nel tempo, riparabile e quasi impensabile

da gettare e ricomprare. L’attività

di ombrellaio era anche un mestiere piuttosto

diffuso; fino ad una ventina di anni fa si

poteva ancora sentire la voce di un ambulante

che gridava a squarcia gola: «Ombrellaio!».

Oggi l’ombrello è diventato per lo più

un prodotto di consumo, lo si può perdere

con facilità, rompere e quindi gettarlo via,

per poi ricomprarlo frequentemente con pochissimi

euro. Ma se si tornasse a conservare

di più le cose, e in caso di rottura di un

ombrello per la pioggia a cui teniamo particolarmente

ci mettessimo alla ricerca di un

artigiano che lo riparasse, lo troveremmo?

Sul Web si scoprirebbe come ci sia un outlet

della riparazione ombrelli, ci siano calzolai

che riparano anche ombrelli e a Firenze, in

particolare, alcune botteghe storiche, riconosciute

come attività storica locale, oltre

a venderli li riparano anche. Ma quello che

forse non sapete è che in Italia, sul Lago

Maggiore, c’è un paese storico di ombrellai.

Il paese si chiama Gignese, ha luogo in Piemonte,

ad una altezza di circa 700 metri sul

livello del mare, ed è una località turistica rinomata.

A Gignese si trova un museo unico

al mondo: il museo dell’ombrello e del parasole.

Al piano terra si trova una collezione

di circa trecento ombrelli prodotti dall’artigianato

del Vergante dagli inizi dell’800, e al

secondo piano numerosi documenti, anche

fotografici, che narrano la storia di questo

straordinario oggetto che non è mai passato

di moda.

Cielo di Catania fra gli ombrelli (ph. Samuele Becattini)

L’OMBRELLO

65


Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale

Silvana Cipriani

Fiorentina di nascita, da anni Silvana Cipriani

abita a Sesto Fiorentino. Autodidatta, inizia

a dipingere negli anni Ottanta. Predilige

la tecnica ad olio ed acrilico. Ha realizzato esposizioni

personali e partecipato a numerose collettive.

Alla sua passione per la pittura si aggiunge

anche l’interesse per la poesia e la narrativa. È

Silvana Cipriani, Invasione globale

presente in varie antologie

e ha ricevuto importanti

premi e riconoscimenti

in entrambi gli ambiti.

In campo letterario, inoltre,

dopo lunghe e accurate

ricerche d’archivio, ha

scritto e pubblicato due

saggi relativi a due chiese

del territorio comunale di

Rufina: Per grazia ricevuta

/ Il Santuario della Madonna

dei Fossi, ricerca storica

su di una robbiana datata

1510-20 (Servizio Editoriale

Fiesolano, 2012); La

Pieve di Pomino, brevi note,

antiche testimonianze

storico artistiche relative

alla pieve stessa (Tipografia

Pegaso).

silvana.cipriani@gmail.com

Silvana Cipriani

Ho ritrovato la vita

Uscito di casa

distacco

lunga degenza

isolato

svaniti contatti

paura

dolore

persone sconosciute

attente alla mia ripresa…

nell’incoscienza

vedo altri portare via

non torneranno più…

forza… coraggio…

fievole in me

luce della speranza…

giunge il sorriso del vicino…

sono salvo.

Invisibile

Mi sono infiltrato

fra tutti i popoli del mondo…

assetato di spargere terrore…

ho preso le vostre vite

tormentandovi, ho riempito

di lacrime i vostri cuori…

ho portato via belli e brutti

piccoli e grandi

ricchi e poveri…

con il mio talento

vi ho privato di tutto

privato della libertà…

sopravvivrete …

provati imparerete

ad essere persone nuove

a non sprecare niente

dando valore alla vita…

un giorno me ne andrò…

senza saluto.

66 SILVANA CIPRIANI


Stefania Salti

Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Stefania Salti

Libera

Nata a Barberino

del Mugello

nel 1959,

Stefania Salti si è avvicinata

alla poesia

da pochi anni, dopo

un passato da pittrice.

Adesso cerca

di dipingere pagine

con le parole, mettendo

la propria anima

in ciò che scrive.

Niente trucco...

Nessun artefatto...

