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La Toscana nuova Aprile 2022

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La Toscana nuova - Anno 5 - Numero 4 - Aprile 2022 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 3. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074


Emozioni visive

Dalle stelle alle stalle …

Testo e foto di Marco Gabbuggiani

Sono trascorsi solo pochi giorni da quando parlavo con amici

dell’oltre mezzo secolo da noi vissuto in maniera davvero straordinaria.

Anni che hanno visto mille cambiamenti e mille evoluzioni

con l’avvento della TV e di quel misterioso e affascinante

strumento chiamato fax che miracolosamente faceva apparire

dall’altra parte del mondo un foglio scritto qui a Firenze. Abbiamo

vissuto gli anni dell’emancipazione femminile, gli anni del

“fate l’amore e non la guerra”, dei figli dei fiori. Abbiamo vissuto

gli anni d’oro dell’esplosione economica, abbiamo parlato con

un amico utilizzando una scatolina poco più grande di un pacchetto

di sigarette mentre viaggiavamo in auto. Abbiamo goduto

della razionalità ed organizzazione dei computer e siamo pure

andati sulla Luna! Insomma, la nostra generazione di uomini e

donne italiane ha goduto davvero di un’esistenza stellare. Nei vari

discorsi e ricordi che uscivano come fiumi in piena dalle nostre

bocche, siamo arrivati anche a commentare la fortuna avuta, nonostante

la pandemia della quale ancora oggi subiamo gli ultimi

effetti, di non aver dovuto affrontare la tragedia della guerra.

Una fortuna davvero notevole considerato il lungo periodo preso

in considerazione e il fatto che molte generazioni precedenti alla

nostra abbiano dovuto invece affrontare il dramma di un conflitto

bellico. Il giorno di questi discorsi con il bicchiere in mano

tra amici era il 19 gennaio 2022 e credo che, dopo esserci salutati,

ognuno di noi, prima di dormire, si sia messo a pensare a ciò

che ci eravamo dimenticati e che non avevamo commentato durante

quella cena. Nessuno di noi avrebbe mai pensato che, da lì

a pochi giorni, quell’esistenza “stellare” proprio come stellato è

il cielo marocchino nella prima foto qui pubblicata, si sarebbe offuscata

a causa dell’attuale guerra, che è dietro l’angolo di casa

nostra e che riempie d’angoscia tutti i nostri pensieri. Speriamo

che fra qualche mese, dopo aver compianto le vittime innocenti

di questo assurdo conflitto, anche questo triste momento diventi

soltanto il ricordo di un pericolo scampato, qualcosa di cui

parlare tra amici come uno dei tanti eventi vissuti e superati positivamente

in questa nostra epoca così ricca di accadimenti.

Un’epoca che ci ha davvero visto alle “stelle” e che spero non finisca

col vederci alle “stalle” come il somaro in foto da solo in

mezzo al deserto. Un deserto fatto di nulla come troppe menti

umane risultano essere fatte. Asini in mezzo al vuoto del deserto,

legati ad una corda per non farli allontanare da una stalla che

ha tutto, fuorché la bellezza di un cielo stellato e di tutte le gioie

e i sogni che ci hanno riempito la vita fino ad adesso.

marco.gabbuggiani@gmail.com

Da oltre trent'anni una

realtà per l'auto in Toscana

www.faldimotors.it



APRILE 2022

I QUADRI del mese

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Museo di San Francesco: tesori d’arte sacra a Greve in Chianti

Intervista a Eolo Perfido, originale interprete del ritratto fotografico

Robert Demachy, maestro del pittorialismo di fine Ottocento

Colori vivaci e paesaggi senza tempo nelle opere di Francesco Nesi

Grazia Santarpia, l’artista che risveglia l’anima musicale della materia

Spazio alle opinioni: il femminicidio, triste realtà dalla lunga storia

Un Manzoni inedito e sorprendente nel romanzo di Isabella Becherucci

Dimensione salute: lenticchie, un toccasana per la salute cardiovascolare

Psicologia oggi: il coraggio di coltivare la speranza

Consigli del nutrizionista: a casa come al ristorante con la cucina dei nonni

Giganti dell’arte: il capolavoro manierista del Pontormo in Santa Felicita

Arte e psicologia: dall’arte una riflessione sull’orrore della guerra

A Trieste una mostra sensoriale per scoprire il mondo di Frida Kahlo

I segreti di Leonardo Pisano nella biografia romanzata di Gianna Pinotti

Il romanzo di Valentina Olivastri sui segreti nascosti in un album di famiglia

Annamaria Maremmi, pittrice dallo stile inconfondibile

Curiosità storiche: l’antico capodanno fiorentino, festa civile e religiosa

L’omaggio alla Folgore dell’artista e designer Luciano Manara

Archeologia: dalla Persepoli di Dario ai diadochi di Alexandros

Il divenire delle emozioni nei paesaggi di Michela Masini

Le sculture di Romano Dini incontrano Dante in una mostra a Poppi

Il dialogo tra culture nelle attività del Movimento Life Beyond Tourism

Fare impresa oggi: le caratteristiche dei giovani italiani di successo

Gabriella Alexa: regni d’acqua come specchi dell’interiorità

Il cinema a casa: il film di Wong Kar-wai sugli amori impossibili

L’avvocato risponde: l’amministratore di sostegno a tutela delle persone fragili

Luce e colore, la personale di Joanna Aston al Museo Ghelli di San Casciano

Museo del Chiodo: a Certaldo una collezione sulla tradizione artigiana in Val d’Elsa

Eventi in Toscana: tre donne in collettiva al Circolo Amatori Arti Figurative di Empoli

La ricerca dell’essenzialità nella pittura elegante ed incisiva di Francesca Berti

Franco Corso, pittore realista dell’istinto e del cuore

Alma Sheik protagonista a Venezia con opere ispirate agli antichi mosaici

Frammenti di vita in chiaroscuro nella pittura di Emilia Lucchesi

A Lucca la retrospettiva su Alfredo Catarsini, ideatore del “simbolismo meccanico”

La risposta dell’artista israeliana Daphne Horev alla guerra in Ucraina

Premio Ponte Vecchio allo scrittore e poeta salernitano Francesco Terrone

Itinerari del gusto: Cucina di mare, un ristorante dove passione e cortesia sono di casa

Gli artisti del Centro Espositivo Culturale San Sebastiano di Sesto Fiorentino

Angelo Massimo Nostro, il pittore dello stile “destrutturista” al Gruppo Donatello

Polvere di stelle: Aldo Ciccolini, pianista dalla raffinata musicalità

La collettiva di Napoli Nostra a Venezia per viaggiare nei meandri della fantasia

Toscana a tavola: il cacciucco, un grande classico della cucina livornese

Riflessioni sulla fede: il sogno di Giuseppe

Diario di un’esploratrice: una passeggiata degustativa a Borgo a Buggiano

Poolcentury, azienda giovane e green alla conquista del mercato cinese

Intervista a Shama 24K, giovane musicista fiorentino precursore dello stile emo trap

B&B Hotels: l’inaugurazione di una nuova struttura nel cuore delle Langhe

Benessere della persona: prendersi cura dei capelli in maniera naturale

In copertina:

Alma Sheik, Moonflowers - particolare di un dittico (2022),

acrilico su strato di corteccia, cm 59x38

Rosita Comparini, Fili d’oro (2022), acrilico su pietra, cm 40x60

alfredobagnai@gmail.com

Silvana Cipriani, Giovane in fuga, acrilico su tela, cm 50x70

silvana.cipriani@gmail.com

Periodico di attualità, arte e cultura

La Nuova Toscana Edizioni

di Fabrizio Borghini

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Anno 5 - Numero 4 - Aprile 2022

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Testi:

Luciano Artusi

Ricciardo Artusi

Francesco Bandini

Ugo Barlozzetti

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Lorenzo Borghini

Erika Bresci

Claudio Caioli

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Miriana Carradorini

Viktoria Charkina

Jacopo Chiostri

Filippo Cianfanelli

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Nicola Crisci

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Marco Gabbuggiani

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Sergio Neri

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Francesco Bandini

Claudio Caioli

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Filippo Cianfanelli

Maria Grazia Dainelli

Robert Demachy

Marco Gabbuggiani

Simone Lapini

(ADV photo)

Elisabetta Mereu

Carlo Midollini

Eolo Perfido

Viola Petri

Annamaria Romoli

Duané Viljoen

Milo Zoppini

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LA MODA COME ARTE:

Pola Cecchi

Atelier Giuliacarla Cecchi

Showroom: via J. da Diacceto, 14 - Firenze

Sito: www.giuliacarlacecchi.com

Facebook: Atelier Giuliacarla Cecchi

Instagram: ateliergiuliacarlacecchi

Foto di Annamaria Romoli



A cura di

Ugo Barlozzetti

Percorsi d’arte

in Toscana

Museo di San Francesco

A Greve in Chianti tesori dell'arte sacra

di Ugo Barlozzetti

Allestito nei locali dell’ex convento di San Francesco, il

museo espone dipinti, sculture, paramenti e arredi sacri

che testimoniano la rilevanza storica del territorio

di Greve in Chianti. Nell’oratorio di San Francesco si trova la

splendida terracotta policroma attribuita a Baccio da Montelupo

(1469-1523) Il compianto di Cristo con un cherubino di

Sante Buglioni (1494-1576). L’altare ha un paliotto in paglia naturale

del Settecento. Alla destra una Annunciazione di anonimo

fiorentino del Trecento. Altre opere sono: L’immagine di

San Domenico portata a Soriano dalla Madonna del Seicento,

una tavola con Madonna col Bambino e Santi e i due committenti

del Cinquecento; le due formelle in alto con l’immagine

del castello di Sezzate e la Val d’Ema. Un’opera giovanile di

Francesco Granacci (1469-1543) è una Madonna col Bambino

e Santi del 1498. Inoltre è esposto un bassorilievo marmoreo

da San Pietro a Sillano della prima metà del Quattrocento. Nella

sagrestia si trova una selezione di tessuti con diverse tipologie

di paramenti, tra i quali una pianeta con lo stemma dei

Bardi Strozzi. Tra le altre vesti sacre

l’esemplare più antico è una pianeta

del Cinque-Seicento. Una pianeta del

Settecento ha lo stemma degli Anichini.

In questa sala ci sono: la croce

reliquiario in cristallo di rocca da San

Stefano a Montefioralle del Trecento

Casa della cornice

e una piccola vetrata cinquecentesca

www.casadellacornice.com

con San Silvestro da San Silvestro a

Convertoie. Al piano superiore,

nella sala delle

oreficerie, sono le suppellettili

per la liturgia:

una croce processionale

in legno dipinto,

sempre da San Silvestro

a Convertoie, della

fine del Cinque-Seicento,

una campana dalla

chiesa di Santa Maria a

Vicchiomaggio, con una

dedica alla Vergine, del

1312, uno stucco con la

Madonna col Bambino

attribuita all’allievo di

Donatello Nanni di Bartolo

(notizie dal 1419 al Manifattura toscana, Croce astile (fine XVI

1452). In una grande vetrina

ci sono altri oggetto,

cm 58x40

sec.-inizi XVII sec.), legno intagliato e dipinti

di varie epoche, come

una piccola pace in avorio degli Embriachi (fine del Trecento).

La visita si conclude con la pittura, che offre esempi di artisti

toscani del Seicento come Francesco Curradi (1570-1661) e il

capolavoro di Francesco Boldrini (1584-1648) del 1615 La Madonna

del Rosario. Infine, quattro opere dalla collezione dall’ex

ospedale Rosa Libri, tra cui una tela attribuita a Sigismondo

Coccapani (1583-1643), artista e

architetto autore del Trattato del

modo di ridurre il fiume Arno in canale,

e un Ritratto di Santa Rosa di

Michele Gordigiani (1835-1909).

Una sezione archeologica espone,

con un efficace percorso di tipo

didattico e documentale, reperti

rinvenuti grazie agli scavi e alle

ricerche dei volontari del Gruppo

San Michele G.E.V. Chianti - Odv

degli anni Novanta del XX secolo.

Museo di San Francesco

Via San Francesco, 2, 50022

Greve in Chianti (FI)

Baccio da Montelupo, Compianto sul Cristo morto e cornice

a festoni (attr. Benedetto e Santi Buglioni), terracotta parzialmente

invetriata, cm 230x190

Nanni di Bartolo, Madonna con Bambino (secondo

decennio XV sec.), stucco policromo, cm 65x45x10

Informazioni e prenotazioni

+ 39 055/8544685

museosanfrancesco@alice.it

SAN FRANCESCO DI GREVE IN CHIANTI

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I grandi della

fotografia

A cura di

Maria Grazia Dainelli

Eolo Perfido

L’arte del ritratto negli scatti di uno dei

più originali interpreti della fotografia

contemporanea

di Maria Grazia Dainelli / foto Eolo Perfido

Come ti sei avvicinato alla fotografia?

Sono appassionato di illustrazioni e fumetti da sempre,

e non sapendo disegnare ho sentito forte il desiderio di

raccontare storie attraverso le immagini. Casualmente, mentre

facevo da assistente ad un amico amatore che realizzava

fotoritratti, rimasi folgorato dalle potenzialità dello strumento

e capii che questa poteva diventare la mia strada. Comprai

una vecchia Nikon e cominciai a scattare immagini che ottenevano

consensi dai soggetti fotografati.

Da grande ritrattista quale sei, come interagisci con il soggetto

che hai davanti per far emergere il suo stato emotivo?

Non mi interessa catturare la loro anima, per questo sin dall’inizio

mi sono chiesto che tipo di atteggiamento avrei dovuto

avere nei confronti dell’altro per trasferire nello scatto qualcosa

di immateriale. Questa riflessione mi ha portato a suddividere

i ritrattisti in due grandi categorie: alla prima appartengono

i fotografi che sviluppano una forte capacità di intercettare velocemente

le caratteristiche del soggetto che hanno davanti,

cercando anche di approfondirne la conoscenza e di renderli riconoscibili

nel ritratto. Tutto questo è indipendente dalla scelta

del fotografo. Alla seconda categoria, nella quale mi riconosco,

appartengono quei fotografi che, avendo un imprinting autoriale,

impongono la propria visione, che va a sovrapporsi alle caratteristiche

del soggetto. L’altro diventa quindi uno strumento

autoriale. Questo approccio personalizza il mio lavoro, con il

quale cerco ogni volta di restituire una mia idea di umanità, una

poetica che punta al raggiungimento di una visione perfetta.

Non cerco di conoscere i miei soggetti ma di stimolarli al cambiamento,

invogliandoli a concedersi al mio obiettivo per catturare

l’istante di questa loro “trasformazione”.

Che differenza c’è tra i ritratti realizzati sul set e quelli

scattati per strada?

La ricerca del soggetto da fotografare in studio è più delicata e

meno approssimativa, mentre quella in strada è più istintiva e

con dinamiche ogni volta differenti. Quando scatto in studio sono

tendenzialmente molto serio, il mio comportamento in strada

deve invece facilitare il consenso per riuscire a portare a casa

una fotografia. C’è sempre grande rispetto dell’altro, con il quale

occorre saper entrare in empatia. Il ritrattista di strada, in effetti,

deve essere in grado di tranquillizzare la persona su quelle che

sono le sue reali intenzioni: a volte basta un sorriso, altre volte

Federica Centore

c’è bisogno di fornire maggiori spiegazioni. Per questo motivo,

quando esco di casa al mattino metto nella mia borsa macchina

fotografica, obbiettivo e tanta capacità di persuasione...

Ti occupi di vari generi fotografici, dal ritratto in studio alla

moda, dalla pubblicità alla fotografia di strada: come riesci

a conciliare linguaggi così diversi tra loro?

Si vive una volta sola e voglio sfruttare al meglio il mio tempo,

per questo ho sviluppato un metodo ed una capacità di organizzazione

che rendono il mio lavoro meno faticoso possibile.

Anche se può sembrare complicato cimentarsi in vari generi,

per me è ormai diventato del tutto normale.

A tua parere la street photography è solo documentazione?

È un genere non del tutto definibile perché si fonda sull’imprevedibilità.

La narrazione inizia e finisce in una sola foto e il rapporto

tra gli elementi visivi può essere totalmente astratto rispetto

al contesto. Non si esce per strada avendo già in mente un progetto,

semmai avviene il contrario, ovvero ci si può servire di

immagini scattate in contesti diversi ma con caratteristiche comuni

per costruire dei racconti visivi. Chi fotografa per strada

ha un modo diverso di osservare le cose, di selezionare ciò che

lo emoziona e di escludere invece ciò che lo lascia indifferente.

Quello che conta è avere uno sguardo agile, dinamico, pronto a

catturare con immediatezza un soggetto interessante.

Come formatore, cosa ritieni fondamentale trasmettere ai

tuoi allievi?

Quando insegno mi rifaccio ai principi della street photography

perché abitua chi la pratica a cambiare velocemente

punto di vista a seconda della situazione in cui si trova.

Cerco di far capire ai miei allievi che per crescere e migliorare

occorrono applicazione e costanza prima di arrivare a svi-

FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK

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EOLO PERFIDO


Tokyo

luppare un proprio metodo. Inoltre, spiego loro l’importanza

degli aspetti tecnici e della previsualizzazione del processo

fotografico per prepararli all’inaspettato.

Le campagne pubblicitarie ti permettono di esprimerti liberamente

oppure no?

Quando lavoro per il mercato pubblicitario non sono totalmente

libero di esprimermi perché ci sono dei paletti molto

ferrei da rispettare per rispondere alle richieste dell’agenzia

che ha commissionato la campagna. In queste occasioni lavoro

con il mio staff perché sono necessari numerosi professionisti

ed assistenti. Qui entra in gioco la mia capacità

artigianale di costruire il contenuto, spesso superando difficoltà

come quelle dovute ad un budget basso.

Cosa hai imparato da maestri come Steve McCurry, Elliott

Erwitt ed altri mostri sacri incontrati durante la tua vita?

Sono state esperienze straordinarie grazie alle quali ho potuto

collaborare a progetti importanti come il calendario Pirelli,

il calendario Lavazza e a molti altri assignment in giro per il

mondo. È stato un modo per acquisire le competenze necessarie

anche a superare le tante difficoltà che possono presentarsi

in questo lavoro. Ancora oggi mi capita di collaborare

con McCurry, ci vogliamo bene e ci stimiamo; la sua energia

e la sua passione lasciano davvero senza fiato.

Clownville

Com’è nato il progetto Clownville?

È nato più di dieci anni fa come un progetto personale e nel

tempo è diventato qualcosa di importante. Il clown è una maschera

come quella del super eroe ma può essere utilizzata

anche per nascondersi. Attraverso la maschera l’uomo fa

emergere i lati più oscuri della propria personalità, quelli più

animaleschi, le follie e le contraddizioni. Il punto quindi è riflettere

sui meccanismi di camuffamento dell’individuo e su

ciò che invece lo rende libero. È un progetto che ho deciso di

lasciare aperto per aggiungere sempre nuovi scatti vista la

densità del tema affrontato.

Secondo te la fotografia va spiegata oppure deve essere di

immediata comprensione?

Ci sono immagini che ti arrivano come un pugno allo stomaco

perché veicolano un tipo di messaggio che necessita di

quel linguaggio, altre invece hanno bisogno di essere raccontate

per stimolare in chi le guarda un approfondimento. Non

è detto che la visione istintiva ti restituisca qualcosa, talvolta

occorre il mistero delle fotografie che non capisci. Se fosse

sempre immediatamente comprensibile, la fotografia sarebbe

già morta, mentre invece a volte c’è bisogno di sentirsi

un passo indietro rispetto all’immagine che si ha davanti. È

anche questo che rende la fotografia un linguaggio capace

sempre di rinnovarsi.

EOLO PERFIDO

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Leda Giannoni

pittrice

Madonna dell’uva (2021), olio su tela, cm 80x90

ledagiannoni@gmail.com


A cura di

Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli

Spunti di critica

fotografica

Robert Demachy

Un maestro della fotografia

pittorialista di fine Ottocento

di Nicola Crisci / foto Robert Demachy

Nato nel 1859 a Saint-Germain-en-Laye vicino Parigi

da una ricca famiglia di banchieri, Robert Demachy

riceve un’eccellente istruzione alla scuola dei

gesuiti. Da metà degli anni Settanta si dedica alla fotografia

pur non avendo mai lavorato come professionista. Nel 1882

diventa membro della Société Française de Photographie e

si avvicina al movimento pittorialista internazionale incontrando

i principali fotografi europei dell’epoca. In questi anni

promuove un tipo di fotografia che evoca apertamente disegno

e pittura e che per questo viene definita “pittorialista”,

trattandosi di fotografie che imitano le opere dipinte. Alcuni

epigrammi spiegano bene il suo modo di vedere la fotografia

come arte: «Dobbiamo far uscire la fotografia dalla

sua essenza puramente descrittiva, per renderla non un’arte

di imitazione, ma al contrario un’arte dell’interpretazione».

E ancora: «Un’opera d’arte deve essere una trascrizione,

non una copia, della natura. In altre parole, non c’è una particella

d’arte nella più bella scena della natura. L’arte è solo

dell’uomo, non è soggetta a scopi oggettivi; arte è solo

quando viene fatta, sviluppata e manipolata dall’uomo». Demachy

aveva già esposto numerose volte quando nel 1892

alcune sue fotografie vengono presentate al Palais de Beaux-Arts

di Parigi. Nei successivi venti anni, il suo lavoro viene

incluso in mostre ad Amsterdam, Berlino, Boston, Londra,

Bruxelles, Firenze, Amburgo, Leeds, New York, Filadelfia, Rochester,

St. Louis e Vienna. Nel 1904 tiene una personale a

Londra alla Royal Photographic Society (della quale diventa

in seguito membro onorario) e nello stesso anno alcune sue

fotografie sono pubblicate sulla famosa rivista Camera Work

di Alfred Stieglitz a New York. Dall’inizio del 1914, senza dare

spiegazioni, Demachy abbandona la macchina fotografica

rifiutandosi persino di immortalare i propri nipoti. Ciononostante,

per tutto il resto della sua vita continua ad inviare immagini

nell’ambito di saloni fotografici. Le ragioni di questo

suo cambiamento rimangono

tuttora sconosciute; l’unica cosa

certa è che questa sua decisione

coincide con l’inizio della

prima guerra mondiale in Europa.

Muore di arteriosclerosi a

Hennequeville, in Normandia, il

29 dicembre del 1936. Poco prima

della morte distrugge gran

parte dei suoi scatti e dona le

fotografie rimanenti alla Royal

Photographic Society e al Photo-Club

di Parigi.

Figura tragica (1899)

Toucques Valley (1906)

Velocità (1904)

ROBERT DEMACHY

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Arte

Incontri

A cura di

Viktoria Charkina

Francesco Nesi

Colori vivaci e paesaggi senza tempo nelle opere del “fantastico toscano”

di Viktoria Charkina

Nei tuoi quadri spesso incontriamo ritratti gli stessi

personaggi immersi nei paesaggi toscani. Chi sono

queste persone e qual è il ruolo della Toscana

nella tua pittura?

I personaggi da me ritratti provengono dalla mia fantasia e rappresentano

uomini comuni. La Toscana è la mia regione preferita,

non solo perché sono nato qui, a San Casciano Val di Pesa,

ma anche perché la considero una regione veramente completa.

La Toscana, fra i borghi, la montagna e il mare, ci regala dei bellissimi

paesaggi che poi appaiono nei miei quadri. Ovviamente,

vengono elaborati e scomposti, ma nonostante ciò nelle mie tele

si possono sempre riconoscere città come Firenze, Siena o Pisa,

con diversi elementi architettonici e naturalistici da cui traggo

ispirazione ogni giorno. Infatti, la natura è uno dei principali elementi

della mia pittura, insieme all’amore e all’amicizia. Attribuisco

molta importanza ai valori etici e alla necessità di restare

umani sempre e ovunque. Ciò viene espresso e sottolineato nei

miei quadri, anche se in maniera non diretta, ma scherzosa e ironica.

