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La Toscana nuova Aprile 2022

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Il cinema

a casa

A cura di

Lorenzo Borghini

The Grandmaster

Il film di Wong Kar-wai sugli amori impossibili

di Lorenzo Borghini

Wong Kar-wai ci regala un film che all’apparenza può

sembrare semplice (storia di Ip Man maestro di

Wing Chun) ma in realtà cova al suo interno una

complessità quasi disarmante. Il protagonista ci anticipa una

massima che fungerà da linea direttrice per tutto il film e cioè

che il Kung fu è fatto di due sole parole, orizzontale e verticale,

se vai giù perdi, se stai in piedi vinci. Per molti potrebbe sembrare

una frase come tante ma il cineasta cinese ci costruisce

sopra l’intero film, forse l’intera sua poetica. In The Grandmaster

tutto è orizzontale e verticale, la pioggia incessante all’inizio

del film (verticale), i corpi che volano a suon di pedate

(orizzontale), gli sguardi che si incontrano (orizzontale), pavimenti

calpestati da corpi eretti (orizzontale,

verticale) e infine scale (verticale) e

treni impossibili (orizzontale). Ma il piano

di Wong non finisce qui, è molto più ampio,

è composto da linee infinite che partono da

nord a sud (dalla Cina del nord degli anni

Trenta fino ad arrivare a Foshan nella Cina

del sud, per poi continuare fino a sud-est a

Hong Kong), prende a pretesto la storia di Ip

Man per ripercorrere le tappe fondamentali

di trent’anni di storia cinese; nessun combattimento

del film è superfluo, ogni goccia

di sudore, ogni schizzo di sangue, ogni lacrima

sta a rappresentare la sofferenza di

tutti i momenti storici della Cina di quegli

anni; l’invasione di Hong Kong da parte dei

giapponesi, l’estrema povertà e la guerra civile.

Molti registi si sarebbero accontentati

di fare un film su Ip Man che camminando

nella sua storia ripercorre anche la Storia,

ma Wong no, non si accontenta e decide di

mettere in ballo tutte le sue tematiche più

care e allora The Grandmaster oltre che un

film sul tempo diventa un film sugli amori

impossibili, sugli amori sottotono, non urlati

ma velati come lo sono le tematiche di

questo film. Nella maggior parte dei suoi

film Wong Kar-wai fa vivere ai suoi personaggi

delle storie d’amore vissute a metà, o

almeno ci fa vedere che il suo è un occhio

disilluso, un occhio che mostra sempre l’inizio

di una storia ma spesso non la fine, o

meglio una fine forzata, un’interruzione, perché

l’amore all’inizio avvampa, ma poi inevitabilmente

arrivano le complicazioni, arriva

il tempo, che brucia pian piano tutto quello

che trova. Ma in The Grandmaster abbiamo

un’eccezione. Ci troviamo davanti ad uno dei tanti amori impossibili

cari al regista: i due si incontrano, si sfiorano (i loro

corpi si toccano solo durante un combattimento), le loro anime

si toccano, ma qui, la storia d’amore non finisce proprio

perché non inizia. Il regista sembra quasi non voler intaccare

quel che di bello che c’è fra di loro, anime perse, anime sole,

si guardano, si salutano continuando il loro cammino verso il

domani. E immancabilmente tornano le linee orizzontali e verticali,

perché gli uomini e le donne cari al regista si incontrano,

si amano, si odiano ma poi dopo quell’incontro breve e intenso,

quelle fragili linee devono proseguire la loro strada, continuando

a sporcarsi nel caos della vita.

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THE GRANDMASTER

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