La mia anima è nuda

Pronta a mostrarsi nella sua vera natura...

Sono così...

Sono io...

Libera da maschere inutili...

Libera da atteggiamenti falsi

Solo per compiacere il pubblico pagante

Per compiacere te

Che mai hai voluto vedere

Quella che ero nella realtà

Nella mia anima

La mia essenza

È questa...

Altri occhi mi guarderanno

Felici di vedermi così

Felici di guardare

Quella che sono realmente...

La donna bambina

Che per la mano

Si avvia verso una nuova luce...

Un orizzonte diverso...

Una nuova scoperta

Di quello che

Non ho mai saputo di me

Troppo cerone

Celava il mio volto

Perché andavo in scena

Ogni giorno...

Il bacio

Baciami...

e ancora fallo.

Bacia i pensieri

che affollano la mente,

facendola traboccare

come un vaso

messo sotto la fonte.

Bacia i miei occhi

che troppo hanno visto e pianto.

Sanali

con le tue labbra

così da farli tornare limpidi,

trasparenti

come un tempo ormai lontano.

Bacia la mia bocca,

serrata da troppe amarezze.

Di nuovo,

falla aprire

al nuovo luminoso sorriso,

innocente,

come quello di bimba,

che guarda un cucciolo.

Baciami,

e fallo ancora.

Baciami

per scacciare

così,

la solitudine,

che come edera,

ha profonde radici,

e fronde tanto spesse

da non far entrare più luce.

Baciami,

e fallo ancora.

Baciami,

e non smettere,

mai più.

Pur di compiacerti...

Adesso sono libera...

Mi guardo riflessa

Sono davvero io

E mi piaccio...

Grazie a te

Che hai tolto tutte le maschere...

Non lasciare mai la mia mano...

STEFANIA SALTI

67


Diario di

un’esploratrice

A cura di

Julia Ciardi

Villa di Poggio a Caiano

La più iconica tra le residenze medicee in Toscana

di Julia Ciardi

Tra le mie ultime letture, mi sono imbattuta in un libro-intervista

del giornalista Giuseppe Zois all’architetto

Mario Botta e allo psichiatra Paolo Crepet.

L’argomento di cui si parla è progettare le emozioni nei luoghi

che scandiscono il tempo della vita: l’ospedale, la casa,

l’asilo, le scuole, l’università, il posto di lavoro, una località

di vacanza, il solito ristorante dove ci troviamo con gli amici.

Sono costruzioni perfette in cui i ricordi si cristallizzano

e se ne creano di nuovi. I Greci dicevano che la libertà inizia

con la recinzione di uno spazio incolto. L’uomo si differenzia

dagli animali di altre specie perché si è costruito

un sistema sociale pressoché perfetto scandito da luoghi

che creano ordine ma anche emozioni. Per questo l’architettura

è importante nella vita delle persone – lo sapevano

bene nel Rinascimento – perché non è semplicemente

una costruzione o un edificio ma è un’opera d’arte. Le emozioni

che proviamo dinanzi ad una chiesa, ad una facciata

Villa medicea di Poggio a Caiano

Franco Gizdulich, modello della villa di Poggio a Caiano secondo il progetto originale di Giuliano da Sangallo, conservato in una sala della villa

68

VILLA DI POGGIO A CAIANO


La villa nel 1599 nella lunetta dipinta da Giusto Utens

Pontormo, La Pomona (particolare), affresco, Salone di Leone X

o ad un palazzo per vedere i quali facciamo ore e ore di volo,

ci fanno capire quanto l’essere umano sia capace di toccare

in profondità le corde dell’anima. L’architettura è anche

equilibrio, come quello che cerchiamo interiormente e che

ci insegna l’architettura rinascimentale. A questo proposito,

voglio parlare di una villa che ho tanto studiato per un

esame universitario e che mi sta particolarmente a cuore.

Si tratta della Villa di Poggio a Caiano, la più iconica delle

residenze campestri dei Medici dal 2013 Patrimonio dell’Unesco.