Il mezzo per suscitare le riflessioni nelle menti delle persone

e per unire gli esseri umani per me diventa il colore. Tramite

pennellate di colori vivaci e accesi cerco di sottolineare l’importanza

del rispetto, della comprensione e dell’amore verso il prossimo,

ma anche verso la natura, in quanto tengo molto anche

alla cura del nostro pianeta.

Ci sono artisti che hanno influenzato il tuo linguaggio?

Sicuramente il lavoro di Van Gogh mi ha ispirato per le ricerche

sull’uso del colore. Altri artisti che stimo particolarmente

Francesco Nesi

sono Vasilij Kandinskij e Egon Schiele. Ovviamente, sul panorama

nazionale nutrivo rapporti di stima e di amicizia con il

gruppo dei “Fantastici toscani”, ricordando il modo in cui il

Voglia di abbracci (2020-2022), acrilico su tavola, cm 60x120 Coccoliamoci (2020-2022),

acrilico su tavola, cm 50x40

12

FRANCESCO NESI


Vanità (2020-2022), acrilico

su tavola, cm 40x30

critico d’arte Tommaso Paloscia ha definito me ed altri artisti

tra cui Maranghi, Possenti, Alinari, Ghelli e Facchini. Nonostante

ognuno di noi abbia preso e sviluppato un percorso

artistico personale e indipendente, abbiamo condiviso, con

Ghelli, Possenti e Maranghi in particolare, diversi scambi culturali

durante le cene e le lunghe chiacchierate.

Aver studiato pianoforte ha influito sul tuo percorso?

Il mio percorso musicale ha influito molto sulla mia visione

artistica. Anche se l’ho abbandonato all’età di 12 anni, mi è

rimasto l’amore per la musica classica, soprattutto per il lavoro

di Mozart e Beethoven. Nei miei quadri c’è spesso la

musica e i musicisti, come anche nelle mie mostre. Invito volentieri

dei pianisti alle mie esposizioni, ma anche ballerine e

poetesse. Amo rapportarmi con l’arte totale tramite mostre

interdisciplinari e interattive in cui mi piace suscitare riflessioni

sull’essenza dell’arte, costruendo anche nuovi rapporti,

amicizie e scambi culturali, in quanto l’arte deve essere aperta

a tutti. Ricordo che in una delle mostre a cui ho preso parte,

il compositore Lorenzo Pescini aveva composto dei brani

facendo riferimento ai quadri esposti. Trovo gli sviluppi artistici

di questo tipo molto stimolanti.

Parole d’amore (2020-2022), acrilico su tavola, cm 40x80

nostra personalità. Nei miei quadri la luna è sempre crescente,

quindi positiva e volta a simboleggiare la speranza in un

mondo migliore.

Come mai hai fatto un percorso da autodidatta?

Purtroppo i miei genitori mi imposero di fare il liceo scientifico,

nonostante l’indicazione dei professori fosse per un indirizzo

artistico, dal momento che avevo sempre dimostrato

una spiccata mano per il disegno e il colore. Dopo il liceo ho

proseguito con l’università, non abbandonando mai il disegno.

Nel frattempo, non a caso, incontravo sempre pittori o

parenti di pittori, e da loro rubavo con gli occhi. Ho iniziato

con l’acquerello fino a raggiungere una tecnica personale che

poi ho proseguito e sviluppato con l’olio e l’acrilico.

Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi di raggiungere tramite

la pittura?

La mia arte è l’espressione e il resoconto del mio vissuto. È il

modo migliore per esprimermi e per comunicare con il mondo

esterno. Nei miei quadri è presente un filo rosso sulla luna

che si estende da un lato dell’opera all’altro senza mai essere

interrotto, non vediamo mai il suo inizio o la fine, è infinito. È

un filo che prosegue in altre opere, sottolineando come ogni

momento e ogni giornata siano i componenti che poi creano

la nostra vita o, in termini pittorici, l’opera totale. La luna invece

rappresenta l’elemento femminile e il lato intimo della

Sorvolando...(2020-2022), acrilico su tavola, cm 70x70

FRANCESCO NESI

13


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Grazia Santarpia

L’anima musicale della materia

di Daniela Pronestì

La geometria delle forme è musica solidificata».

Questa frase attribuita a Pitagora sottolinea il legame

tra suono e materia o per meglio dire tra vi-

«brazione energetica e forme solide. Procedendo dalla filosofia

antica alla scienza moderna, questo concetto mette in relazione

il mondo invisibile dell’energia con il mondo visibile della

realtà oggettiva, il suono della creazione – l’OM o AUM della

cosmogonia induista e il Logos o Verbo della Bibbia cristiana –

con le forme della natura, in un passaggio che avviene non solo

dall’incorporeo al concreto ma viceversa anche dalle cose tangibili

all’immateriale. In altre parole, così come ogni vibrazione

corrisponde ad una forma allo stesso modo ogni forma corrisponde

ad una vibrazione. Le sculture/installazioni di Grazia

Santarpia traducono questo assioma in una composizione di

elementi che, vibrando ad ogni movimento d’aria dovuto al passaggio

o al tocco del fruitore oppure alle condizioni ambientali,

generano un suono “primordiale”, una specie di voce dell’energia

che pervade di sé qualunque forma animata e inanimata, la

materia così come lo spazio vuoto, il corpo così come il respiro

che lo rende vivo. Stando sempre alla tradizione pitagorica, l’universo

è un’immensa sinfonia che risuona, dai corpi celesti al

mondo terreno, generando un accordo armonico di suoni: un’a-

Partenope Sibila: dettaglio dei riflessi generati dalle superfici ricoperte con pellicola

dicroica

Partenope Sibila (2021), alluminio e pellicola dicroica, cm 80x80x3

14

GRAZIA SANTARPIA


Apnea (2020), ferro, plexiglass e pellicola dicroica, cm 100x100x2,5

nima musicale che accomuna uomo, natura, oggetti, come il

soffio vitale all’origine di ogni cosa. Le opere in questione risvegliano

quest’anima musicale non solo coinvolgendo in prima

persona l’osservatore, che interagendo con esse ne completa il

senso, ma anche rendendo sensorialmente percepibili – alla vista

quanto all’udito – i rapporti dell’opera con lo spazio circostante,

con l’aria intorno, con la luce che colpisce le superfici.

Si può parlare infatti di installazioni ambientali pensate per far

“respirare” il corpo dell’opera, renderlo vivo, dinamico, mutevole,

proprio grazie alla relazione che questo instaura con il luogo

nel quale si colloca. Del resto, all’origine di questi lavori si

pone la necessità dell’artista di superare la fissità del supporto

pittorico trasponendo le forme dipinte in assemblaggi di materiali

leggeri – soprattutto lamiere in ferro o in alluminio – che

facilmente si muovono ad ogni minima variazione delle correnti

d’aria. La definizione di “pannelli sonori”, pur essendo di fatto

composizioni prive di una superficie a supporto, si riferisce

alla dimensione della tela qui richiamata dalla cornice, la quale

se da un lato sostiene gli elementi dell’opera, dall’altro lato inquadra

e delimita il campo visivo. Tuttavia, rispetto ad una tela

tradizionale, in questo caso a fare da sfondo è lo spazio dietro

e intorno alle forme, la parete bianca, altri oggetti oppure altre

opere, ad indicare appunto la vitalità di un corpo che dialoga

con tutto ciò che lo circonda: aria, luce, materia. Corpo che

vibrando genera non soltanto suoni ma anche riflessi cromatici

che, emessi dalle superfici prima dipinte e poi rivestite di pellicola

dicroica, si propagano dall’opera nello spazio circostante:

in questo modo il colore torna ad essere energia, presenza immateriale

che attraversa l’aria, intercetta la luce, avvolge la materia.

L’obiettivo è di nuovo stabilire una connessione profonda

– non solo fisica ma anche di significato – tra l’oggetto artistico

e il luogo, inserendo in questo dialogo a due anche l’elemento

umano, quale fattore che serve ad integrare l’insieme collegando

tra loro – prima sul piano percettivo e poi su quello mentale

– la materia tangibile dell’opera con la sua anima energetica.

Se è vero che materia ed energia sono facce della stessa medaglia

e che in virtù di questo principio ogni cosa costantemente

cambia dentro e fuori di noi, allora è inevitabile che anche l’opera

d’arte risponda a questa legge universale, ponendosi come

tramite – ed è quello che avviene nelle creazioni di Grazia Santarpia

– tra il conosciuto e l’inconoscibile, tra ciò che esperiamo

attraverso i sensi e il mistero delle forze che ci governano.

www.graziasantarpia.com

Pannello sonoro (2020), ferro saldato e battuto, cm 160x210x5

GRAZIA SANTARPIA

15


Spazio alle

opinioni

Il femminicidio

Una triste realtà dalla lunga storia

di Moravio Martini / foto Duané Viljoen

Il femminicidio è nato molti, ma molti anni fa. Storicamente

l’anno cinquantatreesimo dopo Cristo, quando

San Paolo ad Efeso (città storica della Turchia) scrisse

le Lettere ai Corinzi. In tali lettere si trova scritto che:

«L’uomo non deriva da una donna, ma la donna dall’uomo;

né l’uomo non fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo.

In particolare, l’uomo non deve coprirsi, ma la donna

deve coprirsi il capo in segno della sua dipendenza.

Di conseguenza le donne nelle assemblee tacciano e siano

sottomesse: se vogliono imparare qualcosa, interroghino

i loro mariti». Che si dica che la donna è nata dalla

costola di Adamo, risulta una grande bugia, infatti è dimostrato

che all’uomo non manca nessuna costola. Succes-

sivamente, lo stesso Paolo, aggiunge: «Chi non è sposato

si preoccupa delle cose del Signore; chi è sposato delle

cose del mondo». Da questo deriva il celibato dei sacerdoti

nonché l’origine del maschilismo. Di contro la Chiesa,

per addolcire questa pillola, eleva la Madonna a quarta

persona divina nel segno della croce tutto maschile. Dunque

il maschilismo è una struttura di matrice patriarcale.

Da sempre è stata accettata la superiorità dell’uomo sulla

donna considerandola non intelligente, inferiore. La donna

è sottoposta ad una schiavitù che, sancita dall’uomo

nel tempo, può portarla anche alla morte. Tale situazione

ha avuto, addirittura, il placet giuridico, che condanna le

donne colpevoli di adulterio e assolve quello degli uomini.

16

IL FEMMINICIDIO


La sopraffazione maschile delle donne – compagne, mogli,

casalinghe – porta a sevizie e morte ancora oggi, per

motivi gravi ma anche futili, ad opera dell’uomo per così

dire “civile”. In Italia, nel 2018, ci sono state 142 vittime

e 94 nel 2019 (un lieve calo, ma poco significativo visto

che stiamo parlando comunque di una donna uccisa ogni

tre giorni). Il 78% di queste morti avviene in casa; protagonisti

compagni, ex partner, mariti. La loro giustificazione

si appella a falsi motivi come la fine dell’amore o una

grande gelosia. Fortunatamente, oggi, si stanno prendendo

iniziative da parte di molte istituzioni per combattere il

femminicidio attraverso la scuola, l’educazione e la stampa.

La Chiesa non è allineata e non concede alla donna di

officiare la messa. L’attuale situazione sociale della pandemia

che ci ha chiusi in casa, ha intensificato i femminicidi

da parte dei mariti alterati per la reclusione casalinga.

Uccidono, oltre la donna, anche i loro figli attribuendo a lei

la colpa. Il concorso del delitto d’onore rappresenta, quasi

sempre, motivo giuridico di assoluzione. Inoltre non sono

esclusi motivi di dote non assolta. In alcuni paesi stranieri

lo sposo ha diritto di uccidere la sposa. Per tale motivo,

in tali paesi, si uccide la bambina appena nata considerandola

una grande sfortuna. Varie religioni protestanti del

nord Europa, vedi i Testimoni di Geova, permettono il matrimonio

ai loro preti e la relativa natalità dei figli. Contrariamente

alla Chiesa cattolica, vigente in Italia da sempre

(a mio parere, sfortunatamente) e connivente con il potere

politico per la propria sopravvivenza, fin dall’inizio, con il

sacrificio di Gesù. Si veda a proposito l’uccisione di Opazia,

grande matematica ed inventrice che, già con il cristianesimo

imperante (era legge di Stato), fu fatta scorticare

con conchiglie affilate da parte dell’allora pontefice. L’effetto

dei successi operati dalle donne, che da tempo hanno

intrapreso la lotta per la parità con gli uomini, stimola

la ricerca di una totale affermazione di libertà, ben augurante

per un futuro speriamo prossimo.

IL FEMMINICIDIO

17


PREMIO LETTERARIO

CITTÀ DI CASTELLO

XVI edizione 2022 Scadenza: 30 giugno 2022

RISERVATO A OPERE INEDITE DI POESIA – NARRATIVA – SAGGISTICA

Giuria: Alessandro Quasimodo (presidente), Attore e regista teatrale

Osvaldo Bevilacqua, Giornalista e conduttore di programmi TV – Maria Borio, Poetessa e ricercatrice

Giulio Ferroni, Scrittore e linguista – Anna Kanakis, Attrice e scrittrice – Daniela Lombardi, Giornalista

Mauro Macale, Vicepresidente Federazione Italiana Associazioni e Club per l’Unesco

Mariangela Mandia, Creative management – Alessandro Masi, Segretario Generale Società Dante Alighieri

Luciano Monti, Docente LUISS e scrittore – , Ambasciatore d’Italia

Antonio Padellaro, Giornalista e scrittore – Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente Fondazione UniVerde

Benedetta Rinaldi, Giornalista e conduttrice programmi RAI – Marinella Rocca Longo, Docente e scrittrice

, Docente LUISS e scrittore – Pier Luigi Vercesi, Giornalista e scrittore

Giovanni Zavarella, Giornalista e critico letterario

Informazioni e bando sul sito www.premioletterariocdc.it

Facebook Premio letterario ‘Città di Castello’

Organizzazione:

In collaborazione con:

Con il patrocinio di:

Provincia

di Perugia

Comune di

Città di Castello

Sponsor principali:


I libri del

mese

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Gli amici di Brusuglio

Un Manzoni inedito e sorprendente nel

primo romanzo di Isabella Becherucci

testo E, SE e LA foto VECCHIA di Elisabetta GENERAZIONE GLI Mereu PARLAVA

DI UN MONDO CHE NON C’ ERA PIÙ, LA NUOVA,

ORA VICINA NON SOLO IN EFFIGIE,

Tutti abbiamo studiato le opere dello scrittore Alessandro

Manzoni, considerato il padre della lingua italiana

GLI DAVA LA FORZA PER ANDARE AVANTI.

moderna, ma nessuno mai prima d’ora ci aveva raccontato

chi fosse la persona dietro al personaggio famoso,

l’uomo Manzoni con tutte le sue debolezze, incertezze, fragilità

e anche forti pulsioni passionali. Lo ha fatto la professoressa

Isabella Becherucci, docente dell’Università Europea di

Roma e membro del Consiglio Scientifico del Centro Nazionale

Studi Manzoniani, con il suo primo romanzo Gli amici di Brusuglio

(Giulio Perrone Editore) uscito pochi mesi fa. Dire che

questo è un libro davvero da non perdere non è la solita frase

di rito, perché credo che se a scuola ci avessero fatto conoscere

così la storia e la letteratura sicuramente ci saremmo

appassionati di più a queste materie. Attraverso il racconto

FIAMME

della docente fiorentina conosciamo la quotidianità di Manzoni

e anche la sua modernità, in cui tanti giovani potranno

rispecchiarsi. Come molti adolescenti di oggi – seppure con

motivazioni ben diverse – Alessandro aveva molte insicurezze,

forse anche a causa di una spiccata balbuzie, nonché frequenti

intemperanze e ribellioni giovanili. Inoltre, nel corso

della sua vita, l’autore di tanti capolavori fu spesso soggetto

a stati di depressione e nevrosi e visse un conflitto generazionale

con la figura paterna, complicato dal fatto di essere figlio

illegittimo. Era infatti il frutto di una relazione extraconiugale

della madre Giulia Beccaria, donna di grande carisma, che

influenzerà molto tutte le scelte della sua vita. Che la Becherucci

fosse una professoressa fuori dagli schemi l’ho capito –

prima ancora di aver letto il libro – quando ci siamo incontrate

per l’intervista, alla quale è arrivata a bordo di un grosso scooter,

abbigliata da centauro provetto. Ma la conferma della sua

singolare e poliedrica personalità, magistralmente espressa

Isabella Becherucci

ISABELLA BECHERUCCI GLI AMICI DI BRUSUGLIO

ISABELLA BECHERUCCI

GLI AMICI

DI BRUSUGLIO

nella scrittura, è arrivata fin dalle prime pagine del suo romanzo.

Partendo da un escamotage che conferisce al racconto

la suspense di un giallo, l’autrice con grande abilità linguistica

tesse una trama avvincente – che si svelerà solo nelle ultime

pagine – sviluppandola su diversi piani narrativi, in cui si

intrecciano costantemente, in perfetto equilibrio, precisi fatti

e connotazioni storico/geografiche e pennellate romanzesche.

Isabella Becherucci con uno stile molto coinvolgente e

descrittivo degli usi e dei costumi dell’epoca fin nei più piccoli

Docente di Letteratura Italiana all’Università

Europea di Roma, Isabella Becherucci

è membro del Centro Studi

Manzoniani e referente dell’Archivio privato di

Manzoni nella villa di Brusuglio. Condirettore

della rivista di letteratura italiana Per leggere

- I generi della letteratura, nonché collaboratrice

della Rivista di studi manzoniani, le sue

pubblicazioni scientifiche spaziano dal Rinascimento

all’età moderna, con particolare

attenzione al Risorgimento e all’opera di Alessandro

Manzoni, sempre affrontata con le armi

della filologia e della ricostruzione storica.

dettagli, cattura l’attenzione del

lettore centellinando con grande

capacità narrativa le sue carte,

calibrando bene il momento

giusto per “estrarre il coniglio“

da uno dei cilindri rappresentati

sulla copertina e sciogliere

finalmente i nodi dell’enigma

misterioso descritto nelle prime

pagine. A voi il piacere di scoprirlo

da soli, come hanno già

fatto centinaia di lettori italiani

che, non a caso, stanno elogiando

questo romanzo.

isabella.becherucci

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ISABELLA BECHERUCCI

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Dimensione

salute

A cura di

Stefano Grifoni

Lenticchie

Un toccasana per la salute cardiovascolare

di Stefano Grifoni

Le lenticchie sono un alimento nutriente e tra i più

sani. Delle lenticchie se ne parla nella Bibbia e si

hanno ricette, minestre, zuppe e insalate che risalgono

a secoli fa. Sono ricche di proteine più di cereali,

frutta e verdura, di fibre e di antiossidanti, facilitano

il transito intestinale e rallentano l’assorbimento dei carboidrati

evitando picchi glicemici. Sostituire con le lenticchie

il riso, riduce la glicemia del 20% e con le patate del

35%. Per questo motivo il loro consumo è associato a

minor rischio di malattie cardiovascolari, diabete, obesità

e cancro. Sono ricche anche di polifenoli, la cui assunzione

sembra ridurre il tasso di mortalità per malattie

cardiovascolari. Alle lenticchie sono attribuite proprietà

galattofore e quindi particolarmente indicate nella dieta

delle mamme che allattano i bambini perché sembrano stimolare

la produzione di latte e mantenerla costante nel

tempo. Sono particolarmente indicate negli stati di affaticamento

fisico e mentale.

Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso

dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi

e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale

della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione

per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico

dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.

20

LENTICCHIE


A cura di

Emanuela Muriana

Psicologia

oggi

Il coraggio di coltivare

la speranza

di Emanuela Muriana

La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il

coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio

per cambiarle». Questo aforisma attribuito

«a Sant’Agostino mette in luce le due dimensioni della speranza.

Il primo è lo sdegno, un sentimento di risentimento misto

talvolta a disprezzo che insorge verso persone o cose da cui

si sente gravemente offeso il proprio senso morale. Lo sdegno

è una condizione di distacco che permette, se ben utilizzata,

di prendere le misure da situazioni e persone dopo aver

vissuto la delusione o la sorpresa negativa. Da qui il coraggio

di scegliere, agire, la speranza di cambiare. Chi invece cede

spesso allo sdegno, guardando dall’alto della propria morale

le miserie degli altri e del mondo, rischia un’inevitabile solitudine.

Un pessimo modo per valorizzare se stesso! Vivere

con intransigenza, ritenendosi persone rette, corrette e capaci,

rischia di trasformare i propri valori in una gabbia mentale;

avere poco successo nella vita, rinunciare spesso a tante opportunità

per salvaguardare l’alta idea di sé. L’evoluzione può

essere una dimensione depressiva caratterizzata da aspetta-

tive sfavorevoli, un modo di parlare connotato da biasimo, risentimento

e pensieri aggressivi. L’ortodossia è non mettere

in dubbio le proprie convinzioni, proprio perché partono da posizioni

ineccepibili, che tutti dovrebbero avere... Il coraggio è

stato considerato una delle principali virtù umane fin dai tempi

del filosofo Aristotele. È un atteggiamento positivo con cui

si tende ad affrontare una situazione di pericolo o uno scopo

difficoltoso da raggiungere. Il coraggio di cambiare, il coraggio

di osare, il coraggio di fare delle scelte, il coraggio di

andare avanti, il coraggio di amare… Non si nasce coraggiosi,

lo si diventa dopo aver affrontato le inevitabili paure della

vita. Quando la paura invece prevale, si evita di affrontare,

si chiede costantemente aiuto e alla fine si rinuncia. L’esito

è una vita povera, fatta di confini mentali invalicabili, fino a

sviluppare sintomi di ansia, panico e rimpianti. L’eccesso di

sdegno così come la mancanza di coraggio spengono la speranza

e la fiducia nel futuro che funzionano da difesa contro

le conseguenze patologiche delle frustrazioni. «Non c’è speranza

senza paura né paura senza speranza» diceva Spinoza.

Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve

Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.

È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso

le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato

tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.

È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.

Studio di Terapia Breve Strategica

Viale Mazzini 16, Firenze

+ 39 055 242642 - 574344

emanuela.muriana@virgilio.it

LA SPERANZA

21


LUNEDÌ 4 APRILE

Fabrizio Borghini

debutterà con la rubrica

ARTE INCONTRI

sull’emittente

ITALIA SETTE

canale digitale terrestre 17

La trasmissione andrà in onda tutte le sere dalle 20.55 (al termine del

Telegiornale) alle 21.10 e la domenica dalle 20.25 (dopo il TG) alle 20.40


A cura di

Silvia Ciani

I consigli del

nutrizionista

A casa come al ristorante con le ricette dei nonni

di Silvia Ciani

Tra le conseguenze della pandemia c’è stata anche

un’impennata del cosiddetto “food delivery”, cibo da

asporto su ordinazione, spesso dell’ultimo minuto,

consegnato a casa o sul luogo di lavoro. Molti sono i ristoranti

che hanno potuto continuare a lavorare grazie alla consegna

domiciliare. Nonostante le attuali minori restrizioni

per accedere ai ristoranti, questo fenomeno non si è arrestato,

anzi sembra procedere grazie anche al continuo sviluppo

delle innovazioni tecnologiche (app digitali, nuovi metodi

di produzione, conservazione e distribuzione). Esistono infatti

diverse realtà in questo settore, una di queste è la neonata

azienda familiare Anna e Luigi, le cui ricette toscane

casalinghe, tramandate prima ai figli e poi ai nipoti, si sono

mantenute nel tempo essendo da sempre apprezzate nella

ristorazione fiorentina. Grazie infatti ai nuovi processi tecnologici

di produzione e conservazione dei cibi, la classicità

dei piatti viene esaltata, mantenendo intatti i sapori della

cucina di una volta. Il metodo di offerta si è evoluto in modalità

più moderne e fruibili: i piatti sono presentati in monoporzione

o per catering, facili da conservare in frigorifero e

rigenerare nel microonde, nel forno tradizionale o in padella.

