Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Eventi in
Toscana
Luciano Manara
L’artista e designer fiorentino omaggia
il 186° Reggimento Folgore con un’opera
sulla battaglia di El Alamein
di Daniela Pronestì
Cuori d’acciaio all’erta / (…) Come folgore dal cielo!
/ Canta il motto della gloria / Come nembo di
tempesta! / Precediamo la vittoria». Questi versi,
«tratti da un inno della Brigata “Folgore”, richiamano i valori di
uno dei corpi delle forze armate che più si è distinto nella recente
storia italiana per la prodezza dimostrata in numerosi
contesti di guerra. Proprio a queste parole sembra riferirsi
l’opera che Luciano Manara ha donato lo scorso 18 marzo al
186° Reggimento Paracadutisti Folgore durante una cerimonia
alla Caserma Bandini di Siena. Si tratta di un’imponente
pittoscultura – 1 metro di altezza per ben 2,50 metri di lunghezza
– con la quale il noto designer ed artista fiorentino ha
voluto commemorare uno degli episodi più significativi nella
vicenda della Folgore: la battaglia di El Alamein che, nel
1942, durante la seconda guerra mondiale, vide i paracadutisti
italiani, con un atto di straordinario eroismo, resistere da
soli per 13 giorni all’avanzata del corpo d’armata britannico.
La prima cosa che salta all’occhio nell’opera è senz’altro la
scelta del colore: un rosso più rosso del rosso, di un’intensità
che “folgora” – è proprio il caso di dire – lo sguardo e che fa
pensare all’impeto della battaglia, al galoppo di cuori pronti a
rischiare tutto pur di salvare l’onore, al fervore della passione
che ha guidato le gesta di questi eroi del nostro tempo. Mancò
la fortuna, non l’onore recita il titolo dell’opera, riprendendo
in parte la frase incisa sul sacrario di El Alamein. Parole leggendo
le quali viene da dire che non sempre “la fortuna aiuta
gli audaci” o per lo meno non in battaglia. Sul fronte africano,
i “leoni della Folgore” – così li definì il comandante Winston
Churchill all’indomani dello scontro nel deserto egiziano
– tentarono il tutto per tutto, versarono sangue e sudore, fino
all’estremo sacrifico della vita. Eppure questo non bastò
a fargli guadagnare la vittoria: neanche il più alto valore militare
può vincere contro una sorte avversa (e contro equipaggiamenti
inadeguati, come ha poi dimostrato la rilettura a
posteriori di quell’evento bellico). Ciò che ottennero tuttavia
fu un altro genere di vittoria, forse ancora più importante: vedersi
riconosciuto l’onore delle armi dall’avversario inglese, a
conferma del fatto che è sempre il valore del combattente e
non la potenza del fucile a fare la differenza. Manara condensa
queste riflessioni in un’opera potente, emozionante, d’impatto
immediato, nella quale la guerra diventa metafora della
capacità dell’uomo di vivere e morire per un ideale, di spendere
se stesso fino all’ultimo respiro o goccia di sangue per
difendere quello in cui crede: ecco allora che un cuore di filo
spinato cinge il simbolo della Folgore ad eterna memoria di
come in quella terra straniera, sul campo di battaglia, i paracadutisti
italiani abbiano lasciato il loro di cuore, mostrando
un coraggio che gli ha permesso di entrare per sempre nella
Un dettaglio della pittoscultura donata da Manara al 186° Reggimento Folgore
grande storia del nostro paese. Ma come spesso accade nelle
geniali creazioni di Manara anche in questo caso bisogna
spingersi oltre la “pelle” dell’opera, decriptando i simboli che
quest’ultima nasconde. L’enigma si cela nelle misure del quadro,
scelte in modo da richiamare precisi significati, a partire
dal numero 1 – prima cifra dell’altezza complessiva dell’opera
–, emblema della creazione, dell’unicità, “padre” di tutti
gli altri numeri e per questo considerato anche simbolo maschile
per eccellenza. Non a caso, l’archetipo che lo rappresenta
è proprio quello del guerriero che sfida le difficoltà con
coraggio, pragmatismo, senso dell’onore e della responsabilità.
L’altro numero è il 7 – risultato della somma delle due cifre
della lunghezza del quadro –, le cui complesse valenze
simboliche spaziano dall’ambito religioso a quello filosofico,
dall’arte all’astrologia, dalla scienza all’esoterismo. Difficile
evidenziarle tutte: basti dire che il 7 incarna la spiritualità,
la ricerca mistica, la completezza, l’illuminazione interiore.
È il punto d’incontro tra umano e divino, tra cielo e terra; è
associato all’archetipo del saggio che coltiva ideali nobili e
profondi. Dalla forza propulsiva e maschile della guerra simboleggiata
dal numero 1 si passa quindi alla saggezza di chi,
proprio attraverso il superamento del conflitto, matura una
profonda conoscenza della natura umana. La numerologia
ha però anche un altro significato: è come se Manara volesse
ricordarci che ogni evento, anche il più drammatico come
drammatica è senz’altro la morte in guerra, risponde ad
un senso più alto di quello che ad una prima lettura siamo
in grado di attribuirgli. C’è un mistero nelle cose, un significato
nascosto, al quale forse soltanto attraverso l’arte, in
quanto atto creativo puro, è possibile avvicinarsi. Ecco perché
quest’opera non intende soltanto commemorare un evento
storico esaltando il valore dei tanti che in quell’occasione
hanno perso la vita, ma si propone anche di celebrare tutti
quegli atti eroici che innalzano l’uomo al di sopra dei propri
limiti. Ed è proprio di questo sano eroismo che, oggi più che
mai, la nostra epoca avrebbe bisogno.
34
LUCIANO MANARA