Fu progettata da Giuliano da Sangallo per Lorenzo

il Magnifico come esempio di architettura rinascimentale

secondo i trattati dell’Alberti ispirati dagli antichi scritti di

Vitruvio. La struttura è perfettamente inserita nel paesaggio

e si distingue per l’armoniosa facciata classicheggiante

ispirata ad un tempio antico; è abbellita da logge, colonne,

una scalinata a due bracci e un frontone che reca in alto

lo stemma mediceo in terracotta invetriata. Non fu solo

possedimento dei Medici ma divenne anche residenza della

sorella di Napoleone, Elisa Baciocchi,

come numerose altre ville

in Toscana. Sorprendente è il ciclo

di affreschi che si trova al piano

nobile nella Sala di Leone X, con

interventi di Pontormo, Andrea del

Sarto, Alessandro Allori e Franciabigio.

Ma cosa ancora più bella è la

presenza di un Museo della Natura

Morta al secondo piano della dimora,

di cui fanno parte dipinti provenienti

dalle collezioni fiorentine dei

Medici. Qui possiamo intrattenerci

a scoprire illustrazioni scientifiche

e le opere di Bartolomeo Bimbi

che riproducono sulla tela innumerevoli

vegetali coltivati proprio nei

giardini delle residenze medicee.

Splendidi fiori e frutti con i quali

“deliziarci” gli occhi in attesa che

arrivi la bella stagione…

VILLA DI POGGIO A CAIANO

69


Toscana

a tavola

A cura di

Franco Tozzi

Ronchì Pichi

Da Livorno a Lastra a Signa, una storia

che continua nel segno dell’eccellenza

di Franco Tozzi

La prima etichetta depositata presso l’archivio della Camera di Commercio

Questa volta non tratteremo solamente di una ricetta

di cucina, ma scriveremo la storia di un liquore di altri

tempi che, nato a Livorno nel 1934, è tornato ad allietare

le mense grazie ad un imprenditore di Lastra a

Signa. Siamo nel 1923, quando Armando Pichi fonda la Casa

Vinicola Armando Pichi. Questo vermut (così è classificato come

prodotto commerciale) che al gusto appare come uno stupendo

passito, vede la luce ufficialmente nel settembre 1934

con il nome “Ronchì”, e quindi con l’accento come risulta dalla

documentazione presente nell’archivio storico della Camera di

Commercio livornese. Perché questo nome? Tantissime sono

le ipotesi più o meno avvalorate dalla tradizione popolare e dai

vari detentori del marchio; sulla scorta di alcuni e rari elementi

documentati, fusi con la storia del periodo e dei suoi personaggi,

proverò a raccontare una versione che credo sia la più vicina

alla realtà. “Ronchi” è un nome che oggi dice poco alla maggior

parte delle persone, qualcuno più appassionato di storia lo potrà

collegare al Comune di Ronchi dei Legionari (fino al 1925 si

chiamava Ronchi di Monfalcone), in provincia di Gorizia, località

che nel 1919 vide partire la spedizione di D’Annunzio per il

tentativo di conquistare Fiume e che causò solo il cambio del

nome del comune. Una prima traccia di questo possibile colle-

L’etichetta del “vino tipico speciale Ronchi dei Legionari” del 1935 (archivio Camera

di Commercio di Livorno)

L’etichetta del “vino liquoroso Ronchi degli Eroi” del 1936 (archivio Camera di

Commercio di Livorno)

70

RONCHÌ PICHI


gamento ci è data dalla presenza, nell’archivio della Camera di

Commercio, di due marchi di vini liquorosi depositati, a distanza

di uno, due anni, da due case vinicole livornesi concorrenti:

nel 1935 abbiamo il “vino tipico speciale Ronchi dei Legionari”

della ditta Razzaguta e nel 1936 il “vino liquoroso Ronchi degli

Eroi” della ditta Pentassuglia, a dimostrazione di come il prodotto

avesse preso piede nei gusti cittadini e non solo (entrambe

le case vinicole falliranno nel 1939). In ogni caso si nomina

sempre “Ronchi”, quindi è un chiaro riferimento al fatto che il

nome di questo particolare vino/passito/vermouth abbia avuto

origine per commemorare un evento preciso legato a personaggi

che avevano importanza nella città labronica. Come

spiegare il collegamento tra il comune giuliano e Livorno? Per

risolvere questo dilemma dobbiamo far entrare in gioco alcuni

personaggi di quel periodo di storia italiana. A Livorno nasce

nel 1876 Costanzo Ciano, padre di quello che sarà il genero di

Mussolini. Costanzo era un grande amico di Gabriele D’Annunzio

(avevano progettato e partecipato alla Beffa di Buccari nel

1918) ed il vate era un assiduo frequentatore del litorale toscano

(basti pensare alla celebre poesia La pioggia nel pineto),

ospite particolare quando Ciano (soprannominato “Ganascia”)