Il tutto prediligendo un menù che segue l’alternarsi delle stagioni,

la disponibilità dei prodotti del territorio e che ricorda

realmente gli antichi sapori della tavola delle nostre nonne,

nel rispetto della qualità nutrizionale grazie ad ingredienti

naturali e ai principi della

cucina sana. Il nostro stile

di vita, sempre più frenetico

e con minor tempo

da dedicare alla preparazione

dei cibi, porta

inevitabilmente a scelte

alimentari immediate e

veloci. Con i menù di Anna

e Luigi è possibile invece

gustare una pausa

pranzo buona e salutare

come a casa, ordinando

sul loro sito e ricevendo

le pietanze tramite il delivery

o le box. Un modo

per mantenere vive le tradizioni

culinarie toscane

e per variare la propria

alimentazione con prodotti

sani e gustosi.

Per ordini o prenotazioni:

www.annaeluigi.net

+ 39 3534302884

Lorenzo Casini, chef e nipote di Anna e Luigi

Alcune specialità di Anna e Luigi: pici al ragù di anatra

Ribollita toscana con pane cotto a legna

Biologa Nutrizionista e specialista in

Scienza dell’alimentazione, si occupa

di prevenzione e cura del sovrappeso

e dell’obesità in adulti e bambini attraverso

l’educazione al corretto comportamento alimentare,

la Dieta Mediterranea, l’attuazione di

percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo

e personal trainer.

Studi e contatti:

artEnutrizione - Via Leopoldo Pellas

14 d - Firenze / + 39 339 7183595

Blue Clinic - Via Guglielmo Giusiani 4 -

Bagno a Ripoli (FI) / + 39 055 6510678

Istituto Medico Toscano - Via Eugenio

Barsanti 24 - Prato / + 39 0574 548911

www.nutrizionistafirenze.com

silvia_ciani@hotmail.com

LE RICETTE DEI NONNI

23


I giganti

dell’arte

Il Trasporto di Cristo al Sepolcro

Il capolavoro manierista del Pontormo

di Matteo Pierozzi

Talvolta erroneamente definito Deposizione, il Trasporto

di Cristo al Sepolcro è considerato dagli storici uno dei

dipinti più importanti della storia dell’arte e un capolavoro

della pittura manierista. Fu dipinto all’età di circa trent’anni da

Jacopo Carucci da Pontormo. L’artista nasce a Pontormo, una

frazione di Empoli, nel 1494. Si forma nelle migliori botteghe fiorentine,

prima da Leonardo, poi da Piero di Cosimo ed Albertinelli,

e lavora per Andrea del Sarto insieme

al Rosso Fiorentino. Artista emblematico

del Manierismo e con un carattere misantropo

e scontroso, nel 1523 si rifugia dalla

peste alla Certosa del Galluzzo. Una volta

rientrato a Firenze, tra il1528 ed il 1530

affresca la Cappella Capponi della chiesa

di Santa Felicita con splendide opere

tra cui l’innovativo Trasporto di Cristo

al Sepolcro. In questo capolavoro la croce

scompare; gli abiti dai colori cangianti

appaiono eterei, quasi volassero. Una

composizione conica che trova il vertice

in Maria, in una visione quasi onirica che guarda sì a Michelangelo,

ma che perde la drammaticità della deposizione evocando

quasi una resurrezione. Questo avviene attraverso una luminosità

surreale irradiata dalle figure. In quest’opera l’espressione

del Manierismo trova il suo apice rappresentando non ciò che

appare ma quello che viene idealizzato ad un livello puramente

spirituale.

Jacopo da Pontormo, Trasporto di Cristo al Sepolcro (1526-1528), tempera ad uovo su tavola, Chiesa di Santa Felicita, Firenze

24

IL TRASPORTO DI CRISTO AL SEPOLCRO


A cura di

Maria Concetta Guaglianone

PsicHeArt

Dall’arte una riflessione sull’orrore della guerra

di Maria Concetta Guaglianone

Era una giornata di inverno quando

il sole giallo che brillava nell’azzurro

cielo si incupì e gridò. Pezzi di

vetro cadevan sulla terra trafiggendo cuori,

demolendo luoghi. Calò il gelo e si aprì il

sipario di un atto osceno. E il re potere iniziò

il suo racconto... La nostra quotidianità

è ormai colma di immagini che narrano di

due popoli non molto distanti da noi. Queste

stesse immagini hanno riportato alla

mia memoria un ricordo: l’incontro di qualche

anno fa con una delle opere d’arte di

Picasso al Museo Nacional Centro de Arte

Reina Sofia di Madrid, sua maestà Guernica.

Sono arrivata in quella sala in punta di piedi, con passo silenzioso

per non disturbare cotanta bellezza. Passo dopo passo

si accorciava la distanza tra me e quella immensità. Immensa

per la sua imponente grandezza, immensa per il potere evocativo.

Tutto contribuiva ad una drammatica narrazione: le figure

deformate e taglienti, la scelta simbolica dei personaggi, le soluzioni

cromatiche che prediligono il bianco e nero e le gradazioni

di grigio in assenza di altri colori. Sono stata immobile non

so per quanto tempo a respirare le emozioni che giungevano da

ogni singola trama di quella tela, da ogni singola pennellata. Il

mio sguardo, da destra verso sinistra, percorreva un susseguirsi

di immagini in un silenzioso rispetto, quasi ad inchinare il capo,

a chiedere il permesso per entrare con delicatezza nella storia

di quel popolo e nel vissuto del pittore. Una donna ferita con le

braccia al cielo, le case in fiamme, un viso e una testa spettrale

con in mano una lampada ad olio e in basso una donna svestita.

Al centro un cavallo nitrisce terrorizzato e calpesta il corpo di un

soldato che stringe in una mano una lama spezzata da cui sembra

nascere un fiore, quasi a simboleggiare il desiderio di rinascita.

Sul lato sinistro, in alto, una lampadina, la speranza di una luce

nel buio, e una colomba, quasi impercettibile e invisibile, simbolo

di una pace ormai offuscata, ferita, persa. Da una parte il toro,

simbolo spagnolo e animale sacrificato nelle arene, dall’altra il

grido di una madre, che rivolge lo sguardo al cielo stringendo tra

le braccia il proprio figlio, come in una natività straziante o piuttosto

una moderna pietà di Michelangelo. Guernica è un manifesto

storico che documenta il potere, il conflitto, la supremazia nel nome

del proprio e unico credo. È un atto di protesta contro l’orrore

Pablo Picasso, Guernica (1937), olio su tela, cm 351x782, Madrid, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía

della guerra. È un viaggio emozionale che richiama un campo di

battaglia del passato catapultato nel tempo presente in cui viene

narrata la storia di un capitale umano in ginocchio: uomini, donne,

bambini e città fantasma. La sofferenza umana è il principale

attore sulla scena. Paura, strazio, terrore, ansia, panico, senso

di impotenza, abbandono, rabbia, profonda tristezza. Una storia

che si ripete, al di là dei luoghi, al di là del tempo, al suono delle

bombe. Una guerra e le facce di una stessa medaglia affissa

sul petto di chi vuol dettare le regole: da un lato il silenzio ingessato

di persone sottomesse alla paura e al potere, dall’altro il coraggio

di persone che resistono con tutta la forza che hanno in

corpo per dar voce ad un inno alla vita, alla libertà, alla riconquista

di un’identità violata da una ennesima lotta che fa tremare

luoghi del nostro mondo, e che ci rende ancor più fragili dopo due

anni difficili dovuti alla pandemia. Accanto ad una guerra e ad un

trauma collettivo, c’è un trauma individuale, una guerra interiore

che ogni persona combatte mettendo in campo le proprie risorse

per far fronte all’immenso dolore per un diritto negato, per aver

perduto affetti e la propria vita, spazzata via da un vento ostile e

violento. E poi c’è il vissuto di colui che guarda, spettatore fisicamente

distante ma emotivamente vicino a quel dolore, sofferente

e preoccupato per le conseguenze. E nei cuori di molti il desiderio,

il bisogno di “essere umani” appartenenti ad un’unica razza,

ad un’unica nazionalità: quella dell’umanità. Tra le tante parole di

guerra e di pace udite in questi giorni mi ha colpito molto la frase

di una donna ucraina. Alla domanda: «Che cos’è per lei la libertà?».

La donna ha risposto: «Vivere la vita in modo semplice, la

vita che vogliamo, quella vita che ci rende felici».

Psicologa specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Psicoumanitas di Pistoia, Maria Concetta

Guaglianone ha frequentato la scuola biennale di Counseling Psicologico presso Obiettivo Psicologia

di Roma, dove ha svolto anche la propria attività professionale collaborando come tutor nel Master di

Psicologia Perinatale. È autrice di numerosi articoli sul portale Benessere 4you - Informazioni e Servizi su Salute e

Benessere Psicologico. Attualmente svolge la propria attività professionale presso Spazio21 - Studi Professionali

di Discipline Bio Naturali e Psicologia (via dei Ciliegi 21 - 50018 Scandicci).

+39 3534071538 / + 39 348 8226351 / mariaconcetta.guaglianone@gmail.com

GUERNICA

25


SPAZIO CTI

Via Vasco De Gama, 49 - Firenze

( zona Firenze Nova, vicino la stazione FS Rifredi)

Corso teatrale per BAMBINI: lunedì dalle 17.15 alle 18.15

Corso teatrale per ADULTI: mercoledì dalle 20.30 alle 23.00

Corso di ILLUMINOTECNICA: giovedì dalle 19.00 alle 21.00


A cura di

Miriana Carradorini e Maria Grazia Dainelli

Grandi mostre

in Italia

Frida Kahlo

A Trieste una mostra sensoriale

per scoprire il mondo della celebre

artista messicana

Testo e foto di Miriana Carradorini

Simbolo femminista e della cultura popolare messicana,

Frida Kahlo è una delle più importanti e celebri artiste

messicane e latinoamericane del Novecento. La sua arte,

nata durante i vari periodi di convalescenza da lei affrontati,

esprime il suo dolore fisico e sentimentale attraverso uno

stile legato alla tradizione popolare. Con i pennelli Frida esprime

il caos interiore che l’accompagna quotidianamente e anche

quello esteriore che negli anni Venti stava affrontando il

Messico attraverso profonde trasformazioni sociali e culturali.

Per comprendere la sua vita e poetica, al Salone degli Incanti

a Trieste è stata allestita la mostra sensoriale Frida Kahlo - Il

caos dentro che, attraverso diverse tipologie espositive, permette

una visita immersiva nella vita della pittrice. Il percorso

espositivo analizza da vicino la vita di Frida Kahlo, trasportando

il visitatore nei luoghi dove ha vissuto l’artista attraverso

la riproduzione fedele delle stanze della Casa Azul a Città del

Messico. La mostra offre anche una visione più esterna sulla

storia della pittrice attraverso gli occhi dei fotografi, dei pittori

e delle persone che l’hanno conosciuta. Fotografie dell’epoca

Gli attrezzi per la pittura utilizzati da Frida

e lettere di Frida mostrano il suo lato più privato e meno noto,

portando alla luce le diverse sensazioni poi espresse nelle sue

opere. L’esperienza diventa ancora più coinvolgente quando il

visitatore si confronta direttamente con gli oggetti dell’artista,

come i busti che doveva portare durante la convalescenza e

i suoi abiti e accessori. Vengono proposti in chiave più moderna

anche altri modelli di vestiti e gioielli che richiamano lo

stile unico di Frida, così da far comprendere la sua importanza

nella contemporaneità e in che modo ha influenzato artisti

più recenti. A sottolineare la sua rilevanza storica, nella mostra

vengono anche presentati una serie di francobolli pubblicati

in diverse nazioni, dedicati negli anni all’artista e alle sue

opere. Alla fine del percorso il visitatore sarà più consapevole

delle motivazioni che hanno guidato Frida nella realizzazione

delle sue opere, potrà soprattutto ripercorrerne la vicenda esistenziale

e, così facendo, comprendere le relazioni e le sensazioni

trasferite dalla grande artista nella sua pittura.

Frida Kahlo / Il caos dentro

Salone degli Incanti – Trieste

12 marzo – 23 luglio 2022

Biglietti acquistabili su:

www.ticketone.it

www.etes.it

Dr. Matteo Berna

Consulente finanziario

338 5647067

matteoberna@mediolanum.it

Alcuni abiti dell’artista esposti in mostra

FRIDA KAHLO

27


VELIO FERRETTI

Surface #270 (2022), juta su legno, cemento, stucco, sabbia e colori vinilici, cm 60x60.

La materia prima di tutto, prima ancora che il colore, il segno, gli effetti

di luce: l’approccio di Velio Ferretti alla pittura non può prescindere

da questo assunto, che lo vede sconfinare dalla tela tradizionalmente

dipinta al bassorilievo ottenuto combinando più elementi.

Daniela Pronestì

Atelier in Via San Bartolomeo, 14 – Pistoia

www.velioferretti.com


I libri del

mese

Gianna Pinotti

Un romanzo per svelare i segreti di Leonardo Pisano

di Erika Bresci

Della vita di Leonardo Pisano (1170-1250 ca.), forse

meglio conosciuto come Fibonacci, figlio del mercante

Guglielmo Bonacci (da qui il soprannome

Fi[lius] Bonacci), si conosce in realtà ben poco. Documentati

sono i suoi numerosi viaggi compiuti alla ricerca della

“fonte del sapere” – dall’Egitto alla Siria, alla Grecia, alla Sicilia.

Documentate anche la sua amicizia con Michele Scoto,

filosofo, astrologo e scienziato, e la stima reciproca tra Leonardo

e l’imperatore Federico II, entrambi aperti alle novità e

ai validi contributi di conoscenza provenienti da quel mondo

arabo nemico giurato in tempi di crociate e rivendicazione

di primato dell’Occidente. Gianna Pinotti, che, saldamente

ancorata a una solida formazione scientifica, nella vita esercita

«l’attività di pittrice nel campo dell’astrazione geometrica

e di ricercatrice nel campo dell’iconologia astrologica»,

muove da questo esile nucleo di informazioni, le fa proprie

e ci ricama sopra – dall’algerina Béjaïa, centro dell’attività

commerciale del padre, fa partire, ad esempio, Leonardo in

un tempo e in un viaggio fantastico, arricchendo il percorso

di traiettorie immaginate, e includendo località quali Alessandria

d’Egitto e Al Kaira, Gerusalemme e Damasco, Hama,

Atene e Siracusa. Con partecipata passione ma anche con

lo scopo didascalico di far conoscere meglio caratteristiche

umane e ricerca scientifica di un uomo tanto affascinante

quanto misterioso, intesse così una biografia romanzata

densa di fascino e traboccante di infiniti spunti di riflessione.

Se ne vogliono qui sottolineare due. Il primo, ovviamente, relativo

alla figura e all’importanza storica di Leonardo Pisano.

Uomo rivoluzionario, mercuriale, «dall’intelligenza mobile [...]

una mente profonda, disposta a sfidare l’insolito attraverso il

paradosso», Fibonacci, che aveva la «tendenza ad annoiarsi

della consuetudine», che spesso si abbandona «a fantasticare

sulle meraviglie presenti in natura», si avvicina al mondo

della matematica indo-araba, ne impara la grammatica nuova,

ne comprende sia il valore pratico, soprattutto in campo

commerciale a lui vicino, sia filosofico ed essenziale, riconosce

nel numero la chiave di volta capace di reggere e farsi interprete

dell’ordine di quel cosmo di cui anche l’uomo è parte,

ponte tra materiale e spirituale. La grande civiltà greco romana

aveva prodotto una numerazione ancora utilizzata ai tempi

di Leonardo ma che non rispondeva più ai nuovi bisogni, al

progredire della conoscenza. La fatica provata dai mercanti

(e non solo) alle prese con il computo sull’abaco, Pinotti, provocatoriamente

e con sorniona saggezza, la fa provare anche

al lettore, aprendo il primo capitolo con la data di inizio di

questa avvincente storia – storia di un uomo ma anche storia

di tutta l’umanità: «Era il XXVIII maggio MCLXXIX», facendola

poi subito seguire dalla rassicurante parentesi «(28 maggio

1179)». Quanto grati, dunque, dobbiamo essere a questo

esuberante studioso pisano, alla sua ostinata intraprendenza,

al suo andare fuori dalle regole imposte, a non rifiutare

una “buona idea” solo perché a offrircela è qualcuno di diverso

da noi! L’altra riflessione. Nell’intrigante racconto di Gianna

Pinotti, Leonardo cerca per tutta la vita la soluzione atta

a completare la costruzione della torre di Pisa, interrotta dopo

il primo cedimento del terreno sottostante. Calcoli, idee,

disegni, progetti che Leonardo condivide con i suoi allievi, ai

quali lascia poi in eredità il compito di portarla a compimento.

E la torre, alla fine, con i suoi tre ordini di scale interne, e i

suoi sei piani più cella campanaria, risplende oggi nell’incredibile

Piazza dei Miracoli, è essa stessa un miracolo. Ecco, la

conoscenza, quando è condivisa, segna i suoi maggiori successi

e progressi, si fa torre che innalza l’uomo a Dio, riesce

a comprendere e applicare il linguaggio dell’universo. L’altra

torre, quella di Babele, che si inventa linguaggi che partono

dalla finitudine umana e parcellizza le forze, disperde i significati,

si incancrenisce ostile nella propria arroganza è invece

miseramente destinata alla polvere e all’oblio, perché, come

sostiene Sant’Agostino, «le parole non sono state inventate

perché gli uomini s’ingannino tra loro ma perché ciascuno

passi all’altro la bontà dei propri pensieri».

GIANNA PINOTTI

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I libri del

mese

Valentina Olivastri

Le insospettabili rivelazioni nascoste in

un vecchio album di famiglia...

di Lino Pertile, Harvard University

Lalbum di famiglia è l’ultimo romanzo di Valentina Olivastri.

Ne è protagonista Edi, una giornalista che disamorata

della vita londinese decide di trasferirsi a

Borgo, in Toscana, dove l’aria ha «un sapore domenicale» e

il tempo è «ciclico, elastico, regressivo… i minuti persi come

spilli». Insomma, una vita senza ansie, ma il ritrovamento casuale

di una vecchia raccolta di foto viene a scuotere gli equilibri

dell’intero paese. Dico subito che ho trovato il libro molto

attraente e l’ho letto con piacere e interesse. Dico “attraente”

non soltanto perché grazioso e gradevole, ma perché pieno

di brio e intelligenza, un sorriso, un’aria scherzevole e leggermente

ironica che sembra percorrerlo dall’inizio alla fine.

Per una buona metà non se ne intravvede una vera e propria

trama, ma non importa, un capitolo tira l’altro, come le ciliege.

La narrazione di Edi sembra tutta presa dalla quotidianità

dei rapporti umani e, per così dire, ambientali con il paese

e la sua gente. Domina sovrano il tema gastronomico associato

alla storia, alla cultura, alla lingua, insomma alla vita

locale. La lingua mi sembra quella colta, spigliata, fluida, parlata

oggi in Toscana da persone colte che sanno mescolare

con buon gusto il livello alto e il popolare ma senza mai finire

nell’astruso o nello sguaiato. L’uso di modi di dire e espressioni

comuni la rendono autentica, facendola sembrare più

parlata che “scritta”: lo provano i dialoghi. Un personaggio,

Fosca, parla esclusivamente in toscano, un toscano trascritto

a regola d’arte. La cosa è indubbiamente divertente, ma c’è

il pericolo che il lettore venga distratto da queste schegge di

puro dialetto. E veniamo alla “storia” che, come dicevo, per

un bel po’ non si vede e poi sembra consistere nel progetto

di Edi di sedurre Lorenzo. Questo progetto arriva a un approdo

definitivo col riferimento improvviso a «quella notte», una

notte di fuoco illustrata nel capitolo seguente. La cosa bella

e spiazzante è che la “storia” vera si scopre solo dopo, quasi

alla fine del racconto, quando l’album finisce sotto gli occhi

della persona giusta. A questo punto il lettore ritorna indietro

e scopre che in effetti la narrazione è disseminata di segnali

che puntavano in quella direzione ma, ahimè, lui non li aveva

notati, non se n’era accorto. Il segreto che emerge alla fine

getta una luce nuova sul paese e sul racconto. Ora in paese

non tutto è rose e fiori come poteva sembrare prima. Dietro

alla serena, gradevole, spiritosa quotidianità si nascondono

segreti indicibili che un vecchio album di fotografie, riemerso

inaspettatamente per puro caso, rivela sconvolgendo personaggi

e lettore. Nonostante la sua aria giocosa e svagata,

dunque, un libro da leggere con attenzione.

Valentina Olivastri ha esordito con Prohibita imago (Mondadori,

2009; Oscar Bestsellers, 2010); a questo è seguito La

Donna del Labirinto (Miraviglia Editore, 2013; Bóveda, 2015).

Valentina Olivastri (ph. © Maurizio Camagna)

Il libro può essere ordinato sulle principali piattaforme online o in libreria (euro 15)

(immagine copertina: © Paolo Gheri)

VALENTINA OLIVASTRI

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Ritratti

d’artista

Annamaria Maremmi

Una pittrice dallo stile inconfondibile

di Jacopo Chiostri

Pittrice talentuosa, Annamaria Maremmi possiede uno

stile inconfondibile. Un suo dipinto si riconosce facilmente,

e lo stile, si sa, è la più convincente attestazione

della coerenza e autenticità di una pittrice. Dai cavalli, suoi

soggetti classici, una sorta di “marchio di fabbrica”, alle, anche

recenti, figure femminili – come quelle esposte allo Spazio San

Marco in occasione di Donne nell’arte –, la pittura della Maremmi

propone un racconto che non si è mai interrotto e nel quale

coesistono virtuosismo tecnico e significazioni intimiste. L’insieme

delle opere, con gli sfondi corposi ricchi di forza evocativa,

e le figure che pare debbano scomparire dalla tela da un

momento all’altro forse perché rifiutano di mostrarsi più a lungo,

producono un impatto contraddittorio. Da una parte, infatti, la

plasticità naturale della composizione ce le fa apparire familiari,

dall’altro si riceve come una sberla per la forza, inaspettata, che

ne scaturisce. Cavalli scontrosi oppure sciolti, magnificamente

disegnati nell’eleganza dei movimenti, figure femminili che guardano

altrove oppure trapassano l’osservatore con lo sguardo: è

questo l’universo della Maremmi. Soggetti, è lecito pensare, a

lei cari, necessari ad una narrazione consolidata nel tempo, ma

anche soggetti che, in definitiva, non sono che un tramite col

quale tramutare la sua arte in un luogo incantato dove conservare

pensieri, emozioni e ricordi. Si avverte un piglio sicuro nell’esecuzione,

come pure nella definizione del racconto, ma non

sfugge, altrettanto, ad un’osservazione capace di andare oltre

l’ovvio, il pudore con cui vengono messi a nudo sentimenti personali

e c’è, specie nella coloristica, una sorta di filtro che sfuma

l’influsso del “figurativo” al punto che talvolta si ha l’idea che

l’artista possa (potrebbe?) anche liberarsi dalla costrizione del

segno per rendere ancora più libero il suo canto (il che, a pensarci

bene, non sarebbe poi così stupefacente, considerato il

suo percorso costantemente in divenire). La natura, che è il palcoscenico

su cui la Maremmi si affaccia e che percorre nel suo

agire poetico, è il vero barometro degli stati d’animo; lo è con l’elemento

“acqua” che scorre portando via, assieme al tempo, anche

i ricordi, i dolori; lo è con quei cieli dal piglio autoritario, nei

quali la luce s’intuisce ma in genere è coperta, quasi a volerci

suggerire che prima dobbiamo liberarci dalle nubi che sono le

nostre ovvietà e i nostri limiti. Pittrice di lungo corso e pluripremiata

(4 volte, tra l’altro, finalista al Premio Firenze), Annamaria

Maremmi fa parte dell’Antica Compagnia del Paiolo, del Gruppo

Donatello, del Comitato Archivio artistico-documentario Gierut,

del Museo Ugo Guidi e di Toscana Cultura. Impossibile proporre

un elenco completo delle sue esposizioni; ricordiamo le presenze

alla Versiliana, alle Giubbe Rosse, al Donatello, a Torino all’Artgallery37

per Artisti toscani a Torino, al Gran Teatro Puccini a

Torre del Lago in occasione della rassegna Giacomo Puccini, la

musica e il lago curata da Ludovico Geirut. Opere di Annamaria

Maremmi sono esposte in permanenza presso il Museo Guidi a

Forte dei Marmi, al Comune di Pontassieve, al Telesia Museum

di San Roberto (Reggio Calabria), alle Giubbe Rosse, al Museo

Mandralisca di Cefalù, al Comune di Stazzema e al Museo di Zamosc

in Polonia. Il 14 ottobre 2021 ha donato l’opera La dama

senza ermellino, citazione dell’opera leonardiana, al Comune di

Signa nelle mani del sindaco Giampiero Fossi.

www.annamariamaremmi.eu

annamaria.maremmi@gmail.com

Aria di primavera, olio su tavola, cm 60x60

Fiori dall'inverno, olio su tela, cm 50x50

32

ANNAMARIA MAREMMI


A cura di

Luciano e Ricciardo Artusi

Curiosità storiche

fiorentine

L’antico capodanno fiorentino

Una festa civile, religiosa e primaverile

di Luciano e Ricciardo Artusi

L’inizio dell’anno è da sempre tradizionalmente festeggiato

da tutti, in quanto ritenuto una festa propiziatoria con

la quale il vecchio anno dovrebbe portar via tutto il male,

la carestia, i dolori e le preoccupazioni, lasciando a quello nuovo

l’apporto del bene, della prosperità, della salute e della fortuna.

