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Il cinema
a casa
A cura di
Lorenzo Borghini
The Grandmaster
Il film di Wong Kar-wai sugli amori impossibili
di Lorenzo Borghini
Wong Kar-wai ci regala un film che all’apparenza può
sembrare semplice (storia di Ip Man maestro di
Wing Chun) ma in realtà cova al suo interno una
complessità quasi disarmante. Il protagonista ci anticipa una
massima che fungerà da linea direttrice per tutto il film e cioè
che il Kung fu è fatto di due sole parole, orizzontale e verticale,
se vai giù perdi, se stai in piedi vinci. Per molti potrebbe sembrare
una frase come tante ma il cineasta cinese ci costruisce
sopra l’intero film, forse l’intera sua poetica. In The Grandmaster
tutto è orizzontale e verticale, la pioggia incessante all’inizio
del film (verticale), i corpi che volano a suon di pedate
(orizzontale), gli sguardi che si incontrano (orizzontale), pavimenti
calpestati da corpi eretti (orizzontale,
verticale) e infine scale (verticale) e
treni impossibili (orizzontale). Ma il piano
di Wong non finisce qui, è molto più ampio,
è composto da linee infinite che partono da
nord a sud (dalla Cina del nord degli anni
Trenta fino ad arrivare a Foshan nella Cina
del sud, per poi continuare fino a sud-est a
Hong Kong), prende a pretesto la storia di Ip
Man per ripercorrere le tappe fondamentali
di trent’anni di storia cinese; nessun combattimento
del film è superfluo, ogni goccia
di sudore, ogni schizzo di sangue, ogni lacrima
sta a rappresentare la sofferenza di
tutti i momenti storici della Cina di quegli
anni; l’invasione di Hong Kong da parte dei
giapponesi, l’estrema povertà e la guerra civile.
Molti registi si sarebbero accontentati
di fare un film su Ip Man che camminando
nella sua storia ripercorre anche la Storia,
ma Wong no, non si accontenta e decide di
mettere in ballo tutte le sue tematiche più
care e allora The Grandmaster oltre che un
film sul tempo diventa un film sugli amori
impossibili, sugli amori sottotono, non urlati
ma velati come lo sono le tematiche di
questo film. Nella maggior parte dei suoi
film Wong Kar-wai fa vivere ai suoi personaggi
delle storie d’amore vissute a metà, o
almeno ci fa vedere che il suo è un occhio
disilluso, un occhio che mostra sempre l’inizio
di una storia ma spesso non la fine, o
meglio una fine forzata, un’interruzione, perché
l’amore all’inizio avvampa, ma poi inevitabilmente
arrivano le complicazioni, arriva
il tempo, che brucia pian piano tutto quello
che trova. Ma in The Grandmaster abbiamo
un’eccezione. Ci troviamo davanti ad uno dei tanti amori impossibili
cari al regista: i due si incontrano, si sfiorano (i loro
corpi si toccano solo durante un combattimento), le loro anime
si toccano, ma qui, la storia d’amore non finisce proprio
perché non inizia. Il regista sembra quasi non voler intaccare
quel che di bello che c’è fra di loro, anime perse, anime sole,
si guardano, si salutano continuando il loro cammino verso il
domani. E immancabilmente tornano le linee orizzontali e verticali,
perché gli uomini e le donne cari al regista si incontrano,
si amano, si odiano ma poi dopo quell’incontro breve e intenso,
quelle fragili linee devono proseguire la loro strada, continuando
a sporcarsi nel caos della vita.
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THE GRANDMASTER