organizzava le famose “cacciuccate”, storica quella di Piazza

La ricetta: scaloppine al Ronchì

Ingredienti:

- ½ Kg di noce di vitello tagliata a fettine

- 2 bicchieri di Ronchì Pichi

- 70 gr di burro

- farina

- sale e pepe quanto basta

Mischiare sale e pepe, battere le braciole e condirle con il misto,

infarinandole leggermente. In una padella scaldare metà

del burro e sistemare le braciole, alzando il fuoco e facendole

dorare da entrambe le parti. Versare il Ronchì Pichi e farlo

ritirare del tutto, fino ad avere una crema. Levare la carne e

disporla sul vassoio di portata; sciogliere il fondo di cottura

con acqua calda, a filo, ed unire il burro rimasto; incorporare

bene il tutto e versare la salsa calda sulle scaloppe.

Accademia del Coccio

Lungarno Buozzi, 53

Ponte a Signa

50055 Lastra a Signa (FI)

+ 39 334 380 22 29

www.accademiadelcoccio.it

info@accademiadelcoccio.it

Mazzini del 1936. Quindi l’ipotesi è che alla fine di queste mangiate

fosse necessario avere un liquore sobrio e dal gusto unico

non è poi così campata in aria. Un inciso sulla versatilità di

D’Annunzio: vi è un’ampia documentazione che attesta come il

liquore Aurum sia una creazione del vate, come gusto, nome e

forma della bottiglia, quindi perché non pensare che tra amici

“camerati” ed in collaborazione di qualche gerarca si sia cercato

di fare un liquore che richiamasse le imprese dell’ospite e

del padrone di casa da gustare convivialmente. La ditta di Armando

Pichi, grazie anche ad altri prodotti, ma soprattutto per

il Ronchì Pichi, si espande, e figura tra i principali produttori di

vermut nella Gazzetta Ufficiale del 1942, al pari della Martini e

Rossi, con una produzione di ben 2.000 ettolitri, con esportazione

e rappresentanze anche in America, nonché nelle colonie.

Poi, nel dopoguerra, avviene un radicale cambio di gusti

ed abitudini, ma il Ronchì Pichi rimane la bevanda tradizionale

per il brindisi dei laureati all’Università di Pisa. Tuttavia, i nuovi

beveraggi portarono il Ronchì Pichi – che intanto cambierà

il marchio avvicinandosi al gusto del periodo – ad una lenta e

costante decadenza ed alla fine degli anni Ottanta, dopo essere

passato da altre due ditte, la produzione cessò e la bottiglia

con la sua inconfondibile etichetta la si poteva trovare ancora

in qualche casa come cimelio storico. Ma, come accade per

le cose di valore, per le tradizioni che dormono ma non muoiono,

il lungo periodo di oblio finisce quando Alessandro Cicali,

il titolare della ditta Sparla e Gerardi, primaria azienda nella

produzione ma soprattutto nella valorizzazione dei vini liquorosi

tradizionali, rileva marchio e “ricetta” e inizia a produrre il

Ronchì Pichi mantenendo l’etichetta tradizionale ancora viva

nella memoria dei nostri “vecchi”. Grazie ad una capillare presentazione

nei più disparati ambienti

e alla curiosità che ogni cosa del

passato, anche recente, esercita nella

fantasia e nei gusti delle persone,

il Ronchì Pichi non è più solo un tradizionale

vino liquoroso da dessert, ma

è diventato anche l’interprete principale

di due cocktail. L’azienda ha indetto

inoltre un premio annuale, vinto

nella prima edizione da una studentessa

dell’Istituto Alberghiero Vasari

di Figline Valdarno. Quindi il nostro

vermut torna in grande stile e forma

a farsi degustare nella sua “beva” tradizionale,

essendo oramai presente a

tutti i livelli della distribuzione, anche

nei cocktail più ricercati. Da Livorno

a Lastra, e, come ogni bella storia…

la storia continua.