Naturalmente adesso lo associamo tutti alla data del 1° gennaio

da quando il 226º papa della Chiesa cattolica Gregorio XIII promosse

la riforma del calendario con la quale stabiliva che l’anno

dovesse iniziare universalmente il primo gennaio. La riforma fu

decisa col consiglio di una commissione di astronomi e teologi,

basata anche sullo studio del movimento dei corpi celesti, al fine

di mettere ordine nello svolgimento della vita civile dei vari Stati.

Un’importante azione simile era stata svolta precedentemente

anche da Giovanni de’ Medici quando, nel 1513, divenuto papa

col nome di Leone X, inviò a tutti i capi di Stato un “breve” (lettera

ufficiale) con la sintesi della questione, invitando di darne divulgazione.

Anche a Firenze il breve papale fu fatto affiggere ai

canti della città, dei vicariati, delle capitanerie e delle podesterie.

L’invito del pontefice ebbe risonanza in tutto il mondo e fu

il preludio della definitiva attuazione del successivo calendario

Cornici Ristori Firenze

www.francoristori.com

Via F. Gianni, 10-12-5r

50134 Firenze

Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo

gregoriano. Ma a Firenze e nel granducato

non fu così, seppure tanti contenuti

scientifici erano partiti proprio

da Firenze, da menti come quelle del

frate eremitano del convento di San

Gallo Antonio Dolciati, dal domenicano

Giovanni Tosolani, dal matematico

Basilio Lapi e dall’insigne Antonio Albizzi,

la città continuò a portare avanti

la propria usanza, tralasciando di attuare la riforma che offriva

vantaggi di rapporti nel mondo. Infatti, da antichissimo tempo

in Toscana si festeggiava l’annuncio dell’Incarnazione del Verbo

dato a Maria Vergine dell’Arcangelo Gabriele il 25 marzo, in cui

cade l’equinozio di primavera, esattamente nove mesi prima del

Natale, giorno della nascita di Gesù Cristo. Proprio a tale importante

avvenimento, dal Medioevo fino al 1750, a Firenze e nelle

terre del granducato, l’anno civile iniziava il 25 marzo per la festività

dell’Annunciazione. Fu necessario un decreto del granduca

Francesco II di Lorena, datato 20 novembre 1749, perché negli

usi commerciali e nelle scritture pubbliche i fiorentini si uniformassero

al calendario gregoriano a partire dal primo gennaio

1750. L’avvenimento fu considerato così eccezionale e rivoluzionario

che a immortalarlo fu posta una iscrizione marmorea,

dettata da Giovanni Lami, sotto la Loggia dell’Orcagna in Piazza

della Signoria, dov’è tuttora visibile. Il giorno dell’Annunziata fu

dunque per la Toscana una festa civile, religiosa e primaverile i

cui aspetti sono tuttora sentiti e ricordati.

Loggia dell’Orcagna in Piazza della Signoria: la lapide marmorea di Giovanni Lami per ricordare il capodanno fiorentino

L’ANTICO CAPODANNO FIORENTINO

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Eventi in

Toscana

Luciano Manara

L’artista e designer fiorentino omaggia

il 186° Reggimento Folgore con un’opera

sulla battaglia di El Alamein

di Daniela Pronestì

Cuori d’acciaio all’erta / (…) Come folgore dal cielo!

/ Canta il motto della gloria / Come nembo di

tempesta! / Precediamo la vittoria». Questi versi,

«tratti da un inno della Brigata “Folgore”, richiamano i valori di

uno dei corpi delle forze armate che più si è distinto nella recente

storia italiana per la prodezza dimostrata in numerosi

contesti di guerra. Proprio a queste parole sembra riferirsi

l’opera che Luciano Manara ha donato lo scorso 18 marzo al

186° Reggimento Paracadutisti Folgore durante una cerimonia

alla Caserma Bandini di Siena. Si tratta di un’imponente

pittoscultura – 1 metro di altezza per ben 2,50 metri di lunghezza

– con la quale il noto designer ed artista fiorentino ha

voluto commemorare uno degli episodi più significativi nella

vicenda della Folgore: la battaglia di El Alamein che, nel

1942, durante la seconda guerra mondiale, vide i paracadutisti

italiani, con un atto di straordinario eroismo, resistere da

soli per 13 giorni all’avanzata del corpo d’armata britannico.

La prima cosa che salta all’occhio nell’opera è senz’altro la

scelta del colore: un rosso più rosso del rosso, di un’intensità

che “folgora” – è proprio il caso di dire – lo sguardo e che fa

pensare all’impeto della battaglia, al galoppo di cuori pronti a

rischiare tutto pur di salvare l’onore, al fervore della passione

che ha guidato le gesta di questi eroi del nostro tempo. Mancò

la fortuna, non l’onore recita il titolo dell’opera, riprendendo

in parte la frase incisa sul sacrario di El Alamein. Parole leggendo

le quali viene da dire che non sempre “la fortuna aiuta

gli audaci” o per lo meno non in battaglia. Sul fronte africano,

i “leoni della Folgore” – così li definì il comandante Winston

Churchill all’indomani dello scontro nel deserto egiziano

– tentarono il tutto per tutto, versarono sangue e sudore, fino

all’estremo sacrifico della vita. Eppure questo non bastò

a fargli guadagnare la vittoria: neanche il più alto valore militare

può vincere contro una sorte avversa (e contro equipaggiamenti

inadeguati, come ha poi dimostrato la rilettura a

posteriori di quell’evento bellico). Ciò che ottennero tuttavia

fu un altro genere di vittoria, forse ancora più importante: vedersi

riconosciuto l’onore delle armi dall’avversario inglese, a

conferma del fatto che è sempre il valore del combattente e

non la potenza del fucile a fare la differenza. Manara condensa

queste riflessioni in un’opera potente, emozionante, d’impatto

immediato, nella quale la guerra diventa metafora della

capacità dell’uomo di vivere e morire per un ideale, di spendere

se stesso fino all’ultimo respiro o goccia di sangue per

difendere quello in cui crede: ecco allora che un cuore di filo

spinato cinge il simbolo della Folgore ad eterna memoria di

come in quella terra straniera, sul campo di battaglia, i paracadutisti

italiani abbiano lasciato il loro di cuore, mostrando

un coraggio che gli ha permesso di entrare per sempre nella

Un dettaglio della pittoscultura donata da Manara al 186° Reggimento Folgore

grande storia del nostro paese. Ma come spesso accade nelle

geniali creazioni di Manara anche in questo caso bisogna

spingersi oltre la “pelle” dell’opera, decriptando i simboli che

quest’ultima nasconde. L’enigma si cela nelle misure del quadro,

scelte in modo da richiamare precisi significati, a partire

dal numero 1 – prima cifra dell’altezza complessiva dell’opera

–, emblema della creazione, dell’unicità, “padre” di tutti

gli altri numeri e per questo considerato anche simbolo maschile

per eccellenza. Non a caso, l’archetipo che lo rappresenta

è proprio quello del guerriero che sfida le difficoltà con

coraggio, pragmatismo, senso dell’onore e della responsabilità.

L’altro numero è il 7 – risultato della somma delle due cifre

della lunghezza del quadro –, le cui complesse valenze

simboliche spaziano dall’ambito religioso a quello filosofico,

dall’arte all’astrologia, dalla scienza all’esoterismo. Difficile

evidenziarle tutte: basti dire che il 7 incarna la spiritualità,

la ricerca mistica, la completezza, l’illuminazione interiore.

È il punto d’incontro tra umano e divino, tra cielo e terra; è

associato all’archetipo del saggio che coltiva ideali nobili e

profondi. Dalla forza propulsiva e maschile della guerra simboleggiata

dal numero 1 si passa quindi alla saggezza di chi,

proprio attraverso il superamento del conflitto, matura una

profonda conoscenza della natura umana. La numerologia

ha però anche un altro significato: è come se Manara volesse

ricordarci che ogni evento, anche il più drammatico come

drammatica è senz’altro la morte in guerra, risponde ad

un senso più alto di quello che ad una prima lettura siamo

in grado di attribuirgli. C’è un mistero nelle cose, un significato

nascosto, al quale forse soltanto attraverso l’arte, in

quanto atto creativo puro, è possibile avvicinarsi. Ecco perché

quest’opera non intende soltanto commemorare un evento

storico esaltando il valore dei tanti che in quell’occasione

hanno perso la vita, ma si propone anche di celebrare tutti

quegli atti eroici che innalzano l’uomo al di sopra dei propri

limiti. Ed è proprio di questo sano eroismo che, oggi più che

mai, la nostra epoca avrebbe bisogno.

34

LUCIANO MANARA


A cura di

Francesco Bandini

Quando tutto

ebbe inizio…

Dalla Persepoli di Dario ai diadochi di Alexandros

Testo e foto di Francesco Bandini

1^ parte

Nelle antiche regioni alla frontiera nord occidentale

dell’India – in particolare nell’odierna valle di Pashavar,

ma l’area ben più vasta copre le regioni dal Gandhara

alla Bactriana fino all’Afganistan e all’Uzbekistan, tutte

province facenti parte dal VI secolo a. C. dell’impero achemenide

fino alla conquista di Alessandro Magno (327-26) –

ebbe il suo centro una scuola artistica che accolse influssi

greco-romani, indiani, iranici, realizzando un eccezionale incontro

tra il buddismo e l’arte classica. L’adattamento delle

forme ellenistiche ad un contenuto buddistico fece attribuire

la denominazione assai discussa di greco-buddista all’arte

del Gandhara (I sec. a. C. - VII sec. d. C.) svolgendo una

funzione di tramite tra il mondo mediterraneo e l’Asia estremo

e sud orientale. Oggi, tra l’insicurezza politica e il terrorismo

talebano, alcune missioni di scavo tentano di recuperare

le antiche memorie con estrema difficoltà perché qui l’archeologia

è pericolosa in quanto documenta un passato pre-coranico

fatto di contaminazioni. Sulle tracce di Alessandro

Magno, nel cuore delle spedizioni che il condottiero macedone

ha compiuto intorno al 330 a. C. in quelle terre sconosciute

fra i grandi fiumi dell’Indo e l’Amu-Daria ai confini

del mondo allora conosciuto, stanno iniziando, a cura della

Delegation Archeologique Francaise, tutta una serie di scavi

sistematici, in particolare sul sito dell’antica Bactra, nel cuore

della satrapia bactriana (da Baxtris, la terra del giaciglio).

Fu in questi luoghi, quasi a paradigma di qualsiasi successiva

spedizione militare volta alla conquista di terre remote,

che giunse un esercito di eroi, soldati destinati a divenire

leggendari, lasciando segni tangibili della propria esistenza.

Da queste parti, a pochi chilometri a sud del fiume Amu-Daria,

Alessandro Magno e i suoi diadochi diedero vita ad una

sorta di civiltà detta greco-buddista nata dal fortunato incontro

del pragmatismo ellenistico con la spiritualità orientale. E

quasi a suggello politico di una volontà di fusione di istanze

culturali così diverse, Alexandros sposò Roxane, figlia di un

principe locale: un amore vero e vissuto, al di là della ragion

di Stato. Si è detto come da queste parti l’archeologia sia vista

come pericolosamente rivelatrice di un passato florido e

diverso rispetto alla purezza dell’Islam e in quanto tale avversata.

Nel 2001 i talebani, in preda ad un’insana furia iconoclasta,

fecero esplodere le due splendide statue del Budda di

Bamiyan. Nonostante il rischio quotidiano, il lavoro dei coraggiosi

archeologi si ammanta di leggenda facendo riemergere,

poco a poco, resti di edifici ellenistici, abitazioni modeste

ma anche santuari di elegante fattura dedicati a divinità locali

e tuttavia riferite anche a dèi olimpici, a sottolineare uno dei

più riusciti esempi di sincresi propri della conquista di Alessandro,

politica ed economica ma profondamente rispettosa

di un substrato culturale e religioso. Gli edifici non erano certamente

vuoti: vasellame, attrezzi agricoli, oggetti d’arredo,

molti di epoca macedone ma tanti anche di epoche precedenti

(quella persiana) o

successive (romana,

sassanide, cristiana

e islamica) a testimoniare

periodi di stabilità

e benessere oggi

lontano ricordo.

I bassorilievi dell'Apadana, nel palazzo di Dario a Persepoli (Persia)

DALLA PERSEPOLI AI DIADOCHI

35


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Michela Masini

Il divenire delle emozioni nel paesaggio

di Daniela Pronestì

Un luogo dove rifugiarsi per trovare ristoro dai ritmi

frenetici del vivere quotidiano. Una dimensione di

pace e bellezza sulla quale lo sguardo si posa per

concedersi attimi di meraviglia. È così che la natura viene

rappresentata nelle opere di Michela Masini, pittrice figurativa

con una particolare vocazione all’uso espressivo e libero

del colore. Quest’ultimo le permette infatti di attribuire all’immagine

un’impronta per così dire “emozionale”, di fissare sul

supporto le sensazioni provate alla vista del paesaggio e rivissute

per mezzo della trasposizione pittorica. Le pennellate

procedono agilmente alternando stesure ampie e vaporose

con altre più ritmiche e spezzate; in entrambi i casi, le tonalità

sono accese, vivaci, cariche di luce, a tal punto da conferire

all’insieme un aspetto quasi astratto. È evidente che

l’interesse non è rivolto a riprodurre fedelmente il dato naturale

quanto invece a raggiungere un equilibrio tra l’immagine

reale e l’interpretazione pittorica, attribuendo a quest’ultima

il compito di restituire con immediatezza l’autentico sentire

dell’artista. Ed è proprio in nome di questa autenticità del

sentimento che si spiegano ad esempio certe esasperazioni

cromatiche – dai gialli abbaglianti ai rossi intensi del litorale

al tramonto –, come pure il tramutarsi dei cieli in fantasmagoriche

evoluzioni di luci e colori: il paesaggio diventa così

un simbolo di passione, energia interiore, gioia di vivere. Al

variare delle scelte compositive e delle gamme coloristiche

variano anche le suggestioni offerte all’osservatore: quando

è il cielo ad occupare gran parte della scena lasciando la ter-

36 MICHELA MASINI


ra ai margini della rappresentazione, ci si sente quasi sopraffatti

da tanta luminosa vastità. Lo sguardo cerca un appiglio

per non perdersi in questo spazio senza confini, ma finisce

per essere piacevolmente travolto dall’incontenibile vitalità

del colore. In altri casi, invece, il punto di vista si ribalta, spostandosi

dal cielo alla terra, e veniamo d’improvviso catapultati

dietro ad un cespuglio in montagna o nel bel mezzo di un

prato fiorito: l’orizzonte si restringe fino ad intravedersi appena,

oppure scompare del tutto lasciando spazio a particolari

ingranditi di fiori, arbusti o di altri elementi vegetali. Le

dinamiche e luminose pennellate dei cieli al tramonto cedono

il passo al racconto della terra con tonalità pacate – verdi,

marroni, grigi – e stesure morbide: l’invito è a soffermarsi

con calma su questi dettagli, ad apprezzarne la segreta bellezza,

prendendo così una pausa dalle tante, troppe sollecitazioni

che ci distraggono nel trantran quotidiano. La pittura

– sembra dire Michela Masini – serve anche a questo: a regalarci

attimi di autentica felicità, momenti per ritrovare sé

stessi nell’esperienza sempre nuova che si vive davanti ad

un’opera d’arte.



Eventi in

Toscana

Romano Dini

Le opere dello scultore incontrano Dante in una

mostra al Castello di Poppi

di Sergio Neri

Dopo numerosi successi espositivi a livello nazionale

e internazionale, Romano Dini arriva in Casentino

al Castello di Poppi con le sue ultime opere dedicate

alla Divina Commedia. Questo capolavoro universale ha da

sempre caratterizzato l’arte dello scultore toscano, impegnato

nel tempo a plasmare, attraverso le figure, le emozioni, i

sentimenti e i valori dei personaggi dell’opera dantesca. La

forza della sua creatività e la ricchezza della sua sensibilità

hanno permesso a Romano Dini di costruire un percorso artistico

articolato, nel quale i personaggi “divinamente” raccontati

da Dante acquistano rilievo e significato. Visitare questa

mostra significa entrare dalla porta principale nel mondo dantesco,

alla ricerca di fatti, personaggi e luoghi che ci hanno

dato, leggendoli, sensazioni uniche e forti emozioni. Questo

splendido castello, le cui mura hanno visto Dante ospite, non

è una cornice ma parte integrante della mostra, con i suoi storici

spazi e i suoi racconti di vita; un luogo in cui i personaggi

dell’Alighieri ritrovano il loro tempo e la loro dimensione.

Gli spiriti magni

(Canto lV - Inferno)

Dante e Virgilio incontrano Omero che si trattiene

con loro a parlare e li accompagna al nobile

castello dove sono presenti gli altri “spiriti magni”:

Orazio, Ovidio e Lucano, famosi poeti latini. È un

incontro di sguardi e di silenzi, di confronti e di partecipazione.

L’unico a parlare è Omero, poeta classico e poeta

delle armi (ha in mano una spada), rende omaggio

a Virgilio che torna nel Limbo. È un colloquio dominato

da un alone di mistero che ci coinvolge e ci affascina

grazie alla poetica di Dante, capace di renderlo emozionante

e di farci “ascoltare” il silenzio dei loro pensieri.

Romano Dini, Gli spiriti magni, terracotta dell'Impruneta, cm h 90x40x30

ROMANO DINI

39


Movimento

Life Beyond Tourism

Travel To Dialogue

Dialogo tra culture e rispetto per le diversità alla base

delle attività di Life Beyond Tourism

Dai busti di marmo di Carrara ai monumenti di Milano: la storia incontra

la contemporaneità in un “tap”

di Stefania Macrì

La promozione del dialogo tra culture nel mondo, il

rispetto per le diversità e la valorizzazione dei territori

per la pace tra le genti attraverso i siti Patrimonio

Mondiale UNESCO sono i temi fondanti della filosofia

Life Beyond Tourism ® , sviluppata dalla ultratrentennale attività

di ricerca e studio della Fondazione Romualdo Del Bianco

e oggi messa in pratica grazie ai progetti e alle iniziative del

Movimento Life Beyond Tourism - Travel to Dialogue. Questi

progetti coinvolgono attivamente i soggetti dei territori: residenti,

istituzioni culturali, pubbliche amministrazioni, aziende,

artigiani, artisti. Dal 1989 ad oggi sono state realizzate

molte iniziative e giornate dedicate al dialogo interculturale

dove popoli, provenienti da Paesi e tradizioni diverse, si sono

incontrati, hanno dialogato e hanno portato avanti delle attività

culturali congiunte. Si è creata così una rete di dialogo e

rispetto interculturale che ha portato alla creazione del Museo

Fondazione Del Bianco, a Firenze, presso Palazzo Coppini

(via del Giglio,10) dove sono esposti oggetti provenienti

da tutto il mondo, simboli di stima e amicizia. Ad oggi la rete

Life Beyond Tourism conta la collaborazione e il coinvolgimento

di oltre 550 istituzioni da 111 paesi del mondo con

la presenza di 36 centri di diffusione LBT in 17 paesi tra cui

Azerbaigian, Repubblica Ceca, Giappone, India, Italia, Kazakistan,

Kirghizistan, Kosovo, Lettonia, Lituania, Marocco, Polonia,

Regno Unito, Russia, Slovacchia e Taiwan. Oltre ad aver

ricevuto molti simboli di amicizia, la Fondazione Romualdo

La donazione del busto di Leonardo alla Kazakh Leading

Academy in Kazakistan

Il foyer di Palazzo Coppini a Firenze, sede del Museo Fondazione Del Bianco

Del Bianco ha commissionato una serie di busti in marmo di

Carrara all’artista di Pietrasanta Dino De Ranieri che, nel corso

degli anni, sono stati donati a diverse istituzioni culturali

internazionali nel mondo: Leonardo Da Vinci, Galileo Galilei,

Michelangelo, Dante Alighieri. Dal 2008 ad oggi la Fondazione

e il Movimento LBT-TTD hanno realizzato 23 donazioni per

promuovere l’italianità in contesti accademici e istituzionali

particolarmente legati alla cultura, l’arte e le scienze, quale

strumento di diplomazia per il dialogo e l’amicizia tra l’Italia

e i popoli nel mondo. A breve, vi sarà un’altra importante donazione

di un busto del quale, ad oggi, non vi sono altre realizzazioni:

Cesare Beccaria. L’opera in marmo di Carrara si

intitola L’albero i cui “buoni frutti’”

danno vita alla vita, realizzata

dallo Studio De Ranieri di Pietrasanta

e verrà donata al Consiglio

d’Europa dalla Fondazione

e dal Movimento Life Beyond

Tourism - Travel to Dialogue in

collaborazione con la task force

per il semestre della presidenza

italiana del Comitato dei

Ministri del Consiglio d’Europa.

La donazione vuole celebrare

l’abolizione della pena di morte

adottata per la prima volta nel

mondo nel 1786 dal Granduca di

Toscana Pietro Leopoldo Asburgo

Lorena. Il busto di Cesare

Beccaria è il primo busto parlan-

Il busto di Michelangelo nel giardino di Palazzo Coppini

40

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE


Svelamento del busto di Dante alla presenza (a partire da sinistra) di Eugenio

Giani, presidente della Regione Toscana, Paolo Del Bianco, già presidente della

Fondazione Romualdo Del Bianco, e Dario Nardella, sindaco di Firenze

te interattivo che esprime il nuovo modello di comunicazione

che Life Beyond Tourism propone, per uno sviluppo etico di

marketing territoriale, il medesimo dei Luoghi Parlanti ® . Dopo

la donazione del busto Beccaria è prevista la consegna di

targhe parlanti da applicare a tutti i busti fino ad ora donati.

La donazione del busto di Michelangelo all’Arab Regional Centre in Bahrain

Un altro passo importante per il consolidamento dei princìpi

di fratellanza, rispetto delle diversità culturali e dialogo tra i

popoli che la Fondazione continua fortemente ad affermare

quali elementi essenziali e fondanti della pace nel mondo, capaci

di far superare le crisi internazionali.

