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La Toscana nuova Aprile 2022

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Eventi in

Toscana

Luciano Manara

L’artista e designer fiorentino omaggia

il 186° Reggimento Folgore con un’opera

sulla battaglia di El Alamein

di Daniela Pronestì

Cuori d’acciaio all’erta / (…) Come folgore dal cielo!

/ Canta il motto della gloria / Come nembo di

tempesta! / Precediamo la vittoria». Questi versi,

«tratti da un inno della Brigata “Folgore”, richiamano i valori di

uno dei corpi delle forze armate che più si è distinto nella recente

storia italiana per la prodezza dimostrata in numerosi

contesti di guerra. Proprio a queste parole sembra riferirsi

l’opera che Luciano Manara ha donato lo scorso 18 marzo al

186° Reggimento Paracadutisti Folgore durante una cerimonia

alla Caserma Bandini di Siena. Si tratta di un’imponente

pittoscultura – 1 metro di altezza per ben 2,50 metri di lunghezza

– con la quale il noto designer ed artista fiorentino ha

voluto commemorare uno degli episodi più significativi nella

vicenda della Folgore: la battaglia di El Alamein che, nel

1942, durante la seconda guerra mondiale, vide i paracadutisti

italiani, con un atto di straordinario eroismo, resistere da

soli per 13 giorni all’avanzata del corpo d’armata britannico.

La prima cosa che salta all’occhio nell’opera è senz’altro la

scelta del colore: un rosso più rosso del rosso, di un’intensità

che “folgora” – è proprio il caso di dire – lo sguardo e che fa

pensare all’impeto della battaglia, al galoppo di cuori pronti a

rischiare tutto pur di salvare l’onore, al fervore della passione

che ha guidato le gesta di questi eroi del nostro tempo. Mancò

la fortuna, non l’onore recita il titolo dell’opera, riprendendo

in parte la frase incisa sul sacrario di El Alamein. Parole leggendo

le quali viene da dire che non sempre “la fortuna aiuta

gli audaci” o per lo meno non in battaglia. Sul fronte africano,

i “leoni della Folgore” – così li definì il comandante Winston

Churchill all’indomani dello scontro nel deserto egiziano

– tentarono il tutto per tutto, versarono sangue e sudore, fino

all’estremo sacrifico della vita. Eppure questo non bastò

a fargli guadagnare la vittoria: neanche il più alto valore militare

può vincere contro una sorte avversa (e contro equipaggiamenti

inadeguati, come ha poi dimostrato la rilettura a

posteriori di quell’evento bellico). Ciò che ottennero tuttavia

fu un altro genere di vittoria, forse ancora più importante: vedersi

riconosciuto l’onore delle armi dall’avversario inglese, a

conferma del fatto che è sempre il valore del combattente e

non la potenza del fucile a fare la differenza. Manara condensa

queste riflessioni in un’opera potente, emozionante, d’impatto

immediato, nella quale la guerra diventa metafora della

capacità dell’uomo di vivere e morire per un ideale, di spendere

se stesso fino all’ultimo respiro o goccia di sangue per

difendere quello in cui crede: ecco allora che un cuore di filo

spinato cinge il simbolo della Folgore ad eterna memoria di

come in quella terra straniera, sul campo di battaglia, i paracadutisti

italiani abbiano lasciato il loro di cuore, mostrando

un coraggio che gli ha permesso di entrare per sempre nella

Un dettaglio della pittoscultura donata da Manara al 186° Reggimento Folgore

grande storia del nostro paese. Ma come spesso accade nelle

geniali creazioni di Manara anche in questo caso bisogna

spingersi oltre la “pelle” dell’opera, decriptando i simboli che

quest’ultima nasconde. L’enigma si cela nelle misure del quadro,

scelte in modo da richiamare precisi significati, a partire

dal numero 1 – prima cifra dell’altezza complessiva dell’opera

–, emblema della creazione, dell’unicità, “padre” di tutti

gli altri numeri e per questo considerato anche simbolo maschile

per eccellenza. Non a caso, l’archetipo che lo rappresenta

è proprio quello del guerriero che sfida le difficoltà con

coraggio, pragmatismo, senso dell’onore e della responsabilità.

L’altro numero è il 7 – risultato della somma delle due cifre

della lunghezza del quadro –, le cui complesse valenze

simboliche spaziano dall’ambito religioso a quello filosofico,

dall’arte all’astrologia, dalla scienza all’esoterismo. Difficile

evidenziarle tutte: basti dire che il 7 incarna la spiritualità,

la ricerca mistica, la completezza, l’illuminazione interiore.

È il punto d’incontro tra umano e divino, tra cielo e terra; è

associato all’archetipo del saggio che coltiva ideali nobili e

profondi. Dalla forza propulsiva e maschile della guerra simboleggiata

dal numero 1 si passa quindi alla saggezza di chi,

proprio attraverso il superamento del conflitto, matura una

profonda conoscenza della natura umana. La numerologia

ha però anche un altro significato: è come se Manara volesse

ricordarci che ogni evento, anche il più drammatico come

drammatica è senz’altro la morte in guerra, risponde ad

un senso più alto di quello che ad una prima lettura siamo

in grado di attribuirgli. C’è un mistero nelle cose, un significato

nascosto, al quale forse soltanto attraverso l’arte, in

quanto atto creativo puro, è possibile avvicinarsi. Ecco perché

quest’opera non intende soltanto commemorare un evento

storico esaltando il valore dei tanti che in quell’occasione

hanno perso la vita, ma si propone anche di celebrare tutti

quegli atti eroici che innalzano l’uomo al di sopra dei propri

limiti. Ed è proprio di questo sano eroismo che, oggi più che

mai, la nostra epoca avrebbe bisogno.

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LUCIANO MANARA

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