La ricerca della documentazione e

delle notizie è stata resa possibile dalla

disponibilità del personale della Camera

di Commercio della Maremma e

del Tirreno e da quello della Biblioteca

Comunale Labronica; un ringraziamento

particolare a Boreno Borsari,

amico e collega di tante ricerche.

RONCHÌ PICHI

71


Mauro Mari Maris

La vita segreta del colore

www.mauromaris.it

mauromaris@yahoo.it

+ 39 320 1750001


A cura di

Michele Taccetti

Eccellenze toscane

in Cina

L'anno della cultura e del turismo Italia - Cina

Una possibilità di crescita anche per le aziende toscane

di Michele Taccetti

Il 2022 è l’anno della cultura e del turismo Italia - Cina (inizialmente

previsto per il 2020, è stato poi rimandato al 2022

a causa della pandemia). Il programma, date le mille incertezze

legate all’emergenza sanitaria, dovrà adattarsi alle limitazioni

tuttora in vigore – la Cina è ancora chiusa al turismo sia in

entrata che in uscita – benché rimanga una priorità per entrambi

i governi portare avanti il dialogo istituzionale, così come

emerso anche in occasione del colloquio telefonico tra il primo

ministro Mario Draghi e il presidente Xi Jinping l’8 settembre

scorso. L’anno italo-cinese sarà segnato da importanti occasioni

di scambio e cooperazione; ci saranno mostre in Cina e in Italia

con l’esposizione di capolavori dell’arte di entrambi i paesi.

Di sicuro interesse sarà la mostra in Italia di una parte delle ottocento

statue che compongono il famoso Esercito di Terracotta

che il primo imperatore di Cina, Qin Shi Huangdi, volle porre

a simbolica difesa del suo mausoleo presso Xi’an nel III secolo

a. C. . In programma anche iniziative di gemellaggio tra i siti

Patrimonio dell’Umanità Unesco di ambedue le nazioni, oltre

all’elaborazione di un ponte digitale tra Italia e Cina che migliori

ed acceleri lo scambio di contenuti. La pandemia rende incerto

il calendario dei programmi culturali e complica ancora di più

l’attuazione delle iniziative legate al turismo viste le restrizio-

ni agli spostamenti di persone non solo a livello internazionale

ma anche all’interno dei rispettivi paesi. Questo anno, tuttavia,

assume grande importanza per le relazioni tra Italia e Cina e

soprattutto per il rilancio del post-Covid. Se è vero, infatti, che

le iniziative risultano penalizzate dalla pandemia, è altrettanto

vero che questo periodo deve essere un momento di riflessione

e programmazione su come rilanciare il turismo di qualità

con l’aiuto degli eventi culturali. La cultura, infatti, aiuta il dialogo

e la comprensione reciproca perché è una lingua internazionale

che non ha né barriere né pregiudizi ed è alla base dello

sviluppo dei rapporti commerciali solidi e duraturi fra il bel paese

e il gigante cinese. Il turismo rappresenta il veicolo principale

attraverso il quale concretizzare questo dialogo. Italia e Cina

hanno grandi differenze culturali, linguistiche, religiose e sociali,

ma hanno alcuni punti in comune che rende il loro rapporto

unico rispetto ad altre realtà internazionali. Entrambe le società

si basano su di una cultura millenaria, considerano la famiglia

tradizionale come nucleo centrale della società e danno importanza

alla cucina come elemento culturale ed identificativo dei

territori. Questi elementi, seppur messi in crisi dalla globalizzazione

e dalle criticità internazionali, rappresentano le radici

culturali che rendono entrambi i paesi reciprocamente attraenti

e “diversamente uguali”.

Auguriamoci che questo

anno della Cultura e del

Turismo Italia- Cina possa

segnare il tempo del

rilancio dei rapporti fra i

due paesi, e quindi anche

della Toscana, meta turistica

ambita dalla nuova

classe media cinese.