I LUOGHI PARLANTI® A MILANO CON B&B HOTELS ITALIA

Grande successo di partecipazione al press tour che il Movimento

LBT-TTD e B&B Hotels Italia hanno organizzato congiuntamente

a Milano, presso il B&B Hotels Central Station il 6

aprile. I giornalisti presenti hanno avuto l’opportunità di sperimentare

la pratica applicazione del progetto Luoghi Parlanti ® .

Questo evento suggella una collaborazione tra B&B Hotels Italia,

catena internazionale con più di 600 hotel in Europa e 51

in Italia, e il Movimento Life Beyond Tourism - Travel to Dialogue

che, ad oggi, ha coinvolto le sedi di Firenze, Roma, Napoli,

Bolzano, Verona e Milano. A queste si aggiungeranno, nel corso

del 2022, anche le sedi di Cortina, Palermo e Trieste, per la

scoperta dei territori attraverso il racconto di chi tutti i giorni li

vive e li conosce. Gli ospiti hanno la possibilità di sperimentare

l’innovazione della tecnologia NFC attraverso l’utilizzo dell’unico

accessorio veramente indispensabile del viaggiatore contemporaneo:

lo smartphone. Luoghi Parlanti ® restituisce la

meraviglia del viaggio, l’incanto che sorprende nell’hic et nunc

di chi si muove alla scoperta di una località. Non si pone come

una guida preconfezionata, ma come un’esperienza itinerante

che invita alla scoperta e interviene sul territorio, per creare

un legame più profondo, una conoscenza autentica e un lega-

me diretto con la comunità locale. La collaborazione partendo

proprio dal primo punto di arrivo del viaggiatore in città segna

una tappa importante nello sviluppo di Luoghi Parlanti per offrire

veri e propri itinerari e un approccio ai nuovi luoghi in stile

Life Beyond Tourism ® .

Carlotta Del Bianco, presidente della Fondazione Romualdo Del Bianco, in

collegamento con Valerio Duchini, ceo e presidente per l’Italia di B&B Hotels

Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società

benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism®,

ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere

e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme

alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che

custodiscono. Offre progetti e soluzioni di visibilità e rafforzamento delle

identità locali dei vari luoghi, crea eventi basati sul dialogo tra il territorio e

i suoi visitatori grazie a una rete di relazioni internazionali di alto prestigio.

Per info:

+ 39 055 290730

info@lifebeyondtourism.org

www.lifebeyondtourism.org

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE

41


Fare impresa

oggi

Giovani imprenditori in Italia

Coraggio, competenza e talento le caratteristiche di chi raggiunge il successo

di Aldo Fittante

Sono tante le persone under 35 che si distinguono e

ricevono riconoscimenti per la loro spiccata capacità

imprenditoriale. Alcuni lo fanno senza esitazione,

altri saltano in una piscina dove non sanno se ci sarà abbastanza

acqua, ma ciò che li accomuna tutti è che osano

lanciare le idee che passano loro per la testa e le trasformano

in imprese. Vogliono diventare un punto di riferimento in

quello che fanno, lavorare da soli, non rispettare i programmi,

non avere un capo a cui riferire o semplicemente realizzare

i loro sogni e avviare un’attività in proprio, poiché i loro

obiettivi vanno oltre il denaro. Diversi studi dimostrano che

i giovani sono più disposti ad avviare un’impresa rispetto

agli adulti. È il caso del rapporto Global Entrepreneurship

Monitor (GEM), intitolato Futuro Potential – La prospettiva

GEM sull’imprenditorialità giovanile nel 2015, che ha mostrato

che nella fascia di età compresa tra i 18 e i 34 anni

le persone hanno un’iniziativa più pronunciata di imprenditorialità.

Il suddetto studio conclude che i giovani sono 1,6

volte più aperti all’idea di avviare una nuova attività rispetto

agli anziani. I giovani sono più imprenditori a causa di

varie circostanze uniche che si sono accumulate nel corso

degli anni: un’economia mondiale in crisi, un mercato

del lavoro competitivo, l’espansione delle reti e i progressi

nella tecnologia. I giovani non vogliono lavori tradizionali

ma esperienze diverse ed essere innovativi. Il nuovo profilo

del giovane imprenditore lavora in squadra per sopperire

alla mancanza di esperienza e unire le competenze dei

diversi membri del progetto da intraprendere. Sono consapevoli

dell’importanza della formazione e investono tempo

e denaro per migliorare il proprio livello professionale. Sono

molti i nomi di giovani italiani menzionati nelle classifiche

degli imprenditori da non perdere d’occhio in questo

2022: tra i settori emergenti per l’imprenditoria giovanile ci

sono il commercio, la green economy, le tecnologie dell’informazione

e della comunicazione, il turismo e i servizi alle

persone. Davide Dattoli è stato nominato da Forbes tra i

“30 under 30” più influenti nel settore tecnologico e da Wired

uno dei “top 5 innovatori” in Italia. Davide inizia la sua

carriera con diverse esperienze nel settore del digital marketing.

Nel 2010 fonda Viral farm, una digital company specializzata

in social media e applicazioni mobile. In seguito,

diventa senior consultant per il gruppo Condé Nast, Il Sole

24 Ore, Il Giornale di Brescia, e nel dicembre 2011 fonda

Talent Garden. Virginia Tosti, imprenditrice da sempre, ha

gestito società di famiglia per oltre dieci anni. La passione

per i dati e le persone l’ha portata a coordinare gli sforzi

online e offline di oltre settecento comitati locali durante

il referendum costituzionale. Insieme a Gherardo Liguori

42 GIOVANI IMPRENDITORI IN ITALIA


ha co-fondato Start2impact, una delle migliori cinque startup

in Italia secondo B Heroes, focalizzata a dare ai giovani

orientamento, formazione pratica e lavoro in ambito digitale

e innovazione. Paolo De Nadai, a soli 19 anni, ha fondato

il celebre ScuolaZoo per denunciare un professore che

si era addormentato durante i suoi esami di maturità. Oggi

come allora il suo obiettivo è mettere le nuove generazioni

al centro, focus che si traduce in un impegno concreto e di

successo: oltre quattro milioni di ragazzi seguono i social

di ScuolaZoo, migliaia di millennial viaggiano ogni anno

con la community di viaggi WeRoad e l’età media dei collaboratori

di OneDay – business & community builder è di 30

anni. Giada Zhang, figlia di una coppia di ristoratori venuti

in Italia dalla Cina e nata e cresciuta a Cremona, è oggi alla

guida di una società da circa quattro milioni di euro di fatturato

annuo che rifornisce di cibo asiatico i supermercati

italiani di quindici regioni. Si chiama Mulan Group e utilizza

le migliori materie prime Made in Italy per preparazioni

di pietanze cinesi che vengono poi affidate alla grande distribuzione.

Gianluca Comandini, uno dei principali esperti

e divulgatori italiani di tecnologia blockchain e innovazione,

è anche lui nella celebre lista Forbes degli under 30

che cambieranno il futuro e membro del Mensa International,

al quale ha avuto accesso avendo superato il test d’ingresso

con un QI superiore a 133. Ha fondato le società di

consulenza Blockchain Core e You&Web ed è membro della

task force governativa che ha il compito di delineare la

strategia nazionale in ambito blockchain. È professore di

blockchain presso l’Università Guglielmo Marconi di Roma,

oltre che TEDx speaker ed opinionista RAI. Il suo ultimo libro

Da zero alla Luna è diventato un best seller. Questi sono

solo alcuni esempi di under 35 che sono riusciti a cimentarsi

con successo nell’imprenditoria, a dispetto delle statistiche

che vedono l’Italia un paese poco promettente per

i giovani che vogliono fare impresa.

Avvocato, docente di Diritto della Proprietà Industriale all’Università

degli Studi di Firenze e giornalista pubblicista

iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, Aldo Fittante

è promotore di molti convegni e autore di numerose pubblicazioni

scientifiche, articoli in riviste prestigiose, saggi e monografie

in materia di Diritto Industriale, d’Autore e Diritto dell’Innovazione.

www.studiolegalefittante.it

GIOVANI IMPRENDITORI IN ITALIA

43


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Gabriella Alexa

Regni d’acqua come specchi dell’interiorità

di Daniela Pronestì

Esistono luoghi al mondo dove il contatto con la natura

ha un significato diverso che altrove. È un’esperienza

che influenza lo stile di vita delle persone, il

loro carattere, nel confronto quotidiano con un paesaggio

tanto ostile per le condizioni che impone quanto affascinante

per i colori, le atmosfere e la varietà dei contesti. La Svezia

è uno di questi luoghi, con distese di ghiaccio a perdita

d’occhio, limpidi specchi d’acqua lungo le coste e nei laghi

interni, alberi secolari nelle vaste foreste che la ricoprono.

E poi l’eterna lotta tra buio e luce, che si contendono la volta

del cielo nell’alternanza delle stagioni. Per chi vive in un posto

del genere, la natura non può che essere un’estensione

dell’anima, un tramite per guardare dentro sé stessi e per interpretare

le cose del mondo. Non è un caso che per gli artisti

nati a queste latitudini dipingere il paesaggio rappresenti

una scelta per molti aspetti obbligata. Per la pittrice svedese

Gabriella Alexa la natura incarna un complesso di sensazioni

difficili da rappresentare in altro modo. I suoi quadri nascono

dalla necessità di sentirsi tutt’uno con il paesaggio, diventare

acqua, cielo, orizzonte, immedesimarsi con la bellezza fragile

eppure gioiosa della natura. In questo processo di identificazione,

rappresentare un paesaggio equivale ad autoritrarre

sé stessi, a vestire l’immagine di una densità simbolica che

va interpretata guardando oltre il significato apparente. Quelli

che a prima vista si direbbero scorci ameni, angoli di natura

dominati dall’acqua come tanti se ne trovano in Svezia, mostrano,

ad un'osservazione più attenta, il loro volto nascosto.

L’esecuzione è veloce, viscerale, istintiva, come si fa con un

soggetto che si conosce ormai talmente bene da dipingerlo

quasi a memoria. La familiarità con questi scenari consente

infatti alla pittrice di procedere in maniera spedita, trascurando

quei dettagli che poco aggiungerebbero all’intensità emotiva

dell’opera. Quello che conta, invece, è condensare nel

quadro l’espressione di uno stato d’animo, di una condizione

interiore, nella quale, così com’è avvenuto per l’artista, anche

l’osservatore può immergersi per ritrovare un contatto au-

44

GABRIELLA ALEXA


tentico con se stesso. Calarsi

nelle acque scure e profonde

dell’inconscio, nei meandri

più reconditi della propria personalità:

un invito che queste

opere rivolgono al fruitore facendo

leva soprattutto sulla

forza comunicativa del colore,

sull’accostamento di tinte

calde e tinte fredde, sull’equilibrio

dei contrasti. Stesure

piatte si alternano a colature

e a densità materiche, in un

continuo gioco di rimandi tra

cielo e acqua, alto e basso, vicino

e lontano. Guardare un

quadro non è mai un’esperienza

neutra, ma è qualcosa che

coinvolge in prima persona,

proprio come fanno questi “regni

d’acqua”: più che spettacoli

naturali, trascrizioni visive di

emozioni che non possono lasciare

indifferenti.

GABRIELLA ALEXA

45


Il cinema

a casa

A cura di

Lorenzo Borghini

The Grandmaster

Il film di Wong Kar-wai sugli amori impossibili

di Lorenzo Borghini

Wong Kar-wai ci regala un film che all’apparenza può

sembrare semplice (storia di Ip Man maestro di

Wing Chun) ma in realtà cova al suo interno una

complessità quasi disarmante. Il protagonista ci anticipa una

massima che fungerà da linea direttrice per tutto il film e cioè

che il Kung fu è fatto di due sole parole, orizzontale e verticale,

se vai giù perdi, se stai in piedi vinci. Per molti potrebbe sembrare

una frase come tante ma il cineasta cinese ci costruisce

sopra l’intero film, forse l’intera sua poetica. In The Grandmaster

tutto è orizzontale e verticale, la pioggia incessante all’inizio

del film (verticale), i corpi che volano a suon di pedate

(orizzontale), gli sguardi che si incontrano (orizzontale), pavimenti

calpestati da corpi eretti (orizzontale,

verticale) e infine scale (verticale) e

treni impossibili (orizzontale). Ma il piano

di Wong non finisce qui, è molto più ampio,

è composto da linee infinite che partono da

nord a sud (dalla Cina del nord degli anni

Trenta fino ad arrivare a Foshan nella Cina

del sud, per poi continuare fino a sud-est a

Hong Kong), prende a pretesto la storia di Ip

Man per ripercorrere le tappe fondamentali

di trent’anni di storia cinese; nessun combattimento

del film è superfluo, ogni goccia

di sudore, ogni schizzo di sangue, ogni lacrima

sta a rappresentare la sofferenza di

tutti i momenti storici della Cina di quegli

anni; l’invasione di Hong Kong da parte dei

giapponesi, l’estrema povertà e la guerra civile.

Molti registi si sarebbero accontentati

di fare un film su Ip Man che camminando

nella sua storia ripercorre anche la Storia,

ma Wong no, non si accontenta e decide di

mettere in ballo tutte le sue tematiche più

care e allora The Grandmaster oltre che un

film sul tempo diventa un film sugli amori

impossibili, sugli amori sottotono, non urlati

ma velati come lo sono le tematiche di

questo film. Nella maggior parte dei suoi

film Wong Kar-wai fa vivere ai suoi personaggi

delle storie d’amore vissute a metà, o

almeno ci fa vedere che il suo è un occhio

disilluso, un occhio che mostra sempre l’inizio

di una storia ma spesso non la fine, o

meglio una fine forzata, un’interruzione, perché

l’amore all’inizio avvampa, ma poi inevitabilmente

arrivano le complicazioni, arriva

il tempo, che brucia pian piano tutto quello

che trova. Ma in The Grandmaster abbiamo

un’eccezione. Ci troviamo davanti ad uno dei tanti amori impossibili

cari al regista: i due si incontrano, si sfiorano (i loro

corpi si toccano solo durante un combattimento), le loro anime

si toccano, ma qui, la storia d’amore non finisce proprio

perché non inizia. Il regista sembra quasi non voler intaccare

quel che di bello che c’è fra di loro, anime perse, anime sole,

si guardano, si salutano continuando il loro cammino verso il

domani. E immancabilmente tornano le linee orizzontali e verticali,

perché gli uomini e le donne cari al regista si incontrano,

si amano, si odiano ma poi dopo quell’incontro breve e intenso,

quelle fragili linee devono proseguire la loro strada, continuando

a sporcarsi nel caos della vita.

46

THE GRANDMASTER


A cura di

Alessandra Cirri

L’avvocato

risponde

L’amministratore di sostegno

Una figura a tutela delle persone fragili

di Alessandra Cirri

La misura di protezione dell’amministratore di sostegno

è stata introdotta nel nostro ordinamento dalla

legge n. 6 del 9.01.2004, che ha attuato una vera e

propria rivoluzione giuridica e culturale nella tutela delle persone

fragili. Precedentemente, esistevano soltanto gli istituti

della “interdizione” e della “inabilitazione”, strumenti molto

rigidi oltre che ablativi delle capacità di agire dei soggetti tutelati,

sebbene, in molti casi, non ne ricorresse una vera necessità.

L’intento del recente istituto dell’amministratore di

sostegno è, diversamente, volto a tutelare, “con la minore limitazione

possibile della capacità di agire, le persone prive

in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni

della vita quotidiana mediante interventi di sostegno

temporaneo o permanente” (art. 1). L’amministratore di sostegno

si è posto, quindi, come uno strumento modulabile,

tale da fornire ai soggetti deboli quell’aiuto e supporto necessario,

valorizzando la centralità della persona e il principio

di autodeterminazione. L’istituto è disciplinato dagli artt.

404 e seguenti del Codice civile. La misura di protezione può

essere disposta nei confronti della persona “che per effetto

di una infermità ovvero menomazione fisica o psichica,

si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di

provvedere ai propri interessi”. La novità consiste appunto

nel considerare una parziale menomazione (fisica o psichica)

e anche nel considerare la temporaneità di tale impossibilità,

cosa che precedentemente, con gli istituti molto più

drastici ed invasivi dell’interdizione e inabilitazione, non era

contemplata. Vi è così la possibilità di ricorrere alla misura

dell’amministrazione di sostegno anche in quei casi in cui

il soggetto sia privo di autonomia fisica parziale, nell’espletamento

delle funzioni della vita quotidiana, senza che ciò

provochi l’ablazione della sua capacità di agire. Grazie alla

“malleabilità” di questo strumento di protezione, che dall’entrata

in vigore della predetta legge, tale misura sia richiesta e

applicata molto frequentemente nei nostri tribunali, relegando

l’interdizione e l’inabilitazione, soltanto a casi estremi. Il

codice elenca una serie di soggetti che possono richiedere

questa misura di protezione, che vanno dal pubblico ministero

al coniuge e ai parenti entro il quarto grado, affini entro il

secondo grado, i conviventi, l’unito civilmente con il proprio

compagno, ma anche allo stesso beneficiario è data la facoltà

di proporre la domanda (altra notevole novità). La domanda

si propone con ricorso al giudice tutelare territorialmente

competente, il quale fisserà un’apposita udienza, dove il beneficiario

dovrà comparire per essere udito dal giudice al fine

di accertare la necessità di applicazione della misura. Il giudice

tutelare provvede, quindi, all’audizione del beneficiario,

del ricorrente, dei parenti, coniuge, etc. e può disporre d’ufficio

anche ulteriori accertamenti (ad esempio può ordinare

consulenza tecnica in ordine alla capacità e autonomia del

beneficiario). Una volta celebrata l’udienza, il giudice tutelare

emana un decreto con il quale nomina l’amministratore di sostegno,

con l’indicazione dell’oggetto dell’incarico e degli atti

che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per

conto del beneficiario; in più indicherà la durata della misura,

che potrà essere anche a tempo indeterminato, gli atti che il

beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore

di sostegno e della periodicità con cui l’amministratore

di sostegno deve riferire al giudice circa l’attività svolta

e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario. Difatti,

l’amministratore di sostegno avrà l’onere di depositare,

generalmente una volta all’anno, una relazione con la quale

dovrà esporre l’attività svolta per il beneficiario, allegando

anche un rendiconto contabile. L’art. 411 Cod. civ. afferma la

tendenziale gratuità dell’incarico, disponendo tuttavia che il

giudice tutelare, in considerazione del patrimonio del beneficiario

e della difficoltà dell’amministrazione, possa liquidare

un’equa indennità a favore dell’amministratore di sostegno.

Laureata nel 1979 in Giurisprudenza presso l’Università

di Firenze, Alessandra Cirri svolge la professione

di avvocato da trent’anni. È specializzata in diritto

di famiglia e minori, con competenze in diritto civile. Cassazionista

dal 2006.

Studio legale Alessandra Cirri

Via Masaccio, 19 / 50136 Firenze

+ 39 055 0164466

avvalecirri@gmail.com

alessandra.cirri@firenze.pecavvocati.it

L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO

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Eventi in

Toscana

Luce e Colore

La personale di Joanna Aston al Museo Giuliano Ghelli di San Casciano

di Daniela Pronestì

Il dialogo tra luce e colore è un principio basilare della

pittura. A voler essere più precisi, bisognerebbe dire

che si dipinge con la luce, tramite indispensabile soprattutto

nella pittura della realtà. Dalle variazioni dell’intensità

luminosa dipendono infatti gli equilibri coloristici

del dipinto, il rilievo dei volumi, la profondità della scena. A

questi aspetti tecnico-compositivi si aggiunge poi la qualità

“emotiva” della luce, che disciplina il rilievo espressivo

delle figure, determina l’atmosfera generale della rappresentazione

e, nel contrasto con le ombre, attribuisce pathos

al soggetto.Sull’importanza della luce nell’opera

pittorica invitano a soffermarsi i quadri di Joanna Aston

esposti dal 26 marzo al 10 aprile al Museo Giuliano Ghelli

di San Casciano. In questa personale, che prevede anche

un omaggio alla madre dell’artista, Eileen Aston, raffinata

scultrice, è riunita una selezione di opere –

molte delle quali recenti – che rimandano ad un

mondo intimo, famigliare, popolato di affetti privati

e di presenze amicali, di attimi sottratti al

quotidiano e fissati per sempre nel tempo immobile

della realtà dipinta. La luce emerge soprattutto

come linguaggio chiamato ad incarnare

precisi sentimenti, che vanno dalla tenerezza

del volto imbronciato di un bambino all’ammirazione

filiale nel ritratto della madre dell’artista,

passando attraverso il senso di attesa suggerito

dagli occhi di una donna che guarda in lontananza

e l’aspetto tra il curioso e il divertito di due

fanciulle intente al gioco. Merito di questi lavori

è dare corpo all’immaterialità della luce trasformandola

in una presenza concreta, palpabile,

che si muove sopra e intorno alle figure, attraversa

gli spazi del vivere quotidiano, fa vibrare

l’aria come un soffio di vento lieve ed improvviso.

La pittura di Joanna Aston richiama una verità

evidente anche se spesso trascurata: la luce

– naturale o artificiale che sia – permea le nostre

vite, è parte della nostra esistenza, benché

tendiamo a dimenticarcene. Dipingere la luce, il

modo in cui questa influenza la percezione del

reale coinvolgendo non solo i sensi ma anche la

sfera emotiva, diventa allora un tramite per avvicinare

la pittura alla vita, alla verità delle cose,

alla poesia nascosta oltre la patina del visibile.

La soglia che separa il mondo fittizio del dipinto

dal mondo al di qua della tela finisce così per assottigliarsi,

e le due dimensioni quasi coincidono,

respirano insieme, in uno scambio osmotico.

Quelli di Joanna Aston sono quadri “vivi” come

viva è la luce che trasuda da ogni pennellata, dagli accordi

di colore, sempre magistralmente calibrati, dal ritmico disporsi

dei chiari e degli scuri, con punti di brillantezza – i

rossi e i bianchi dei vestiti femminili – e zone in ombra –

la parete verde che fa da contraltare alla figura nel ritratto

della figlia – che invitano lo sguardo a spostarsi agilmente

da un punto all’altro della rappresentazione. L’atto del

dipingere ricorda il gesto dell’anziana donna – la madre

dell’artista – raffigurata mentre sposta la tenda per guardare

fuori dalla finestra: anche l’artista deve sapere condurre

il proprio sguardo oltre ciò che ne limita la visione, deve

saper “guardare fuori” per scoprire ciò che sta dentro le cose,

il loro significato autentico e profondo. Ed è quello che

fa da sempre Joanna Aston, con grazia, misura e sincera

dedizione all’arte.