Un capolavoro dell’arte cinese: l’Esercito di Terracotta, una parte del quale sarà esposto in Italia in occasione dell’anno della

cultura e del turismo tra i due paesi

Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il

Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici

Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di

marketing ed internazionalizzazione.

michele.taccetti@china2000.it

China 2000 srl

@Michele Taccetti

Michele Taccetti

Michele Taccetti

ANNO DELLA CULTURA E DEL TURISMO

73


Firenze

mostre

Dante, il Poeta eterno

Prorogata fino al 13 febbraio la mostra immersiva di Felice Limosani nella

Cappella Pazzi a Firenze per celebrare l’autore della Divina Commedia

di Elena Maria Petrini / foto courtesy Felice Limosani e Opera di Santa Croce

Èstato prorogato fino al prossimo

13 febbraio il progetto

Dante, il Poeta eterno che,

dall’inaugurazione lo scorso 13 settembre,

ha visto la presenza di oltre

100 mila visitatori nella Cappella

Pazzi all’interno del complesso della

Basilica di Santa Croce a Firenze.

Promosso in sinergia tra l’Opera

di Santa Croce, il Comune di Firenze,

il Fondo Edifici di Culto del Ministero

dell’Interno e l’artista Felice Limosani,

autore della video installazione,

il progetto propone un’esperienza immersiva

per celebrare il sommo poeta

in occasione del settimo centenario

della morte. Attraverso la tecnica

del video mapping viene raccontata

la Divina Commedia e il suo messaggio

universale con 135 incisioni (75

dell’Inferno, 42 del Purgatorio e 18

del Paradiso) del grande artista e litografo

francese Gustave Doré (1832

Felice Limosani

- 1883) digitalizzate e reinterpretate dall’artista Felice Limosani

in modo totalmente innovativo. Le incisioni, proiettate

sulle quattro pareti interne e nella cupola della

Cappella Pazzi, prendono letteralmente vita e coinvolgono

gli spettatori in un’esperienza sensoriale emozionante

e suggestiva. Molto evocativa anche la partitura sonora,

Una panoramica della dell’installazione immersiva di Limosani nella Cappella Pazzi

Un’altra immagine della mostra

74

DANTE, IL POETA ETERNO


ben correlata ad una narrazione della Divina Commedia

che dialoga armoniosamente con il contesto. Foggiano

e con una lunga esperienza come dj, Felice Limosani è

un artista noto in ambito internazionale, innovatore e profondo

conoscitore delle Digital Humanities ed esperto in

avanguardie espressive e linguaggi emergenti. Nelle sue

opere integra le discipline umanistiche con la cultura digitale

ed attraverso l’arte e il design crea un nuovo concetto

di percezione. Ciò lo porta ad ottenere un inedito livello di

comunicazione e nuovi modelli di valorizzazione del patrimonio

culturale, anche a supporto di diversi contesti

sociali e della sostenibilità ambientale. Tra i suoi progetti

fiorentini, ricordiamo l’installazione nel parco urbano

di San Donato di cinquanta querce-salice realizzata con

la consulenza scientifica del professor Stefano Mancuso,

del ricercatore del CNR Alberto Giuntoli ed il patrocinio

del Comune di Firenze. Le querce, disposte a forma di

stella, sono state donate dall’azienda Il Bisonte Spa come

lascito alla comunità e all’ambiente della città di Firenze.

Un’opera di landscape art in cui Limosani si è ispirato alla

parola “stelle” che chiude le tre cantiche della Divina

Commedia: Inferno (e quindi uscimmo a riveder le stelle),

Purgatorio (puro e disposto a salire alle stelle) e Paradiso

(l’amor che move il sole e l’altre stelle).

La Cappella Pazzi, capolavoro del Rinascimento

La Cappella Pazzi, considerata il capolavoro dell’architetto

e scultore fiorentino Filippo Brunelleschi (1337-1446),

si trova nel chiostro della Basilica di Santa Croce a Firenze

ed è una delle prime e più significative opere del Rinascimento.