48

LUCE E COLORE


Piccoli musei in

Toscana

Museo del Chiodo

A Certaldo, nell’antico Palazzo Giannozzi, una collezione dedicata

alla tradizione artigiana della Val d’Elsa

di Serena Gelli

A

Certaldo si trova un museo davvero originale nato nel

1991 da un’idea di Giancarlo Masini, storico falegname

e artista conosciuto dai cittadini del luogo come Beppe

Chiodo. Si tratta del Museo del Chiodo, nel quale si trovano tutte

le creazioni di questo eclettico personaggio: sculture, dipinti,

opere grafiche e poesie. Entrando in questo museo i visitatori

possono magicamente tornare bambini, sognare di trovarsi in un

mondo fatato, respirare l’atmosfera dei tempi antichi; i più piccoli,

invece, vengono catapultati nella favola di Pinocchio. All’interno

vi si trova una singolare raccolta di chiodi (piccolissimi, lunghi

oltre il metro, decorativi come quelli dei portoni delle ville, di epoca

romana o di epoca etrusca), utensili della civiltà contadina e

sculture in legno. Uno spazio importante è dedicato anche all’interpretazione

artistica del chiodo attraverso chiodi intagliati nel

legno e in altri materiali come pomice, vetro, cera e sughero. Oltre

alla raccolta di chiodi, si possono vedere anche gli utensili da

banco degli antichi artigiani del legno che lavoravano un tempo

nei borghi della Val d’Elsa. In questa cornice caratteristica l’attenzione

del turista sarà catturata anche dalle sculture “chiodosatiriche”

in legno di ontano, scolpite con lo sgorbio e con l’aiuto

di qualche piccolo utensile moderno. In ogni sua scultura vi è un

particolare che ricorda la forma del chiodo, uno stimolo, per lui,

per inventare nuove forme. Il museo è ospitato dall’amministrazione

comunale di Certaldo nell’antico Palazzo Giannozzi ed è

visitabile nei seguenti orari e giorni: dal lunedì al giovedì dalle

10 alle 13 e dalle 14.30 alle 18.30; il venerdì dalle 10.30 alle 13

e dalle 14.30 alle 19; sabato e domenica dalle 10 alle 13 e dalle

14.30 alle 18.30 (per informazioni: 0571 661219). Un’ulteriore

attrattiva che si aggiunge a Casa Boccaccio, al Palazzo Pretorio

e al Museo di Arte Sacra, storiche perle della cultura certaldese.

Alcuni esemplari di chiodi nella collezione del museo

Un angolo dell’esposizione

Il presepe di chiodi

MUSEO DEL CHIODO

49


Eventi in

Toscana

Percorsi d’arte

Tre donne in collettiva al Circolo Amatori Arti Figurative di Empoli

Testo e foto di Claudio Caioli

Dal 19 al 26 marzo 2022, nel Palazzo Ghibellino di

Empoli, sede del Circolo Amatori Arti Figurative, si

è tenuta la mostra Percorsi d’arte che ha visto protagoniste

le tre pittrici Grazia Di Napoli, Daniela Falanga ed Elena

Migliorini. L’esposizione è stata presentata dal presidente

del Circolo Silvano Salvadori e dall’assessore alla Cultura del

Comune di Empoli Giulia Terreni. «Grazia Di Napoli – scrive

il critico Marco Marra – segue il suo sogno da molte stagioni,

con l’immutabile gioia di una bambina. Di quella verde età

conserva intatto lo stupore della scoperta, la chiarezza degli

orizzonti, cui aggiunge adesso la matura e sensibile consapevolezza

cromatica che l’arte porta con sé. Ha indiscutibilmente

una personalità completa, che mantiene inalterata,

anche a dispetto del tempo che scorre, la capacità della prima

immediatezza dei sentimenti e riesce a trasmetterli senza

mediazione alcuna a chiunque abbia la ventura di incontrare

i suoi dipinti e che possa trarre godimento dall’inesausto volo

della fantasia a cui i suoi colori conducono». Nata in Egitto

da genitori italiani e cresciuta fra l’Italia e il Venezuela, Daniela

Falanga è architetto, arredatrice ed artista. Disegna da

quando era bambina. Dal 2004 al 2008 frequenta a Caracas

l’Accademia Tassari-Rizzo, dove impara la tecnica dell’iperre-

alismo che segna fortemente il suo stile. Dopo questa esperienza

disegna e dipinge ritratti usando colori ad olio, pastelli

e carboncino. Quello che prima era un hobby oggi è un’attività

che riempie le sue giornate e la sua mente e che la vede

cimentarsi anche nella sperimentazione di nuove tecniche.

Dopo aver lavorato nell’ambito della pubblica amministrazione,

nel 2007 Elena Migliorini si dedica con costanza al disegno,

sua passione da sempre. Studia acquerello con Fiorella

Macchioni e pittura con Lucetta Risaliti. Inizia fin da subito

un’intensa attività espositiva con mostre personali e collettive.

Nel 2018 è premiata nell’ambito del 52° concorso di pittura

di Lastra a Signa con l’acquerello Magnolia in fiore. Nel

giugno dello stesso anno è insignita del Collare Laurenziano

dall’Accademia Internazionale Medicea. Nel 2019 partecipa

a numerose esposizioni tra le quali la Mostra d’Arte Contemporanea

ad Arezzo promossa da Toscana Cultura e Amore,

principio e anima dell’universo nel Centro Giovanile Salesiano

di Firenze. È presente inoltre al 53° concorso di pittura

Pro Lastra Enrico Caruso con un’opera premiata e alla mostra

d’arte contemporanea Leonardo Universo Noi Allunaggio, partita

dall’abbazia di San Galgano a Chiusdino (SI). Sempre nel

2019 riceve il premio “Ponte Vecchio”.

Da sinistra, Daniela Falanga, Elena Migliorini e Grazia Di Napoli

50

PERCORSI D’ARTE


Ritratti

d’artista

Francesca Berti

La ricerca dell’essenzialità attraverso una pittura

elegante ed incisiva

di Jacopo Chiostri

Pittrice eclettica, Francesca Berti, nata a Siena e ora

residente a Prato, ha in tempi recenti rivoluzionato la

propria poetica, lasciando l’approdo sicuro del figurativo

tradizionale per sperimentare una pittura essenziale,

di grande impatto, in cui il racconto è affidato ad un linguaggio

personale con una sonorità ora elegante ora incisiva, con

soluzioni riconducibili al cubismo ed anche al surrealismo.

In ogni caso è pittura solida che mantiene una cifra realista

riuscendo in un’interessante sintesi tra stili pittorici diversi.

Francesca Berti ama sperimentare: questa è la prima considerazione

che si ricava dalla visione del suo multiforme talento.

Del resto è lei stessa a confermarlo: «Ho dipinto su

una varietà di superfici, spaziando tra generi pittorici diversi».

Non è da molto che ha ripreso a dipingere dopo una

pausa in cui gli impegni familiari l’hanno assorbita; ora sta

riguadagnando tempo dipingendo quotidianamente su supporti

come legno, vetro, terracotta, tela e cartoncino, prevalentemente

utilizzando l’acrilico. Quello che interessa è che

questa nuova stagione artistica l’ha vista aprirsi ad inedite

modalità espressive molto lontane dalla pittura figurativa dei

suoi inizi e degli anni successivi. Amante della bellezza in

senso onnicomprensivo, stimolata dalle suggestioni acquisite

viaggiando, la Berti ha compiuto un percorso che dalla

bella pittura del paesaggio toscano è approdato ad una

raffinata elaborazione, ricca di simbologie e rimandi soprattutto

ai due grandi maestri spagnoli Joan Mirò e Pablo Picasso.

Certo, passare da dipingere cipressi, girasoli o paesaggi

della campagna senese, dove è vissuta da bambina, ai nuovi

lavori non è poca cosa, e neppure si può risolverlo come maturazione.

Che probabilmente c’è stata, ma non è bastevole.

Intanto va detto che nelle opere della Berti si rintraccia sempre

un’eleganza che non dimentica la consapevolezza di rivolgersi

all’universo come deve fare l’artista che non parla

solo a se stesso. Così le sue figure femminili – soggetto a

lei caro – sono accurate, si presentano come simulacro di

estetica e di consapevolezza. E forse è proprio in questa direzione

che rintracciamo una prima spiegazione, laddove pur

non rinunciando ad adornare le sue figure, la Berti semplifica

la comunicazione, affievolendola dal punto di vista della

tradizione ma arricchendola, con un segno, maturo, solido e

molto efficace, da quello della comunicazione. Racconta di

amare Vincent Van Gogh. E dal grande pittore olandese sembra

aver tratto come insegnamento la capacità di sovrapporre

sogno e realtà e di farli coincidere. Pittrice autodidatta, se

si fa eccezione per un anno di studi alla Scuola d’Arte di Siena,

il momento più significativo per la sua formazione è legato

alla frequentazione di Marcella Biliotti, amica di famiglia e

nota restauratrice fiorentina. Molte le esposizioni al suo attivo

a partire dal 2000: a Montespertoli con Andrea Tirinnanzi,

a Firenze e Pietrasanta con Toscana Cultura, a Roma con l’organizzazione

della Casa Editrice Pagine per le mostre Artisti

in vetrina e Via Margutta, fino alla recentissima Premio Frida

Kahlo alla storica Milano Art Gallery, dove ha presentato una

delle sue opere più riuscite (in realtà si tratta di un trittico, sia

pure composto da tre opere distinte) intitolato Le diversità,

tre volti, tre donne, tre colori.

Le diversità, acrilico su tela

FRANCESCA BERTI

51


Ritratti

d’artista

Franco Corso

Un realismo dell’istinto e del cuore

di Silvia Ranzi

Nato nel 1948 a Colle Val d’Elsa da famiglia siciliana

immigrata in Toscana nel 1946, Franco Corso

ha iniziato a lavorare giovanissimo nel settore metalmeccanico

e, dopo un significativo apprendistato presso

un fabbro di San Gimignano, si è dedicato totalmente all’attività

artigianale del ferro battuto, trasferendosi a Firenze

nel 1973. Nella nativa Colle Val d’Elsa ha coltivato fin dalla

giovinezza l’attitudine per il disegno e la pittura, esponendo

opere in un bar sotto casa con apprezzamenti di amici

e conoscenti; in età matura è riemerso il desiderio di ritornare

alla prassi artistica, votandosi da autodidatta ad un

realismo genuino e descrittivo, con il quale interpreta il vero,

sia ambientazioni naturalistiche che sociali, rivisitandolo

con la spontaneità di trame disegnative, dosati e pastosi

cromatismi, secondo gli accenti di una raffinata naïveté lirica

che gli fa meritare la definizione di “peintre de l’instinct

et du coeur” secondo una citazione di Anatole Jakovsky.

La sua recente produzione spazia dal 2017 ad oggi e comprende

un ampio ventaglio di soggetti che si concentrano

a narrare l’affezione per i luoghi dell’infanzia nella delineazione

di vicoli e storici edifici monumentali medievali e rinascimentali,

per dilatare lo sguardo su vedute e paesaggi

toscani, composizioni floreali e la figura umana in assoli:

solitudine d’artista, antichi mestieri e bevitori. Alternando

delicatezza di tinte a densi tonalismi cromatici, con predilezione

per la tecnica ad olio e a pastello, Corso ritrae, secondo

vividi e soffusi chiaroscuri luministici, svariati temi:

intime radure boschive segnate da percorsi con passan-

Autoritratto (2020)

ti, declivi collinari a colture con addensamenti atmosferici

nella ciclicità delle stagioni, antiche attività di mietitura

nei campi, casolari isolati in scorci agresti con svettanti

cipressi, anfratti lacustri e fluviali. Talora si affaccia sulle

tele la purezza chiarista di cime dolomitiche innevate

con armenti in primo piano; talaltra, il pittore omaggia la

dinamicità delle distese marine fluttuanti sulle coste, per

catturare il profilo corporeo dominante di un aitante cavallo

al tramonto, celebrando così la biodiversità delle specie

zoomorfe. Il fluire dei ricordi viene stigmatizzato grazie

alla visione di scene idilliche miniaturizzate in interni di rustici,

dove si racconta la vita familiare domestica di tem-

Panorama di Colle Val d'Elsa (2021)

52

FRANCO CORSO


pi trascorsi accanto al calore del focolare tra generazioni

a confronto, utensili casalinghi, animali domestici; scene

caratterizzate dalla presenza di bambini con il carrettino,

secondo il motto “come eravamo”, che giocano in esterni

dinnanzi a facciate di palazzi storici di Colle Val D’Elsa, situata

nel cuore della Toscana, sul percorso della via Francigena,

panoramicamente delineata nel

suo borgo più antico arroccato su un alto

poggio. Emblematica la tela che propone

la facciata prospettica di Palazzo

Campana, affacciato sull’omonimo ponte,

esempio di architettura manierista

del Cinquecento toscano, su progetto di

Giuliano di Baccio d’Agnolo, come riferisce

il Vasari. È dunque il sentimento neoromantico

con accenti paesistici che

intride le opere di Franco Corso, sostenuto

nell’attrazione per l’arte dalla scia

della rimembranza tra il passato che riaffiora

ed il fascino per la natura, alla

quale affidarsi per un appagante e candido

sguardo di rinascita interiore.

Come eravamo: gli anni Cinquanta (2019) Palazzo Campana (2021)

franco.corso.2@gmail.com

Paesaggio invernale (2021)

Casolare con cipresso (2020)

Cavallo in riva al lago (2020) Veduta dolomitica (2021)

FRANCO CORSO

53


La La seconda edizione edizione della della della mostra mostra e premio e e premio internazionale internazionale Tamara Art Tamara Award Art Art rende Award omaggio rendono alla famosa omaggio pittrice alla polacca

famosa artista esponente artista polacca polacca dell’Art Art déco Art Deco Deco Tamara Tamara de Lempicka de de Lempicka che è stata che che anche è è stata una stilista, anche una promotrice stilista , , promotrice di stile e una di delle

famosa

stile prime stile e una e donne una delle delle ed prime artiste prime donne impegnate donne ed ed artiste a artiste favorire impegnate l’emancipazione a a favorire femminile. l'emancipazione L’Autoritratto delle in Bugatti donne.Il verde suo è il motto dipinto

"Autoritratto di Tamara in Buggatti in e Buggatti l’emblema Verde” Verde” della divenne libertà divenne e il dell’indipendenza motto il motto dipinto di della di Tamara donna de moderna. Lempicka. Il premio ed ed emblema Tamara Art della Award è dedicato

libertà ed alla ed libera indipendenza interpretazione della della donna donna e rappresentazione moderna. Il premio Il della premio donna Tamara emancipata, Art Art Award proprio è è per dedicato ricordare alla la libera personalità di

Tamara interpretazione de Lempicka,

libertà

della della il suo rappresentazione carattere forte

di

e di donna

l’innato donna glamour emancipata, che ha influenzato proprio per per il ricordare look di tante

la la personalità donne. L’artista

di

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Tamara era

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legata de Lempicka, Lempicka, a Venezia,

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che che ha ha e per influenzato incontrare

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di di Guggenheim, tante e a Firenze

per i suoi frequenti viaggi studio sul manierismo toscano da lei tanto apprezzato. In occasione della seconda

donne.L'artista donne.L'artista polacca polacca era era legata legata a Venezia a Venezia dove dove si si recava recava spesso spesso per per trascorrere le le vacanze e per

per

edizione del premio tutte le opere partecipanti saranno esposte a Venezia presso il prestigioso salone nel palazzo

incontrare incontrare Peggy Peggy Guggenheim Guggenheim e a e Firenze a Firenze per per i suoi i suoi frequenti frequenti viaggi viaggi studio studio sul sul manierismo toscano da

da

della Scuola Grande di San Teodoro una video proiezione che si terrà dal 26 al 29 maggio 2022 oppure in una

lei amato. lei amato.

In occasione In occasione

della della

seconda seconda

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del del

premio premio

internazionale internazionale

Tamara Tamara

Art Art

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mostra dal 26 maggio al 6 giugno 2022 che vedrà anche la presenza di capolavori originali di Tamara de Lempicka

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maggio

maggio

2022 oppure potranno essere esposte dal 26 maggio al 6 giugno 2022 accanto a capolavori personalizzate

oppure e saranno potranno inclusi nel essere catalogo esposte dell’evento. dal 26 I primi maggio tre classificati, al 6 giugno oltre 2022 a prestigiose accanto targhe a capolavori

originali di Tamara de Lempicka ( serigrafie certificate dalla figlia Kizzette de Lempicka) premio, e prendere riceveranno

2022

originali alcuni dei di seguenti Tamara riconoscimenti: de Lempicka pubblicazioni ( serigrafie dedicate certificate alla dalla loro attività figlia Kizzette artistica e de la Lempicka) possibilità esporre prendere

parte nell'ambito dell'evento "Tamara-glamour della donna eterna" organizzato da Studio un’ope-

parte nell'ambito dell'evento "Tamara-glamour nella prossima della donna mostra. eterna" organizzato da Studio

Artemisia e de Lempicka Estate. I venti finalisti che parteciperanno all'evento riceveranno le

Artemisia e de Lempicka Estate. I venti finalisti che parteciperanno all'evento riceveranno le

certificazioni personalizzate e saranno inclusi nel catalogo dell'evento .I primi tre classificati oltre

certificazioni personalizzate e saranno inclusi nel catalogo dell'evento .I primi tre classificati oltre

prestigiose targhe premio, riceveranno alcuni dei seguenti riconoscimenti : pubblicazioni dedicate alla

prestigiose loro attività

targhe artistica

premio, e la La possibilità

riceveranno data ultima di

alcuni esporre per dei iscriversi una

seguenti delle è proprie entro riconoscimenti il opere 30 aprile nella

: pubblicazioni prossima 2022

mostra

dedicate .

alla

loro attività artistica e la possibilità di esporre una delle proprie opere nella prossima mostra .

La data ultima PER INFORMAZIONI per iscriversi CONTATTARE:

è entro 30 aprile 2022

La data ultima per mbstudioarte@gmail.com

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A cura di

Margherita Blonska Ciardi

Nuove proposte dell’arte

contemporanea

Alma Sheik

L’artista del Suriname protagonista a Venezia con opere astratte

ispirate alle decorazioni degli antichi mosaici

di Margherita Blonska Ciardi

Nata in Suriname, Alma Sheik è cresciuta in Olanda, ma

vive e lavora da tempo in Toscana. Da alcuni anni il

suo modo di dipingere si sta facendo conoscere ed

apprezzare grazie ad una personale cifra stilistica che unisce il

puntinismo francese all’antica tradizione del mosaico. L’artista,

infatti, reinterpreta le decorazioni pavimentali degli storici edifici

termali e delle chiese e le inserisce nelle sue composizioni

in parte astratte. In questo modo riesce ad unire il presente con

il passato, creando una pittura raffinata che evoca quiete ed armonia.

Predilige soprattutto delicate tonalità pastello. Avendo

viaggiato molto nel corso della sua vita ha potuto esporre le

proprie opere in giro per il mondo: a New York presso l’Agorà

Gallery, in Francia e in Olanda, ricevendo numerosi riconoscimenti

e pubblicazioni. Dal 1994 risiede e lavora in una fattoria

nei pressi di Lucca dove, circondata dalla straordinaria bellezza

della natura Toscana, trova diverse fonti d’ispirazione e la

luce perfetta per dipingere. Nel 2021 le sue opere sono state

esposte alla terza edizione di Aqvart a Venezia dove ha ricevuto

il premio di merito per la sua originale impronta artistica. Con

le sue Odalische danzanti ha inoltre ricevuto, sempre nel 2021,

il secondo premio nel concorso Tamara Art Award e ha esposto

due opere alla Fortezza da Basso durante la Biennale Internazionale

d’Arte Contemporanea di Firenze. Quest’anno le sue

nuove opere saranno presenti alla seconda edizione di Tamara

Art Award che si svolgerà a maggio a Venezia. L’artista, inoltre,

esporrà i suoi lavori dedicati all’ambiente, all’acqua e alla bellezza

della Serenissima nell’appuntamento di settembre 2022

dell’ormai consolidata rassegna internazionale Aqvart. Alcune

sue tele saranno messe all’asta sulla piattaforma online di arte

contemporanea Wondike curata da Studio Artemisia.

www.almasheik.com

Cosmos (2021), acrilico su carta, cm 70x50

Blue Tulipani (2022), acrilico su strato di corteccia

ALMA SHEIK

55


Ritratti

d’artista

Emilia Lucchesi

Frammenti di vita in chiaroscuro

di Alessia Carmignani

Come tante grandi passioni,

quella di Emilia Lucchesi per

i colori nasce sui banchi di

scuola: si accorge presto, infatti, che

quei piccoli momenti immortalati su

un foglio bianco o su una pagina di un

quaderno suscitano in lei delle emozioni.

Dal padre Emilio eredita non solo

il nome ma anche la voglia – quasi

una necessità – di esprimersi con

l’arte; uomo all’apparenza ruvido, trova

nella scrittura ma soprattutto nella

pittura il canale prediletto per comunicare

i suoi sentimenti. Emilia, timidissima

per natura, sente il bisogno

di approfondire questo linguaggio ed

inizia il liceo artistico di Lucca dove

frequenta, tra le altre, le lezioni di

Massimo Micheli, Marco Pasega e Franco Pegonzi. A metà

degli anni Settanta si diploma e prende parte a varie mostre

collettive: i soggetti prediletti delle sue tele sono figure

di giovani uomini e giovani donne a tutto campo, immortalate

in tempi e luoghi indefiniti, a volte assorte nei propri

pensieri, altre volte con lo sguardo inquisitore rivolto verso

lo spettatore. Tema centrale della pittura di quegli anni

è sicuramente la ricerca dell’amore, sia nei temi legati alla

vita di tutti i giorni che a tutto ciò che riguarda la pittura

sacra e la rappresentazione dell’iconografia religiosa. Negli

anni successivi la sua produzione pittorica si riduce drasti-

Ultimo saluto al porto di Genova (2007), olio su tela, cm 60x100

camente, sacrificata alla carriera in un altro ambito lavorativo

e alla famiglia in espansione. Con traguardi raggiunti

e figlie ormai grandi, negli anni 2000 comincia a sentire di

nuovo la voglia di dedicarsi a pennelli e colori. L’ispirazione

arriva da alcune vecchie foto di famiglia: trova infatti in

queste istantanee tutte le emozioni di quei momenti intimi

e ordinari che hanno segnato la vita delle persone a lei più

care. Un corteo nuziale di macchine, il saluto ai parenti prima

di partire per l’Argentina, le prime passeggiate con la

fidanzata in centro, giovani che giocano al tiro a segno al luna

park. Nasce così una serie di tele emozionanti che raccontano

scene di vita della famiglia

dell’artista ma in cui tutti idealmente

possono riconoscere le proprie radici.

I volti appena accennati, la luce

a guidare lo sguardo dello spettatore,

il chiaroscuro soltanto a svelare

le emozioni dei soggetti ripresi inconsapevolmente

in un momento di

vita ordinaria. Con gli anni il linguaggio

dell’artista si è adattato ai cambiamenti

della sua vita e del mondo

che ci circonda. Emilia ha sentito

l’esigenza di esprimersi in maniera

più veloce ed immediata trovando

nell’acquarello il compagno ideale di

viaggio. Espone attualmente in varie

gallerie della Toscana.

Il matrimonio di Rosetta (2007), olio su tela, cm 80x120

emi.lucchesi@yahoo.it

@emilialucchesi

56

EMILIA LUCCHESI


Eventi in

Toscana

Alfredo Catarsini

A Lucca un’imponente retrospettiva

sulla storia dell’artista viareggino

ideatore del “simbolismo meccanico”

di Barbara Santoro

Lo scorso 12 marzo, al Palazzo delle Esposizioni della

Fondazione Banca del Monte di Lucca, è stata inaugurata

la mostra di Alfredo Catarsini intitolata Dalla darsena

alla linea gotica / Paesaggi, figure e grandi composizioni pittoriche

(1917-1945). In corso fino all’8 maggio 2022 e con la curatela

di Rodolfo Bona, la mostra racconta attraverso circa ottanta

opere – dipinti e disegni a carboncino e a china – le principali

tappe dell’itinerario artistico del pittore viareggino durante gli anni

che, dopo gli esordi sulle sponde della darsena, lo videro partecipare

alle principali esposizioni artistiche dell’Italia fascista e

cimentarsi, nel 1945, nella realizzazione degli affreschi di San

Tommaso a Castagnori in Lucchesia e di quelli del catino absidale

della chiesa di San Martino a Freddana, sempre in provincia

di Lucca. Alfredo Catarsini nacque nel 1899 a Viareggio dove trascorse

gran parte della sua vita, ad eccezione di alcuni brevi periodi,

come ad esempio un soggiorno parigino nel 1914 durante

il quale conobbe Amedeo Modigliani. Nel 1919 ottenne il diploma

al Regio Istituto d’Arte di Lucca e nel 1924 aprì uno studio in

una vecchia fabbrica dismessa di mattonelle che divenne ritrovo

di altri giovani pittori cresciuti come lui sotto la guida spirituale di

Lorenzo Viani. Nel 1929 si tenne la sua prima personale a Palazzo

Paolina, nelle cui soffitte anni dopo allestì l’atelier dove lavorò

per tutta la vita. Negli anni Trenta partecipò alle mostre organizzate

da Filippo Tommaso Marinetti insieme agli esponenti del

secondo futurismo. Si ricorda poi la sua presenza al Premio nazionale

di pittura Golfo di La Spezia (1933), la personale a Bastia

(1937) e la collettiva alla Palazzina Spagnola di Napoli (1939).