Lo spazio architettonico brunelleschiano è

basato su precisi rapporti di proporzioni matematiche e

geometriche: il modulo centrale, infatti, è un cubo sormontato

da una cupola semisferica ad ombrello. Tutti gli

elementi compositivi interni – archi, trabeazioni e lesene

– sono realizzati in pietra serena, di colore grigio chiaro,

che ben risalta sul bianco avorio dell’intonaco.

L'installazione di Limosani nel Parco di San Donato a Firenze con le querce-salice

disposte a forma di stella

Gustave Doré, il maestro delle immagini dantesche

L’esterno della Cappella Pazzi in Santa Croce

Paul Gustave Louis Christophe

Doré, nato Strasburgo

nel 1832 e morto

a Parigi nel 1883, pittore,

disegnatore e litografo, è

noto soprattutto per le incisioni

che illustrano la Divina

Commedia di Dante.

La sua produzione artistica

lo ha visto impegnato

anche nella realizzazione

di incisioni per opere di

altri autori della letteratura

classica, come Balzac,

Gautier, Cervantes, Milton,

Poe ed altri.

Gustave Doré in una foto di Nadar (1867)

DANTE, IL POETA ETERNO

75


B&B Hotels

Italia

L’ospitalità di B&B Hotels sbarca ad Arezzo

di Chiara Mariani

B&B Hotels, catena internazionale con oltre 600 hotel

in Europa, amplia ulteriormente la sua presenza

in Italia con una nuova apertura nella parte orientale

di una delle più belle regioni italiane, la Toscana. Il gruppo

accoglie infatti nel portfolio il nuovo B&B Hotel Arezzo, ex

AC Hotel Arezzo by Marriot, situato a pochi chilometri dal

centro della città d’arte toscana dalla storia antichissima e

dalle origini etrusche tutte da scoprire. Il nuovo B&B Hotel

Arezzo vanta una posizione invidiabile. Si trova, infatti, a soli

15 minuti a piedi dal centro, a 5 minuti a piedi dalla Fiera

di Arezzo e a pochi minuti dai principali punti di interesse

della città d’arte, come la Fortezza Medicea e Piazza Grande.

La struttura si trova inoltre a pochi minuti di auto dalla

stazione di Arezzo, che permette collegamenti veloci con le

meravigliose località vicine di San Gimignano, Chianti, Siena,

Montepulciano e Montalcino. Una location ideale sia per

viaggi di lavoro che di piacere, comoda anche per vacanze

in famiglia, veloci city break ma anche soggiorni più lunghi.

Il B&B Hotel Arezzo dispone di 79 camere spaziose e confortevoli

nella tipologia singola, doppia e matrimoniale. La

struttura offre tutti i servizi smart che caratterizzano l’ospitalità

della catena, tra cui connessione Wi-Fi a 200 Mb/s illimitata

e gratuita, climatizzazione autoregolabile, minibar

e cassaforte elettronica, Smart TV 43" con Chromecast integrata.

A questi si aggiunge un servizio davvero esclusivo

Una camera del B&B Hotel Arezzo

della catena: un centro fitness aperto tutti i giorni 24 ore su

24 per un’esperienza di totale relax. A completare la vasta

offerta del B&B Hotel Arezzo, il ristorante Lo Zafferano dove

viene servita la prima colazione e la cena con un menù

tipico della tradizione toscana. L’hotel offre, infine, 2 sale riunioni

fino a 50 posti, completamente modulabili e attrezzate;

e un parcheggio esterno gratuito.

La sala riunioni

76

B&B HOTELS AD AREZZO


Su B&B Hotels

Dal design moderno e funzionale, con bagno spazioso privato

e soffione XL, le camere B&B Hotels dispongono di Wi-Fi

in fibra fino a 200Mb/s, Smart TV 43” con canali Sky e satellitari

di sport, cinema e informazione gratuiti, nonché Chromecast

integrata per condividere in streaming contenuti audio e

video proprio come a casa. Per un risveglio al 100% della forma,

B&B Hotels propone una ricca colazione con prodotti dolci

e salati per tutti i gusti.