Prese parte inoltre al Premio Bergamo (1939), alle tre edizioni

del Premio Cremona (1940), alla Biennale di Venezia (1940, 1948

e 1950) e cinque volte alla Quadriennale di Roma. La sua iniziale

ricerca denominata “riflessismo” sfociò con gli anni nell’esperienza

del cosiddetto “simbolismo meccanico”, per il quale venne

premiato nel 1971 al Salon Babjlone di Parigi. Titolare, dal 1951

al 1968, della cattedra di Decorazione e Disegno musivo e di Figura

disegnata all’Istituto d’Arte Stagio Stagi di Pietrasanta, collaborò

con riviste e quotidiani e pubblicò il romanzo Giorni neri.

Nel 1981 fu protagonista di una grande mostra voluta da Vittorio

Greco a Palazzo Strozzi a Firenze, alla quale seguirono altre retrospettive

ed antologiche come quella di Milano curata da Angelo

Mistrangelo. Si spense nella sua casa, a due passi dalla pineta

di ponente, nel 1993. Su richiesta dell’amministrazione comunale,

nel 2003 la nipote Elena Martinelli ha riallestito ed aperto al

pubblico lo studio di Catarsini nelle soffitte di Palazzo Paolina,

mentre in un’altra sala, nel lato nord della stessa struttura, è stato

raccolto l’archivio dell’artista riordinato dall’Istituto Storico Lucchese

ed attualmente curato dalla storica dell’arte Claudia Menichini.

Trenta opere del pittore sono state donate dai figli Mity

e Orazio al Comune di Viareggio nel 2001 e sono ora conservate

nella Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea Lorenzo

Viani dello stesso comune. Altre opere sono conservate alla Galleria

d’Arte Moderna di Milano, a Ferrara, Roma, Lodi, Pietrasanta,

Pisa, Parigi e nel Museo d’Arte di Monaco di Baviera. A partire

dal 2012, nell’ambito del Festival Viareggio Europa Cinema viene

assegnato un premio a nome di Alfredo Catarsini per la migliore

opera grafico-pittorica.

ALFREDO CATARSINI

57


Nuove proposte dell’arte

contemporanea

A cura di

Margherita Blonska Ciardi

Daphne Horev

Angeli stanchi con le ali spezzate: la risposta dell’artista

israeliana alla guerra in Ucraina

di Margherita Blonska Ciardi

L’artista israeliana Daphne Horev si distingue

per una pittura al confine tra

sacro e mistico, nella quale spesso

compaiono figure di angeli intesi come nostri

protettori. Ha studiato arte in Israele prima a

Tela Aviv e poi alla Ramat Hasharon, laureandosi

successivamente in Educazione artistica alla

University of Leeds. Nelle sue tele possiamo

riscontrare le atmosfere emotive delle opere

oscure di Goya e la tensione drammatica ispirata

ai chiaroscuri caravaggeschi. Le tecniche

dell’arte digitale e la fotografia, stampata ogni

volta su superfici diverse, danno risultati sorprendenti

e piano piano si uniscono e sostituiscono

alla pittura ad olio, in cui l’uso di vernice

dorata e della foglia oro dona un tocco mistico

a metà tra mondo terreno e mondo spirituale.

Quello che conta è il risultato finale, con il

quale l’artista vuole comunicare un messaggio

forte. La recente invasione russa dell’Ucraina,

con le atroci scene di guerra, ha emozionato Daphne,

che ha espresso la propria protesta in una serie di quadri.

One-winged Nike

Su ogni tela appare la figura di un angelo custode con le

ali talvolta sporche e spezzate che cerca di rifugiarsi dal-

As in heaven so on earth

Night enigma

58

DAPHNE HOREV


Sleeping angel

Low flight through Japanese Lace

Used wings

Hitchhiking angel

le crudeltà umane dentro

una grotta. In altri lavori lo

vediamo esausto e stanco

mentre dorme con la testa

appoggiata sulle piume

delle proprie ali e con il

capo avvolto da un’aureola

d’oro che contrasta con

il cielo scuro. Per Daphne

Horev le ali rappresentano

una metafora pittorica

e un simbolo di libertà.

L’artista stessa, realizzando

il proprio autoritratto,

si riconosce nella figura di

Nike, la dea della vittoria

che con un’ala riesce a superare

gli ostacoli della vita

che spesso una donna

trova lungo il proprio percorso.

Secondo lei, Nike è

anche uno dei primi simboli

del femminismo. Parlando

del proprio mondo

artistico afferma: «Impegnarsi

con l’arte è come

immergermi nel personale

microcosmo che interfaccia

il mondo crudo delle

cose in sé, un mondo conosciuto

in un processo

alchemico-magico-sinergico».

Prossimamente i

suoi lavori saranno esposti

in un tour di mostre tra

Italia e Polonia.

DAPHNE HOREV

59


Eventi in

Toscana

Francesco Terrone

Premio Ponte Vecchio allo

scrittore e poeta salernitano

di Luca Filipponi

L’ingegnere salernitano Francesco Terrone ha pubblicato

numerosi libri che hanno avuto un notevole

successo di pubblico, critica e vendita. Questi libri

sono stati presentati e recensiti dai più importanti critici e

giornalisti italiani ed internazionali in luoghi simbolo dell’arte

e della cultura. Poeta, scrittore ed editorialista, Terrone

è un raffinato intellettuale e ideatore di una fondazione con

la quale promuove la cultura. Proprio per questo suo ricco

ed importante curriculum professionale, la commissione

del Premio Ponte Vecchio, promosso a Firenze dall’associazione

Toscana Cultura, ha ritenuto doveroso premiarlo, riconoscendone

così i meriti culturali e i notevoli successi

editoriali da lui ottenuti negli anni. Tra i premi da lui ricevuti

in passato si segnalano anche i riconoscimenti Comunicare

l’Europa e lo Spoleto Art Festival per la Letteratura, manifestazione,

quest’ultima, della quale lo scrittore sarà ospite il

prossimo settembre.

Francesco Terrone

60

FRANCESCO TERRONE


A cura di

Filippo Cianfanelli

Itinerari del

gusto

Cucina di mare

Un ristorante dove passione e cortesia sono di casa

Testo e foto di Filippo Cianfanelli

Chi si trovi a passare da via Quintino Sella a Firenze, quasi

all’angolo di via De Sanctis, noterà sicuramente la

semplice insegna celeste di questo nuovo ristorante di

pesce le cui origini vengono però da molto lontano. Accanto

al nome del ristorante, infatti, il titolare Paolo Onzini, che ne è

anche lo chef, ha voluto aggiungere “da Mamma Elissa 1968”

per ricordare sua madre che ha saputo trasmettergli la passione

per la ristorazione e soprattutto per la cucina di pesce. Nel

1968, la famiglia Onzini aprì un ristorante in via Carlo D’Angiò

dove la signora Elissa, accanto agli altri piatti di carne e di pesce

della tradizione toscana, ebbe l’idea di preparare anche la

paella alla Valenciana, allora praticamente sconosciuta in Italia.

Il piccolo Paolino vedeva sua madre sempre dietro ai fornelli

e, nonostante capisse i sacrifici che ciò comportava, una

volta cresciuto decise di seguirne le orme. Dopo alcune esperienze

lavorative come chef in altri ristoranti, iniziò a lavorare in

proprio, prima a Grassina poi al Galluzzo, fino ad aprire un locale

a Firenze in via Quintino Sella. Nel 2018 il grande passo: il locale

si allargò e divenne un vero ristorante dove Paolo iniziò a

servire piatti di carne e di pesce. Purtroppo la pandemia lo ha

costretto alla chiusura ma, nel maggio 2021, il nuovo ristorante

ha riaperto alla grande con l’attuale nome e con esclusivamen-

Un angolo del ristorante

Lo chef Paolo Onzini con la compagna Guia Montagnani

te piatti di pesce. Grazie alla complicità della simpatica compagna

Guia Montagnani, nipote di Renzo, il compianto attore

fiorentino, il locale è cambiato completamente sia nella struttura

che nell’arredo. Guia ha scelto personalmente i colori delle

pareti, ha fatto dipingere i murales e ha selezionato i complementi

di arredo che rendono il locale un luogo elegante ma

senza indurre soggezione. In cucina sempre il compagno Paolo,

che ha voluto conservare anche alcune ricette della mamma,

seppure con piccole varianti, accanto ai piatti più attuali,

dalle tartare di pesce a piatti molto più elaborati. Tra gli antipasti

ho apprezzato i cannoli di pasta fillo ripieni di mousse di

cernia con crema di zucchine aromatizzate alla mentuccia; altrettanto

interessante l’insalata di mare agli agrumi, cotta al

vapore, accompagnata da misticanza e crudités di gambero

argentino. Molto originali gli arancini di polpo e scamorza dolce

con pizzoccheri alle alghe e maionese di soia alla menta.

Tra i primi da segnalare i ravioli ripieni di capesante e gamberi,

serviti con pesto, menta e lime. Non potevo non assaggiare

un piatto della tradizione materna come le pappardelle di pasta

fresca con frutti di mare, curry e crema vegetale, con un

gusto che fa tornare agli anni Ottanta. Tra i secondi, accanto

alla classica frittura di pesce, al guazzetto di mare o alla tartare

di salmone rosso con crudités di verdure e guacamole, ho

apprezzato il tataki di tonno pinna gialla in crosta di sesamo.

Tra i dessert, il più originale è certamente il millefoglie con crema

chantilly, caprino e cubetti di pera. Tutti i piatti hanno un’ottima

scheda su eventuali allergeni o componenti responsabili

di eventuali intolleranze. La lista dei vini comprende una ventina

di etichette, anche con alcuni prodotti biologici, oggi molto

di moda.

Cucina di mare

CUCINA DI MARE

61


Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale

Anna Rita Mauro

Anna Rita Mauro

è nata nel 1968

a Nova Siri, poco

distante da Matera.

Ama il sole, il mare, il

bosco, tutto l’universo in ogni sua forma. I suoi scritti

sono frutto di un hobby. Non ama la notorietà e pensa

che scrivere renda le persone migliori. Non si reputa

una poetessa, ma solo un’anima che dirige la

penna accogliendo attimi di ispirazione.

Anna Rita Mauro

Nel lettone accoccolati

tutti quanti

rannicchiati.

Anche il gatto

fa le fusa

nel calduccio

della casa.

Il cane

un po’ geloso

Dormi cucciola

Dedica

Figlia

una parola

un mondo intero.

Sono la tua mamma

donna.

Ti voglio sostenere.

Scusa se di meglio

non so fare.

Sai è un difficile mestiere.

Sono certa

tu mi apprezzi.

La vita a volte scherza

Si cade

sotto la coperta

ronficchia ozioso.

E una dolce

bimba bella

con due occhietti

sembran stelle.

Una mamma benedetta

se la coccola

stretta stretta.

ci si rialza

come una palla che

rimbalza.

Io continuo

la tua mamma

voler fare.

Non per dovere

per amore!

Tu per me

figlia bella

sarai sempre

la mia stella.

Nel mondo arido

Fresca primavera

Le tue melodie

si posano.

Delicate

sui tuoi gesti

come aria fresca.

In un giorno di primavera

le ali del vento

spennellano graffiti

sulle chiome delle nuvole.

di pioggia passata.

Un arcobaleno

non trovo ristoro.

Solo nei tuoi occhi di

cielo

mi ritrovo.

Se trovi chi non ti apprezza

ricorda...

manda via tutto

pensando a una mia

carezza.

Anche quando dormi

del mio amore

il tuo cuore adorno.

Figlia mia

sei un po’ di me

sulla tua via.

Sii forte e tenace.

Gioisci sempre

così mi piaci!

Manda via

di sorrisi variopinto

si riveste di stupori

Una rosa rossa

innamorata

ha intriso

il tuo cuore

di gioia.

E del suo profumo

di petali

delicato

ti han vestito.

tutto il brutto.

La vita

di cose belle è fatta.

Sei bella figlia mia.

Sei un dono

pieno di Universo

sei cielo terso.

Come una coppa

stracolma

di acqua pura

il mio cuore

amore per te versa.

E poiché

nulla vada perso

di scrivere

per sempre

per te

mi son concessa.

62 ANNA RITA MAURO


Gualtiero Risito

www.gualtierorisito.it

Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Giuliano Pini, olio su tela, cm 70x100

Giorgio Butini, olio su tela, cm 40x60

Nidia Gugnaz, olio su tela, cm 50x70

Marcello Ceccherini, olio su tela, cm 70x100

GUALTIERO RISITO

63


Firenze

mostre

Angelo Massimo Nostro

Protagonista di una personale da poco conclusa al Gruppo Donatello

con opere dallo stile “destrutturista”

Testo e foto di Maria Grazia Dainelli

Dal 19 al 31 marzo 2022 lo storico Gruppo Donatello

di Firenze ha ospitato la personale di Angelo Massimo

Nostro dal titolo Sirene / Tutto è meraviglia, alla

ricerca dell’armonia. Tra le trenta opere pittoriche in mostra è

stato possibile ammirare quattro tele parietali di grandi dimensioni

che illustravano la cifra stilistica di Nostro da lui stesso

definita “destrutturista”. A questi lavori si sono aggiunti oltre

centottanta disegni a china, penna nera e matite colorate sfogliabili

su libri aperti a muro, in modo da offrire ai visitatori

e agli esperti una visione di sintesi delle scelte compositive

dell’artista, quasi un preambolo alle opere pittoriche. Nei lavori

di Nostro si coglie una luminosità che ricorda la lezione dei

grandi astrattisti del primo Novecento, in particolare del famoso

pittore ceco František Kupka. Nelle sue opere si assiste alla

destrutturazione e stratificazione dei colori su superfici ruvide

frammiste a lisce spatolate che geometrizzano la rappresentazione

mantenendo però la libera gestualità che gli appartiene

per formazione e per cultura. Creare armonia attraverso il

colore e perseguire la strada della “sensibilità pura nell’arte”

sono le principali componenti del suo stile destrutturista. I colori

frammentati sono disposti sulla tela come in una partitura

musicale, quasi fossero note che ci fanno sentire intimamente

l’atmosfera dell’opera. L’artista ha già in programma di ritornare

a Firenze il prossimo anno per presentare alcune sue sculture

e soprattutto il bassorilievo Musica svelata premiato a Roma

come omaggio al maestro Ennio Morricone.

Angelo Massimo Nostro

Alcuni disegni in mostra

Il Metauro negli sconfinati spazi della Magna Grecia


A cura di

Giuseppe Fricelli

Polvere di

stelle

Aldo Ciccolini

Un pianista dalla raffinata musicalità

di Giuseppe Fricelli

Mentre aspettavo l’aereo che mi avrebbe portato a Bucarest

per un concerto, vidi nella sala di attesa attigua

alla mia Aldo Ciccolini. Avevo conosciuto il

fantastico pianista due anni prima dopo un suo recital al Teatro

della Pergola di Firenze. All’aeroporto, dunque, mi avvicinai

al maestro. Mi riconobbe subito e, durante l’attesa dei

nostri voli in ritardo, lui doveva tornare a Parigi, ci intrattenemmo

a parlare per più di un’ora. Fu per me una conversazione

importante. Ricordammo i nostri comuni amici quali i pianisti

Sergio Fiorentino, Tita Parisi, Gabriel Tacchinò, Riccardo

Muti, dei miei maestri Rio Nardi, Vito Frazzi, Franco Rossi che

Ciccolini conosceva ed apprezzava molto. Mi parlò dei suoi

impegni artistici internazionali e, come un caro papà, volle sapere

con interesse quali sarebbero

stati i miei prossimi

concerti. Ai corsi di perfezionamento

del grande maestro

avevo mandato alcuni miei

allievi. Al saggio finale della

www.florenceartgallery.com

master class mi si avvicinò

Aldo Ciccolini

ed ebbe per me parole affettuose di elogio per il lavoro didattico

svolto. Ciccolini possedeva un carisma straordinario,

grande signorilità, raffinata musicalità, invidiabile dialettica,

una profonda cultura musicale, pittorica e teatrale. Dialogare

con un così grande ed irripetibile artista fu per me un’ora

di vera gioia.

Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi

in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e

camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche

di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso

i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.

ALDO CICCOLINI

65


Mostre in

Italia

A Venezia la collettiva promossa dall’associazione

Napoli Nostra per viaggiare nei meandri della fantasia

di Maria Grazia Dainelli

Dal 26 febbraio al 7 marzo 2022, la storica sede

della Scuola Grande di San Teodoro ha ospitato

la mostra collettiva di pittura, scultura e fotografia

intitolata Venezia / Viaggio nei meandri della fantasia e

promossa dall’associazione Napoli Nostra. L’evento, svoltosi

in concomitanza del Carnevale di Venezia e inserito

nel palinsesto della manifestazione Le città in festa, ha

avuto il patrocinio della Regione Veneto e del Comune di

Venezia. Al vernissage sabato 26 febbraio è intervenuto il

professor Rosario Pinto, critico e storico dell’arte, autore

di un testo di storia dell’arte che sarà archiviato nella biblioteca

Thomas J. Watson del Metropolitan Museum di

New York per una ricerca sull’arte moderna e contemporanea

in ventiquattro paesi del mondo in cui l‘associazione

Napoli Nostra rappresenta l’Italia. Erano presenti inoltre

l’ingegnere Gennaro Corduas, direttore artistico dell’associazione

Napoli Nostra che ha presentato la mostra, e il

giornalista Fabrizio Borghini, che ha documentato l’evento

con un servizio televisivo per la rubrica Incontri con l’arte

andato in onda sull’emittente Toscana TV. A tutti gli artisti

espositori è stata consegnata la documentazione inerente

alla mostra, ovvero due copie del catalogo, l’invito, il

dvd del filmato, visibile anche sulla piattaforma YouTube,

e l’attestato di partecipazione.

La Scuola Grande di San Teodoro, sede della collettiva promossa dall’associazione

Napoli Nostra

ARTISTI PRESENTI IN MOSTRA:

LUCIA ARCELLI

SIMONE ARGIOLAS

VINCENZO ARMATO

CORRADO AVANZI

PIERA BACHIOCCO

CARLO BALLJANA

NICOLETTA BARZON

ALBERTO BESSON

AMEDEO BORZONE

GIUSY BRESCIANINI

ANNA BUBBA

FLAVIO CACCIATORI

CHIARA VALENTINA CALCINAI

CARMELA CANDIDO

GIUSEPPE CAPUTO

GIANFRANCA CARA

FRANCO CARLETTI

ADELCO “VARREN” CESARI

NUZIA CICCARELLI

ERMELLA CINTELLI MOLTENI

DORALUCIA CIOGLIA BRASIL CASSETTI

ROSALINA COLLU

GIAMBATTISTA COLUCCI

LETTERIO CONSIGLIO

MARIA BEATRICE COPPI

RAFFAELLA CORRADINI

MARIO DE CICCO

ANTONIO DE GERONIMO

CARMINE DE PALMA

MARIA DE PASQUALE

GELTRUDE DE SIMONE

CLAUDIO DELLA ROCCA

PIERGIORGIO DESSÌ

ANNALISA D’URSO

ANTONIETTA DI SECLÌ

MONICA FERRERA

DEBORA FERRUZZI CARUSO

GIULIANA MADDALENA FUSARI

DANIELA GHIONE

MARIO GHIZZARDI

ANTONINA GIOTTI

CRISTINA GIOVANNUCCI

ALESSANDRO GRANATA

PAOLA IOTTI

DALILA LAZZARINI

ROSIE LONGHI DE BOUARD

ELISA MACALUSO

GIUSEPPE MAGRÌ

FABRIZIO MAIORELLI

SERENA MANCINO

NICOLA MANFREDELLI

PAOLA MARCHIARO

FEDERICA MARIN

NIKOLINA MARJANOVIC SCALISE

FRANCESCA MARSICO

CLAUDIO MARTUSCIELLO

ANNAMARIA MASSA

VANIA “CHICCALUX” MASO

GIOVANNI MAUCERI

STEFANIA MAZZA

ENRICA MAZZUCCHIN

FELICE MEO

MERIK

SANDRA MIGLIORINI

GEMMA ORIA

ADAMO PACILLI

FAUSTO PANICHI

SIMONETTA PANTALLONI

SONIA PASQUINI

FABRIZIO PESCI

PAOLA AUGUSTA PETTINI

LUCA PIETRARELLI

DANIELA PREZIOSO EINWALLER

ARIFI QAZIM

GISELE REISSER

STEFANIA RICCIO

SABINA ROMANIN

ANNAMARIA RUGGERI

ANGELA RUSSO

CRISTOFORO RUSSO

EBE SACCHI

FRANCESCO SANDRELLI

MARIA CATERINA SATTA

ANTONINO SAVIEZZA

GABRIELLA “ISA GABRIA” SCALZULLI

CHRISTEL SOBKE

ELETTRA SPALLA PIZZORNO

ANNA STICCO

LUCA STORNELLON

PASQUALE TERRACIANO

NADIA TOGNAZZO

LIONELLO TRABUIO

ITALO VALENTE

THEA VASTA

LUCIA VERRINA

GIORGIO VERSETTI

PASQUALE ZACCARELLA

LETIZIA ZOMBORY

66

NAPOLI NOSTRA


A cura di

Franco Tozzi

Toscana

a tavola

Il cacciucco

Un grande classico della cucina livornese

di Franco Tozzi

Nato a bordo dei navicelli livornesi, allorché sul focherello

acceso in una vecchia latta ritagliata a fornello,

si trinciavano, aspersi d’acqua di mare, a miscuglio, tagliati

come vennero vennero, agli e cipolle, pomodori e zenzero,

pesci e crostacei, non ha avuto ancora la stampa che si merita.

I livornesi, gente permalosissima, in cent’anni non sono ancora

riusciti a perdonarla a quell’autore di dizionario che alla

voce “cacciucco” ebbe la tetra idea di definirla “sorta di minestra”...minestra?

Si chiedono i cittadini labronici, abituati a roba

ben più consistente dei brodetti che si voglion gabellare per

cacciucco. Ma sanno come l’ha definito l’Artusi? Piatto di pesce

sicuro; ammannito soltanto sulle rive del Tirreno, da non

confondersi affatto con i brodetti adriatici e con le zuppe di pesce

genovesi. Il cacciucco è piatto tipico locale livornese, come

La ricetta: cacciucco

Ingredienti:

le triglie in salsa d’aglio, finocchio e pomodoro, come le arselle

gettare in pentola col solo accompagnamento di un pugnello di

pepe ché il sale l’hanno in corpo e l’acqua e la sputano (tratto da

La Stampa Sera del 7 agosto 1936). Questa doverosa premessa

per portare una testimonianza datata circa l’origine di questo

piatto che ogni città della costa toscana rivendica, ma che

Livorno rivendica storicamente come suo, anche per comparazione

della sua popolazione che in origine era veramente un

grande misto di persone. Anche l’origine del nome è assai dibattuta:

si va dal turco “kuciuk”, che vuol dire “minuto, piccolo”,

allo spagnolo “cachuco”, che significa “pesce” in generale. Per

noi dell’Accademia del Coccio la ricetta originale è quella livornese

con pesce di scoglio, senza indicare però quantità precise

perché dipende da quello che pescherete in pescheria…

- pesce di scoglio (scorfano, rana pescatrice, etc.) 300 gr.

- tranci di pesce (grongo, palombo, etc.) 240 gr.

- molluschi (polpo, moscardini, totani, seppie, etc.) 350 gr.

- cozze 1 kg

- cicale di mare e gamberi 300 gr.

- 2 agli

- 1 cipolla rossa

- pomodoro fresco

- peperoncino

- prezzemolo

- olio extra vergine

di oliva

- ½ bicchiere di vino rosso

- zenzero

- sale e pepe

Gli ingredienti si possono integrare o modificare con gallinella,

triglie, nocciolo, cozze e calamari. Si comincia

soffriggendo la cipolla, un ciuffo di prezzemolo (spezzettando

anche i gambi) e due spicchi d’aglio in camicia.

Appena la cipolla sarà colorita, aggiungere 4 etti di pomodori

freschi a pezzetti, sale, pepe e zenzero. Quando i

pomodori sono cotti, versarci mezzo bicchiere di vino rosso

e lasciarlo sfumare. Sbucciare gli agli e passare tutto

questo intingolo. Quindi metterlo sul fornello a fuoco moderato

e unire il pesce partendo da quello che richiede più

tempo di cottura, lasciando interi solo i pesci piccoli. Una

volta cotto, toglierlo dal fuoco e servirlo nel piatto con almeno

due fette a persona di pane cotto a legna abbrustolito

e, per chi lo vuole, “strusciato” di aglio.

Accademia del Coccio

Lungarno Buozzi, 53

Ponte a Signa 50055, Lastra a Signa (FI)

+ 39 334 380 22 29

www.accademiadelcoccio.it

info@accademiadelcoccio.it

IL CACCIUCCO

67


Mauro Mari Maris

L’esuberanza del colore

www.mauromaris.it

mauromaris@yahoo.it

+ 39 320 1750001


A cura di

Stefano Marucci

Riflessioni

sulla fede

Il sogno di Giuseppe

di Stefano Marucci

Il tema affrontato in questo numero prendendo spunto

da un’opera della pittrice Maria Lorena Pinzauti

Zalaffi è il sogno di Giuseppe. Secondo le antiche tradizioni,

i sogni sono messaggi mandati dagli dei. Per la

psicologia, e in particolare per la psicoanalisi, il valore

dei sogni risiede soprattutto nella loro dimensione simbolica.

I sogni sarebbero l’espressione di pensieri, sentimenti

e ricordi che di giorno evitiamo, ma che nei sogni

emergono sia pure camuffati, poiché da essi continuiamo

a difenderci. Dio ha usato molte volte i sogni nella Bibbia

per comunicare la sua volontà, rivelare i suoi piani e annunciare

eventi futuri. Tuttavia nella Bibbia i sogni hanno

sempre richiesto accurate interpretazioni per provare che

provenivano da Dio (Deuteronomio 13). Sia Geremia che

Zaccaria hanno messo in guardia dal fare affidamento

sui sogni per esprimere la rivelazione di Dio. Una “visione

notturna” o “visione nella notte” è la frase usata nella

Bibbia per indicare un messaggio o un sogno oracolo.

Questa espressione si trova sia nell’Antico che nel Nuovo

Testamento. I sogni biblici si dividono in tre categorie

fondamentali: messaggi di imminente sventura o fortuna,

avvertimenti su falsi profeti e sogni ordinari non oracola-

ri. Le prime due categorie includono i sogni di messaggi, i

quali in genere non richiedono un’interpretazione e spesso

implicano istruzioni dirette che vengono impartite da

una divinità o da un assistente divino. Prima della nascita

di Gesù Cristo, Giuseppe aveva tre sogni con messaggi

riguardanti eventi imminenti. In ciascuno dei tre sogni,

un angelo del Signore gli appare per impartirgli istruzioni

semplici da eseguire con obbedienza. Nel Vangelo di Matteo,

i saggi ricevono in sogno il messaggio di non tornare

da Erode, mentre l’apostolo Paolo, durante una visione

notturna, viene esortato ad andare in Macedonia. I sogni

simbolici richiedono invece un’interpretazione perché

contengono elementi non immediatamente comprensibili.

La moglie di Pilato, ad esempio, sognò Gesù la notte

prima che suo marito lo consegnasse per essere crocifisso.

Cercò di convincere il marito a liberare Cristo inviandogli

un messaggio durante il processo, ma Pilato ignorò

il suo avvertimento. Oggi Dio comunica con noi principalmente

attraverso le Sacre Scritture ma questo non vuol

dire che non possa o non voglia parlarci anche attraverso

i sogni. Un numero sorprendente di ex musulmani che

si convertono al Cristianesimo afferma di aver creduto in

Gesù Cristo proprio a seguito di un sogno. L’interpretazione

dei sogni nei tempi antichi richiedeva esami accurati

per dimostrare che il sogno venisse da Dio, la stessa cosa

vale oggi. I credenti possono chiedere in preghiera a

Dio saggezza e guida riguardo all’interpretazione dei sogni.

Se Dio ci parla attraverso un sogno, chiarirà sempre il

suo significato, proprio come ha fatto nella Bibbia. Il quadro

di Maria Lorena Pinzauti Zalaffi mostra Giuseppe rannicchiato

all’interno sia del sogno che del mondo che lo

circonda, come se un flusso divino lo invadesse facendogli

capire quanto questi sogni siano stati importanti e determinanti

per lui e in seguito anche per tutta l’umanità.

Comprendiamo la sua grandezza nel seguire i messaggi

ricevuti in sogno, la sua obbedienza e amore verso Dio. Il

suo “sì” a prendere in sposa Maria ha cambiato la storia

dell’umanità e lo ha portato ad essere l’emblema della famiglia

cristiana, un’icona da ammirare universalmente. I

suoi sogni sono diventati i sogni di tutti, facendo capire

quanto possano essere grandi l’umiltà e il rispetto dovuto

a Dio senza pretendere nulla in cambio. Un sogno che ha

cambiato non solo la sua vita ma anche quella del mondo

intero.

Maria Lorenza Pinzauti Zalaffi, Il sogno di Giuseppe

IL SOGNO DI GIUSEPPE

69


Diario di

un’esploratrice

A cura di

Julia Ciardi

Sgranar per Colli

A Borgo a Buggiano una passeggiata all’insegna del gusto e della natura

di Julia Ciardi / foto courtesy Sgranar per Colli

Dopo la pausa forzata degli

ultimi due anni, nel

paese di Borgo a Buggiano

si riaccende la fiamma per un

cammino spensierato tra le colline

borghigiane. Una scoperta del

territorio all’insegna del gusto, della

natura, della musica e dello stare

insieme. Il prossimo 29 maggio

torna infatti la camminata degustativa

più famosa di tutta la Valdinievole

che nell’ultima edizione del

2019 ha visto quasi 3000 partecipanti:

lo Sgranar per Colli. L’evento,

patrocinato dalla Regione Toscana,

si svolge nel comune di Buggiano

e si propone di far conoscere diversi

aspetti del territorio, avendo

le bellezze del paesaggio collina-

In questa e nelle altre foto alcune immagini delle passate edizioni della camminata

70

SGRANAR PER COLLI


re toscano come cornice durante il percorso. L’iniziativa

è rivolta a tutti, grandi e piccini, escursionisti esperti

e non. L’obiettivo è coinvolgere quante più persone possibili;

per i disabili o le famiglie con passeggino vengono

segnalati alcuni tratti più difficoltosi, qui indicati dalla

mappa in foto. La camminata consiste in un percorso

anulare lungo 12 km che si snoda attraverso alcuni dei

luoghi simbolo del comune di Buggiano: Stignano, Colle

e Buggiano Castello, con un dislivello previsto di 500

mt. Questa edizione avrà inizio dalla Piazza del Mercato

del Bestiame e procederà per nove tappe, ciascuna

delle quali prevede una degustazione eno-gastronomica

con vino, olio, marmellate, miele e salumi, tutti prodotti a

km 0. Durante le soste al fresco si troveranno anche dei

musicisti di band locali che si esibiranno per rendere la

camminata ancora più piacevole. La passeggiata finisce

a Villa Bellavista, struttura barocca del Seicento tra le più

belle d’Italia dopo la reggia di Caserta, che sarà aperta e

visitabile per l’occasione. Sono previste tre partenze con

orari diversi: 9.00, 9.45 e 10.00. È possibile scegliere l’orario

e acquistare i biglietti attraverso il sito ufficiale della

manifestazione.

www.iscrizione.sgranarpercolli.it

Sgranar per Colli

@sgranarpercolli

SGRANAR PER COLLI

71


Eccellenze toscane

in Cina

A cura di

Michele Taccetti

Poolcentury

Azienda giovane e green alla conquista del mercato cinese

di Michele Taccetti

Nel mese scorso è nata la

Poolcentury Srls, azienda

composta da tre giovanissimi

soci, tutti under trenta, che hanno

scommesso su un progetto molto

interessante, ovvero vendere piscine

ricavate da container. La società

detiene il brevetto di questo nuovo

prodotto che sta spopolando negli

USA e che, oltre ad essere innovativo,

è attuale in quanto mira alla salvaguardia

dell’ambiente utilizzando

materiale di recupero come vecchi

container. È quindi un progetto green

che merita un’attenzione particolare.

Da mesi i giovani imprenditori

stanno collaborando con China 2000

Srl per la localizzazione di produttori

qualificati in Cina con cui sviluppare

una partnership. Con la registrazione

di Poolcentury Srls è stato ufficialmente

formalizzato l’accordo di

collaborazione esclusiva con China

2000 Srl per l’importazione dei prodotti

dalla Cina, e a breve verranno

formalizzati accordi di cooperazione

con vari fornitori cinesi. Le piscine

vengono realizzate con container

in acciaio Corten: questo materiale le

rende resistenti e durature nel tempo

anche di fronte alle peggiori condizioni

atmosferiche come ad esempio

la salsedine. I prodotti sono corredati

di tutte le certificazioni necessarie

all’utilizzo. Le caratteristiche

costruttive permettono di personalizzare

la struttura realizzando così un

vero e proprio oggetto di arredo unico

ed originale. È possibile, ad esempio,

installare divisori per una combinazione

piscina/vasca idromassaggio.

Si possono inoltre installare luci a

LED per illuminare la piscina anche

di notte. È previsto altresì un sistema

di filtraggio di nuova generazione

che garantisce la completa pulizia

dell’acqua e la possibilità di riscaldarla

a proprio piacimento nei periodi

più freddi dell’anno. La piscina

viene consegnata presso l’abitazione

72

POOLCENTURY


del cliente completa di ogni tipo

di intervento. A differenza delle

piscine in muratura, questo prodotto

consente di avere tempi di

installazione molto veloci e meno

costosi, ma soprattutto comporta

un bassissimo impatto di costruzione.

La metodologia costruttiva

infatti non prevede l’utilizzo di cemento

armato, di conseguenza facilita

l’ottenimento dei permessi

di costruzione. Inoltre, può essere

posizionata in appositi alloggi

scavati nel terreno, sopraelevata

su impalcature progettate ad hoc

oppure direttamente appoggiata

sulla superficie creando un impareggiabile

impatto scenografico.

Nonostante la società sia appena

nata e nonostante la situazione

economica nazionale ed internazionale

sia fra le più difficili degli

ultimi decenni, si sono già registrate

moltissime richieste di ordini

e questo fa ben sperare per

il futuro. L’obiettivo della giovane

impresa è quella di crescere e creare

una sinergia fra la produzione

cinese e quella italiana con una

sempre maggiore identità Made in

Italy. I giovani soci della Poolcentury

rappresentano un’iniezione

di fiducia per la nostra economia

e la nostra società, soprattutto

in questo terribile momento contraddistinto

da guerre, crisi economiche

e fuga di imprenditori

all’estero, e ci ridonano quell’entusiasmo

e quella speranza che

solo i giovani sanno dare, confermando

che un sano e reale Made

in Italy è ancora possibile quando

si valorizzino opportunamente le

eccellenze del nostro paese.

Poolcentury Srls

Via Cosimo Ridolfi 73 / 50050

Limite sull’Arno (FI) 50050

www.poolcentury.com

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Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il

Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici

Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di

marketing ed internazionalizzazione.

michele.taccetti@china2000.it

China 2000 srl

@Michele Taccetti

Michele Taccetti

Michele Taccetti

POOLCENTURY

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A tavola

con...

A cura di

Elena Maria Petrini

Shama 24K

Intervista al giovane musicista

fiorentino precursore dello

stile emo trap

di Elena Maria Petrini / foto Milo Zoppini

Questo mese proponiamo l’intervista a Gabriele Romanelli,

giovane musicista fiorentino conosciuto con il nome

d’arte di Shama24k e uno dei precursori dello stile

emo trap. Questo genere musicale, di ampio significato

nella cultura popolare contemporanea, ha origine dalle tonalità

della musica hip hop (nota anche come rap), una sottocultura

del ritmo e del movimento nata negli Stati Uniti negli anni Settanta

del secolo scorso e fatta di “turntablism” (l’arte di manipolare

i suoni e creare musica mediante giradischi e mixer),

“scratching” (l’effetto creato dai disc-jockey per aggiungere alla

musica un rumore graffiato), “beatboxing” (l’imitazione con la

bocca e con la voce dei suoni della batteria e delle percussioni)

ed altre tracce strumentali. Il genere emo trap si discosta dai temi

tradizionali del moderno hip hop e si mostra più ricco di contenuti

lirici ed emotivi, con argomenti che sottolineano l’ansia,

la depressione, la solitudine e l’alienazione del mondo di oggi.

Com’è nata la tua passione per la musica?

La mia passione per la musica nasce quando avevo solo

sei anni. Mio padre mi regalò un suo vecchio lettore mp3

Shama 24K

con canzoni di tutti i generi che andavano dai Kiss ad Alicia

Keys. Ricordo che a quei tempi giocavo a calcio e una delle

cose più belle per me era andare in trasferta con le cuffiette

e la musica che ascoltavo in macchina. Ti ringrazio per la

domanda perché mi era completamente passato di mente il

mio primo approccio alla musica…

A cosa ti ispiri per comporre i testi delle tue canzoni?

I testi delle mie canzoni parlano di situazioni della mia vita.

Cerco molto spesso di essere diretto perché

non mi piacciono i testi che alla fine non

vanno a parare da nessuna parte; trovo molto

importante essere credibile in quello che dico,

e mi rendo conto che per esserlo devi parlare

di ciò che conosci a fondo, quindi parlare della

propria vita mi sembra la cosa più giusta. Mi

piace raccontare il mio passato, è troppo interessante

perché lo tenga solo per me.

Qual è il tuo traguardo professionale più ambizioso?

Quando ho iniziato, la mia unica ambizione

era quella di vivere con la musica, adesso ho

alzato un po’ le pretese e il mio obiettivo più

grande sarebbe uscire dall’Italia ed essere riconosciuto

a livello internazionale. Sono convinto

che le mie sfumature “emo” potrebbero

piacere molto verso est e in generale in qualsiasi

posto freddo, dove di norma c’è un po’ di

malumore proprio a causa del clima. Il giorno

che riuscirò a suonare fuori dall’Italia avrò

raggiunto sicuramente uno dei miei più grandi

traguardi.

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SHAMA 24K


Ti piacerebbe collaborare anche con altri rapper e, se sì,

con chi?

Ascoltando molto rap americano e considerando che i rapper

che preferisco non ci sono più, sinceramente ho un po’ di difficoltà

ad individuarne uno con il quale mi piacerebbe collaborare.

Forse l’unico in Italia è Achille Lauro, l’ho apprezzato

quando “rappava” e lo apprezzo anche ora che ha preso completamente

un’altra strada. Dico “forse” perché alla fine facciamo

cose un po’ diverse, ma, chissà, magari un punto di

incontro potremmo trovarlo…

Il tuo “cibo della memoria”?

Il mio cibo della memoria è la carbonara perché, appena sveglio,

dopo le serate in cui avevo alzato un po’ il gomito, me ne

facevo sempre almeno tre etti mentre guardavo qualche video

su YouTube; mi ricorda un po’ il periodo dai 17 ai 20 anni,

in cui ero veramente innamorato della notte.

Quali sono i tuoi piatti preferiti? E, da fiorentino, c’è un

piatto toscano che ricordi con particolare piacere?

Il mio piatto preferito è la pasta, mi piace praticamente in

tutti i modi e con tutti gli ingredienti. Per quanto riguarda il

piatto toscano, direi assolutamente il lampredotto, è d’obbligo

prima di andare allo stadio o prima di farsi un giro in

centro.

Hai anche altre passioni?

Sì, una è il calcio, l’altra il cinema horror: la prima mi è stata

trasmessa dai miei genitori che hanno alle spalle anni

di abbonamenti in curva Fiesole, infatti sono un super tifoso

della Fiorentina. L’altra passione invece l’ho scoperta

da piccolo, guardando i film horror insieme a mia sorella: la

morte è un argomento triste ma cinematograficamente mi

ha sempre attirato molto, per questo sono un grande fan di

questo genere di film.

SHAMA 24K

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B&B Hotels

Italia

B&B Hotels

L’inaugurazione di una nuova struttura nel cuore delle Langhe

di Chiara Mariani

B&B Hotels, catena internazionale con oltre 600 hotel in

Europa, inaugura il nuovo B&B Hotel Cherasco Langhe

nell’omonima città nel cuore delle colline piemontesi

portando così a 52 il numero di hotel presenti sul territorio

nazionale e salendo a quota 2 hotel in Piemonte. Il B&B

Hotel Cherasco Langhe si trova in una posizione ottimale per

visitare le Langhe, Alba, Bra e i tanti piccoli borghi medioevali

del Piemonte, degustando i piatti tipici della tradizione

enogastronomica locale accompagnati dai migliori vini delle

più note aziende vitivinicole nazionali. Piccola ma incredibilmente

affascinante, la cittadina di Cherasco è ricca di storia,

tradizioni, cultura e gastronomia. Che sia per ammirare

fantastici esempi di architettura medievale, romanica o barocca,

per perdersi tra le bancarelle degli antiquari o per rilassarsi

passeggiando all’ombra di platani secolari, una visita

a questa piccola gemma del Piemonte non può sicuramente

mancare. L’hotel dista soli trenta chilometri dall’aeroporto

di Cuneo Levaldigi, mentre Torino è raggiungibile in meno di

trenta minuti di macchina con l’autostrada Verdemare (A6 Torino

– Savona). Il B&B Hotel Cherasco Langhe si trova proprio

in corrispondenza del casello di Marene e dispone di un

ampio parcheggio esterno gratuito per automobili e bus, oltre

ad un garage interno privato. Le 84 camere – matrimoniali,

doppie, triple o quadruple – includono tutti i servizi che

da sempre contraddistinguono l’ospitalità firmata B&B Hotels:

bagno privato, connessione Wi-Fi gratuita, TV 32” a schermo

piatto, mini-frigo, cassaforte e aria condizionata. Per gli ospiti

più esigenti il B&B Hotel Cherasco Langhe è dotato anche

di camere superior che offrono servizi aggiuntivi come doppio

cuscino, bollitore, ciabattine e acqua. In una sala ampia e

luminosa dell’hotel con vista sugli ulivi è disponibile una varia

e ricca colazione a buffet. Per chi non vuole rinunciare alle

perle dell’enogastronomia langarola, adiacente all’hotel si trova

il ristorante La Porta delle Langhe, location elegante in perfetto

equilibro tra innovazione e tradizione in cui organizzare

il proprio evento speciale, aperitivi o coffee break, fino a pranzi,

cerimonie e matrimoni, grazie ad un’ampia sala dedicata ai

ricevimenti con una capienza massima di 350 persone e ad un

grande dehor esterno decorato da ulivi centenari. Il B&B Hotel

Cherasco Langhe è infine un punto di riferimento per il turismo

congressuale piemontese con la sua sala meeting modulabile

che permette di ospitare fino a 50 persone.

In questa e nelle altre foto gli interni del B&B Hotel Cherasco Langhe

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B&B HOTELS


Su B&B Hotels

Dal design moderno e funzionale, con bagno spazioso privato

e soffione XL, le camere B&B Hotels dispongono di Wi-Fi

in fibra fino a 200Mb/s, Smart TV 43” con canali Sky e satellitari

di sport, cinema e informazione gratuiti, nonché Chromecast

integrata per condividere in streaming contenuti audio e

video proprio come a casa. Per un risveglio al 100% della forma,

B&B Hotels propone una ricca colazione con prodotti dolci

e salati per tutti i gusti.

B&B HOTELS

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Benessere e cura

della persona

A cura di

Antonio Pieri

Prendersi cura dei

capelli in maniera

naturale

di Antonio Pieri

La primavera è arrivata e con essa le temperature si

stanno pian piano alzando. Lo sbalzo tra il freddo della

mattina e della sera e il calore del sole durante il giorno

può causare problemi alla nostra pelle e ai nostri capelli.

Sbalzi termici e capelli

Gli sbalzi termici e l’umidità compromettono la fibra capillare

così come anche l’aria eccessivamente secca. Il risultato sono

capelli molto secchi che tendono a sfibrarsi più facilmente.

Detersione profonda con prodotti naturali e biologici

La prima cosa da fare per porre rimedio a questa situazione è

detergere i capelli con prodotti naturali e biologici. L’olio extravergine

di oliva è capace di nutrire a fondo le fibre capillari e ridare

vita al capello. Lo shampoo naturale normalizzante della

linea Prima Spremitura di Idea Toscana ha come principio attivo

principale l’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.

Questo prezioso ingrediente è in grado di ristabilire dopo poche

applicazioni il naturale equilibrio del cuoio capelluto, donando

ai capelli lucentezza, morbidezza e vitalità. Un piccolo

trucchetto: l’ultimo risciacquo deve essere effettuato con acqua

fredda per rendere la chioma ancora più lucente.

Shampoo normalizzante

Lo shampoo della linea Prima Spremitura è definito normalizzante

in quanto, grazie alla sua formulazione, svolge un’azione

seboequilibrante, cioè oltre a mantenere i capelli puliti

più a lungo riesce a ristabilire il giusto equilibrio idrolipidico

sul cuoio capelluto.

L’importanza del balsamo

Per alcuni il balsamo non può mancare nella propria beauty

routine, per altri invece il balsamo è un prodotto superfluo che

erroneamente viene associato al problema dei capelli unti. Invece

il balsamo, soprattutto se naturale e con principi attivi come

l’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico, dovrebbe

sempre far parte della normale routine di lavaggio se si vogliono

lavare bene i capelli e nutrire in profondità. Non applicando

il balsamo, infatti, si andrebbe a seccare eccessivamente il capello

e si perderebbe l’occasione per donare il nutrimento necessario

a rendere la chioma morbida e luminosa. La dolcezza

e la cremosità del balsamo Prima Spremitura di Idea Toscana

saranno utili per rendere più facile la vita di tutti i tipi di capelli,

siano essi sfibrati o danneggiati da agenti chimici o atmosferici.

Grazie alla ricchezza della formulazione con olio extravergine

di oliva toscano IGP biologico, i capelli si districheranno

con estrema facilità brillando di nuova lucentezza su tutta la

loro lunghezza. Fissandosi maggiormente sulle parti del capello

più bisognose di cure, il prodotto svolge un’efficace azione

sostantivante e ricondizionante, aiutando così a prevenire

le “doppie punte” e conferendo al capello corpo, morbidezza e

lucentezza. Infine consigliamo di applicare il balsamo solo sulle

punte e non alla base del capello, in quanto la cute produce

già il sebo ed andando ad applicare anche il balsamo si rischierebbe

di “appesantire” la zona trattata.

Ti aspettiamo nel nostro nel nostro punto vendita in Borgo

Ognissanti 2 a Firenze o sul sito www.ideatoscana.it per

consigliarti su come prenderti cura della tua pelle e dei tuoi

capelli in maniera naturale e biologica.

Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl

e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici

naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.

Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,

ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.

antoniopieri@primaspremitura.it

Antonio Pieri

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CURA DEI CAPELLI



Una banca coi piedi

per terra, la tua.

www.bancofiorentino.it

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