Il ristorante Lo Zafferano all’interno dell’hotel

Il centro fitness

B&B HOTELS AD AREZZO

77


Benessere e cura

della persona

A cura di

Antonio Pieri

Proteggi le tue mani dal freddo in maniera naturale

di Antonio Pieri

Dice un vecchio detto su febbraio: «Se di Febbraio

tuona, l’annata sarà buona». Noi speriamo vivamente

che sia un anno migliore dei precedenti, ma allo

stesso tempo dobbiamo pensare a proteggere la nostra pelle

dal freddo di questo periodo. In particolare le nostre mani

soprattutto in questo periodo sono esposte al freddo e a forti

sbalzi di temperature tra l’esterno e l’interno.

Utilizziamo prodotti naturali e biologici

Prendersi cura della pelle delle nostre mani in maniera adeguata

e soprattutto utilizzare prodotti naturali e biologici

senza SLS,SLES o parabeni, può migliorare non di poco la bellezza,

ma soprattutto la salute della nostra pelle. Come abbiamo

detto più volte, un alleato essenziale per contrastare

gli effetti del freddo sulla nostra pelle è l’olio extravergine di

oliva toscano IGP biologico che, grazie a sostanze come lo

squalane e i polifenoli, idrata, nutre e protegge la pelle.

Il passo successivo alla detersione è quello di idratare, nutrire

e proteggere la pelle regolarmente con creme idratanti,

nutrienti e protettive naturali: l’utilizzo regolare di questi prodotti

è importante anche per mantenere integro il film idrolipidico

ed evitare di alterare la naturale funzione di barriera

della pelle. Si consigliano prodotti arricchiti con olio extravergine

di oliva e vitamina E che aiutano a prevenire lo sgradevole

fenomeno della secchezza cutanea, mantenendo a

lungo la pelle delle mani morbida e compatta. Anche i principi

attivi come gli oli essenziali naturali di rosa damascena e

centifolia hanno un potere idratante e rinfrescante ed aiutano

a contrastare e prevenire la secchezza della pelle. La rosa

canina, lenitiva e dal potere elasticizzante, aiuta a prevenire

efficacemente l’invecchiamento cutaneo. Questi principi attivi

sono presenti nella linea mani Prima Fioritura di Idea Toscana

in prodotti come il Burro Mani e la Maschera Unghie e

Cuticole. Cosmetici naturali capaci di nutrire e idratare anche

le mani più secche senza appesantirle. Ma soprattutto

non ungono e hanno un effetto benefico immediato: pelle subito

più vellutata, distesa, compatta e profumata, proprio come

un petalo di rosa.

Detersione

Mai come in questo periodo è importante detergere le mani

nella maniera giusta. Durante la fase di lavaggio, si tende

a non fare caso alla composizione del detergente, rischiando

così di utilizzare prodotti fortemente sgrassanti ed irritanti

per la pelle delle mani, già di per sé sensibile. Così facendo,

il naturale film idrolipidico che ricopre l’epidermide viene via

via danneggiato e le mani si trovano ad essere indebolite e

particolarmente sensibili alle aggressioni esterne, poiché la

loro naturale barriera difensiva è stata compromessa. Questa

situazione, in aggiunta alla scarsità di fattori d’idratazione

naturali, rende la pelle delle mani soggetta a screpolature

e rossori. Alla luce di questo, possiamo dire che la cura delle

mani ha inizio già con la detersione, per questo è essenziale

l’utilizzo di saponi naturali che hanno come principio attivo

principale l’olio extra vergine di oliva “toscano IGP” biologico

che idrata e protegge la pelle.

Idratazione, nutrimento e protezione

Ti aspettiamo nel nostro nel nostro punto vendita in Borgo

Ognissanti 2 a Firenze o sul sito www.ideatoscana.it . Insieme ci

prenderemo cura della tua pelle in maniera naturale e biologica.

Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl

e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici

naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.

Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,

ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.

antoniopieri@primaspremitura.it

Antonio Pieri

78 PROTEGGI LE MANI


Cosmetici Naturali e Biologici per il Benessere

Protect your skin from the cold

IDEA TOSCANA - Borgo Ognissanti, 2 - FIRENZE | Viale Niccolò Machiavelli, 65/67 - SESTO FIORENTINO (FI) |

Tel. 055.7606635 |info@ideatoscana.it | www.ideatoscana.it


Una banca coi piedi

per terra, la tua.

www.bancofiorentino.it

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!